- Copertina
- Ringraziamenti
- Premessa
- Indice
- Indice delle Tavole
- Indice delle Figure
- Indice delle Fonti
- Introduzione
- Capitolo 1 La Vallata dello Stilaro: inquadramento preliminare
- Capitolo 2 L’impianto Marmarico
- Capitolo 3 L’impianto Guida
- Capitolo 4 Il bacino imbrifero
- Capitolo 5 Progetto di massima dell’impianto Marmarico
- Capitolo 6 Progetto di massima dell’impianto Guida
- Capitolo 7 Analisi economica
- Capitolo 8 Conclusioni
- Appendice A1 - Note storiche
- Appendice A2 - Un percorso di sensibilizzazione verso le energie rinnovabili
Energia idraulica nella Vallata dello Stilaro: la riattivazione delle centrali Marmarico e Avvenire
tesi di laurea di Emanuele Valenti presso il Politecnico di Milano
Ringraziamenti
Non posso cominciare a ringraziare le persone che mi hanno aiutato nella stesura di questa mia ultima fatica prima di ringraziare chi mi ha sostenuto durante tutto il corso dei miei studi: la mia famiglia.
Grazie Mamma e grazie Papà. Grazie fratelli e sorelle.
Grazie al sig. Sindaco e al responsabile dell’ufficio Tecnico del comune di Bivongi. Grazie al prof. Danilo Franco, e all’arch. Adolfo Franco per i materiali che mi hanno messo a disposizione.
Grazie a Salvatore Aloi, Giuseppe Bucchino, Vincenzo Coniglio e Francesco Tisano, lavoratori nelle due centrali, per la preziosa ed entusiastica collaborazione.
Grazie e Fabio Zurzolo, Giuseppe Gerace e a tutti i miei amici che mi hanno accompagnato durante i sopralluoghi.
Grazie al prof. Natale Leoni e al prof. Alberto Berizzi che mi hanno seguito in questo lavoro incoraggiandomi e correggendomi.
Con sincerità
Emanuele (lele) Valenti
Energia idraulica nella Vallata dello Stilaro: la riattivazione delle centrali Marmarico e Avvenire
tesi di laurea di Emanuele Valenti presso il Politecnico di Milano
Premessa (pdf)
Sentire qualcuno che parla del “passato industriale della Calabria” fatto di immigrazione dal nord dell’Italia e dall’Europa provoca certo stupore, così è stato per me. Eppure fino all’Unità era attivo in Calabria uno di principali poli siderurgici d’Italia.
Scoprire poi che quel polo era localizzato nella mia vallata, sui miei monti, nel mio paese è stata un’ulteriore sorpresa.
Ma, negli stessi luoghi, esistono altri esempi di industrializzazione che sono proseguiti fino a qualche decennio fa fino a essere miei contemporanei: gli impianti idroelettrici sul corso del fiume Stilaro. Gli impianti, sorti all’inizio del secolo scorso, sono stati nel tempo abbandonati perché obsoleti e non più remunerativi.
In tempi recentissimi la crescente sensibilità ambientale e gli incentivi economici per la produzione elettrica da fonti rinnovabili hanno portato al recupero di molti vecchi impianti.
Questa osservazione mi ha portato a scegliere come oggetto della mia tesi di laurea in Ingegneria Elettrica la valutazione dal punto di vista tecnico-economico della riattivazione degli impianti idroelettrici della mia Vallata.
Energia idraulica nella Vallata dello Stilaro: la riattivazione delle centrali Marmarico e Avvenire
tesi di laurea di Emanuele Valenti presso il Politecnico di Milano
INDICE
Ringraziamenti
Premessa
Indice
Indice delle Tavole
Indice delle Figure
Indice delle Fonti
Introduzione
1 La Vallata dello Stilaro: inquadramento preliminare
1.1 Posizione geografica
1.2 Utilizzi Storici dell’energia idraulica
1.2.1 Mulini
1.2.2 Ferriere e fonderie
1.2.3 Utilizzi idroelettrici
1.2.4 L’impianto di flottazione “Lavaria”
1.3 Utilizzi attuali delle acque e del territorio
1.3.1 Utilizzi attuali delle acque
1.3.2 Fruizione del paesaggio
1.3.3 Parco delle Serre
1.3.4 L'Ecomuseo delle ferriere e fonderie di Calabria
1.4 Infrastrutture
1.4.1 Rete viaria
1.4.2 Rete elettrica
2 L’impianto Marmarico
2.1 Serbatoio Pecoraro
2.2 Derivazione Azzarella
2.3 Galleria in pressione Azzarella
2.4 Derivazione Ruggero
2.5 Galleria in pressione Ruggero
2.6 Collettore Vertice 11 e pozzo piezometrico
2.7 Condotta forzata
2.8 Centrale
2.8.1 Edificio
2.8.2 Schema elettrico
2.8.3 Turbine
2.8.4 Alternatori
2.8.5 Trasformatori
2.8.6 Quadri comando e altri apparecchi
2.9 Collegamento alla rete
2.10 Concessione
3 L’impianto Guida
3.1 Descrizione dell’impianto
3.2 Centrale
3.3 Macchinari
3.4 Collegamento alla rete
3.5 Concessione
4 Il bacino imbrifero
4.1 Introduzione
4.2 Bacino dello Stilaro
4.3 Cenni sul bacino dell’Assi
4.4 Rete di misura dati Idrologici
4.4.1 Stilaro
4.4.2 Ancinale
4.4.3 Alaco
4.4.4 Allaro
4.5 Afflussi e deflussi
4.5.1 Modello lineare semplificato con coefficiente costante
4.5.2 Alluvioni e siccità
4.6 Schema logico dei flussi
4.7 Il Deflusso Minimo Vitale
4.7.1 Quadro normativo
4.7.2 Criterio provvisorio per la determinazione del Deflusso Minimo Vitale
4.7.3 DMV Serbatoio Pecoraro
4.7.4 DMV derivazione Azzarella
4.7.5 DMV derivazione Ruggero
4.7.6 DMV derivazione Guida
4.8 Possibili impatti della costruzione e gestione degli impianti
4.8.1 Diminuzione della portata alla cascata
4.8.2 Variazioni rapide di portata
4.8.3 Utilizzo dell’edificio della centrale ex Avvenire
4.8.4 Rumorosità della centrale Guida
4.9 Modalità di gestione
5 Progetto di massima dell’impianto Marmarico
5.1 Impianto storico e attuale
5.2 Sintesi dei dati
5.3 Schema idraulico
5.4 Logica di esercizio del serbatoio Pecoraro
5.5 Logica di esercizio dei gruppi
5.5.1 Comportamento delle derivazioni
5.5.2 Logica di esercizio
5.6 Scelta della turbina idraulica
5.7 Analisi della producibilità di alcune configurazioni
5.7.1 Possibili soluzioni
5.7.2 Soluzione con gruppo unico senza vincolo di concessione
5.7.3 Soluzione con due gruppi senza vincolo di concessione
5.7.4 Soluzione con gruppo unico e due turbine senza vincolo di concessione
5.7.5 Vincolo di concessione e rimodulazione delle portate
5.7.6 Soluzione con gruppo unico con vincolo di concessione
5.7.7 Soluzione con due gruppi con vincolo di concessione
5.7.8 Soluzione con gruppo unico e due turbine con vincolo di concessione
5.7.9 Riepilogo delle producibilità
5.7.10 Confronto con la soluzione senza vincolo di concessione
5.8 Soluzioni logistiche e scelta del gruppo
5.8.1 Elementi comuni
5.8.2 Soluzione con gruppo unico
5.8.2.1 Turbina
5.8.2.2 Alternatore
5.8.2.3 Logica di ripartizione
5.8.2.4 Schema elettrico
5.8.2.5 Riepilogo dei costi
5.8.3 Soluzione con due gruppi
5.8.3.1 Gruppo 1 (motore)
5.8.3.1.1 Turbina
5.8.3.1.2 Motore
5.8.3.2 Gruppo 2 (alternatore)
5.8.3.2.1 Turbina
5.8.3.2.2 Alternatore
5.8.3.3 Logica di ripartizione
5.8.3.4 Schema elettrico
5.8.3.5 Riepilogo dei costi
5.8.4 Soluzione con gruppo unico e due turbine
5.8.4.1 Turbina
5.8.4.2 Alternatore
5.8.4.3 Logica di ripartizione
5.8.4.4 Schema elettrico
5.8.4.5 Riepilogo dei costi
5.8.5 Confronto economico delle tre soluzioni
5.9 Opere civili
5.9.1 Serbatoio Pecoraro
5.9.2 Derivazione Azzarella
5.9.3 Galleria Azzarella
5.9.4 Derivazione Ruggero
5.9.5 Galleria Ruggero
5.9.6 Collettore Vertice Undici e pozzo piezometrico
5.9.7 Condotta forzata
5.9.8 Centrale
5.9.9 Scarico
5.9.10 Condotta fugatrice
5.10 Collegamento alla rete
5.11 Riepilogo dei costi di investimento
5.12 Altri costi
5.13 Osservazioni
6 Progetto di massima dell’impianto Guida
6.1 Impianto storico e attuale
6.2 Riepilogo dei dati
6.3 Schema idraulico
6.4 Scelta del gruppo
6.4.1 Turbina
6.4.2 Alternatore
6.4.3 Logica di controllo
6.4.4 Riepilogo dei costi
6.5 Producibilità
6.6 Opere civili
6.6.1 Canale e condotti
6.6.2 Centrale elettrica
6.7 Collegamento alla rete
6.8 Riepilogo dei costi
6.9 Altri costi
6.10 Osservazioni
7 Analisi economica
7.1 Note e osservazioni preliminari
7.1.1 Il valore dell’energia
7.1.2 Legislazione sulle energie rinnovabili
7.1.2.1 Qualifica IAFR
7.1.3 Il metodo del VAN
7.1.4 Gli ammortamenti
7.2 Impianto Marmarico
7.3 Impianto Guida
7.3.1 Certificati verdi
7.3.2 Tariffa onnicomprensiva
7.3.3 Confronto tra i sistemi di incentivazione
7.4 Osservazioni riguardanti il DMV
7.4.1 Impianto Marmarico
7.4.2 Impianto Guida 181
7.5 Considerazioni sulle ricadute sociali
8 Conclusioni
A1 Note storiche
A.1.1 Costruzione, gestione e dismissione dell’impianto Marmarico
A.1.1.1 Gestione
A.1.1.2 Personale e mansioni
A.1.1.3 L’alluvione del 1973
A.1.1.4 Il rapporto tra SIC e comune di Bivongi
A.1.2 Costruzione gestione e dismissione dell’impianto Avvenire
A.1.2.1 “la luce elettrica a Bivongi”
A.1.2.2 Personale e mansioni
A2 Un percorso di sensibilizzazione verso le energie rinnovabili
A.2.1 Altre energie rinnovabili nella vallata dello Stilaro
A.2.1.1 Biomasse
A.2.1.2 Eolico
A.2.1.3 Solare fotovoltaico
A.2.2 Percorso di sensibilizzazione
A.2.2.1 Moduli “Impianti”
A.2.2.1.1 Impianto idroelettrico Guida
A.2.2.1.2 Impianto idroelettrico Marmarico
A.2.2.1.3 Impianto eolico
A.2.2.1.4 Impianto a biomassa
A.2.2.1.5 Impianti solari
A.2.2.2 Moduli “Esperimenti”
A.2.2.3 Moduli “Cartacei”
A.2.2.3.1 I cartelloni
A.2.2.3.2 I minilibri
A.2.2.4 Moduli “Virtuali”
A.2.3 Il minilibro dell’energia rinnovabile
A.2.4 Cartelloni e tavole di esempio.
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tesi di laurea di Emanuele Valenti presso il Politecnico di Milano
Indice delle tavole
Tavola 1. Utilizzi storici dell’energia idraulica nella Valle dello Stilaro.
Tavola 2. L’impianto Marmarico.
Tavola 4. Le derivazioni Azzarella e Ruggero.
Tavola 5. L’impianto Guida (ex Avvenire).
Tavola 6. Il complesso dei Bagni di Guida.
Tavola 7. Bacino Imbrifero. Sottobacini.
Tavola 8. Rete di misura del Servizio Idrografico.
Tavola 9. Punti di interesse paesaggistico.
Tavola 10. Schema unifilare.
Tavola 11. Schema unifilare dei servizi ausiliari
Tavola 12. Sito serbatoio Pecoraro
Tavola 13. Sito derivazione Azzarella
Tavola 14. Sito galleria in pressione Azzarella.
Tavola 15. Sito dervoazione Ruggero.
Tavola 16. Sito galleria in pressione Ruggero.
Tavola 17. Sito collettore e pozzo piezometrico.
Tavola 18. Sito della Condotta Forzata.
Tavola 19. Sito della centrale elettrica.
Tavola 20. Collegamento alla rete elettrica.
Tavola 21. Opere Civili impianto Guida
Tavola A-1. Il ciclo dell’acqua.
Tavola A-2. Il ciclo del carbonio.
Tavola A-3. Bilancio energetico della radiazione solare.
Tavola A-4. Fonti energetiche e centrali elettriche.
Tavola A-5. Centrali eoliche.
Tavola A-6. Centrali solari termiche.
Tavola A-7. Centrali idroelettriche con serbatoio
Energia idraulica nella Vallata dello Stilaro: la riattivazione delle centrali Marmarico e Avvenire
tesi di laurea di Emanuele Valenti presso il Politecnico di Milano
Indice delle figure
Figura 1. La catena delle Serre. In evidenza i bacini dei fiumi del Monte Pecoraro
Figura 2. Il bacino dello Stilaro e i bacini limitrofi
Figura 3. Il reticolo idrografico della parte alta dello Stilaro.
Figura 4. Mulino di tipo greco.
Figura 5. Tromba idroeolica (sulla sinistra)
Figura 6. Alternatore della "centralina" di Ferdinandea.
Figura 7. Foto aerea zona Vignali. Evidenziati due degli allevamenti ittici, il parco Green e l'ex impianto di flottazione.
Figura 8. Utilizzi attuali dell'acqua dello Stilaro.
Figura 9. Scorcio del fiume in estate.
Figura 10. Una veduta della cascata del Marmarico (110 m).
Figura 11. Confini del Parco delle Serre e Zonizzazione della parte che si riferisce allo Stilaro.
Figura 12. Il simbolo dell'Ecomuseo riprodotto in ceramica.
Figura 13. Il portone della centrale della Società Avvenire (SA) prima del restauro.
Figura 14. La rete elettrica dello Stilaro.
Figura 15. Uscita della condotta da una galleria.
Figura 16. Particolare della condotta.
Figura 17. Particolare della tubazione. Si notano la passerella sospesa e i rinforzi al tubo di acciaio.
Figura 18. Particolare della tubazione.
Figura 19. La giunzione a “Y” a Vertice 11.
Figura 20. Pozzo piezometrico.
Figura 21. Condotta forzata.
Figura 22. Profilo altimetrico condotta forzata.
Figura 23. Condotta Forzata. Particolare di un ancoraggio all'attraversamento dell'alveo.
Figura 24. Pianta del Piano terra.
Figura 25. Vista dell'edificio della centrale.
Figura 26. Pianta del primo piano.
Figura 27. Sala interruttori al 2° piano.
Figura 28. Schema elettrico della centrale Marmarico.
Figura 29. La turbina Pelton sostituita e lasciata sul pavimento della centrale.
Figura 30. Uno dei due gruppi turbina/alternatore con l'alternatore smontato.
Figura 31. Cassone del trasformatore rovesciato. In primo piano le colonne del nucleo.
Figura 32. Il quadro comandi della centrale in una foto del 1994.
Figura 33. Uno dei 4 interruttori di linea.
Figura 34. Collegamento alla rete elettrica Centrale Marmarico.
Figura 35. Il ponte-canale.
Figura 36. Sbocco della galleria nella vasca di carico.
Figura 37. Centrale Guida. Pianta dell’edificio.
Figura 38. Operai in posa davanti al macchinario della centrale: in primo piano il regolatore di velocità.
Figura 39. Collegamento alla rete elettrica della centrale Guida.
Figura 40. Curva ipsografica.
Figura 41. Precipitazione media mensile nella stazione 2050-Ferdinandea
Figura 42. Schema logico. Tratteggiati i componenti relativi al bacino del fiume Assi.
Figura 43. Andamento dei volumi con gli afflussi e i rilasci previsti del mese di dicembre.
Figura 44. Andamento dei volumi con gli afflussi e i rilasci previsti del mese di aprile
Figura 45. Schema idraulico serbatoio Pecoraro
Figura 46. Schema idraulico derivazione Azzarella.
Figura 47. Schema idraulico derivazione Ruggero.
Figura 48. Schema idraulico di collettore, pozzo piezometrico, condotta forzata condotta fugatrice e centrale Marmarico.
Figura 49. Il tratto di alveo tra il serbatoio Pecoraro e la derivazione Azzarella
Figura 50. Schema e dati delle derivazioni.
Figura 51. Curva delle durate della portata turbinabile all'impianto Marmarico
Figura 52. Flussi di cassa cumulati per ogni anno.
Figura 53. Schema delle opere idrauliche dell'impianto Guida.
Figura 54. Durata degli afflussi e della portata utilizzabile.
Figura 55. Flusso di cassa scontato cumulato.
Figura 56. Flusso di cassa scontato cumulato.
Figura 57. Certificato azionario della SA.
Figura 58. La centrale Guida prima del restauro.
