Dizionario etimologico del dialetto bivongese di Damiano Bova OP
La lingua della nostra terra
Il noto cantautore calabrese Peppe Voltarelli, nel suo libro Il caciocavallo di bronzo scrive: “La mia lingua si difende dagli attacchi degli stupidi, io la proteggo dallo scempio del ridicolo, la incoraggio e la tolgo dal paniere dei prodotti seriali, è una lingua amara e forte e cammina per il mondo con la testa alta, verrà il monumento che la celebrerà prima o poi”.
È stato profetico Voltarelli, l'atteso monumento è arrivato e l'avete tra le mani, questo lavoro di padre Damiano Bova è prezioso, sono operazioni come questa che valorizzano il dialetto e gli conferiscono indiscutibilmente lo status di lingua. E, parlando di dialetto, non si può non ricordare la lezione di Pier Paolo Pasolini il quale nel 1945 così scriveva: "Il dialetto è la più umile e comune maniera di esprimersi.
È solo parlato, a nessuno viene mai in mente di scriverlo. Ma se a qualcuno venisse quell'idea? Voglio dire l'idea di adoperare il dialetto per esprimere i propri sentimenti, le proprie passioni? [...]con l'ambizione di dire cose elevate, difficili, magari; se qualcuno, insomma, pensasse di esprimersi meglio con il dialetto della sua terra, più nuovo, più fresco, più forte della lingua nazionale imparata nei libri? Se a qualcuno viene quella idea, ed è buono a realizzarla, e altri che parlano quello stesso dialetto lo seguono e lo imitano, e così, un po' alla volta, si ammucchia una buona quantità di materiale scritto, allora quel dialetto diventa lingua. La lingua sarebbe così un dialetto scritto e adoperato per esprimere i sentimenti più alti e segreti del cuore. [...] L'Italiano una volta, tanti secoli fa, era anche lui solo un dialetto, parlato dalla povera gente, dai contadini, dai servitori, dai braccianti mentre i ricchi e quelli che avevano studiato parlavano e scrivevano in Latino. Il Latino era insomma come adesso è per noi l'Italiano, e l'Italiano (con il Francese, lo Spagnolo, il Portoghese), era un dialetto del Latino, come adesso, per noi, l'Emiliano, il Siciliano, il Lombardo ... sono dialetti dell'Italiano. Ma ecco che saltano fuori, in Toscana, scrittori e poeti che vogliono sfogare con più sincerità e vivacità i loro affetti, e in modo che tutti li capiscano; e così si mettono a scrivere nel loro dialetto toscano. In dialetto toscano Dante scrive la sua Divina Commedia, in dialetto toscano Petrarca scrive le sue poesie, e così quel dialetto un poco per volta diventa lingua e sostituisce il Latino.
E siccome tutti gli altri dialetti italiani non danno né documenti scritti né poeti, la lingua toscana si impone su tutti e diventa lingua italiana. Per venire a parlare del nostro dialetto, fra i dialetti d'Italia, il Friulano ha una fisionomia sua e ben distinta, per certi caratteri e certe forme antiche che conserva e che non lo fanno confondere con nessun altro. [...] Purtroppo però il Friuli, per tante ragioni, non ha avuto in nessun tempo un gran poeta che cantasse nella sua lingua e che gli desse splendore e rinomanza; il Friuli ha sempre dovuto adoperare quella parlata per i poveri lavori dei contadini, dei montanari, dei mercanti per ordinare o chiedere di mangiare, di bere, di fare l'amore, di cantare, di lavorare".
Se negli ultimi capoversi sostituiamo al termine "friulano" il termine "calabrese", oltre a renderci conto dell'immensità del pensiero pasoliniano, avremo una netta percezione dell'importanza del lavoro di padre Damiano, il quale da Rettore emerito della Basilica di San Nicola di Bari non ha dimenticato la sua Bivongi e ha dedicato tutto il suo tempo libero alla stesura di questo straordinario dizionario.
Giuseppe Falcomatà
Sindaco Città Metropolitana
di Reggio Calabria
Dizionario etimologico del dialetto bivongese di Damiano Bova OP
Introduzione
Con un lavoro faticoso e meticoloso, frutto tanto di studio e ricerche quanto di incontri e interviste e verifiche nel territorio, padre Damiano Bova ha ricomposto in questa opera i caratteri complessivi del dialetto, della cultura e della storia del popolo bivongese, prima che con l'avanzare del tempo, essi si disperdessero per sempre con un irrimediabile danno per tutti.
