Bivongi tra oriente e occidente, mille anni di storia
(a cura) di Fulvio Calabrese
Sentiamo la necessità, nel celebrare i mille anni di storia del paese, di affidare alle stampe, in questo anno giubilare, una pubblicazione scientifica che ha il merito di raccogliere per la prima volta le ricerche sul nostro passato di un gruppo di studiosi accreditati.
Non si deve, infatti, dimenticare che la comunità, la cui memoria affonda le radici nel Medioevo, ha conosciuto, nel corso dei secoli, le dominazioni di diversi popoli, i quali hanno lasciato tracce indelebili nel territorio circostante: dai Bizantini ai Normanni, dagli Svevi agli Angioini, dagli Spagnoli ai Francesi. A tutto questo si deve aggiungere - e la cosa non è stata certo di poco conto - l'influenza politico-economica esercitata dalla certosa di Serra S. Bruno, di cui il paese è stato casale per lungo tempo.
Bivongi, che è sempre stata terra di contatto fra culture e identità diverse, ponte fra la tradizione orientale e quella occidentale, coltiva ancora oggi questa sua particolare vocazione, favorendo la presenza dei monaci ortodossi nell'antico cenobio di S. Giovanni Theristis. Qui si incontrano e si confrontano due chiese cristiane che sono sorelle. La nostra comunità, dunque, ricopre una parte non indifferente nel favorire il dialogo interreligioso così tanto auspicato da molte parti, che è rispetto, tolleranza, attenzione ai popoli e alle storie particolari. I rapporti di amicizia, intrattenuti in questi anni con l'ortodossia, sono stati di grande arricchimento spirituale per tutti noi e hanno dato ai bivongesi la possibilità di percepire la diversità non come incompatibilità, bensì come ricchezza.
La tolleranza, la proverbiale operosità, lo spirito di sacrificio, la costanza sono i valori di questa comunità, che si trovano diffusi, attraverso il triste fenomeno dell'emigrazione, dovunque vi siano dei bivongesi. Fin dalle origini, infatti, si è manifestato il desiderio di strappare nuove idee ad un territorio poco generoso, sperimentando l'allevamento del baco da seta e, in seguito, la produzione intensiva dell'olio e della vite, nonchè l'ideazione di numerosi opifici per lo sfruttamento delle risorse minerarie del sottosuolo.
Sappiano anche le nuove generazioni trovare in queste radici dei riferimenti certi, l'attaccamento a quei valori che nessun costume potrà mai considerare superati.
Oggi, Bivongi, proiettato verso il turismo ed il miglioramento dei servizi, sa di poter contare su un passato ricco di testimonianze, un patrimonio così cospicuo, che ognuno di noi, ovunque si trovi, porta con sé in modo indissolubile. E' solo attraverso la riappropriazione delle origini che si diventa meno prigionieri del presente e si avverte la percezione di far parte della storia: tuttavia conoscere il passato vuol dire anche non permettere che la memoria ceda all'oblio. Ecco il perché di questo volume.
Ancora scarse sono le pubblicazioni riguardanti il nostro paese. Proprio per questo motivo Bivongi merita un interesse maggiore. Di fondere la storia del territorio e della sua gente è l'unico modo per esprimere ammirazione per un popolo che della dignità ha fatto uno stile di vita.
Porgo quindi un sentito ringraziamento agli autori dei singoli saggi che hanno ripercorso le tappe principali della nostra storia, sistemando alcuni tasselli importanti di un mosaico che lentamente sta cominciando a svelare il suo prezioso disegno. Sincera gratitudine va poi espressa al curatore del volume, il prof. Fulvio Calabrese, che con pazienza ha revisionato i testi e ha mantenuto i contatti con gli autori, e all'arch. Giorgio Metastasio, che con solerzia ha seguito le fasi di stampa dell'intera opera.
A tutti coloro che hanno la possibilità e la capacità di approfondire tale tipo di indagine, il compito di completare questo grande mosaico, ben sicuri che la storia di Bivongi non può esaurirsi in questo volume. A noi rimane soltanto la consapevolezza di aver gettato un seme che certamente porterà molto frutto.
ERNESTO RIGGlO
Sindaco di Bivongi
Bivongi 6 dicembre 2006
Festa di s. Nicola di Mira
Bivongi tra oriente e occidente, mille anni di storia
(a cura) di Fulvio Calabrese
Premessa di Gaetano Briguglio
Il termine riza, radix, radice, col significato di origine di un luogo, è un'espressione sicuramente carica di suggestioni e di interesse, ma della quale non bisogna abusare.