Figura A-1. Il logo del "percorso"
Energia idraulica nella Vallata dello Stilaro: la riattivazione delle centrali Marmarico e Avvenire
tesi di laurea di Emanuele Valenti presso il Politecnico di Milano
Indice delle fonti
[1] Sito web Protezione Civile della Calabria indirizzo: www.protezionecivilecalabria.it.
[2] Damiano Bova O.P., Bivongi nella vallata dello Stilaro, Ecumenica Editrice, 2008
[3] Ernesto Franco, Bivongi – Frammenti di storia, edizione “il Paesano”, 2001
[4] Opuscolo ACAI dal titolo “Ecomuseo delle ferriere e fonderie di Calabria”
[5] Danilo Franco, Il ferro in Calabria – Vicende Storico - economiche del trascorso industriale calabrese, Kaleidon editrice, 2003.
[6] Articolo di Danilo Franco su “il Coltello di Delfo - Rivista di cultura materiale e archeologia industriale” n.31, 3° trimestre 94
[7] Articolo di Danilo Franco su “Calabria - Mensile di notizie e commenti del Consiglio Regionale” n.151, gennaio 1999
[8] Sito web Pagine Gialle indirizzo www.paginegialle.it.
[9] Enzo Bona, Ugo Franco, Giuliano Taverniti, Le orchidee della Vallata dello Stilaro, edizione “il Paesano”, 2004
[10] Sito web Parco delle Serre indirizzo www.parcodelleserre.it.
[11] Sito web Ecomuseo delle Ferriere e Fonderie di Calabria. Indirizzo www.ecomuseocalabria.eu
[12] Ecomuseo delle Ferriere e Fonderie di Calabria, e delle testimonianze materiali del primo industrialesimo meridionale. Sottoprogetto 1: Restauro, ristrutturazione e recupero della centrale idroelettrica l’Avvenire. Progettisti Arch. Adolfo Franco, Arch. Mario Riggio, Ing. Mario Barbaro.
[13] Terna S.p.A. - Atlante delle linee AAT e AT.
[14] Sito web Regione Calabria indirizzo www.regione.calabria.it.
[15] Annali Idrologici del Servizio Idrologico del Ministero dei Lavori Pubblici, sezione di Catanzaro. Annate 1951-1999.
[16] Articolo di Danilo Franco su “il Coltello di Delfo - Rivista di cultura materiale e archeologia industriale” n.33, 1° trimestre 95
[17] GSE - Statistiche sulle fonti rinnovabili in Italia – 2007
[18] Regione Calabria. Autorità di Bacino Regionale. Criterio per la definizione del deflusso minimo vitale (DMV) dei corsi d’acqua interessati da derivazioni, in attesa dell’approvazione del piano di tutela delle acque.
[19] GSE - SEZIONE 1 – Procedura di qualificazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.
[20] Sito web Bio For Energy indirizzo www.bioforenergy.com.
[21] Sito web Baltic indirizzo www.balticenergygroup.com.
[22] Sito web GSE indirizzo www.gse.it.
[23] Autorità per l’energia e il gas. Delibera EEN 3/08 – Aggiornamento del fattore di conversione dei kWh in tonnellate equivalenti di petrolio connesso al mercato dei titoli di efficienza energetica.
[24] ENEL Rapporto ambientale 2007.
Energia idraulica nella Vallata dello Stilaro: la riattivazione delle centrali Marmarico e Avvenire
tesi di laurea di Emanuele Valenti presso il Politecnico di Milano
Introduzione (pdf)
In questo lavoro si esamina la possibilità di riattivazione dei due impianti idroelettrici maggiori, Marmarico e Guida, sul corso dello Stilaro, abbandonati dopo i gravi danni causati dall’alluvione del 1973, in considerazione della nuova sensibilità ambientale e della normativa sulle energie da fonte rinnovabile.
Il lavoro si presenta suddiviso in sei fasi:
1. Ricerca di dati idraulici, di informazioni sulle strutture esistenti, di informazioni su normative e vincoli ambientali e di notizie storiche.
Ottenere dati certi sugli impianti si è rivelato difficile. I documenti delle società SIC e Avvenire, sono infatti, confluiti nell’archivio ENEL di Napoli, dopo la nazionalizzazione e non è stato possibile consultarli.
I dati idrologici sono stati presi dal sito web della Protezione Civile della Calabria [1] e dagli Annali Idrologici del Servizio Idrografico del Ministerro dei LL.PP.
Dal sito della Regione Calabria [10] sono state tratte le Carte Tecniche Regionali in scala 1:5.000. Particolare attenzione è stata posta nell’elaborazione delle CTR che sono state adattate in modo da poter riportare le planimetrie degli impianti di individuare gli spartiacque e le superfici dei bacini imbriferi.
Per quanto riguarda le opere civili degli impianti sono stati eseguiti numerosi sopralluoghi, effettuando i rilievi necessari per lo sviluppo dello studio.
Le normative e le informazioni di tipo ambientale-turistico delle comunità interessate hanno permesso di rilevare i vincoli di tipo paesaggistico e amministrativi.
Anche il materiale fotografico proposto è frutto di questa ricerca.
2. Organizzazione ed elaborazione dei dati raccolti.
Dopo la definizione dei criteri, è stata impegnativa l’organizzazione della massa dei dati raccolti. In particolare, la mancanza di dati di portata proprio nel bacino dello Stilaro ci ha comportato un’analisi dei dati dei bacini vicini alla ricerca di parametri che permettessero di estrapolare i dati mancanti.
Durante l’organizzazione alcune parti, che sono risultate non necessarie ai fini del progetto, sono state raccolte in una apposita appendice.
3. Valutazioni per ottimizzare l’utilizzo delle risorse idrauliche.
L’analisi ambientale ci ha permesso di ricostruire le planimetrie dei due impianti, mentre i dati di portata nel bacino dello Stilaro sono stati dedotti utilizzando le precipitazioni storiche e un modello de bacino imbrifero basato sul coefficiente di deflusso. Le esigenze di natura paesaggistica, legate allo sviluppo turistico nell’area, hanno imposto una portata minima per alimentare la cascata Marmarico e il tratto di alveo a monte della centrale Guida, nel periodo turistico.
I due impianti Marmarico e Guida sono stati trattati separatamente avendo caratteristiche di esercizio differenti.
4. Progetto. Come già detto si sono sviluppati separatamente i due progetti.
L’impianto Marmarico è alimentato dal bacino Pecoraro, il cui deflusso è regolabile mediante il serbatoio Pecoraro e dai bacini Azzarella e Ruggero, il cui deflusso non è regolato.
Il salto elevato (565 m) ha imposto la scelta di turbine Pelton. Per fare fronte alla variabilità delle portate (da 0,10 a 1,20 m3/s) sono state esaminate tre configurazioni d’impianto:
- un gruppo unico con un alternatore;
- due gruppi di caratteristiche differenti;
- un gruppo con un alternatore e due turbine.
Dal confronto tra le tre configurazioni si è visto che la soluzione ottima è quella che prevede un alternatore con due turbine, che coniuga flessibilità dal punto di vista idraulico e semplicità dal punto di vista elettrico.
Il limite di concessione pari a 0,53 m3/s si presenta per circa 5.000 ore annue: tale valore è stato utilizzato per il dimensionamento dell’impianto. L’impianto ha una potenza di 2.700 kW e una producibilità annua di 16.000 MWh annui.
Per ridurre gli impatti si sono riutilizzate le opere civili esistenti ed è stata aggiunta, a scopo di sicurezza per le persone e per garantire la continuità della portata, una condotta fugatrice che bypassa l’impianto Marmarico.
Per raggiungere siti non accessibili con mezzi meccanizzati sono state previste opere provvisionali da smantellare alla fine dei lavori. Per evacuare la potenza è stata prevista la costruzione di una linea a 15 kV di 2,6 km.
Sono stati stimati i costi delle opere e i costi di esercizio e calcolati i ricavi previsti relativi all’energia e ai Certificati Verdi.
L’impianto Guida è alimentato dallo scarico dell’impianto Marmarico e dal bacino imbrifero proprio, senza possibilità di regolazione della portata.
Il salto dell’impianto è di soli 22,5 m e la portata di dimensionamento è stata posta, come per l’impianto Marmarico, pari alla portata di concessione. Il valore di 0,35 m3/s si ha, infatti, per quasi 7.000 ore annue.
La potenza risultante è di 75 kW e la producibilità annua di 500 MWh.
Questi valori hanno imposto la scelta di una turbina Francis lenta accoppiata a un motore asincrono collegato direttamente alla rete a 15 kV.
Sono stati stimati i costi delle opere e i costi di esercizio, nonché i ricavi relativi all’energia e agli incentivi. A questo riguardo è stata esaminata la possibilità di usufruire della tariffa onnicomprensiva in alternativa ai certificati verdi.
5. Valutazioni economiche. I due investimenti sono stati considerati separatamente, analizzando i relativi flussi di cassa.
È stato calcolato il VAN, il tempo di recupero dell’investimento e il tasso di rendimento interno. Per l’impianto Guida è stato previsto anche l’incentivo alternativo ai CV della tariffa onnicomprensiva.
È stato quindi considerato l’impatto del DMV sulle producibilità, quindi sugli introiti e sugli investimenti. Sono stati calcolati I DMV a valle delle derivazioni e sono stati confrontati quindi con le portate naturali. È emersa l’esigenza del fermo delle macchine dell’impianto Marmarico nel periodo estivo e una diminuzione della producibilità nello stesso periodo nell’impianto Guida.
6. Conclusioni. Sono infine state tratte le conclusioni di questo lavoro. Nelle appendici sono stati raccolti una nota storica sugli impianti e la proposta per istituire un “percorso di sensibilizzazione verso le energie rinnovabili” destinato alle scuole.
Riorganizzando tutto il materiale siamo giunti alla struttura descritta nel seguito.
Nel capitolo 1 si parla della Vallata dello Stilaro. Si descrive la posizione geografica, gli usi storici e quelli attuali di acqua e territorio. Si descrivono alcune realtà che possono interagire con il nostro progetto.
Nei capitoli 2 e 3 sono descritti gli impianti Marmarico e Guida rispettivamente.
Il capitolo 4 descrive il bacino idrografico, la raccolta e le elaborazioni sui dati idrografici necessari per il seguito del lavoro. È inoltre proposto uno schema logico dei flussi idrici e sono analizzati i possibili utilizzi.
I capitoli 5 e 6 contengono la nostra proposta progettuale per i due impianti Marmarico e Guida rispettivamente.
Il capitolo 7 tratta dell’analisi economica dei due progetti.
Nel capitolo 8 si traggono, infine, le conclusioni di questo lavoro.
Sono presenti due appendici che contengono una nota storica sugli impianti e il nostro “precorso di sensibilizzazione verso le energie rinnovabili”.
Energia idraulica nella Vallata dello Stilaro: la riattivazione delle centrali Marmarico e Avvenire tesi di laurea di Emanuele Valenti presso il Politecnico di Milano
1 La Vallata dello Stilaro: inquadramento preliminare (pdf)
In questo capitolo descriveremo sommariamente la Vallata dello Stilaro, descriveremo gli utilizzi dell’acqua dello Stilaro passati (dall’anno mille fino a qualche decennio fa) e presenti. Descriveremo alcune realtà e alcune infrastrutture della Vallata in vista della riattivazione dei due impianti idroelettrici.
Figura 1. La catena delle Serre. In evidenza i bacini dei fiumi del Monte Pecoraro
La catena delle Serre ha inizio a nord presso l’istmo di Marcellinara e termina a sud in corrispondenza dei piani della Limina, dove inizia l’Aspromonte. La sua posizione quasi centrale nella regione individua chiaramente lo spartiacque tra Jonio e Tirreno.
Figura 2. Il bacino dello Stilaro e i bacini limitrofi
In corrispondenza di Punta Stilo, staccato dalla catena principale, e spostato a est, spicca il massiccio del monte Pecoraro (1423 m), che è la cima più alta delle Serre. Nell’altopiano che si crea tra la catena principale e il monte Pecoraro nascono i fiumi Allaro che s’incanala verso sud per sfociare vicino a Caulonia, e Ancinale, che s’incanala verso nord per sfociare nei pressi di Soverato.
Dal versante est del monte Pecoraro scendono una serie di strette vallate, a raggiera verso la costa dello Jonio. Le maggiori sono la valle dell’Assi, quella dello Stilaro, e quella del Precariti.
A descrivere il fiume e il contesto paesaggistico in cui scorre, riportiamo integralmente le parole di Damiano Bova O.P. in [2]: Il fiume Stilaro, che ha origine dal Monte Pecoraro, dà il nome alla vallata in cui scorre sul versante ionico nell'estremo lembo della Provincia di Reggio Calabria. Nel comprensorio alto, a monte della zona Vignali, una discreta piovosità assicura la presenza d'acqua che consente di conservare una ricca vegetazione arborea. Il comprensorio basso, escluso dall'afflusso di correnti umide e temperate, più frequenti nel versante occidentale tirrenico, è soggetto a scarsa piovosità. Il fiume, che nella parte pianeggiante in epoca magnogreca era anche navigabile, si è tramutato in fiumara, con i suoi larghi e sabbiosi alvei.
Nel percorso altomontano il vallone Folea e il torrente Ruggero confluiscono nello Stilaro, dopo una serie di cascate, a volte alte anche venti-trenta metri, che, prcecipitando nei dislivelli, formano pittoresche e profonde pozze (gurne). Il primo passa accanto ai fabbricati della Ferdinandea e precipita poco dopo, su un gradino geologico di circa centoventi metri, formando la superba e spettacolare cascata del Marmarico, una delle più alte d'Italia, meta di numerosi escursionisti e turisti. Il secondo, ricco di salti d'acqua, alimentava la dimessa centrale idroelettrica di Gurna da Coddara, la cui ardita condotta forzata, ancora visibile, percorre il crinale tra i due valloni. Rimpinguato dalle innumerevoli sorgenti, questo fiume, si trasforma in gorgogliante corso d'acqua che, celato a volte nella macchia più fitta, solca rapido il fondo della valle. Un dislivello, nel tratto medio alto del fiume che prende la forma di ferro di cavallo, ha consentito, agli inizi del XX secolo, l'installazione della centrale idroelettrica di Bagni di Guida.
Fin quasi nei pressi dell'abitato di Bivongi, le acque scorrono fra strette gole, il cui greto è cosparso di grossi macigni granitici rotondeggianti. Su questo percorso esistono ancora, ben conservate, oltre le strutture delle due menzionate centrali idroelettriche, i caseggiati dello stabilimento termale di Bagni di Guida, per l'utilizzo, a scopi terapeutici, di acque alcaline sulfuree, nelle cui vicinanze permane ancora il toponimo Acque Sante.
Nei pressi del promontorio di Perrocadi si apre un ampio greto (calatro) pianeggiante, che sinuosamente, sempre più allargandosi, salvo a restringersi tra il Consolino e il Petracca, raggiunge il mare nei pressi di Monasterace Marina. In questo tratto del fiume, nel periodo estivo le acque s'insabbiano, riaffiorando qua e là dove l'alveo roccioso le riconduce in superficie. Fino alla prima metà del XX secolo esso scorreva tra una doppia fila di maestosi pioppi allineati qua e là lungo le sponde e tra tanti altri alberelli sempreverdi, spazzati poi via dalla furia delle acque delle disastrose e implacabili alluvioni.
Le montagne scoscese o boscose dell'alta valle, cosparse d'aree adibite a coltivazioni e costellate da non rari casolari, lasciano il posto alle alate e menoimpennate colline verdeggianti d'uliveti e vigneti, nei due costoni che fluiscono verso il mare, estendendosi nei pianeggianti terreni forti coltivati prevalentemente a grano. Orti e giardini per ortaggi e agrumeti, molto frequentati fino a metà dell'ultimo secolo del secondo millennio, fiancheggiavano tutto il percorso dello Stilaro, invasi anche dai numerosi alberi di gelso, le cui foglie nutrivano il vorace baco da seta.
Sulla destra idrografica, dove l'impennato affluente Melodare sbocca nello Stilaro, sorge l'abitato di Bivongi. Al di sopra si scorgono le prime abitazioni di Pazzano con ben in vista, sulla sommità della Cuccumella, la svettante croce di Montestella. Sulla sinistra, quasi di fronte a Bivongi, là dove un ponte unisce le due sponde, si stagliano nell'azzurro del cielo i ruderi del monastero degli Apostoli che, in questo lungo percorso, sono l'unico testimone visibile dei numerosi luoghi di culto, che costituivano una vera tebaide nella lunga vallata. Superate le curve di Acqua Calda, Stilo che ha dato il nome al fiume, te lo ritrovi alle spalle, arroccato alle falde sud est del Consolino, sulla cui sommità si intravedono i ruderi del castello. Dall'osservatorio di Pannara, ruotando a 360 gradi lo sguardo, nella panoramica rappresentazione ad occhio di bue, si inquadra il rude e distensivo paesaggio tipico della Calabria: dalla gola di Cacari lo sguardo s'insinua, inerpicandosi nella zona collinare, fino alle falde boscose dell'alto Appennino; di fronte s'attesta, sovrastando il centro abitato di Stilo con la sua Cattolica e il cupolone della chiesa di S. Domenico, il massiccio dolomitico di rocce calcaree del Consolino; lo sguardo si allunga poi dolcemente nell'apertura orientale verso il mare, fino a perdersi all'estremo orizzonte sulle acque azzurre del mar Jonio. È la vallata dello Stilaro, ricca di natura e di storia.