Grazie a questo amorevole e sapiente lavoro, risultato innanzi tutto del suo amore per Bivongi, egli ci consegna un prezioso strumento che ricostruisce in modo autentico un importante segmento della cultura calabrese che ribadisce e rafforza l'identità della intera comunità bivongese, sia riferita al contesto territoriale in cui è insediato il comune, sia distribuita nelle tante e diverse località del mondo in cui i bivongesi sono emigrati ed hanno costituito nuclei familiari che ne tramandano e rinnovano l'appartenenza.
Senza pretendere di entrare nell'aspetto tecnico-filologico dell'opera, risalta agli occhi di tutti quanto essa è intrisa della molteplicità di idiomi e culture che, nel corso del tempo hanno segnato il processo storico-evolutivo del nostro paese e che rappresentano per la loro testimonianza, l'identità profonda della comunità bivongese.
Una identità che tutti dobbiamo difendere e valorizzare, della quale dobbiamo essere orgogliosi, e che ci unisce e caratterizza come comunità dandoci la forza e la voglia, alla luce dei tempi che viviamo, di utilizzarla come un ponte solido e sicuro, fondato sulle basi di ciò che siamo e proteso verso il futuro che vogliamo insieme costruire. Mai arroccati in noi stessi, ma sempre aperti agli altri e pronti ad affrontare le sfide che globalizzazione e multiculturalità ci presentano.
Come abbiamo sempre fatto Noi, piccola grande comunità di bivongesi.
Ed è a nome di questa grande comunità che esprimo a Padre Damiano la gratitudine ed il ringraziamento per questa opera che onora Bivongi e la sua comunità e la inorgoglisce della consapevolezza della sua identità.
Grazie a padre Damiano, egli stesso figlio di questa comunità e al tempo stesso maestro che ci ricorda chi siamo.
Felice Valenti
Sindaco di Bivongi
Dizionario etimologico del dialetto bivongese di Damiano Bova OP
Prefazione
«Il Signore scriverà nel libro dei popoli: là costui è nato» (dal salmo 86).
«... se si proponesse a tutti gli uomini di fare una scelta fra le varie tradizioni e li si invitasse a scegliersi le più belle, ciascuno, dopo opportuna riflessione, preferirebbe quelle del suo paese: tanto a ciascuno sembrano di gran lunga migliori le proprie costumanze» (Erodoto, Storie - libro III, 38).
E, in sintonia con questo pensiero di uno storico dell'età antica, che mi sono proposto di raccogliere per conservare il patrimonio culturale della lingua del mio paese natio, con l'intento di tramandarlo ai posteri.
Partii dal mio paese natio, per entrare nell'Ordine domenicano, nel 1958, all'età di 27 anni. Questo periodo della mia vita lo trascorsi prevalentemente a Bivongi, da dove mi assentai soltanto per i miei impegni di studio che completai a Reggio Calabria, o per brevi periodi di esperienze didattiche o di attività politica. Nei tempi non scolastici andavo in campagna per aiutare i miei genitori nei loro abituali lavori di coltivatori diretti: zappare, seminare, curare il vigneto, vendemmiare, raccogliere le ulive, irrigare le piantagioni di granturco e gli ortaggi. Così insieme alla cultura scolastica ho acquisito non solo quella agricola, accumulando una conoscenza personale nel lavoro dei campi, ma anche il linguaggio comune, popolare che ho conservato come mio patrimonio culturale ancestrale.
Il giorno che lasciai Bivongi, per intraprendere il percorso della mia vocazione religiosa, a casa di mia sorella, carico di emozione, scoppiai in pianto. Mia madre mi disse con amorevolezza che potevo ripensarci, se volevo desistere dal mio proposito; le mie lacrime non riguardavano però la mia scelta vocazionale, ma il distacco dagli affetti, a me più cari, della mia famiglia, degli amici, e del mio paese. Nei poco meno di 60 anni trascorsi nel mio Ordine ritengo che quasi neppure un giorno sia passato senza che mi affiorasse qualche pensiero riguardante questi miei affetti.
Ho avuto sempre, fin da ragazzo, un istintivo amore per la storia che ho appagato, nelle mie assidue letture, con l'interesse sia per i romanzi, che per gli eventi storici.