Risalire, ad esempio, alle radici millenarie di un paese come Bivongi, è come far emergere dal muro di una caverna, le tracce di un graffito del quale solo parzialmente si può ricostruire l' impianto.
Che bisogna fare allora per non imbatterci in un vicolo cieco o dover ricorrere alla fantasia per reinventare il disegno, convinti che in quei deboli segnali di vita possa nascondersi il nostro più remoto passato? Occorre partire dalla premessa secondo cui le cose sono più complesse di quanto appaiano.
La presenza dei primi insediamenti umani è sicuramente anteriore all'anno 1005; quella data, infatti, pur essendo determinata da testimonianze attendibili e non effimere, è solamente indicativa. Dobbiamo tener presente, che una località come Bivongi, sconosciuta ai più fino al sec. XVIII, può nascere paradossalmente più volte, allorquando un nuovo indizio ci spinge a retrodatare ulteriormente il suo atto di nascita. La verità è che vi può essere un dies natalis per un paese, come per le singole persone, ma solo quando si ricorre ad origini leggendarie, come anticamente è avvenuto per grandi città tipo Troia, Atene, Roma. Contrariamente, se si sceglie di attingere a fonti storiche, tutte più o meno adeguatamente documentate, ciò diventa più complicato e laborioso. Un paese, infatti, può benissimo nascere, morire e, addirittura, rinascere come un dipinto, che in via di restauro lascia intravedere altri strati con altre raffigurazioni. Proprio per questo motivo è preferibile partire da dati controllabili ed assumere come atto di nascita la data indicata.
Gli atti del Convegno tenuto a Bivongi lo scorso anno, a mille anni dall'evento, non si prospettano come punto d'arrivo della ricerca e nemmeno di partenza, tentano piuttosto di rispondere alla domanda: «In quale Calabria risiedono le fonti storiche della universitas bivongese?».
La risposta è inequivoca: sicuramente in quella che vede i Normanni insediarsi nel territorio ionico, facendo ricorso alla diffusione di un tessuto feudale, improntato su un modello paternalistico e al tempo stesso autoritario. Questo sistema territoriale era coerente con la 'missione' che questa federazione di popoli si era data. Esso, tuttavia, scontava la contraddizione di occupare una giurisdizione per metà governata dall'Impero di Bisanzio, la cui popolazione per una buona parte non parlava latino come il resto d'Europa, ma greco, e si sentiva rappresentata dallo strategos bizantino come capo militare della Calabria.
Può essere utile apprendere che quest'ultima nascita di Bivongi non va considerata come un fatto isolato; intorno all’anno Mille, infatti, molti luoghi nella regione sono sorti, non solo per motivi difensivi da parte delle popolazione, ma anche per un disegno di colonizzazione e ricolonizzazione di matrice normanna.
In gran parte dell'Italia meridionale, e non solo, si assisteva alla fondazione di nuovi insediamenti abitativi, come conseguenza dell'espansione demografica. Questo fenomeno scontava però, come contrappeso, lo spopolamento delle zone rurali più isolate. Un paese senza piccole periferie estreme, infatti, se la 'passava meglio' di un centro urbano con un contado ricco di frazioni.
In un'epoca molto più tarda, ma rimasta quanto a condizioni economiche sostanzialmente immutata, un conoscitore di piccole comunità territoriali come l'Accattatis, poteva affermare, a proposito di Bivongi, centro senza sobborghi, che in quella comunità «non c'erano poveri».
Di questa e di tante altre cose ancora si occuperanno le relazioni che seguono, dimostrando che una collettività di non vaste proporzioni può essere coinvolta in vicende politiche e culturali di alto profilo, da vari e articolati punti di vista.
In questa sede mi preme sottolineare che l' entità di riferimento considerata non è solo un luogo, ma un insieme di spazi che possono coincidere o meno con l'odierno Bivongi, pur conservando una realtà identitaria condivisa. A definire un popolo, infatti, non è solamente l'attività economica, ma una serie di 'usanze' collettive, come ad esempio quelle linguistiche, artistiche e devozionali. Non siamo in grado di rilevare quante fossero le etnie presenti e quanto influisse nella formazione dell'opinione pubblica la compresenza di differenti culture e sistemi di vita; possiamo solo dire, al riguardo, che il carattere e le abitudini delle persone raramente mutano, spesso si comprimono, qualche volta si dilatano da una generazione all'altra fino a tradursi in un nuovo formidabile elemento identitario.
Una sorta di percorso interiore che va dall'inconsistenza al parossismo. «Quando lasci il paese», tramanda Pitagora, «distogli gli occhi dalla frontiera».