Caratteristiche simili ha la vallata dell'Assi, che nella zona bassa lambisce anche il territorio di Bivongi, di Stilo e di Monasterace. San Bruno descrive il luogo che aveva scelto, nel 1091, come sede dell'eremo (deserto) per sé e per i suoi confratelli: una pianura vasta e graziosa, che si allunga tra le montagne con prati verdeggianti e pascoli smaglianti di fiori, le colline che s'innalzano leggermente da tutte le parti e il greto dei valloni coperti d'ombra, con fiumi, ruscelli ed acque abbondanti, orti irrigui e svariati alberi fruttiferi.
Figura 3. Il reticolo idrografico della parte alta dello Stilaro.
Tralasciamo volutamente una descrizione “turistica” della Vallata, non perché non interessante, ma perché vogliamo concentrarci sugli aspetti che interagiscono con il nostro progetto, di cui parleremo più avanti, quando analizzeremo il contesto sociale/naturalistico/economico in cui si dovranno (re)inserire i due nostri impianti.
La valle dello Stilaro si raggiunge in automobile percorrendo l’autostrada A3. Chi proviene da nord può imboccare l’uscita per Catanzaro proseguire sulla SS106 in direzione Reggio Calabria fino a Monasterace Marina, quindi imboccare la SS110 verso Serra San Bruno e la provinciale per Bivongi. Chi proviene da sud può lasciare l’autostrada a Rosarno quindi dirigersi verso Gioiosa Jonica e imboccare la SS106 questa volta in direzione Taranto fino a Monasterace Marina, quindi seguire lo stesso percorso.
In treno si può utilizzare la stazione di Monasterace, in aereo gli aeroporti di Reggio Calabria o Lamezia Terme.
Sebbene i primi insediamenti nell’entroterra di cui si abbia documentazione siano iniziati intorno all’anno 1000, si può certamente ritenere la vallata dello Stilaro sia stata abitata già da molto tempo prima, sia per la ricchezza di corsi d’acqua che per i giacimenti metalliferi e disponibilità di boschi e pascoli.
Se le colonie di Crotone e Sibari erano state fondate per sfruttare le pianure adiacenti, solo la presenza di giacimenti metalliferi (principalmente ferro) e la disponibilità di boschi e forza idraulica nella valle dello Stilaro e dell’Assi può giustificare la colonia di Kaulon (in corrispondenza di Punta Stilo).
L’utilizzo dell’acqua non era solo legato all’agricoltura ma già fin dall’anno mille si hanno documentazioni dell’esistenza di mulini ad acqua.
Un altro utilizzo documentato, anche qui a partire dall’anno mille, è l’uso della forza dell’acqua nelle numerose ferriere e fonderie fino al secolo scorso.
Utilizzi più recenti sono nel campo idroelettrico, ottenuti sfruttando le pur esigue, specie nei periodi estivi, portate dei torrenti, in buona parte su piccoli impianti, anche se non manca un esempio di un impianto con caduta di oltre 500 m.
Un ultimo impiego che, non prevedeva la presenza di macchine, era il lavaggio della molibdenite, estratta nei monti vicini, in un impianto di flottazione.
I mulini presenti nella vallata sono di tipo greco: la ruota, ad asse orizzontale era investita da un getto d’acqua a velocità sostenuta. Sullo stesso albero, senza l’utilizzo di giunti o riduttori, era calettata la macina. Questo tipo di mulini richiedeva un discreto salto idraulico e una piccola portata: proprio le caratteristiche dei corsi d’acqua della zona.
Figura 4. Mulino di tipo greco.
Di uno di questi, in funzione fino agli anni 50, si trova menzione in un documento del 1058.
Sono stati ritrovati ben ventidue mulini sul corso dello Stilaro (8 sull’asta principale, undici sull’affluente Melodari e altri 3 alimentati da sorgenti locali) [3].
Il numero dei mulini confrontato con gli esigui terreni coltivabili a cereali della stretta vallata, fa pensare a un’attività di tipo industriale: si lavorava il prodotto delle marine e dei paesi limitrofi.
Due mulini (“Furnu” e “Regnante”) sono stati recentemente restaurati a cura dell’Associazione Calabrese di Archeologia Industriale.
Tavola 1. Utilizzi storici dell’energia idraulica nella Valle dello Stilaro
Testimonianze letterarie, ci fanno sapere dell'esistenza del primo mulino, fin dal sec. XIII. Costruito dai Cistercensi (che avevano in tale periodo estromesso i Certosini nella gestione della Certosa di Serra San Bruno), i quali importarono nei loro possedimenti in Calabria le novità industriali in atto in Europa. Il mulino, infatti, veniva utilizzato per frantumare il minerale (galena) estratto dalla vicina miniera ubicata nella località che ancora oggi viene denominata “Argentera”. Il minerale “trattato” veniva poi fuso nell'annesso forno. Da qui la denominazione “Mulinu do Furnu”. La vicina ferriera, della quale esistono pochi resti, nel sec. XVI, fu ceduta da Carlo V, al proprio scudiero Cesare Fieramosca, e produceva granate e cannoni per la Regia Corte. Nei primi anni del 1900, sui resti della ferriera è stata sovrapposta una conceria, i cui resti sono stati sottoposti all'intervento di restauro. Il mulino sarà adibito a centro informazione per la visita agli itinerari dell'Ecomuseo [4].
Il mulino “do Regnante”, dovrà a scopo didattico essere rimesso in attività, per tramandare alle generazioni future, le tecniche molitorie utilizzate in passato. Il mulino è uno dei pochi superstiti dei molti attivi nella vallata dello Stilaro. Alcuni di questi, ben 12, vengono citati in alcuni documenti bizantini, e indicano come a fianco di una industria mineraria e siderurgica, l'agricoltura, e l'industria molitoria, nella vallata dello Stilaro avevano anche il proprio peso. Il mulino appartiene ai mulini di tipo “greco” o “Scandinavo”, per la posizione della ruota palmata, posta orizzontalmente alle macine, e per la tipica condotta forzata. […] [4].
Nella vallata dello Stilaro […] per oltre 2000 anni, fu attiva una delle più importanti industrie del Mezzogiorno d'Italia, imperniata principalmente sulla siderurgia e sulla metallurgia.
I primi a sfruttare le risorse minerarie dello Stilaro, furono le popolazioni indigene in piena età del ferro. Intorno al VIII sec. a.C., nella vallata dello Stilaro, giungono i Greci, che a conoscenze delle risorse minerarie presenti, fondarono sulla costa ionica, tra i fiumi Assi e Stilaro, la città di Caulon […].
I Romani, nel conquistare la Calabria, istituirono nei pressi di Pazzano e Stilo, una colonia penale per i “damnati ad metallo”. […]. I Bizantini, continuano lo sfruttamento minerario, greco-romano, e costruiscono alcune ferriere. Si deve, giungere ai Normanni per avere notizie più dettagliate sulle attività siderurgiche e minerarie dell'area dello Stilaro. E' di Ruggero il Normanno, la donazione (1094) ai certosini di San Bruno, di beni (“mineriis aeris et ferri, e omnia metallorum…”) e di terre presenti nell'area della vallata.
In seguito: Svevi, Aragonesi, Spagnoli, Austriaci, Francesi, Borbone, meno che i Savoia, trovarono vantaggioso sfruttare le risorse minerarie dello Stilaro […].. E' del 1742 la prima fabbrica d'armi costruita in Calabria a Pazzano, seguita nel 1746 da quella costruita sul fiume Assi. E' nelle ferriere dell'Assi, ed in quelle “Vecchie di Stilo”, che si realizzano, su progetto del Vanvitelli, i tubi per l'acquedotto “Carolino” della Regia di Caserta. E' nelle ferriere di Razzona di Cardinale che si realizzarono le catene dei primi ponti in ferro d'Italia. E dalla fabbrica d'Anni di Mongiana e dalle fonderie di Ferdinandea e Mongiana, che l'esercito Borbonico riceveva gran parte del proprio armamento. E' in questo polo industriale che trovavano lavoro circa 2.500 persone, le quali, in seguito, alle scelte politiche attuate dal governo unitario, persero il proprio lavoro destinati a diventare “o briganti o emigranti” [4].
Fino all’unità d’Italia erano attive nell’area del monte Pecoraro ventinove ferriere, oltre a due fonderie e tre fabbriche d’armi [5].
Nelle ferriere erano azionati con ruote idrauliche i magli per la raffinazione del ferro. Il movimento rotatorio della ruota idraulica era trasformato nel movimento alternativo di un pesante maglio, che battendo ripetutamente il “ferro agro” riscaldato, lo decarburava e lo trasformava in “ferro dolce”.
Nelle fonderie si usavano ruote idrauliche per azionare i mantici (prima di pelle, poi di legno), sempre trasformando il moto rotatorio in moto alternativo.
I mantici servivano per soffiare aria di combustione nei forni di fusione. Il problema di questo sistema il flusso d’aria intermittente che generava, oltre al logorio delle parti che richiedeva costante manutenzione. Nel seguito sono stati sostituiti dalle “trombe idroeoliche”.
Figura 5. Tromba idroeolica (sulla sinistra)
La tromba idroeolica era una particolare macchina idraulica, capace di produrre, sempre grazie alla caduta d’acqua in appositi tubi, un flusso d’aria continuo. La struttura era abbastanza semplice da realizzare e consistevano nella posa di uno o due tubi di ferro o legno verticali (ma si hanno anche esempi di camini in granito) alti 8-10 m e di diametro interno di 20-40 cm, con delle prese d’aria in testa, dove la corrente d’acqua poteva risucchiare aria che era scaricata insieme con l’acqua in una cassa di legno. Qui l’aria ormai in pressione era raccolta e convogliata ai fuochi dei forni con apposite tubazioni.
Mentre i mulini erano situati per lo più sul medio corso del fiume, le ferriere erano invece situate più a monte, per via della necessità di notevoli quantità di carbone vegetale, ottenuto dall’abbattimento di boschi.
A conferma della vocazione “industriale” della zona, dopo l’abbandono delle produzioni legate al ferro, si è continuato con lo sfruttamento intensivo dei boschi, con la costruzione di opere anche notevoli. Ad esempio per far giungere il legname ricavato nell’area del Bosco di Stilo fino al mare, per essere imbarcato, era stato predisposto un sistema che prevedeva una ferrovia in montagna, una funicolare fino all’abitato di Bivongi, quindi un trasporto su carri per circa 5 km e infine una seconda ferrovia di 10 km che giungeva a un piccolo molo, anch’esso costruito appositamente.
Tra le tecnologie impiegate per l’estrazione del legname, non poteva quindi mancare l’energia elettrica. Ed è proprio legata allo sfruttamento dei boschi la nascita delle prime applicazioni idroelettriche nella zona.
Già nel 1891 era attiva nell’area [del bosco di Stilo] una centrale idroelettrica con turbina di Pelton, a servizio di una (allora) modernissima fabbrica di cellulosa nei pressi di Serra San Bruno, nell’area occupata attualmente dalla segheria Poletto. Sono ancora visibili le condotte forzate. La turbina è tuttora in funzione [6].
A questa fece seguito nel 1892 una seconda centrale voluta dal senatore del Regno Achille Fazzari dapprima solo per illuminazione delle segherie di Ferdinandea, nel seguito anche per le abitazioni degli operai, alimentata dalle acque dello Stilaro. Seguirono nell’area del bosco di Stilo numerose piccole applicazioni idroelettriche [7].
Dell’antica centrale del Fazzari (“centralina di Ferdinandea”) resta l’edificio, all’interno del complesso siderurgico. Questo fu poi adibito poi a cabina elettrica, a servizio della centrale del Marmarico e ospita ancora i gruppi elettrogeni installati per integrare la produzione della stessa centrale nel 1965 e 1956. Sullo Stilaro restano tracce dello sbarramento e su un muro del complesso, immediatamente attiguo al letto del fiume, l’uscita del canale di restituzione. L’acqua dello Stilaro era convogliata a un piccolo invaso (oggi ricoperto e adibito a deposito temporaneo di legname) e poi inviata alle turbine.
Figura 6. Alternatore della "centralina" di Ferdinandea.
Nel 1913 si ha il salto di qualità: dalla produzione per consumo proprio si passa alla produzione per il pubblico. E quindi di tipo industriale. Dopo che nel 1910 viene fondata a Siderno la “Società Bruzia di industria elettrica di Siderno”, e nel 1912 la “Società idroelettrica dell’Ancinale” a Soverato, nel 1913 un gruppo di cittadini bivongesi fonda la S.p.A. “L’Avvenire Società Idroelettrica di Bivongi” per costruire una piccola centrale ad acqua fluente. La centrale fu costruita in una zona impervia e, allora, priva di collegamenti, nelle vicinanze dello stabilimento termale “Bagni di Guida”, ed è stata inaugurata il 12 giugno del 1914. L’impianto è stato abbandonato nel 1954.
Qualche centinaio di metri più a monte lo Stilaro forma una delle cascate più alte degli Appennini: la cascata del Marmarico con un salto unico di circa 110 m, ma nel corso di poche centinaia di metri a cavallo della cascata, il fiume affronta un dislivello di oltre 500 metri. Per sfruttare questo dislivello, a partire dal 1926 è stato realizzato dalla Società Immobiliare Calabra di Milano l’impianto idroelettrico del Marmarico. L’impianto è rimasto in funzione fino al 1973, anno in cui un’alluvione ha causato uno smottamento che ha fatto crollare parte della condotta forzata.
Fino agli anni ‘50 era attivo in località Vignali un impianto di flottazione, dove la corrente di un canale veniva utilizzata per l’arricchimento del minerale di molibdenite. Il minerale era estratto dalla Breda nelle colline antistanti allo stabilimento e qui portato attraverso una funicolare. Una volta arricchito, il minerale era avviato agli stabilimenti siderurgici nel nord Italia e legato all’acciaio per migliorarne le caratteristiche. L’estrazione terminò alla fine del periodo bellico, per la diminuita richiesta di legante.
La flottazione è un metodo di arricchimento di materiali metallici per mezzo della separazione che sfrutta le differenze tra le proprietà superficiali di minerale utile e ganga. Un tempo era applicata solo a materiali che presentano flottabilità naturale, nel caso in esame la molibdenite, oggi tramite trattamenti chimici si applica a una vasta gamma di minerali.
In sostanza la flottazione è il procedimento inverso della sedimentazione. L’acqua era fatta passare in una serie di vasche di forma prismatica, disposte a cascata, nelle quali l'aria era dispersa dal cadere della torbida da un recipiente all'altro. In questo modo si formava la schiuma mineralizzata e si sedimentava la parte inerte, che poteva essere separata.
A utilizzare attualmente le acque dell’asta principale dello Stilaro sono da monte verso valle: l’acquedotto comunale, tre allevamenti ittici, numerose piccole utenze irrigue, un consorzio d’irrigazione.
L’acquedotto (che oltre al comune di Bivongi alimenta i comuni di Pazzano e Stilo) è alimentato da sorgenti laterali quota 500. A integrare le sorgenti alle quote più elevate, intorno a quota 300 vi è un pozzo che attinge alla falda profonda.
Figura 7. Foto aerea zona Vignali. Evidenziati due degli allevamenti ittici, il parco Green e l'ex impianto di flottazione.
Lungo il corso del fiume vi sono tre allevamenti ittici (trote, storioni, anguille) che prelevano l’acqua dal fiume tramite canali e tubazioni e la restituiscono più a valle. I tre allevamenti sono il primo in località “Angra di forno” nel tratto compreso tra lo scarico della centrale Marmarico e la presa della centrale Guida. Gli altri due in località “Vignali” e “Poddilli” a valle dello scarico della centrale Guida.
Figura 8. Utilizzi attuali dell'acqua dello Stilaro.
Sempre a valle dello scarico della centrale Guida e fino a ridosso dell’abitato di Bivongi, vi sono molte piccole utenze irrigue, utilizzate nel periodo estivo.
Molto più a valle, in località “Cacari” c’è la presa di un consorzio d’irrigazione che utilizza la poca acqua estiva per irrigare le coltivazioni dell’ampio alveo che il fiume Stilaro forma poco prima della foce.
L’alveo del fiume è stato sempre frequentato nei periodi di secca dai contadini per recarsi nei campi, che sorgevano su qualunque fazzoletto di terreno pianeggiante o che rendevano tale terrazzandolo. Ma anche oggi che i campi sono stati abbandonati, nel periodo estivo si assiste alla riscoperta del fiume (Tavola 9).
La parte dell’alveo a valle dell’abitato di Bivongi in estate è un “càlatro” assolato e inospitale, come si conviene alle fiumare calabre.
La parte più a monte, invece, è contornata da una macchia verde e rigogliosa che cambia con la quota. Non è il caso di insistere sulla varietà della flora e della fauna, che sono quelle tipiche dell’Appennino meridionale, anche se alcune nicchie ecologiche create dal microclima umido (per via degli spruzzi causati delle frequenti cascatelle) possono essere molto interessanti [9].
A partire dal parco attrezzato “N. Green” in località “Vignali” si risale il fiume fino ai “Bagni di Guida”, circondati da ontani neri e oleandri.
La località “Guida” (o “Acquesante”) che è stata da sempre un luogo frequentato per via di due diverse sorgenti di acque solfuro-salsoiodiche, è divenuta un centro “balneare” quando, per sfruttare le proprietà terapeutiche di dette acque termali, sono stati costruiti due stabilimenti termali e un albergo dal 1870, e poi la centrale elettrica Guida.