Non ho perseguito studi specialistici in questo campo; ho avuto, però, un costante interesse amatoriale per le vicende e le tradizioni storiche dell'Italia meridionale, particolarmente del mio paese natio, che approfondii sia nel periodo del mio incarico di Segretario degli studi presso l'Istituto di Teologia Ecumenica, sia come Rettore della Basilica di San Nicola, seguendo le vicende delle molto diffuse tradizioni orientali e di San Nicola nel Meridione d'Italia; dalle più disparate letture a cui ho dedicato i ritagli di tempo rubati al sonno e ai miei diversi impegnativi compiti, sono andato costantemente spigolando notizie storiche riguardanti queste tradizioni, con particolare e costante riferimento alle vicende storiche della Valle dello Stilaro.
Da questa passione sono venute fuori alcune pubblicazioni riguardanti i miei primigeni affetti. Questo lavoro è, quindi, più frutto dell'amore che della scienza, scaturito dall'interesse per il mio paese natio, e dal desiderio di permanere col pensiero in una atmosfera a me così cara della mia infanzia e della mia giovinezza.
Ho avuto, inoltre, una altrettanto forte curiosità intellettuale a riguardo dell'origine e del significato recondito delle parole, utilizzati spesso nella predicazione e nell'amministrazione del sacramento della penitenza. È questo il motivo per cui mi sono avventurato in questa impresa investigativa di carattere glottologico, anche se privo degli strumenti adeguati per tale tipo di ricerca. Questo mio lavoro, che racchiude nelle sue pagine il tesoro di vita del nostro nobile linguaggio calabrese e bivongese, non è, quindi, un testo di glottologia a carattere scientifico, ma la semplice opera di un amatore della lingua, del costume, della cultura e delle tradizioni del proprio paese, di un curioso estimatore dell'etimologia del proprio primitivo linguaggio.
Il proposito di approfondire culturalmente questo nostro atavico linguaggio è scaturito proprio dal desiderio di conoscere meglio la nostra storia, le tradizioni che si sono sovrapposte lungo il sinuoso percorso dei vari insediamenti di popoli diversi che hanno trovato rifugio anche nella Valle dello Stilaro. L'etimologia è la scienza che studia la storia delle parole, indagandone l'origine e l'evoluzione fonetica, morfologica, semantica. Dai progressi dell'etimologia si ricavano i variegati apporti delle civiltà del passato, di cui si eredita il patrimonio socio-culturale che ha costituito il solido fondamento su cui poggia la nostra primitiva esperienza vitale prodromo da cui scaturisce lo slancio per ulteriori sviluppi.
Riscoprire l'etimo, l'origine di una parola è divertente, è come un gioco appassionante e denso di emozioni nel rincorrere nei meandri di un labirinto antico qual è l'archeologia del linguaggio, specie se si tratta di scoprire i prodromi della lingua materna. Nella superficialità del parlare comune si va così a scoprire una straordinaria e intrinseca potenza evocativa di millenni di storia, rimasta occulta nella banalità del quotidiano.
Questo interesse mi ha spinto a intraprendere il non agevole lavoro di recuperare l'ascoso patrimonio linguistico dialettale di Bivongi, con tutto il suo ricco contenuto culturale e sociale; il mio rammarico è di non aver potuto fare questa operazione prima, in tempi in cui era possibile raccogliere, dagli anziani dell'epoca anteriore alla Seconda Guerra Mondiale, quelle voci che ritengo siano andate irrimediabilmente perdute. Il linguaggio di un popolo è sempre in lenta evoluzione, ma nella seconda metà del secolo scorso ha subìto una accelerazione impressionante a motivo della proliferazione dei mezzi di comunicazione sociale e della mobilità delle popolazioni.
Io, per la mia età, sono a cavallo, possiamo dire, tra due epoche, divise dallo steccato della Seconda Guerra Mondiale, che ha visto svanire quasi a precipizio la civiltà agricola a causa dall'invasione prepotente dell'epoca industriale.
La raccolta dei dati riuniti in questo dizionario non proviene da una indagine fatta sul posto, interpellando persone del luogo, ma è frutto, anzitutto, della mia conoscenza diretta e personale del dialetto bivongese impresso nella mia memoria, essendo vissuto nel mio paese natale fino all'età di 27 anni; mentre una parte considerevole è frutto della consultazione di opere dialettali calabresi che sono servite da stimolo per recuperare quanto era contenuto nel mio sottofondo culturale.