Anche riflettendo su un ecumene quasi del tutto inesplorato, non si può fare a meno di rilevare che il risultato che deriva dalla sua indagine, equivale allo sguardo di un uomo millenario, combattuto tra un mondo che tenta di percepire e un altro che cerca di cambiare col suo lavoro.
E' una comunità, quella di riferimento, in cui l'opinione più diffusa era che tra tutte le attività umane, gerarchicamente ordinate, la più importante fosse quella agricola, quindi la pastorizia e infine l'edilizia.
Per i popolani del tempo l'ideale di vita non consiste nel perseguimento della ricchezza, quanto piuttosto nella sopravvivenza grazie al lavoro; era essenziale non dover ricorrere ad elemosine o usure per pagare i canoni d'affitto delle terre, spesso esosi e sproporzionati. La vita quotidiana degli abitanti si snoda in un intreccio di preoccupazioni economiche, ad esempio l'andamento delle attività estrattive delle miniere, e sovrastrutturali come le pratiche devozionali e religiose finalizzate ad evitare i castighi del cielo, timori ricorrenti degli uomini. Non siamo in grado di dire se pesa di più l'interesse per il lavoro o la paura della punizione divina, nel bilancio di una normale giornata lavorativa.
L'intreccio, però, di questi due elementi può spiegarci perché certe acque vengano considerate miracolose e definite Sante, come pure perché le montagne, che custodiscono ancora oggi come reliquie le impronte dell'attività estrattiva del ferro, si popolarono di santuari.
Quando le fonti risultano insufficienti o scarse, bisogna utilizzare al meglio anche le poche notizie che si hanno, cercando di approfondire, oltre il significato dei concetti, quello dei nomi. Infatti i nomi parlano, seppur attraverso una lingua che non riusciamo sempre a percepire, poichè il valore espressivo di certe parole si è perso nel tempo, dando luogo a significati diversi o addirittura contrapposti. Spesso i contenuti delle questioni onomastiche o toponomastiche ci vengono tramandati attraverso una tradizione orale, in una lingua che non è più la stessa dei parlanti che l'hanno ricevuta. La qual cosa produce sovente episodi di meticciato linguistico difficili da districare e nei quali non è agevole addentrarsi. In questi casi il sociolinguista è tenuto a capire che la tecnica della sua disciplina e la competenza gli devono servire, prima di ogni altra cosa, a separare ipotesi non sufficientemente motivate ma plausibili, da quelle irrazionali e arbitrarie. Sapersi accontentare dei risultati acquisiti, abbandonando ogni forma di accanimento interpretativo, non equivale a prendere per oro colato dati dubbi, quanto piuttosto a capire che il passato non sempre si lascia spiegare fino in fondo.
Facciamo un esempio concreto: nella toponomastica religiosa del territorio di Bivongi ricorre il topos Arsafia.
'Arsafhz’, non ci sono dubbi, è presente in un saggio su Iside ed Osiride scritto tra il I ed il II sec. d.C. da Plutarco: il nome indica virilità attraverso il prefisso alfa. Questa stessa spiegazione viene offerta anche da Ermeo: nel primo libro sugli Egizi egli ritiene, infatti, che il nome Osiride significhi οβριμοz cioè "potente".
Plutarco, come è noto, riorganizzò nelle sue opere, a beneficio degli intellettuali greci e latini, il complesso degli antichi miti, anche in relazione alle divinità egiziane ed al sincretismo che ne è derivato, che metteva in risalto il carattere misterico di quei culti.
E' possibile che la genealogia a cui fa riferimento si basi su una tradizione popolare che congiunge l' acrasia del nume delle libagioni col dio Horos.
E' sotto il regno di Tolomeo I Soter, re macedone dell'Egitto, che probabilmente questa identificazione è avvenuta, diffondendosi in vari paesi del Mediterraneo ed ibridizzandosi con la cultura religiosa greca, latina ed infine bizantina.
Tutto ciò spiega a quale patrimonio di riti attinge la nascente cultura cristiana, i legami tra i culti orientali e occidentali e le corrispettive cerimonie iniziatiche legate ai Misteri Eleusini e al mito della vegetazione e dei suoi ritmi.
E che l'odore d'Egitto permanga ancora nella vallata dello Stilaro, assieme agli altri effluvi mediterranei, è testimoniato dal recente ritrovamento, dentro la grotta del Monte Stella, di un affresco, coevo alla nascita di Bivongi, che rappresenta la Madonna individuata come s. Maria Egiziaca.
GAETANO BRIGUGLIO