Gli stabilimenti sono stati nel tempo abbandonati e così pure la centrale. Resta comunque una località di richiamo, dove si può godere il fresco, gli splendidi paesaggi ritornati selvaggi e, volendo, un bagno caldo nelle acque termali, a pochi minuti di macchina da Bivongi.
Figura 9. Scorcio del fiume in estate.
Risalendo ancora il fiume si può arrivare nei pressi della centrale Marmarico. Il corso del fiume qui diviene troppo ripido, salvo per qualche abile pescatore. I comuni turisti devono risalire o verso la strada della cascata, oppure verso Ferdinandea (sentiero del Brigante) salendo di quota di 550 metri in pochi chilometri di sentieri tra lecci, corbezzoli, eriche e ginestre spinose.
La cascata del Marmarico, che con un salto complessivo di circa 110 m è una delle più alte degli Appennini, è meta di escursionisti e visitatori principalmente nel periodo estivo.
Il tratto del fiume Ruggero non è meno spettacolare, ma è meno fruibile per la difficoltà di risalita della gola.
Figura10. Una veduta della cascata del Marmarico (110 m).
Più a monte si hanno solo boschi di faggi e abeti. Il terreno pianeggiante e l’aria fresca dei 1000 m raggiungibili comodamente, invitano le famiglie a frequentarli.
Il Parco Naturale Regionale delle Serre, istituito con legge regionale n. 48 del 5 maggio 1990, si estende su un territorio di 17.687 ettari.
L’area del Parco delle Serre, ai sensi della predetta legge regionale (L.R.n°10 del 14/07/03), comprende i valori naturalistici, culturali storici e antropologici che concorrono a determinare il toponimo delle Serre. Il territorio di pertinenza del parco comprende le abetine tipiche, pure e miste dell’abete bianco, le pinetine del pino laricio, le faggete, i castagneti, i pioppeti, i querceti e l’oasi del lago Angitola, istituita con il D.P.G.R. del 12/05/1975 e riconosciuta come zona umida di valore internazionale ai sensi della convenzione di Ramsar (D.M. 30/09/1985), anche se posta fuori della sua continuità territoriale.
Il parco è suddiviso in varie zone per la sua varietà di ambienti naturali in modo tale che si applichino secondo la zona diverse misure di tutela e salvaguardia del territorio.
Figura 11. Confini del Parco delle Serre e Zonizzazione della parte che si riferisce allo Stilaro.
Del bacino dello Stilaro solo una piccola parte ricade nella Zona A di Riserva integrale (la zona intorno ai 1400 metri di Monte Pecoraro) e Zona B di Riserva integrale orientata. Il resto del bacino è in Zona D Area di Sviluppo cioè “aree destinate ad insediamenti turistici e produttivi” dove “sono consentite le attività compatibili con le finalità istitutive del Parco nonché quelle tese al miglioramento socio-culturale delle collettività locali”.
Il nostro progetto quindi non interferisce con le finalità del parco delle Serre.
I confini del parco con la zonizzazione riguardante la sola parte compresa nel bacino dello Stilaro sono riportati nella Figura 11.
L'Ecomuseo delle ferriere e fonderie di Calabria è un progetto dall'ACAI (Associazione Calabrese Archeologia Industriale, con sede a Bivongi) nato nel 1982.
Figura 12. Il simbolo dell'Ecomuseo riprodotto in ceramica.
Lo scopo del progetto è quello della ricerca, studio, salvaguardia e promozione culturale del patrimonio dell'archeologia industriale calabrese, ed in particolare di quello esistente nella vallata dello Stilaro, definita “culla della prima industrializzazione meridionale”.
L’ACAI ha recentemente ristrutturato due mulini idraulici uno nell’abitato di Bivongi l’altro in località Arigalia, dove è stata anche evidenziata la ferriera, una bocca di miniera (miniera Garibaldi) nei pressi dell’abitato di Bivongi, la facciata della fabbrica d’armi borbonica a Mongiana, e la fontana dei minatori a Pazzano. Sempre a Pazzano si sta costruendo la sede del museo delle miniere, mentre a Stilo è già attivo il Museo Civico di Archeologia Industriale.
Figura 13. Il portone della centrale della Società Avvenire (SA) prima del restauro.
Anche la nostra centrale Guida è stata ristrutturata dall’ACAI per farne un museo dell’energia. L’edificio ormai decadente dopo oltre quaranta anni di abbandono è stato restaurato e così pure le macchine. Nei pressi della centrale è stato restaurato anche l’albergo delle terme, mentre l’edificio delle terme, appartiene ancora a privati cittadini.
La presenza delle acque termali, dell’albergo e della centrale restaurata rendono il “Complesso Guida” interessante per i possibili sviluppi turistici della zona.
Dalla litoranea SS106 Jonica a Monasterace, inizia la SS110 (oggi SP9) che risale tutta la valle dello Stilaro fino al passo di Pietraspada (1310 m), passa per Serra San Bruno e discende fino al Tirreno, dove al bivio Angitola incontra la litoranea tirrenica SS18.
La statale passa per i comuni di Pazzano e Stilo, che distano 14 e 16 km rispettivamente da Monasterace. Bivongi è raggiungibile mediante la SP95 che si dirama dalla SS110 a 4 km da Stilo e si ricongiunge nell’abitato di Pazzano.
Nei pressi dello stabilimento di Mangiatorella una diramazione (SS110bis) porta fino alla Ferdinandea.
La statale si trova sulla destra idrografica dello Stilaro.
Sulla sinistra idrografica e fin dall’età preistorica una esisteva una via a mezza costa, la “via Grande”, che collegava l’Aspromonte alle Serre. Nel tempo è stata tracciata una strada che esiste tuttora anche se sterrata.
Sull’altopiano del Pecoraro, nei boschi di Ferdinandea è presente un dedalo di strade sterrate costruite per lo sfruttamento dei boschi.
A seguire il tortuoso corso del fiume è invece la strada dell’acquedotto, che arriva quasi fino alle cascate del Marmarico. La strada dell’acquedotto è asfaltata fino alla diramazione per i Bagni di Guida. Anche la strada che scende fino al livello dell’alveo, ai Bagni di Guida è asfaltata.
Figura 14. La rete elettrica dello Stilaro.
Ottenere informazioni sulla rete di distribuzione ENEL nella vallata si è rivelato impossibile stante la “sensibilità di questo tipo di informazioni”. Questo paragrafo è stato redatto basandosi sulle pubblicazioni di TERNA S.p.A., su cartografia IGM 1:25000 e soprattutto conoscenza e osservazione del territorio.
Come si può osservare dalla Figura 14 la fascia jonica reggina non è interessata da alcuna linea ad alta tensione né a 380 né a 220 kV della RTN.
Dalla stazione di Maroni sulla linea dorsale jonica a 150 kV si dipartono le linee di distribuzione locali a 15 kV e una linea a 15 kV che collega detta stazione con la stazione di Serra San Bruno con cabine intermedie a Pazzano, Mangiatorella, Nardodipace e Fabrizia.
Una linea la 15 kV risale lo Stilaro fino alla località Vignali, e alimenta vari casolari, due allevamenti ittici e un ristorante.
Energia idraulica nella Vallata dello Stilaro: la riattivazione delle centrali Marmarico e Avvenire tesi di laurea di Emanuele Valenti presso il Politecnico di Milano
2 L’impianto Marmarico (pdf)
In questo capitolo descriveremo l’impianto Marmarico, analizzandone i vari componenti. Come già ricordato, non è stato possibile attingere ai dati originali conservati presso gli archivi ENEL a Napoli. La descrizione sarà basata su sopralluoghi e misurazioni fatte sul campo.
L’impianto del Marmarico è costituito da due derivazioni (sul torrente Stilaro e sul torrente Ruggero) intorno a quota 1000, che tramite due canali in pressione convogliano l’acqua a un collettore da dove parte la condotta forzata. La centrale è a quota 450. La portata derivata di circa 0,5 m3/s, e la potenza installata intorno a 2 MW. In un secondo tempo l’impianto è stato dotato di un pozzo piezometrico e di un serbatoio a monte della derivazione sullo Stilaro (Tavola 2).
Il serbatoio Pecoraro si trova in località Ferdinandea, a quota 1070, ed è ottenuto dallo sbarramento del fiume Stilaro mediante una piccola diga, detta diga Giulia, Tavola 3.
L’opera di captazione è una diga a contrafforti in cemento con andamento planimetrico rettilineo, un terrapieno a valle permette l’accesso agli organi di manovra. La lunghezza dello sbarramento è di circa 87 m al coronamento per una profondità massima, misurata in corrispondenza dello scarico di fondo, rispetto alla quota dello sfioratore, di 9,50 m. Lo spessore al coronamento è di 0,70 m (1,68 m in corrispondenza dei pilastri).
Tavola 2. L’impianto Marmarico.
L’opera di presa si trova direttamente nel corpo della diga, è comandata da una paratoia piana e attraversa in condotta il terrapieno. La condotta termina in un dissipatore in cemento. Attraverso uno scivolo l’acqua derivata giunge direttamente nel fiume, ed è sfruttata dalla derivazione Azzarella più a valle. Lo scarico di fondo è costituito da una galleria che attraversa il terrapieno chiusa da una paratoia piana.
Lo sfioratore, in sponda sinistra, ha sezione trapezia con base minore di 6 m. La lunghezza del canale è di circa 80 m. La quota di sfioro può essere aumentata mediante assi di legno incastrate in apposite guide.
La piccola diga è in buone condizioni. Il fondo dell’invaso e lo sfioratore sono stati colonizzati dalla vegetazione.
Tavola 3. Il serbatoio Pecoraro.
È un piccolo sbarramento in muratura, ad andamento planimetrico leggermente arcuato, che forma un invaso massimo di circa 600 m3 a quota 1007 m (Tavola 4.)
Lo sfioro avviene su tutta la lunghezza della diga. Al coronamento la lunghezza è di 19 m e lo spessore di 2 m. In corrispondenza dello scarico l’altezza è di 4 m mentre la presa della condotta è alla profondità di 3,50 m. Sia lo scarico di fondo che la presa (protetta questa da una griglia) sono intercettate da paratoie piane a comando manuale.
Il coronamento della diga è sormontato da un’impalcatura rialzata che permette l’accesso agli organi di manovra, anche durante lo sfioro. Tale impalcatura può essere utilizzata per rialzare di qualche decina di cm l’altezza di ritenuta, mediante assi di legno.
La condotta parte in sponda sinistra ed è provvista in partenza di tubo aeroforo.
La galleria in pressione parte dalla derivazione Azzarella e segue, a parte un piccolo tratto iniziale, la linea di livello a quota 1000 m, per una lunghezza di 1500.
La tubatura è protetta da una griglia e ed è intercettata da una paratoia piana nel paramento di monte della diga. Subito in uscita dallo sbarramento vi è il tubo aeroforo.
La sede di posa per i primi 80 m è un viottolo, largo fino a 1 m. Per la parte restante segue una pista sterrata transitabile anche da piccoli mezzi fino alla località Numero 11, dove è posto il collettore.
Esistono due tratti in galleria, entrambi di circa 50 m. Il primo è transitabile, mentre la pista carrozzabile aggira il secondo tratto, allontanandosi di qualche metro dalla condotta.
Figura 15. Uscita della condotta da una galleria.
La condotta è in ferro, con diametro di 60 cm. Tutta la tubatura è rivestita di cemento, armato con una piccola gabbia di ferro cilindrica. La pressione è relativamente bassa (15 metri di colonna d’acqua) cosi che lo spessore è minimo.
Lungo tutto il percorso, e all’arrivo vi sono dei blocchi di ancoraggio in cemento. All’arrivo una saracinesca permette la chiusura della condotta prima della giunzione.
Figura 16. Particolare della condotta.
Come tutte le parti metalliche, la conduttura mostra i segni del tempo.
Come la derivazione Azzarella, anche questo è uno sbarramento in muratura, ad andamento planimetrico leggermente arcuato, che forma un invaso massimo di circa 2400 m3 a quota 1007 m (Tavola 4.)
Lo sfioro avviene su tutta la lunghezza della diga. Al coronamento la lunghezza è di 24 m e lo spessore di 2,30 m. In corrispondenza dello scarico l’altezza è di 9 m mentre la presa della galleria in pressione è alla profondità di 8,50 m. Sia lo scarico di fondo che la presa sono intercettate da paratoie piane a comando manuale.
Una passerella rialzata permette l’accesso agli organi di manovra durante lo sfioro. La galleria in pressione parte in sponda destra ed è provvista in partenza di tubo aeroforo.
Tavola 4. Le derivazioni Azzarella e Ruggero.
Come la galleria Azzarella, questa segue, a parte un piccolo tratto iniziale, la linea di livello a quota 1000 m, ma per una lunghezza di 900 m.
La tubatura è protetta da una griglia e ed è intercettata da una paratoia piana nel paramento di monte della diga. Subito in uscita dallo sbarramento vi è il tubo aeroforo.
A un primo tratto a destra dell’alveo, segue un tratto poggiante su pilastri di cemento, affiancato da una passerella pedonale. Il resto della sede di posa è stato ricavato costruendo muri a secco sulla parete a picco oppure scavando direttamente nella roccia in alcuni punti, ed è percorribile solo a piedi. Solo per brevi tratti la posa è avvenuta in zone relativamente pianeggianti, e quindi più agevoli.
Figura 17. Particolare della tubazione. Si notano la passerella sospesa e i rinforzi al tubo di acciaio.
La tubatura è in ferro nudo, con diametro di 60 cm. In alcuni punti i tubi sono rinforzati con costole di ferro per impedire lo schiacciamento in caso di caduta di piccoli massi. Nei punti più accessibili i tubi sono rivestiti per brevi tratti in cemento, armato con una gabbia metallica cilindrica. La pressione è relativamente bassa (15 metri di colonna d’acqua) cosi che lo spessore è minimo.
Non sono presenti blocchi di ancoraggio. All’arrivo una saracinesca permette la chiusura della prima della giunzione.
Figura 18. Particolare della tubazione.
Parte della tubazione è stata divelta da attraversamenti stradali. La sede di posa della tubazione è disagevole da percorre anche a causa della rigogliosa vegetazione. Il tubo e le altre parti di ferro sono ormai arrugginiti.
In località Numero Undici le due gallerie in pressione provenienti dalle derivazioni Azzarella e Ruggero confluiscono nella condotta forzata.
All’arrivo al collettore sono presenti delle saracinesche a comando manuale, dopo le tubazioni si uniscono a Y. Il diametro di entrambe le tubazioni è di 60 cm. Successivamente si unisce dall’alto la tubazione, dal diametro di 51 cm, proveniente dal pozzo piezometrico con una connessione a 90°. Prima della partenza della condotta forzata c’è una valvola di sicurezza a contrappeso, dotata di valvola di bypass e infine uno sfiatatoio.
Figura 19. La giunzione a “Y” a Vertice 11.
Il sistema delle congiunzioni era ospitato in una baracca con pareti di legno e copertura in eternit, sostenuti da quattro pilastri in muratura. Della baracca che occupava una superficie di 45 m2 per un’altezza massima intorno ai 4,50 m, restano solo le tracce.
Figura 20. Pozzo piezometrico.
A circa 80 metri più a monte è sistemato il pozzo piezometrico che è un cilindro di cemento tutto fuori terra. Ha un’altezza di 6,50 m e un diametro di 2,70 m, per un volume totale di 38 m3. All’uscita del pozzo la tubazione ha un diametro di 32 cm fino in prossimità del collettore, dove un tratto troncoconico porta il diametro a 51 cm.
La condotta forzata parte dal collettore a Vertice 11, dove si riuniscono le condotte in pressione provenienti dalle due derivazioni Azzarella e Ruggero, a quota 1000 e si tuffa con andamento planimetrico pressoché rettilineo fino alla centrale del Marmarico a quota 450, con un salto quindi di 550 metri. La lunghezza della condotta è di circa 1500 m.
Figura 21. Condotta forzata.
La condotta segue l’andamento altimetrico dello spartiacque tra i due torrenti Stilaro e Ruggero, come mostrato dalla Figura 22. Per limitare il numero dei vertici sono stati realizzati diversi piccoli ponti e gallerie.
Figura 22. Profilo altimetrico condotta forzata.
La condotta entra in centrale tramite due derivazioni dalla tubazione principale, che affianca all’esterno il lato lungo della centrale, dalla parte opposta rispetto al fiume. Sulla condotta è ricavata anche una terza derivazione per un terzo gruppo mai realizzato.
Una piccola parte della condotta è stata divelta da attraversamenti stradali. Il resto è ancora nella sua sede.
Figura 23. Condotta Forzata. Particolare di un ancoraggio all'attraversamento dell'alveo.
La centrale Marmarico è ubicata all'aperto e si trova in sponda destra del fiume Stilaro. L’edificio consiste in un corpo principale in muratura che costituisce la sala macchine, ove sono installati i gruppi generatori. In adiacenza sono sistemati i corpi secondari: il primo a tre piani ospita le apparecchiature, il secondo a due piani gli alloggi, l'officina e il magazzino.
Figura 24. Pianta del Piano terra.
Il piano pavimentato è rialzato rispetto al piano delle fondamenta e quest’ultimo e rialzato rispetto al letto del fiume. Un muro di contenimento separa le fondamenta dall’alveo.
Vi sono tre ingressi: quello a NO porta direttamente nella sala macchine, quello a SE nell’ala degli alloggi, il terzo situato al primo piano porta pure negli alloggi, ed era utilizzato dagli operai quando il fiume in piena non permetteva gli altri accessi.