Altra fonte è stata la raccolta di voci fatta dal mio fraterno cugino Vincenzo Bova che vive a Marsala (TP), messa benevolmente a mia disposizione; e ho constatato che, pur essendo vissuti per ventisette anni quasi sempre insieme, diverse voci fornitemi da lui io non le conoscevo, solo perché abitavamo a due quartieri diversi del paese. Alcune voci, riguardanti il mondo dell'artigianato (arti e mestieri), le ho recuperate interpellando, con la collaborazione di Franco Bova e della moglie, Itala Grazioso, artigiani, negozianti, agricoltori e persone dedite a varie altre attività.
Ma la fonte invisibile, sempre presente in questa ricerca, è stata mia madre.
Quando in testa mi frullava qualcosa di un termine che avevo difficoltà a ricordare mi domandavo: mi madre come diceva? evocando così in contemporanea il volto di mia madre e il termine ricercato.
Questa raccolta terminologica fa riferimento, nel suo insieme, al dialetto degli anni 1930-1960, anni in cui io sono vissuto in paese. È un lavoro chiaramente carente, per il semplice fatto che non ho potuto raccogliere direttamente sul posto tante altre voci andate, forse, irrimediabilmente perdute, eccetto quanto fissato nei rari scritti di quegli anni e di quelli anteriori. L'ottimo, si sa, è sempre nemico del bene.
All'ottimo, spero, penseranno altri che sapranno, non solo attingere da diverse altre fonti a me rimaste sconosciute, se si adopereranno a perseguire studi molto più approfonditi sul nostro linguaggio.
Nel dizionario sono state raccolte solo le voci che sono tipiche del dialetto bivongese, anche se trovano riscontro in altri dialetti calabresi. Delle voci italiane, pronunciate o scritte in forma dialettale, e quindi facilmente comprensibili, vengono inserite quelle che nel dialetto hanno due o più sensi, oppure sfumature diverse, o che hanno anche senso figurato. Sono pochissime le voci in lingua nazionale, registrate come fossero dialettali; ci sono poi parole che si pronunziano in due modi diversi per faci litarne la consultazione, rinvio a quella più usata. Ho conservato solo pochi termini italianizzati perché hanno una stretta attinenza con usi e costume paesani.
In questa raccolta sono comprese parole ed espressioni volgari che, facendo parte dell'abituale linguaggio popolare, non possono essere escluse perché, anche se può sembrare indelicato e sconcio per la mia condizione di sacerdote, fanno parte del tessuto culturale della comunità bivongese.
Per alcuni termini, dalla fonetica tipicamente bivongese, difficili da fissare per iscritto, e ancor più da pronunciare per chi non è bivongese, si dovrebbe conservare la pronuncia a viva voce su apparecchi oggi messi a disposizione dalla tecnologia attuale.
La lingua, nella sua lenta e inesorabile evoluzione, non solo segna la vita e lo sviluppo dei popoli nella storia, ma li connota anche di una propria identità, esprimendone, in un certo qual modo, temperamento e carattere. La configurazione geografica, il rapporto con le popolazioni circonvicine, le vicende storiche di secoli di vita con gli influssi delle popolazioni che si sono insediate in successione nel territorio, in modo permanente o solo temporaneo, hanno contribuito da una parte a fissare un certo linguaggio nella popolazione, e dall'altra anche a farlo evolvere.
A Bivongi la predominanza etimologica è quella latina e greca. L'influsso della lingua greca è dovuto al periodo della Magna Grecia, prima, essendo la Valle dello Stilaro a ridosso della città-stato di Kaulon (Monasterace), e poi al lungo periodo di dominazione bizantina, dal VI all'XI sec., con la presenza del Kastron di Stilo, delle numerose comunità monastiche calabro-greche (tebaide stilese), fino alla loro totale scomparsa nel XVII secolo, e agli insediamenti di popolazioni del Vicino Oriente, emigrate nell'Italia meridionale, per sfuggire dalle persecuzioni iconoclastiche e dall'invasione degli Arabi. I monaci di San Giovanni Theresti il Vecchio che si trasferirono a Stilo nel 1662, in San Giovanni il Nuovo, agli inizi del XVIII secolo celebravano ancora in greco.