La sala macchine è a pianta rettangolare, con il lato lungo parallelo al fiume, in direzione NO/SE. Ha dimensioni di 18,5 per 11 m ospita i due gruppi turbine/alternatore e ha lo spazio per ospitare un terzo gruppo. E’ alta circa 12 m in corrispondenza della mezzeria, ed è servita da un carro ponte da 75 tonnellate costruito dalle officine Savigliano di Torino, che corre su due binari montati sui muri del lato lungo, a un’altezza di 6 m. Il tetto a due falde è sostenuto da travi di legno e ricoperto in eternit. Lo stesso tetto copre anche l’ala dell’appartamento degli operai.
Figura 25. Vista dell'edificio della centrale.
L’edificio delle apparecchiature ha tre piani. Al piano terra, comunicante con la sala macchine, ci sono i due trasformatori elevatori. L’uscita dei trasformatori è riportata sul soffitto, e tramite isolatori passanti al piano superiore. Tra la sala macchine e la sala trasformatori c’è il quadro comandi dei gruppi.
Figura 26. Pianta del primo piano.
Al primo piano si ha il sistema degli interruttori di gruppo e delle sbarre, protetti da una gabbia sulla quale è riportato un secondo quadro. Le sbarre vengono riportate al piano superiore mediante passanti nel soffitto. Al primo piano è anche ospitato il trasformatore dei Servizi Ausiliari.
Al secondo piano si hanno i quattro interruttori di linea. Le linee partono da appositi fori passanti nelle pareti, protetti da isolanti in vetro.
Figura 27. Sala interruttori al 2° piano.
Sopra il soffitto in cemento c’è il tetto a due falde con travi di legno e copertura in eternit.
L’ala degli appartamenti è costituita da un ingresso, un magazzino e una piccola officina al piano terra, e da due camere al primo piano.
Una volta abbandonata la centrale, le macchine sono state smontate per recuperarne il rame, e il resto è stato completamente distrutto.
Il tetto di legno ed eternit della sala macchine è crollato sul macchinario sottostante. Restano le pareti e gli infissi di ferro. Il tetto dell’ala apparecchiature è invece integro.
La centrale è dotata di due gruppo turbina/alternatore. Ogni gruppo ha il proprio trasformatore e un interruttore e sezionatore, per il collegamento alle sbarre di gruppo. Sulle sbarre di gruppo sono installati trasformatori di tensione e di corrente. Un interruttore, sezionato su ambo i lati permette il parallelo delle sbarre.
Dalle sbarre partono le linee dotate di interruttore e sezionatore.
Figura 28. Schema elettrico della centrale Marmarico.
Le due turbine sono delle ruote Pelton del diametro di 50 cm costruite dalla De Pretto-Escher Wyss. Una delle turbine è stata sostituita, e la turbina smontata giace sul pavimento della centrale.
Figura 29. La turbina Pelton sostituita e lasciata sul pavimento della centrale.
Gli alternatori sono stati costruiti dalle Officine Savigliano di Torino e sono macchine a tre coppie polari eccitate da una dinamo coassiale agli stessi.
La potenza era intorno a 1000 kW per macchina e la generazione avveniva a 500 V.
Figura 30. Uno dei due gruppi turbina/alternatore con l'alternatore smontato.
I trasformatori, uno per ogni gruppo, elevavano la tensione da 500 V a 20 kV, erano immersi in olio e i cassoni raffreddati ad aria.
Figura 31. Cassone del trasformatore rovesciato. In primo piano le colonne del nucleo.
Anche il trasformatore dei servizi ausiliari era in olio raffreddato ad aria.
Esistono due quadri di comando costituiti da pannelli verticali in marmo bianco delle dimensioni 1 metro per 2, su cui era riportata tutta la strumentazione di misura e i comandi delle regolazioni manuali e degli interruttori, questi ultimi tramite giochi di pulegge, funi e ruote dentate. Il primo quadro, per la gestione dei gruppi, si trovava in sala macchine, il secondo, per la gestione delle linee elettriche, al primo piano.
Figura 32. Il quadro comandi della centrale in una foto del 1994.
Il sistema dei sezionatori e interruttori di gruppo e le sbarre erano ospitate al primo piano dell’ala apparecchiature, protette da una gabbia metallica alla quale si accedeva tramite due cancelli laterali. Sulla gabbia era fissato il quadro dei comandi per lo smistamento delle linee. I collegamenti elettrici correvano su isolatori fissati alle pareti e al soffitto.
Figura 33. Uno dei 4 interruttori di linea.
Le linee elettriche di collegamento partivano dalla sommità delle pareti del secondo piano dell’ala apparecchiature della centrale.
Figura 34. Collegamento alla rete elettrica Centrale Marmarico.
Dalla parete a NO parte la linea per Ferdinandea, Serra San Bruno e Ciano (frazione di Gerocarne). Tra le sbarre e l’interruttore è interposto un sezionatore a coltello. Sugli stessi pali della linea Fino a Ferdinandea correva la coppia di fili (in ferro) del telefono.
Dalla parete a NE partono la linea per Guardavalle e Santa Caterina, e quella per Chiaravalle e Catanzaro d’interconnessione con la Società Elettrica Calabrese (SEC). Dalla parete SO la linea per Nardodipace e Fabrizia.
I dati di concessione sono stati rintracciati in un’ordinanza del Provveditorato alla Opere Pubbliche della Calabria (n. 5891 del 15 giugno 1929) trasmessa al Comune di Bivongi per l’affissione nell’Albo Pretorio.
Con R.D. 9 luglio 1926, n. 6074, la SIC ottiene la concessione per la derivazione dai torrenti Roggero, Don Luca e Folea, affluenti della fiumara Stilaro, in località Ferdinandea, nel territorio del comune di Stilo[4], medi moduli 5,333 (533,3 litri/s), atti a produrre sul salto di 580 m la potenza nominale di HP 4,214 per energia elettrica.
Si ricorda che il punto di prelievo era stato spostato da quota 1024 a quota 1007, e che quindi il salto utile si era ridotto a 565 m.
Riassumiamo i dati di concessione nella Tabella 1.
Tabella1: Dati di concessione dell'impianto Marmarico
Energia idraulica nella Vallata dello Stilaro: la riattivazione delle centrali Marmarico e Avvenire tesi di laurea di Emanuele Valenti presso il Politecnico di Milano
3 L’impianto Guida (pdf)
In questo capitolo descriveremo l’impianto Guida ex Avvenire, analizzandone i vari componenti. Come per l’impianto Marmarico non è stato possibile attingere ai dati originali conservati presso gli archivi ENEL a Napoli, la descrizione sarà basata su sopralluoghi e misurazioni fatte sul campo.
L’impianto Guida, sfruttava un salto di soli 22,5 m con una portata di concessione di 0,35 m3/s, derivata con uno sbarramento sul fiume Stilaro e convogliata in centrale tramite un canale prima a cielo aperto, poi in galleria quindi in condotta, per una potenza di circa 80 kW.
L’impianto sfruttava il dislivello creato da un’ansa del fiume Stilaro, che veniva tagliata tramite condotti.
Partendo da monte l’impianto prevedeva (Tavola 5):
Lo sbarramento era del tipo a soglia fissa, fatto con materiali sciolti e di cui oggi non rimane traccia.
L’opera di captazione situata in sponda destra, protetta da una griglia di ferro di 180 per 300 cm.
Il canale, sempre in sponda destra, con uno sviluppo complessivo di circa 150 m, e una sezione rettangolare di base compresa tra 90 e 120 cm e altezza intorno ai 100 cm, ed era costituito in muratura. Una paratoia piana all’inizio del canale ne permetteva la chiusura. Nel tratto finale il canale s’innalzava rispetto al letto del fiume, e poi lo attraversava, con una sezione di sezione 90 per 115 cm, su di un ponte di calcestruzzo, alto circa 8 m e lungo 20.
Tavola 5. L’impianto Guida (ex Avvenire).
Il ponte era dotato, nella parte centrale e su entrambe le sponde, di uno sfioratore che faceva cadere l’acqua nel centro del fiume. Dopo il ponte, il canale proseguiva ancora per una decina di metri prima di immettersi nella galleria. Prima della galleria due paratoie piane consentivano di deviare l’acqua del canale nel fiume e lasciare asciutta la parte seguente.
Figura 35. Il ponte-canale.
La galleria, lunga circa 25 m, tagliava la cima che forma l’ansa, che aveva una sezione a forma di un rettangolo sormontato da un trapezio. La larghezza era di 100 cm e l’altezza massima di 140. La galleria lavorava completamente sommersa.
Una piccola vasca di carico di dimensioni 4,80 m di profondità e base di 3,00 per 4,00 m. La vasca non era provvista né di sfioratore né di scarico di fondo.
Figura 36. Sbocco della galleria nella vasca di carico.
Due condotte forzate del diametro di 60 cm, protette da una griglia alla partenza dalla vasca di carico e subito intercettate da due saracinesche. Le condotte seguivano lanaturale pendenza del terreno ed erano ancorare mediante anelli di cemento a blocchi pure di cemento, ed entravano in centrale dopo uno sviluppo di circa 28 m. La centrale in località “Acque Sante”, detto anche in seguito “Bagni di Guida” dopo la costruzione dello stabilimento termale. Da qui la centrale prende il nome. La centrale è descritta nel paragrafo successivo. Lo scarico avveniva in un canale di qualche metro di lunghezza, direttamente nel letto del fiume.
3.2 Centrale
La centrale elettrica “Guida” si trova sulla sinistra idrografica dello Stilaro in località “Acque Sante” o “Bagni di Guida” cosiddette per la presenza di due stabilimenti termali. L’edificio è attiguo all’albergo di venti stanze delle terme che a sua volta è vicino a uno dei due stabilimenti, vedi Tavola 6.
Tavola 6. Il complesso dei Bagni di Guida.
L’edificio è in muratura, con muri spessi 70 cm, a pianta rettangolare delle dimensioni utili di 11,5 per 6,5 m. E’ coperto con un tetto spiovente a due falde con travature di legno e copertura con tegole. Ampi finestroni consentono una buona visibilità all’interno.
Figura 37. Centrale Guida. Pianta dell’edificio.
La centrale ospita due gruppi identici turbina-alternatore. Lo scarico delle turbine avviene sotto il pavimento che è quindi rialzato rispetto al terreno circostante.
L’edificio della centrale, facente parte dell’”Ecomuseo delle ferriere e fonderie di Calabria”, è stato completamente restaurato e la strada per raggiungerlo è stata recentemente ammodernata.
I due gruppi presenti in centrale sono ad asse orizzontale. Sono ancora visibili il grosso volano e il gruppo di regolazione della turbina.
La Ercole Marelli di Milano, fondata nel 1891, fornisce i due alternatori della centrale. Della fornitura non esiste traccia negli archivi Marelli conservati presso la Fondazione ISEC.
Gli alternatori da 90 kW ciascuno hanno 5 coppie polari, per cui si può presumere che la velocità di rotazione fosse di 600 giri il minuto.
Figura 38. Operai in posa davanti al macchinario della centrale: in primo piano il regolatore di velocità.
Gli alternatori sono trascinati da due turbine di tipo Francis, fornite insieme al resto dell’apparecchiatura idraulica dalla società “Ing. Moncalvi & C” di Pavia. Allo scarico le turbine sono provviste di un diffusore che ha forma cilindrica.
Il macchinario elettromeccanico rimasto, risalente al 1913, è ovviamente inutilizzabile.
La centrale serviva dapprima il solo comune di Bivongi, in seguito anche i vicini Pazzano e Stilo, con una linea che discendeva il corso dello Stilaro per circa 4 km.
[...]
La concessione per la derivazione della centrale Guida della “Società idroelettrica l’Avvenire di Bivongi”, nonostante la centrale sia stata inaugurata nel 1914, nel 1928 non è ancora stata perfezionata.
I dati della concessione sono contenuti nella risposta data dalla R. Prefettura di Reggio Calabria al Potestà del comune di Bivongi (31 agosto 1928) che aveva chiesto alla Prefettura delucidazioni su come far valere il diritto alla “riserva di energia”. Il comune faceva riferimento alla concessione riguardante la Società Immobiliare Calabra, per la derivazione effettuata più a monte. La Prefettura equivoca e chiarisce che per quanto cotesta società Avvenire abbia posto mano ai lavori riguardanti una derivazione di acqua dal torrente Stilaro a scopo di forza motrice niuna sanzione governativa è avvenuta finora, ma è soltanto in corso la compilazione ed il perfezionamento del disciplinare che dovrà regolare la concessione, nel quale si dovranno includere le clausole relative al quantitativo di energia da riservare eventualmente in favore di cotesto Comune.
D’altro canto occorremi far presente che, nel caso in esame, trattasi di un volume d’acqua di litri=secondo 350, di un salto utile di m 22,50, e quindi una forza nominale di HP 105.
La derivazione della società Avvenire resta, pertanto, nei limiti delle piccole derivazioni le quali non sono soggette a riserve di energia in favore dei comuni; avvertendo che l’art. 40 del R.D. 9 ottobre 1919, n. 2161, e tutte le altre disposizioni inerenti a dette riserve, riguardano le grandi derivazioni, quelle, cioè, capaci di produrre una potenza dinamica nominale di 300.000 cavalli.
I dati di concessione sono riassunti nella Tabella 2.
Tabella 2: Dati di concessione dell'impianto Guida
Portata di concessione
|
0,350 m3/s
|
Salto di concessione
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22,5 m
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Potenza di concessione
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77 kW
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Energia idraulica nella Vallata dello Stilaro: la riattivazione delle centrali Marmarico e Avvenire tesi di laurea di Emanuele Valenti presso il Politecnico di Milano
4 Il bacino imbrifero (pdf)
In questo capitolo analizzeremo il bacino imbrifero dello Stilaro. Descriveremo il bacino e analizzeremo la rete di misura del Servizio Idrografico nei bacini limitrofi. Ricaveremo dati di portata dello Stilaro a partire da quelli dei bacini limitrofi. Tracceremo lo schema logico dei flussi e esporremo alcuni possibili impatti della riattivazione delle due centrali. Analizzeremo i vari componenti e proporremo una modalità di gestione per il serbatoio Pecoraro.
Sebbene il titolo del nostro lavoro citi solamente la vallata dello Stilaro, che ospita la totalità degli impianti, è necessario fare un breve cenno anche al bacino della fiumara dell’Assi. Non fosse altro che la parte alta del bacino fa parte dei comuni di Bivongi e di Stilo, e che quindi da sempre ne segue le stesse vicissitudini, esistono due motivi per includere la descrizione del bacino in questo scritto.
Il primo è che una ridotta parte del bacino dell’Assi (quella pertinente alla “Fiumara Storta” fino a quota 1010) nei periodi di più forte magra, veniva captata e convogliata nel bacino dello Stilaro a monte delle opere di presa dell’impianto.
Secondo motivo è il progetto, mai realizzato, di collocare sull’affluente Mula, sempre nel bacino dell’Assi, un piccolo serbatoio da utilizzare nel periodo di magra, anche qui convogliando le acque nel bacino dello Stilaro, a monte delle opere di presa. Soluzione che vale la pena di considerare.
Inoltre, poiché nel bacino dello Stilaro non sono disponibili misure di portata, citeremo anche i bacini limitrofi Ancinale, Alaco e Allaro, dove sono disponibili misure di portata.
Tavola 7. Bacino Imbrifero. Sottobacini.
Il bacino dello Stilaro ha un’altezza massima di 1423 m (M. Pecoraro) e una superficie di 95,4 km2. Esso è stretto tra il bacino dell’Assi che gli corre parallelo e il bacino del Precariti (Tavola 7).
Il fiume Stilaro nasce ai piedi del Monte Pecoraro. Inizialmente affronta un tratto pianeggiante fino a quota 1000, attraversando boschi di faggi e abeti. Improvvisamente si tuffa in una serie di tortuose rapide, compresa una cascata (Marmarico) di 110 m, e arriva quota 450 m tra lecci, corbezzoli ed eriche dopo aver ricevuto la prima confluenza dal Vallone Taverna. Anche il torrente Ruggero ha la sorgente alle falde del Pecoraro e arriva a quota 450 attraverso una serie di cascatelle. A 450 m si ha la confluenza tra Ruggero e Stilaro.
A partire da questa confluenza lo Stilaro affronta ancora un tratto tortuoso, in lieve pendenza, ricevendo numerosi ma modesti afflussi laterali dove l’essenza dominante è l’ontano nero e l’oleandro.
Figura 40. Curva ipsografica.
Poi assume la caratteristica tipica delle ‘fiumare’ calabresi: un ampio greto pianeggiante arido d’estate e talvolta tumultuoso in inverno, punteggiato da radi pioppi. Riceve le ultime confluenze importanti a ridosso dell’abitato di Bivongi: il torrente Melodari e il Pardalà. Infine sfocia nello Jonio, qualche chilometro a sud di punta Stilo. La Figura 40 mostra la curva ipsografica del bacino ottenuta elaborando dati dal sito web della Protezione Civile della Calabria. Nella stessa figura sono stati evidenziati i valori idrodinamici degli impianti Marmarico e Guida.
Oltre al già citato comune di Bivongi, la valle dello Stilaro interessa anche i comuni di Monasterace, Pazzano e Stilo tutti in provincia di Reggio Calabria.
Anche il fiume Assi nasce sul massiccio del Monte Pecoraro e sfocia nel mar Jonio, poco a nord di punta Stilo.