La ridondanza del latino, anche se si vuole accettare la tesi che la lingua greca bizantina ha completamente sostituito il latino dell'età classica, si deve alla dipendenza di buona parte della nostra Vallata dalla Certosa di Serra San Bruno, con i monaci che ebbero il compito di latinizzare le popolazioni dell'Italia meridionale, con l'avvento della dominazione normanna e il ritorno dell'ubbidienza alla Chiesa romana. Le diocesi e le chiese dipendenti da Roma, con l'affermarsi del loro progressivo predominio, determinarono la decadenza degli insediamenti monastici orientali e delle loro tradizioni religiose, culturali e sociali.
Gli altri apporti linguistici sono dovuti alle varie dominazioni straniere dell'Italia meridionale. L'influsso arabo si rifà al periodo dell'occupazione della Sicilia tra il IX e l 'XI secolo da parte degli Arabi, alla presenza di emirati in Calabria con insediamenti di popolazioni arabe, e soprattutto agli scambi commerciali nell'area mediterranea.
I residui del linguaggio francese provengono sia dal periodo del dominio angioino, sia da quello molto breve dell'epoca napoleonica; quanto allo spagnolo dobbiamo una eredità terminologica al periodo dell'occupazione aragonese nel Basso Medioevo.
L'etimologia non fa sempre ricorso all'influenza di lingue straniere, ma dipende anche dagli apporti della locale vita sociale, culturale, ambientale delle varie attività: agricola, artigianale, professionale, commerciale, sociale.
A me sembra, e non vorrei sbagliarmi, che il dialetto bivongese rappresenti una chiara isola linguistica, perché si distingue chiaramente dai dialetti delle altre popolazioni dell'area circostante e, più ampiamente, dal reggino e dal catanzarese. Nel Dizionario del Rohlfs non c'è il nome di Bivongi, mentre sono citati Pazzano, Stilo, Monasterace, Guardavalle, con i rispettivi abitanti: pazzanesi, stilitani o stilisani, monastaracioti, guardavaddoti, stignanoti, caminoti; non c'è bigungisi o bivungisi; il che è molto strano; non se ne comprende il motivo. Inoltre sono molte le voci che non hanno un riscontro similare negli altri dialetti calabresi. Il dialetto di Bivongi è distintamente staccato da quello dell'area sia reggina che catanzarese.
Bisogna ipotizzare che il Rohlfs anzitutto non si sia soffermato a Bivongi; oppure che lui abbia riscontrato che il Bivongese fosse un dialetto dissociato da quelli dei paesi circonvicini, e che, quindi, sarebbe stato molto impegnativo raccogliere. Spetterà agli specialisti verificare scientificamente se questa mia ipotesi di lavoro sia vera ed eventualmente motivarla.
Vorrei aggiungere, anche se può sembrare fuori luogo, che uno studio antropologico, e anche etnico-sociale, potrebbe definire pure la peculiarità caratteriale, culturale e sociale dei Bivongesi, con specifico riferimento alla storia di questo centro dell'entroterra jonico che, nel contesto, ha dato segni di una singolare identità socioculturale e mostrato una grande vitalità inventiva con iniziative promozionali straordinarie.
Spero che questo mio lavoro possa suscitare l'aristotelica curiositas di studenti bivongesi che intendano approfondire questo studio in maniera scientifica più di quanto abbia potuto farlo io.
Nel libro sulle origini di Bivongi (v. bibliografia) ho tracciato la storia della Valle dello Stilaro, comprendendo Monasterace, Stilo (maggiormente) e Pazzano. In questo Dizionario invece mi sono riferito solo al linguaggio proprio di Bivongi, ben distinto da quello degli altri centri della Valle dello Stilaro.
Nel corso del lavoro ho notato che nel dialetto bivongese non c'è futuro né passato prossimo, eccetto qualche rara eccezione. Nel dizionario del Rohlfs, alla pagina 339, nella coniugazione del verbo jira: andare, troviamo il presente, il passato remoto e il condizionale. Il futuro viene reso con il presente e l'avverbio pue, epue: poi; si dici accussì, epue viegnu: se mi dici così, verrò; oppure lo si esprime semplicemente col presente; domàna vàju a Riggiu: domani andrò a Reggio; però ho trovato e esempi di futuro: nel proverbio: ricchjùni e magulà cu' on l'eppa l'avarà: la parotite chi non l'ha avuta l'avrà; l'altro è moréta: morirà. Per il passato prossimo si ricorso al passato remoto; ajèri jìvi ada Missa: ieri sono stato a Messa.
Per la trascrizione delle parole greche ho fatto ricorso, per alcune lettere, ad accorgimenti particolari segnalati nelle pagine dedicate alle sigle. La mia poca familiarità con la lingua greca non mi ha consentito di usare le lettere greche.