Il bacino del fiume Assi ha un’estensione di 66.50 km2 e un’altezza massima di 1417 m. Principali affluenti sono il torrente Macchinante, il torrente “Fosso Storto” detto anche “Fiumara Storta” e il torrente Mula.
Il bacino Assi interessa i comuni di Stilo, Bivongi, Monasterace in provincia di Reggio Calabria, Guardavalle e Santa Caterina dello Jonio in provincia di Catanzaro.
Della fitta rete di misuratori del Servizio Idrografico del Ministero dei Lavori Pubblici, presente sul massiccio del Monte Pecoraro (Tavola 8), solo due stazioni forniscono misure di precipitazione nella parte alta bacino dello Stilaro, mentre non si ha nessuna misura di portata.
Le precipitazioni sono state misurate idrografico nella stazione 2083/Monte Pecoraro dal 1916 al 1944, e in seguito nella stazione 2050/Ferdinandea dal 1950 al 2005.
La parte alta del bacino (che è quella che interessa questo lavoro) è coperta quasi integralmente dal topoiete della stazione 2050/Ferdinandea.
La Tabella 3 mostra i valori delle precipitazioni mensili e annuali nel periodo 1950/2005, e la precipitazione media nello stesso periodo è riportata in Figura 41.
Figura 41. Precipitazione media mensile nella stazione 2050-Ferdinandea
Tabella 3[4]. Precipitazioni mensili nella stazione 2050/Ferdinandea
[..]
Nella parte alta del bacino dell’Ancinale la stazione 1980/Serra San Bruno ha registrato misure di pioggia giornaliera nel periodo 1920/2008 mentre la stazione 1995/Spadola Idrometro ha misurato le portate giornaliere nel periodo 1968/1980. Gli annali idrografici riportano il bilancio idrico del bacino relativo allo stesso periodo Tabella 4 e Tabella 5.
Caratteristiche della stazione: bacino di dominio km2 42.5 (parte permeabile 10%), altitudine massima 1414 m.s.m., media 963 m.s.m., zero idrometrico 755 m.s.m., distanza dalla foce 30 km.
Tabella 4. Deflussi mensili in mm alla stazione 1995/Spadola
[...]
Tabella 5. Precipitazioni mensili in mm alla stazione 1980/Serra San Bruno
[...]
Nella parte alta del bacino dell’Alaco la stazione 2000/Mammone ha misurato le precipitazioni giornaliere nel periodo 1961/1980 mentre la stazione 2001/Mammone ha misurato la portata giornaliera nel periodo 1961/1980. Gli annali idrografici riportano il bilancio idrico del bacino relativo allo stesso periodo Tabella 6 e Tabella 7.
Caratteristiche della stazione: bacino di dominio 14,8 km2 (parte permeabile 14%), altitudine massima 1280 m.s.m., media 1051 m.s.m., zero idrometrico 965 m.s.m., distanza dalla foce 16 km.
Tabella 6. Deflussi mensili in mm alla stazione 2001/Mammone
[...]
Tabella 7. Precipitazioni mensili in mm alla stazione 2000/Mammone
[...]
Nella parte alta bacino dell’Allaro la stazione 2090/Fabrizia ha misurato dati di pioggia giornaliera nei periodi 1920/1941, 1943, 1948, 1951/1988 e 1991/2008, mentre la stazione 2088/Ponte Mongiana ha misurato le portate medie giornaliere nel periodo 1968/1980. Gli annali idrografici riportano il bilancio idrico del bacino relativo allo stesso periodo Tabella 8 e Tabella 9.
Caratteristiche della stazione 2088: bacino di dominio 11,8 km2 (parte permeabile 10%), altitudine massima 1164 m.s.m., media 1001 m.s.m., zero idrometrico 890 m.s.m., distanza dalla foce 28 km.
Tabella 8. Precipitazioni mensili in mm alla stazione 2088/Ponte Mongiana
[...]
Tabella 9. deflussi mensili in mm alla stazione 2090/Fabrizia
[...]
Tavola 8. Rete di misura del Servizio Idrografico.
Nel bacino dello Stilaro non sono disponibili misure di portata. Per determinare i deflussi nelle varie sezioni che ci interessano, necessari per il dimensionamento degli impianti idroelettrici è necessario ricavare in qualche modo una serie di portate sintetica, ipotizzando un comportamento del bacino simile a quello dei bacini limitrofi.
Per questo motivo sono già state selezionate le stazioni con misure di portata più prossime alla parte alta dello Stilaro.
Alcuni dei possibili approcci sono:
- Costruire un modello precipitazione/portata per i bacini Ancinale, Alaco, Allaro. Una volta tarati i modelli si può verificare la consistenza tra i risultati e applicare il medesimo modello al bacino dello Stilaro tenendo ovviamente conto delle superfici interessate. Si potrebbe poi simulare il modello e ottenere una serie sintetica di portate. Il modello potrebbe essere autoregressivo con ingresso esogeno e potrebbe anche essere improprio poiché sarebbe utilizzato solo in simulazione.
- Utilizzare un modello lineare semplificato per calcolare le portare considerando solo la precipitazione, e il coefficiente di deflusso. Il coefficiente di deflusso (che potrebbe anche essere tempovariante) si può stimare dai dati degli altri bacini. Se la stima è coerente, si può ottenere la serie sintetica delle portate utilizzando le precipitazioni nel bacino dello Stilaro.
Occorre fare i conti con la limitata disponibilità di dati soprattutto per quanto riguarda la misura delle portate (19 anni per l’Alaco, 12 anni per l’Allaro e l’Ancinale) per poter stimare e poi validare un modello precipitazione-portata di tipo autoregressivo che sia significativo.
Utilizzeremo allora il modello semplificato nella versione a coefficiente costante.
Il modello semplificato prevede che le piogge mensili si trasformino in afflussi nello stesso mese, tenendo conto del coefficiente di deflusso dei bacini limitrofi. Allo scopo sono già state selezionate le stazioni più prossime al nostro bacino, anche dal punto di vista della geomorfologia.
Il coefficiente di deflusso per ogni bacino è calcolato facendo il rapporto tra il deflusso e l’afflusso mediati su tutto il periodo di osservazione.
Gli annali del servizio idrologico riportano i deflussi e afflussi mensili direttamente in mm, per cui il confronto si può fare senza tenere conto delle superfici interessate.
Mediando allora i valori su tutto l’arco di tempo si ottengono i valori della Tabella 10.
Tabella 10. Deflussi, afflussi e coefficienti di deflusso dei bacini limitrofi
bacino
|
Periodo di osservazione
|
Deflusso medio [mm]
|
Afflusso medio [mm]
|
coefficiente di deflusso
|
Ancinale
|
1968/1980
|
1292,3
|
1713,0
|
0,75
|
Alaco
|
1961/1980
|
1193,9
|
1766,3
|
0,68
|
Allaro
|
1968/1980
|
1227,1
|
1606,5
|
0,76
|
In via prudenziale assegneremo al bacino dello Stilaro un coefficiente di deflusso pari a 0,7.
[...]
I valori mediati nascondono alcuni eventi estremi: siccità prolungate e alluvioni.
Per ben otto anni (su 68 di osservazione), 1918/19/22/28/31/54/57/58 la somma delle precipitazioni dei mesi di giugno, luglio e agosto è stata inferiore a 20 mm complessivi.
Sono inoltre da segnalare quattro alluvioni.
1951: tra il 16 e il 19 ottobre si sono registrati 762 mm di precipitazione (nell’anno 1951 sono 2255,9 mm totali). I pluviometri situati più a valle, e non menzionati fin qui, hanno dato valori ancora più estremi.
1953: tra il 22 e il 28 di ottobre precipitano 654 mm di pioggia su un totale annuo del 1953 di 1941,1 mm.
1972/73: a una prima precipitazione che ha portato 435,2 mm tra i giorni 21 e 25 dicembre 1972, è seguita una seconda tra il 31 dicembre e il 2 gennaio 1973 con 459,8 mm. Complessivamente dal 21 dicembre al 2 gennaio si ebbero 1059,8 mm di pioggia.
2000: nei giorni 8/9/10 settembre si hanno precipitazioni per 631,4 mm. Il totale annuo del 2000 era di 1378,9 mm.
Descriviamo qui lo schema logico dei flussi che interessano gli impianti e alcuni tratti di alveo rilevanti ai fini paesaggistici. Per completezza sono stati riportati anche la derivazione sul torrente Fiumara Storta e l’ipotetico serbatoio sul torrente Mula, nel bacino dell’Assi. Sebbene concettualmente interessanti dal punto di vista dello sfruttamento delle risorse idriche esistono due ragioni per escluderle dal nostro progetto. La prima è la difficoltà generata dal complesso iter autorizzativo in quanto si tratta di operare una transfluenza tra bacini. La seconda è che esistono progetti analoghi al nostro per realizzare mini impianti idroelettrici nella valle dell’Assi. Tali componenti non saranno considerati nel seguito.
Nella descrizione si è tenuto invece conto delle esigenze paesaggistiche, considerando come componenti le aste corrispondenti alla cascata del Marmarico, e al tratto di alveo bypassato dall’impianto Guida (alveo Guida). Non si sono considerate le aste sulle quali devono essere rilasciati i DMV, a valle delle derivazioni per non appesantire lo schema.
Figura 42. Schema logico. Tratteggiati i componenti relativi al bacino del fiume Assi.
Partendo da monte verso valle, il primo componente è il serbatoio Pecoraro alimentato dal bacino Pecoraro. Sia lo sfioro che il rilascio volontario confluiscono nella derivazione Azzarella, dove converge anche il deflusso del bacino Azzarella.
Dalla derivazione escono due flussi: il primo va ad alimentare la cascata del Marmarico, il secondo è incanalato in condotta, e assieme al deflusso del bacino Ruggero formano la portata turbinabile nella centrale del Marmarico. La portata della cascata, quella turbinata dalla centrale Marmarico e il deflusso del bacino Guida, formano la portata in ingresso alla derivazione Guida. Anche da qui partono due flussi: il primo resta in alveo per esigenze paesaggistiche, il secondo costituisce la portata turbinabile della centrale Guida.
Anche nelle successive elaborazioni non terremo conto dei DMV per arrivare più speditamente alle conclusioni del nostro progetto di massima. Ciò non toglie che in fase di gestione il DMV sia un vincolo che deve essere adeguatamente considerato.
Le superfici dei sottobacini sono state ottenute elaborando graficamente le Carte Tecniche Regionali 1:5000 della Regione Calabria, individuando prima gli spartiacque e calcolando in seguito le superfici sottese dalle sezioni di derivazione.
Il bacino Pecoraro è il bacino sotteso dalla sezione formata dalla diga Pecoraro. La derivazione Azzarella è sulla stessa asta del bacino Pecoraro: dal bacino di domino deve essere sottratto il bacino Pecoraro.
Il bacino Ruggero è individuato dalla derivazione stessa. Il bacino di dominio della derivazione Guida comprende tutti gli altri sottobacini. Dal bacino di dominio vanno sottratti i tre sottobacini Pecoraro, Azzarella e Ruggero. Le superfici sono quelle mostrate in Tabella 11.
Tabella 11. Superfici dei sottobacini
Sottobacino
|
|
Superficie [km2]
|
Pecoraro
|
|
4,4
|
Azzarella
|
|
5,7
|
Ruggero
|
|
7,2
|
Guida
|
|
12,2
|
In definitiva l’impianto Marmarico è alimentato dai tre sottobacini Pecoraro, Azzarella e Ruggero, per complessivi 17,3 km2. Il deflusso proveniente da 4,4 km2 può essere regolato tramite il serbatoio Pecoraro, mentre quello dei restanti 12,9 km2 deve essere sfruttato così come si forma. L’impianto Guida è alimentato da un bacino di 29,5 km2, somma dei tre bacini che alimentano l’impianto Marmarico e del sottobacino Guida.
[...]
Sebbene, come premesso, i nostri calcoli prescinderanno dal DMV, riteniamo opportuno richiamarne lo scopo e i criteri di calcolo. Sempre per avere una idea dei valori in gioco il criterio adottato dalla Regione Calabria è stato applicato alle nostre derivazioni.
Nel capitolo 7 relativo alla valutazione economica cercheremo di dare un valore economico alla perdita di producibilità dovuta al rispetto del DMV.
Il Deflusso Minimo Vitale di un corso d’acqua (nel seguito DMV) è stato introdotto nel quadro legislativo nazionale dalla legge 183/1989 (art. 3, comma 1, lettera i) e successivamente è stato ripreso dal d.lgs. 275/1993, dalla legge 36/1994, dal d.lgs. 152/1999 e, infine, dal recente d.lgs. 152/2006 di recepimento della Direttiva Europea sulle Acque 2000/60. Il DMV è la portata minima necessaria per ogni tronco omogeneo del corso d’acqua a garantire la salvaguardia delle caratteristiche fisiche del corpo idrico e chimico-fisiche delle acque, nonché per mantenere le biocenosi tipiche delle condizioni naturali locali.
È importante sottolineare, che le “Linee Guida per la predisposizione del bilancio idrico di bacino, comprensive dei criteri per il censimento delle utilizzazioni in atto e per la determinazione del minimo deflusso vitale” (nel seguito LG), richiamate all’art. 22, comma 4, del D.lgs. 152/1999 ed emanate dal Ministero dell’Ambiente e Territorio con il D.M. 28/7/2004 (G.U. n. 268 del 15/11/2004), al paragrafo 7.1 definiscono il DMV come “la portata istantanea da determinare in ogni tratto omogeneo del corso d’acqua, che deve garantire la salvaguardia delle caratteristiche fisiche del corpo idrico, chimico-fisico delle acque nonché il mantenimento delle biocenosi tipiche delle condizioni naturali locali”. Le stesse LG, al paragrafo 7.2, specificano che il DMV rappresenta una portata di stretta attinenza al Piano di Tutela e che alla determinazione del DMV “attengono aspetti di tipo naturalistico e di tipo antropico caratteristici di ogni tronco di corso d’acqua di interesse”. Allo scopo di consentire la naturale variabilità del regime dei deflussi in base al quale si forma l’equilibrio fisico e biologico del corso d’acqua, può inoltre essere opportuno individuare valori del DMV differenti per ciascun mese o stagione dell’anno.
La Regione Calabria ha in fase di elaborazione la stesura del Piano di Tutela e, nel frattempo, ha individuato gli obiettivi e le priorità degli interventi del Piano di Tutela delle Acque (PTA) così come espressamente richiamato agli articoli 44 del d.lgs. 152/99 e 121 del d.lgs. 152/2006.
La fase conoscitiva presuppone un dettagliato livello di conoscenza dei corsi d’acqua, suddivisi in tratti omogenei. La complessità di tale fase richiede che il DMV possa essere definito compiutamente in termini quantitativi soltanto nell’ambito del Piano di Tutela delle Acque.
Per questa ragione, le richiamate LG prevedono al punto 7.2 che “in attesa dei Piani di tutela e comunque per i corsi d’acqua non ancora interessati dalle elaborazioni di Piano, il DMV potrà essere definito in base ai criteri e alle formule adottati dalle Autorità di bacino o dalle Regioni”.
In sintesi, nelle more dell’applicazione del Piano di Tutela, la Regione e/o l’ABR possono stabilire di assumere un parametro “standard” di valutazione del DMV da utilizzare per le concessioni di derivazione da rete idrica superficiale, che potrà essere sostituito in seguito dalle valutazioni più puntuali contenute nel Piano di Tutela adottato o approvato.
In termini normativi, esiste attualmente in Calabria un solo riferimento normativo, costituito dalla l.r. 26 novembre 2001, n. 29, recante “Norme per l’esercizio della pesca degli osteitti e per la produzione e l’incremento della fauna nelle acque interne della Regione Calabria”. Tale norma, con l’art. 22 (“Derivazioni d’acqua a scopo irriguo, industriale, idroelettrico, ecc.”) al comma 4 subordina “la concessione dell’autorizzazione … alla garanzia della sopravvivenza dell’ecosistema idrico. A tal fine, la portata idrica non potrà mai essere ridotta al di sotto del «flusso minimo vitale», il quale viene individuato nell’esatta metà della portata idrica in tempo di massima magra”.
E’ del tutto evidente che tale norma non solo è stata superata nella stessa definizione del DMV dagli importanti riferimenti normativi a essa successivi, ma ha scarso significato scientifico e difficile applicabilità. La portata di massima magra, infatti, dovrebbe essere ulteriormente definita con riferimento, ad esempio, all’anno idrologico scarso, a sua volta caratterizzato da portate medie con prefissata frequenza di superamento. Né è chiaro, ancora, come ci si debba comportare in presenza di corsi d’acqua a carattere torrentizio, peraltro frequenti nella realtà idrografica calabrese.
Pertanto, in attesa della definizione di dettaglio del DMV per ogni bacino idrografico prevista nel Piano di Tutela delle Acque, in via transitoria si ritiene necessario adottare sin da subito un criterio di calcolo dello stesso DMV di maggiore efficacia, facile applicabilità e più credibile valore scientifico, da applicare alle domande di concessione per nuove derivazioni, nonché alle domande di rinnovo di concessioni già assentite.
La definizione di un criterio pur provvisorio deve contenere aspetti che garantiscano l’applicabilità la semplicità e la verificabilità dei risultati.