Era mia iniziale intenzione pubblicare in Appendice anche una Raccolta di proverbi, detti, motti, cantilene e filastrocche in dialetto bivongese; ma ho poi desistito, dato che il materiale raccolto è risultato abbastanza consistente, aggirandosi intorno a circa 150 pagine; ho ritenuto, pertanto, di ricorrere ad una ulteriore pubblicazione di questo patrimonio.
Mi rimane, ora, di formulare i miei più vivi ringraziamenti a tutti coloro che, in ario modo, hanno contribuito ad arricchire di contenuti questo lavoro linguistico, considerandoli come co-Autori.
Anzitutto ringrazio gli autorevoli Autori delle numerose pubblicazioni, scientifiche e amatoriali (v. bibliografia), con sentimenti di sincera e profonda gratitudine per l'amore culturale che hanno profuso in un impegno che oggi so meglio apprezzare, edotto da questa mia esperienza di costante lavoro di oltre un quinquennio. In particolare un debito di riconoscenza riguarda il Prof. Enrico Armogida, autore del Dizionario del dialetto di Sant'Andrea sull'Ionio (CZ) , soprattutto per l'aiuto che mi ha offerto con la sua competenza nelle lingue classiche alla quale ho fatto ricorso, per l'etimologia di cui è dotata la sua pubblicazione, unica, dopo l'opera del Marzano nei dati dell'inizio del secolo scorso, almeno di mia conoscenza; l'apporto e il confronto cui ho potuto usufruire, a redazione quasi completata del mio lavoro, hanno dato più approfondito supporto culturale al Dizionario Etimologico del dialetto bivongese, anche se mi ha fatto rimandare di un anno il completamento dell'opera.
Un ringraziamento poi al mio fraterno cugino Vincenzo Bova, per la sua personale raccolta di circa 1500 voci che mi hanno molto aiutato, anche per la comprensione di tanti termini. Un grazie, in memoria, a mio cugino Paolo Tisano, la cui raccolta di proverbi e detti è stata una risorsa preziosa per gli apporti linguistici della parlata antica. Grazie ad Adriana Alvaro di Bivongi, che ha messo a mia disposizione la propria ricerca, direi quasi completa, di tutti i soprannomi esistenti nel paese, raccolti qui in una apposita Appendice. Grazie a Franco Bova e a sua moglie, Itala Grazioso che mi hanno aiutato, non solo incoraggiato a perseguire questo ulteriore contributo culturale nei riguardi del nostro paese natio, ma anche a tenere i collegamenti con gli artigiani di Bivongi, i quali sono una delle fonti principali per la raccolta dei dati; a loro devo anche la scelta della Casa Editrice, tramite il loro cugino, Umberto Valenti, che ringrazio di tutto cuore per avermi accompagnato e presentato all'Editore.
Un pensiero grato va all'editore Franco Arcidiaco che, senza alcuna esitazione, fin dal primo momento, ha dimostrato, con la sua sensibilità e intuizione culturale, la disponibilità a completare quest'opera, sotto la tutela del nostro quasi compaesano, e mio confratello dell'Ordine domenicano, Tommaso Campanella, che ha dato il nome alla sua Casa Editrice. Tanti ringraziamenti al Sindaco di Bivongi, Felice Valenti, e anche al suo predecessore, Ernesto Riggio, per la loro stima e l'incoraggiamento offertimi a proseguire in questo impegno e debito culturale in favore del nostro paese, e a favorire la pubblicazione, la presentazione e la diffusione di questa opera.
Infine, ma non per ultimi, un ringraziamento ai miei superiori dell'Ordine che mi hanno consentito di impegnarmi anche in questo lavoro e di averne approvata la pubblicazione. Lavorare all'interno di una struttura comunitaria come quella domenicana con la propria spiritualità e in ambiente culturale eccellente, ti consente di cimentarti in lavori che richiedono serenità e stimoli adeguati. E non è poco.
Ringrazio tutti coloro che, con l'acquisto di questo volume, offriranno un contributo al sostegno finanziario per la sua pubblicazione.
Infine un sentito e grato pensiero alla mia amica e conterranea Letizia Miraglia, per la pazienza e competenza con cui ha proceduto alle correzioni delle ultime bozze, offrendo un contributo essenziale, con sacrificio e affetto, al completamento dell’opera.