Il criterio proposto dall’Autorità di Bacino regionale della Calabria si ispira a quello originariamente adottato in Valtellina con la Legge n. 102/90 e dall’Autorità di Bacino del Po, integrato con le esperienze derivanti dall’applicazione dello stesso in oltre 15 anni e, in particolare, da quanto adottato dall’Autorità di Bacino del bacino pilota del fiume Serchio.
Il metodo consiste essenzialmente nell’applicazione di una formula che prende in considerazione nove elementi:
[...]
Premettiamo che la riattivazione dei nostri impianti prevederà l’utilizzo delle parti ancora in buono stato e la sostituzione delle parti obsolete, utilizzando gli stessi siti dove possibile.
Ciononostante gli impatti della riattivazione non sono da trascurare. Ad esempio sarà necessario tracciare alcune strade per raggiungere siti che nel 1926 erano stati raggiunti solo da mulattiere, mentre le altre strade saranno interessate dal traffico dei mezzi durante le fasi di cantiere.
Occorre inoltre tenere conto della sensibilità ambientale che è cambiata negli ultimi tempi: se da un lato il DMV imposto a valle delle derivazioni tiene conto strettamente delle necessità biologiche, vi sono esigenze di tipo paesaggistico da tenere in considerazione.
In questo paragrafo descriviamo alcuni dei possibili effetti e suggeriamo delle soluzioni in modo da rendere socialmente accettabile il nostro progetto.
L’effetto più evidente dell’utilizzo degli impianti è la sottrazione di portata ai tratti di asta compresi tra i punti di derivazione e di rilascio.
L’impianto del Marmarico bypassa l’asta dello Stilaro nel vallone Folea per 3650 m, e l’asta del Ruggero (fino alla confluenza con lo Stilaro) di 2600 m. Il primo tratto comprende la Cascata del Marmarico che deve continuare ad essere alimentata nei periodi turistici.
L’impianto Avvenire invece bypassa lo Stilaro per un tratto di soli 700 m. La presenza del complesso dei Bagni di Guida e la strada che arriva a pochi metri dal fiume rendono anche questo tratto molto interessante e frequentato.
Per mitigare l’effetto della riduzione della portata, nelle ore diurne (che per semplicità faremo coincidere con le ore piene) del periodo di afflusso turistico, che possiamo individuare nei mesi da aprile a settembre, le due aste evidenziate saranno alimentate con una portata minima garantita. Il valore di tale portata potrà essere oggetto di accordi tra le parti interessate, da ottenersi eventualmente con verifiche sul campo. In questo lavoro supporremo di aver quantificato questo valore pari al minimo estivo nelle aste interessate.
Per questo motivo i componenti Cascata e Alveo Guida sono rappresentati esplicitamente nello schema di Figura 42.
Un secondo effetto della gestione degli impianti sono la conseguenza di brusche manovre dei distributori che possono causare brusche variazioni della portata. Un’apertura rapida del distributore provoca un improvviso aumento di portata a valle dello scarico. Una chiusura improvvisa provoca un aumento della portata nei tratti bypassati. Queste manovre possono essere pericolose per gli escursionisti, e rendere il letto del fiume non fruibile.
Per mitigare l’effetto della chiusura rapida sull’impianto del Marmarico, dove il problema è più evidente, si provvederà ad installare una soluzione (condotta fugatrice) che permette di scaricare l’acqua destinata alle turbine a valle dell’impianto, senza interessare la cascata e le altre zone frequentate dagli escursionisti, in caso di brusche manovre al distributore.
L’effetto che si avrebbe con l’apertura rapida, può essere eliminato eseguendo una apertura graduale del distributore.
Nel caso dell’impianto Guida, sarà sufficiente rendere accessibili al pubblico i passaggi necessari per l’ispezione dell’impianto oppure realizzare un bypass della turbina, dato il modesto salto.
L’edificio della centrale elettrica Guida è stato ristrutturato dall’ACAI che vuole farne un museo dell’energia come già descritto al paragrafo 1.3.4.
L’alloggiamento del gruppo di generazione come descritto nel paragrafo seguente, elimina il problema alla radice.
Come già detto, l’edificio della centrale è adiacente all’albergo che è stato recentemente ristrutturato. La ripresa della produzione idroelettrica potrebbe costituire un disturbo di tipo acustico.
Per ridurre il problema legato alla rumorosità e lasciare libero l’edificio attuale, si è deciso di alloggiare il nuovo gruppo di generazione in un box insonorizzato da sistemare accanto alla centrale (disegnato in blu nella Tavola 6), dalla parte opposta rispetto all’albergo in modo da avere un doppio effetto attenuante.
Tavola 9. Punti di interesse paesaggistico.
[...]
Energia idraulica nella Vallata dello Stilaro: la riattivazione delle centrali Marmarico e Avvenire tesi di laurea di Emanuele Valenti presso il Politecnico di Milano
5 Progetto di massima dell’impianto Marmarico (pdf)
In questo capitolo faremo un progetto di larga massima dell’impianto Marmarico. Dopo aver riepilogato i dati utili, sceglieremo il tipo di turbina più adatto, quindi esamineremo alcune possibili soluzioni di sfruttamento dei deflussi fin qui calcolati. Faremo poi “i conti” con il vincolo di concessione: rimoduleremo, dove necessario, le portate e ricalcoleremo le producibilità. Per arrivare a scegliere una configurazione valuteremo i costi di installazione e l’energia prodotta, calcolando un VAN parziale. Passeremo in rassegna le altre opere civili necessarie e i relativi costi. La valutazione complessiva di redditività sarà fatto al capitolo 7.
Nel capitolo 2 abbiamo descritto l’impianto Marmarico. Rispetto all’impianto del 1926 (ampliato poi nel ’52 e nel ’66) il nostro impianto prevede un diverso utilizzo del serbatoio Pecoraro, e la costruzione di una condotta di bypass della condotta forzata.
Per il resto saranno riutilizzati gli stessi siti e gli stessi tracciati. Le opere di in cemento si sono conservate abbastanza bene, le parti metalliche e il macchinario sono ovviamente inutilizzabili.
L’impianto del Marmarico ha un salto geodetico di 565 m e un salto utile di 548 m, supposto 0,97 il rendimento della condotta. Le portate sono variabili nel corso dell’anno e secondo la modalità di gestione del serbatoio Pecoraro e sono quelle già calcolate nella Tabella 26 che qui riportiamo per comodità nella Tabella 30. Ricordiamo che P sta per ore piene, V per ore vuote.
Tabella 30. Portata turbinabile alla centrale Marmarico
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Gen
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Feb
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Mar
|
Apr
|
Mag
|
Giu
|
Lug
|
Ago
|
Set
|
Ott
|
Nov
|
Dic
|
P
|
|
1,88
|
1,37
|
1,28
|
0,85
|
0,52
|
0,16
|
0,12
|
0,18
|
0,89
|
1,50
|
1,64
|
2,01
|
V
|
|
0,84
|
0,58
|
0,54
|
0,37
|
0,24
|
0,09
|
0,07
|
0,10
|
0,37
|
0,64
|
0,72
|
0,90
|
La presenza del serbatoio Pecoraro ci consente di classificare l’impianto come “impianto con serbatoio a regolazione parziale”. Se però si osserva lo schema della Figura 42, dove le superfici dei bacini imbriferi sono riportate in scala, si può vedere come la parte non regolata (quindi a deflusso naturale) sia quella maggioritaria. Il nostro impianto avrà caratteristiche intermedie.
La gestione del serbatoio Pecoraro avviene attraverso il comando della paratoia di presa motorizzata PPr2. La paratoiaPPr1 funge da guardia per la PPr2.
La paratoia di scarico PSc1 sarà azionata manualmente quando sarà necessario svuotare il serbatoio.
Figura 45. Schema idraulico serbatoio Pecoraro
Tanto la portata derivata che lo sfioro confluiscono nell’alveo dello Stilaro, a monte della derivazione Azzarella.
Figura 46. Schema idraulico derivazione Azzarella.
Le derivazioni Azzarella e Ruggero sono identiche dal punto di vista degli organi di manovra. La paratoia di scarico PSc2 (PSc3) sarà azionata manualmente quando sarà necessario svuotare l’invaso, oppure per lo sghiaiamento, quando sarà segnalato da appositi sensori.
Figura 47. Schema idraulico derivazione Ruggero.
La paratoia di presa PPr3 (PPr4) sarà chiusa solo quando occorrerà svuotare la galleria in pressione. La valvola dell’aria VA1 (VA2) eviterà in questo caso lo schiacciamento della condotta.
Le gallerie in pressione saranno intercettate all’arrivo, prima di congiungersi, tramite le valvole VWC2 e VWC3, in modo da poter operare anche con una sola delle due gallerie.
Dopo la congiunzione si ha il pozzo piezometrico PoPz1 e la valvola in testa alla condotta forzata VWC4. Detta valvola sarà chiusa quando sarà necessario svuotare la condotta o in caso di guasto alla condotta. In tal caso la valvola dell’aria VL1 eviterà lo schiacciamento.
In parallelo alla condotta forzata vi sarà la condotta fugatrice, con in testa la valvola VWC5. La condotta fugatrice è un dispositivo di protezione che serve ad evitare brusche variazioni di portata alla cascata. In caso di blocco delle turbine o chiusura della valvola VWC4 in testa alla condotta forzata deve essere aperta la VWC5 e bypassare l’impianto.
All’arrivo della condotta forzata vi è la valvola VWC6.
Figura 48. Schema idraulico di collettore, pozzo piezometrico, condotta forzata condotta fugatrice e centrale Marmarico.
[...]
[...]
[...]
Le soluzioni che esamineremo sono le seguenti:
- Gruppo unico con una sola turbina.
- Due gruppi, di diverse caratteristiche.
- Gruppo unico con due turbine sullo stesso albero.
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[...]
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Energia idraulica nella Vallata dello Stilaro: la riattivazione delle centrali Marmarico e Avvenire
tesi di laurea di Emanuele Valenti presso il Politecnico di Milano
6 Progetto di massima dell’impianto Guida (pdf)
In questo capitolo faremo un progetto di larga massima dell’impianto Guida. Dopo aver riepilogato i dati utili sceglieremo il tipo di turbina e di alternatore più adatti tenendo conto del vincolo di concessione. Valuteremo la producibilità dell’impianto ed esamineremo le opere civili e i relativi costi.
La valutazione di redditività sarà fatto al capitolo 7.
L’impianto ricalcherà quello del 1913 riutilizzando il canale, il ponte e la galleria. Il macchinario elettromeccanico, però, sarà posto all’esterno, e lascerà libero l’edificio della vecchia centrale per altri scopi.
L’impianto Guida ha un salto utile di 22,5 m, mentre le portate sono variabili nel corso dell’anno e secondo la modalità di gestione del serbatoio Pecoraro e sono quelle già calcolate nella Tabella 29 che qui riportiamo per comodità nella Tabella 76. Ricordiamo che P sta per ore piene , V per ore vuote.
Tabella 76. Portata turbinabile alla centrale Guida
|
|
Gen
|
Feb
|
Mar
|
Apr
|
Mag
|
Giu
|
Lug
|
Ago
|
Set
|
Ott
|
Nov
|
Dic
|
P
|
|
2,67
|
1,92
|
1,79
|
1,14
|
0,73
|
0,30
|
0,24
|
0,31
|
1,29
|
2,11
|
2,32
|
2,86
|
V
|
|
1,63
|
1,13
|
1,05
|
0,72
|
0,46
|
0,17
|
0,14
|
0,19
|
0,71
|
1,25
|
1,39
|
1,75
|
Il confronto tra la superficie del bacino regolata (bacino Pecoraro 4,4 km2) e quella non regolata (sottobacini Azzarella, Ruggero, Guida 25,1 km2) e il fatto stesso che la regolazione del serbatoio Pecoraro non tenga conto dell’impianto Guida, suggerisce di trattare l’impianto come del tipo ad acqua fluente.
Figura 53. Schema delle opere idrauliche dell'impianto Guida.
[...]
[...]
[...]
[...]
[...]
[...]
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Energia idraulica nella Vallata dello Stilaro: la riattivazione delle centrali Marmarico e Avvenire
tesi di laurea di Emanuele Valenti presso il Politecnico di Milano
7 Analisi economica (pdf)
In questo capitolo analizzeremo dal punto di vista economico la riattivazione dei due impianti utilizzando i dati di progetto dei capitoli precedenti. Prima però faremo alcune considerazioni di carattere economico e legislativo.
Il valore dell’energia prodotta nelle ore vuote e nelle ore piene, così pure il valore dei Certificati Verdi sono il risultato delle contrattazioni nel mercato dell’energia elettrica.
Riferendoci a valori passati abbiamo ipotizzato un valore dell’energia nelle ore piene di 25 €/MWh, dell’energia nelle ore vuote di 40 €/MWh e di 100 €/MWh per i certificati verdi.
In questo lavoro abbiamo supposto una media di 8 ore piene e 16 ore vuote nei giorni feriali, mentre tutte le ore dei giorni festivi e prefestivi sono considerate ore vuote. Su base settimanale si hanno allora 40 ore piene e 126 ore vuote. Per semplificare i calcoli si è supposto che le ore piene e le ore vuote siano uniformemente distribuite nel corso dell’anno. Entrambe queste ipotesi portano a sottostimare i guadagni ottenibili, perché parte dell’energia prodotta nelle ore piene è considerata come afferente alle ore vuote.
Ai fini del raggiungimento degli obiettivi definiti nel protocollo di Kyoto, l’Italia ha recepito la Direttiva Europea 2001/77 in tema di incentivazione della produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile con il D.lgs. n. 387 del 29 dicembre 2003.
Ai sensi dell’articolo 2, comma 1 lett. a) di detto Decreto, per fonti energetiche rinnovabili si intendono le fonti energetiche rinnovabili non fossili (eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice, idraulica, biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas). In particolare, per biomasse si intende: la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall'agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani.
Con la Legge Finanziaria 2008 e Collegato alla Finanziaria 2008 è stato individuato un nuovo sistema di incentivazione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili che prevede, in alternativa, su richiesta del Produttore:
- il rilascio di certificati verdi;
- una tariffa onnicomprensiva.
Per poter accedere all’incentivo è necessario richiedere al GSE S.p.A. il riconoscimento della qualifica di impianto alimentato da fonti rinnovabili (IAFR) utilizzando una apposita procedura, e successivamente richiedere l’emissione dei certificati verdi.
Gli impianti che possono richiedere ed ottenere la qualificazione IAFR, ai sensi dell’articolo 4 del Decreto 24/10/2005, sono gli impianti entrati in esercizio in data successiva al 1° aprile 1999, a seguito delle seguenti categorie di intervento: Potenziamento/ripotenziamento; Rifacimento; Rifacimento parziale di impianti idroelettrici e geotermoelettrici; Riattivazione; Nuova costruzione, inclusi gli impianti ibridi entrati in esercizio successivamente al 1° aprile 1999; Impianti termoelettrici che operano come centrali ibride: impianti termoelettrici entrati in esercizio anche prima del 1° aprile 1999 che operino come centrali ibride successivamente a tale data.
Nel nostro caso per entrambi gli impianti si tratta di Riattivazione di impianto (articolo 2, comma 1, lettera i del Decreto 24/10/2005) [19]: Riattivazione è la messa in servizio di un impianto dismesso da oltre cinque anni, come risultante dalla documentazione presentata all'Ufficio Tecnico di Finanza (chiusura dell'officina elettrica o dichiarazione di produzione nulla per cinque anni consecutivi), o dalla dismissione ai sensi dell’articolo 1-quinquies, comma 1, della legge 27 ottobre 2003, n. 290, ove previsto. Ne consegue che la quota di CV spettante alla produzione di energia elettrica è pari all’intera produzione annua netta effettivamente realizzata.
Il periodo di incentivazione mediante rilascio di certificati verdi ha una durata di quindici anni[1]. A partire dal 2008 i certificati verdi hanno un valore unitario pari ad 1 MWh e sono emessi dal GSE in numero pari al prodotto della produzione netta di energia, essendo 1 il coefficiente moltiplicativo per gli impianti idroelettrici. Per l’impianto Guida (impianto di potenza media annua inferiore a 1 MW) in alternativa ai CV si può richiedere l’incentivazione tramite la tariffa fissa onnicomprensiva 0.22 €/kWh [22].
Dal punto di vista economico il nostro investimento sarà di tipo “opzionale” e “marginale”. è opzionale in quanto non è obbligatorio costruire gli impianti. È marginale in quanto questa decisione non ha valore strategico, cioè non modifica la posizione di rischio, per l’investitore. È allora evidente che la realizzazione o meno sarà dettata dal solo criterio economico.
Generalmente in questo tipo di investimenti il criterio economico sopra citato e il Valore Attuale Netto (VAN) dell’investimento. L’investimento sarà effettuato solo se il suo VAN sarà positivo.
Abbiamo già applicato il metodo del VAN quando abbiamo dovuto scegliere tra le possibili configurazioni dei gruppi in centrale. Nel paragrafo 0, dove avevamo scelto la soluzione meno negativa. Quando analizziamo l’intero investimento il VAN deve essere assolutamente positivo, in caso contrario l’investimento non è conveniente e non va fatto.
L’applicazione del metodo del VAN richiede 4 passi:
- Prevedere i flussi di cassa futuri generati dal progetto;
- Individuare il costo opportunità del capitale s;
- Scontare i flussi di cassa futuri;
- Sommare i flussi di cassa scontati.
Prima di calcolare il flusso di cassa è necessario predisporre il Conto Economico per ogni anno di esercizio. Il conto economico calcola l’utile nell’anno considerando i ricavi (per vendita di prodotti e/o servizi), i costi sostenuti per ottenere i beni venduti (compresi gli ammortamenti) e le tasse sugli utili. Per quanto riguarda le tasse abbiamo supposto un’aliquota del 40%. Il flusso di cassa netto si calcola dal Conto Economico, sommando gli utili netti agli ammortamenti, in quanto, anche se inglobati nella voce dei costi, non costituiscono un flusso di cassa nell’esercizio.
Il costo opportunità del capitale s è il rendimento atteso richiesto dagli investitori per un investimento in azioni o altri titoli che abbiano lo stesso rischio del progetto. Deve riflettere sia il valore temporale del denaro sia il rischio del progetto. Nelle nostre considerazioni ipotizzeremo che sia pari al 10%.
Per attualizzare, cioè rendere equivalente ad un flusso attuale, un flusso di cassa di un anno i nel futuro occorre scontarlo, cioè moltiplicarlo per il coefficiente di attualizzazione dell’anno i, che è minore di uno [...].
A valle di calcoli eseguiti per il calcolo del VAN è facile calcolare il tempo di ritorno (PBP, Pay Back Period) e il tasso interno di rendimento (IRR, Iternal Rate of Return).
La durata degli ammortamenti riflette in genere la vita tecnica del bene che si intende ammortizzare. Questo aspetto economico è riflesso nella normativa fiscale che permette di ammortizzare i beni per una durata che dipende dalla loro natura. Così per le apparecchiature di comando e controllo il tempo di ammortamento è di 5 anni, 20 anni per il macchinario e le parti in ferro (tubazioni) e 30 anni per le opere in muratura.
Seguire il modello di ammortamento previsto dalla normativa fiscale può essere complicato, anche se ci si potrebbe basare per la valutazione su un valore intermedio, tipo 25 anni.
La normativa però permette di “accelerare” l’ammortamento dei beni in un periodo di 10 anni. Questo è quello che faremo nel seguito.
Un effetto dell’ammortamento accelerato è il differimento delle imposte. Infatti, il valore della quota di ammortamento più elevata, provoca un utile inferiore (poiché l’ammortamento va a finire nei costi) e quindi una imposizione più bassa. Il flusso di cassa è allora più elevato nei primi 10 anni. Negli anni successivi di fronte ad un utile più alto, l’imposizione fiscale è più elevata e quindi il flusso di cassa più basso.
Nel nostro lavoro supporremo una imposizione fiscale pari al 40% degli utili.
[...]
Essendo l’impianto Guida di potenza inferiore a 1 MW il gestore può scegliere la forma di incentivo: Certificato Verde oppure tariffa onnicomprensiva. A scopo di confronto valuteremo entrambe le possibilità.
[...]
[...]
[...]
[...]
Abbiamo parlato fin qui delle ricadute economiche derivanti dalla riattivazione dei due impianti. Ricadute che riguardano solamente il proprietario degli impianti, qualora decidesse di investire.
Ma la realizzazione del progetto sarà in grado di creare occupazione, in primo luogo per la necessità di otto addetti (compresi i guardiani), inoltre occorre considerare l’occupazione creata nella fase di cantiere e dell’indotto durante l’esercizio degli impianti.
La ricaduta economica, quindi, si estende più che positiva alla comunità locale, considerato anche l’apporto di stimolo che può creare una attività che prevede la presenza fattiva della popolazione locale.
Allargando ancora il respiro si è voluto guardare anche il punto di vista “globale”.
Per un sistema come quello italiano, che dipende fortemente dall’estero per le forniture energetiche, la diversificazione delle fonti è un beneficio che si ottiene dalla costruzione di impianti idroelettrici. Poiché però, come in tutti i paesi industrializzati, quasi tutte le risorse idriche sono già sfruttate, l’unico modo per incrementarne lo sfruttamento rimane la costruzione di piccoli e piccolissimi impianti idroelettrici. In questo quadro si inseriscono i nostri due impianti.
Dal punto di vista ambientale, l’energia idroelettrica ha il vantaggio di avere emissioni di sostanze inquinanti nell’acqua e nell’aria nulle, come pure è nulla l’emissione di anidride carbonica.
Poiché la quasi totalità della produzione di energia elettrica avviene in impianti termoelettrici che utilizzano combustibili di origine fossile, a ogni kWh prodotto con fonti rinnovabili, corrispondono risparmio di combustibile e riduzione di emissioni di gas serra e altri inquinanti.
Un indicatore del risparmio di combustibile potrebbe essere il fattore di conversione di energia elettrica in energia primaria, cioè le tonnellate equivalenti di petrolio necessarie a produrre 1 kwh di energia elettrica, che moltiplicato per i kwh che ci si attende di produrre dai nostri impianti, dà il risparmio di combustibile.
Risparmio di combustibile in TEP
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Fattore di conversione elettrica/primaria [TEP/MWh]
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0,187
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TEP risparmiate in un anno
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3.150
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TEP risparmiate in 30 anni
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94.505
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Si possono inoltre calcolare le emissioni evitate generando energia da fonte idroelettrica. Come riferimento per le emissioni specifiche abbiamo preso i valori da [24] che fotografa la situazione della produzione italiana nel 2007.
Emissioni evitate di
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CO2
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SO2
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NOx
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Polveri
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Emissioni specifiche [g/kWh]
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496,0
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0,67
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0,52
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0,024
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Emissioni evitate 1 anno [kg]
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8.356
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11,3
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8,8
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0,4
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Emissioni evitate 30 anni [kg]
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250.666
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339
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263
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12,1
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In un anno si risparmiano oltre 3000 tonnellate di petrolio, ma soprattutto si risparmiano oltre 8000 tonnellate di CO2 in atmosfera
Energia idraulica nella Vallata dello Stilaro: la riattivazione delle centrali Marmarico e Avvenire
tesi di laurea di Emanuele Valenti presso il Politecnico di Milano
8 Conclusioni (pdf)
Il nostro lavoro ha affrontato l’analisi del bacino imbrifero dello Stilaro, la possibilità e la convenienza economica di riattivare gli impianti idroelettrici preesistenti e abbandonati dopo le alluvioni del 1951 e del 1973.
Questo studio è cominciato con la ricerca e l’analisi ordinata dei dati idrologici, premessa indispensabile per valutare le potenzialità energetiche e il loro possibile sfruttamento. Il bacino che alimenta gli impianti Marmarico e Guida è stato suddiviso in sottobacini corrispondenti alle opere di presa. In assenza di dati, le portate sono state estrapolate considerando i bacini limitrofi.
Durante l’analisi non sono state esaminate tutte le potenzialità idrauliche del bacino che potrebbero essere affrontate in occasione di studi futuri, come ad esempio il salto di circa 60 m esistente tra il serbatoio Pecoraro e la derivazione Azzarella che ne sfrutta il rilascio.
Nello sviluppo dei progetti degli impianti si è tenuto conto dei vincoli per garantire il Deflusso Minimo Vitale, le attività turistiche e la sicurezza, limitando la portata utilizzabile rispetto alla portata disponibile e prevedendo opere economicamente rilevanti, quali la fugatrice che garantisce la continuità della portata in caso di fermo dell’impianto Marmarico.
Per ridurre gli impatti si sono riutilizzate le opere civili esistenti.
[...]
A margine dell’analisi economica sono stati richiamati brevemente alcuni aspetti sociali di un investimento produttivo, come l’occupazione e l’effetto “educativo”. Viene proposto inoltre, come appendice, uno schema di progetto per un “percorso di sensibilizzazione verso le energie rinnovabili” che potrà amplificare sia l’effetto didattico sia quello occupazionale. È anche descritto in poche parole il contesto nel quale s’inseriscono i piccoli e piccolissimi impianti idroelettrici e sono calcolati i benefici ambientali in termini di emissioni evitate e combustibile risparmiato.
Energia idraulica nella Vallata dello Stilaro: la riattivazione delle centrali Marmarico e Avvenire tesi di laurea di Emanuele Valenti presso il Politecnico di Milano
A1 Note storiche (pdf)
Durante la ricerca abbiamo trovato documenti e testimonianze che ci hanno aiutato a ricostruire qualche elemento della storia dei due impianti. Consapevoli che si tratta di un risultato molto parziale, abbiamo raccolto in quest’appendice il risultato raggiunto.
La storia dell’impianto del Marmarico inizia nel 1922, quando il 10 marzo viene presentato dalla SIC il progetto di massima dell’impianto.
Nel 1926, ottiene con R.D. 9 luglio 1926, n. 6074, la concessione per la derivazione dai torrenti Roggero, Don Luca e Folea, affluenti della fiumara Stilaro, in località Ferdinandea, nel territorio del comune di Stilo[1], medi moduli 5,333 (533,3 litri/s), atti a produrre sul salto utile di 580 m la potenza nominale di HP 4,214 per energia elettrica.
Il 29 dicembre 1928 fu approvato il progetto esecutivo redatto dall’ing. Manlio Salvetti e dal geom. Federico Pulitani, che prevedeva delle modifiche a quello di massima del 1922 tenuto a base della concessione. Le modifiche, che consistevano nell’abbassamento del punto di prelievo da 1.024 a 1.007 m, con la conseguente riduzione del salto utile da 580 a 565 m, restando invariato il punto dello scarico, furono considerate non sostanziali.
L’intero progetto avrebbe avuto un costo di 12 milioni di lire.
Gli sbarramenti sono stati costruiti da maestranze locali. Per costruire la condotta forzata e portare i macchinari nella centrale fu costruita una funicolare che da Vertice 11 arrivava fino all’ingresso della centrale.
La funicolare fu poi smontata, anche se una parte di cavo non fu recuperata ed è ancora sul posto, poiché intaccata dai contadini locali, che con l’acciaio ricavato costruivano trappole per piccoli animali.
Fu costruita dapprima la condotta forzata, chiodata, partendo dall'arrivo alla centrale: i conci preassemblati a gruppi di tre venivano calati e poi inchiodati a caldo.
In seguito fu costruita la galleria in pressione Ruggero con tubi nuovi, a partire dallo sbarramento e procedendo verso il collettore. Quindi fu costruita la galleria in pressione Azzarella con tubi riutilizzati, provenienti da un impianto silano, a partire da Vertice 11 in modo avere la sede di posa sempre libera man mano che i lavori avanzavano.
Durante la costruzione si ebbero diversi incidenti, alcuni dei quali mortali. La rottura dei freni della funicolare fece precipitare una tubazione che per poco non investì gli operai che costruivano la centrale.
Un altro incidente provocò la morte di un mulattiere, tale Simonetti, durante la risalita per portare uno dei montatori. In corrispondenza di un precipizio il mulo, cadde e nel tentativo di farlo rialzare il mulattiere venne spinto in un dirupo. Il corpo è stato recuperato solo al mattino successivo, portato alla meglio alla centrale, e poi a spalla fino al paese.
Un operaio è morto per le ferite riportate nel cantiere. Un terzo è stato colpito dal cavo della funicolare che si era spezzato durante i lavori di posa.
La centrale è stata messa in funzione con alcuni elementi ancora in condizioni precarie.
Solo nel 1938 si ha il definitivo consolidamento, a Vertice 12, della galleria in pressione Ruggero con la costruzione di muri a secco. Entrambe le gallerie in pressione erano sprovviste di blocchi di ancoraggio e sobbalzavano per i colpi d’ariete.
Anche le linee elettriche erano costruite su pali di legno provvisori con guasti frequenti, e solo negli anni successivi sono stati sostituiti dai tralicci metallici definitivi. La rottura di un filo a 20 kV causò un incidente al guardacondotte, che si salvò solo perché sbalzato sopra un cespuglio e quindi sollevato da terra.
Lo stesso guardacondotte fu vittima di una fulminazione alla linea telefonica: le protezioni furono installate solo in seguito.
Durante l’alluvione del 1951 l’acqua dello Stilaro raggiunse quasi il livello delle finestre al piano terra, rischiando di allagare la centrale. In conseguenza fu rialzato il muro di protezione e fu sbancato l’alveo mediante esplosivi in corrispondenza della centrale. Fu anche consolidata la condotta, all’arrivo, in corrispondenza dell’attraversamento del fiume.
Nel 1952 viene costruito il pozzo piezometrico e degli aerofori sugli sfioratori delle dighe Azzarella e Ruggero. Detti aerofori avevano il compito di impedire sottopressioni e agevolare il distacco della vena fluida dal paramento di valle delle due dighe.
In seguito alla costruzione della linea per Guardavalle, in conseguenza dell’aumento del carico, fu costruito un canale di gronda, che portava l’acqua dal torrente Fiumara Storta, affluente dell’Assi, a monte della presa Ruggero. Il canale era in terra, la presa in cemento ed era utilizzato nei periodi di magra.
In seguito all’espansione del mercato, e per sopperire alle magre estive, nella centralina di Ferdinandea, già adibita a cabina di trasformazione, sono installati nel 1965 e 1966, due gruppi elettrogeni (derivati da due motori navali di recupero) con potenze dell’ordine di 350 kW ciascuno.
I gruppi elettrogeni sono installati mentre si costruisce utilizzando maestranze locali la diga Giulia (in onore della contessa Panza).
L’ENEL si oppone alla loro messa in servizio e la SIC propone ricorso al Consiglio di Stato.
Nel 1971 la SIC non è ancora stata nazionalizzata nonostante amministratori e popolazioni dei comuni interessati [Serra San Bruno, Mongiana, Fabrizia, Nardodipace e, parzialmente, i comuni di Santa Caterina Jonio, Isca sull'Jonio e Guardavalle] lamentano insistentemente: bassa tensione a causa dello stato deteriore delle linee; continui disservizi e frequenti interruzioni dell'energia; mancanza di fornitura di energia elettrica per uso AD (applicazioni domestiche); disalimentazione degli impianti delle contrade rurali; ritardi di alcuni mesi negli allacciamenti […]. La nazionalizzazione della suddetta società […] è pure richiesta dal personale dipendente che, oltre ad avere un trattamento economico normativo, assistenziale e previdenziale notevolmente inferiore[2] a quello dei dipendenti dell'ENEL, è costretto ad uno sfruttamento di natura medioevale[3].
La partita sulla nazionalizzazione si stava giocando sul fatto se l’acquisto di energia dall’ENEL da parte della SIC fosse di tipo “occasionale” o “ricorrente”.
Allo scopo di ridurre al minimo i disagi dell'utenza, il ministero concesse alla SIC di acquistare dall'ENEL, nelle more del giudizio, l'energia necessaria a soddisfare le necessità degli utenti, con riserva di qualificare gli acquisti anzidetti come occasionali e non ricorrenti oppure ricorrenti e non occasionale solo dopo la definizione del giudizio. Con decisione del 5 febbraio, il Consiglio di Stato accolse il ricorso dell'impresa riconoscendo alla stessa il diritto di utilizzare i gruppi elettrogeni a suo tempo installati. In conseguenza, gli acquisti di energia effettuati dall'impresa stessa erano da considerare occasionali e non ricorrenti[4].
Nel 1972 viene completato il rivestimento in cemento della galleria in pressione Azzarella e dei tratti più accessibili e più malandati della galleria in pressione Ruggero.
Il primo gennaio 1973 a seguito delle piogge intense dei giorni precedenti uno smottamento causa la rottura della condotta forzata. La condotta dapprima si era deformata e poi rotta definitivamente, causando spruzzi visibili dall’abitato di Bivongi a quasi 6 km di distanza.
I danni furono stimati in 20/40 milioni di lire. I proprietari, consigliati dal ragioniere Riva, decisero di non riparare l’impianto che poco dopo fu nazionalizzato.
L’ENEL subentrata alla SIC nel 1974 decise la chiusura definitiva della centrale, cessando il presidio dell’impianto. Gli operai furono ricollocati nelle sedi ENEL di Serra San Bruno e Vibo Valentia.
Negli anni ‘90 una società acquista dall’ENEL tutto l’impianto, e nel 2003 manifesta al Comune di Bivongi l’intenzione di riattivare l’impianto. Il Comune nella seduta del 19 aprile del 2004 approva un protocollo d'intesa per la riattivazione della centrale idroelettrica del Marmarico, che prevedeva un investimento tra i sei e gli otto milioni di euro.
A1.1.1 Gestione
L’impianto inizialmente prevedeva il funzionamento in isola, alimentando solo alcuni comuni vicini, mediante una serie di linee che partivano dalla centrale.
Per evacuare l’eccesso di potenza si eseguiva il parallelo con la rete della SEC. Lo stesso collegamento fu successivamente utilizzato per acquistare energia elettrica dall’ENEL e rivenderla ai propri utenti.
Per sopperire alle magre estive è stata costruita prima una derivazione sul torrente Fiumara Storta nel bacino dell’Assi, e successivamente è stato realizzato l’invaso pecoraro, con la costruzione di una piccola diga sullo Stilaro. Immediatamente prima della costruzione della diga la produzione nel periodo estivo era integrata da due gruppi elettrogeni nella centralina di Ferdinandea (nell’edificio della centralina del Fazzari del 1892).
A1.1.2Personale e mansioni
Complessivamente la SIC occupava circa 20 operai nel settore elettrico su un totale di 200 addetti, comprendendo le attività agricole e boschive.
In centrale lavoravano 4 operai. Erano divisi in due squadre che si avvicendavano ogni 48 ore. Gli operai di una squadra alternavano 4 ore di riposo a 4 di turno, nelle 48 ore. L’appartamento degli operai era attiguo alla sala macchine, e il macchinario era molto rumoroso (nonostante la centrale fosse in una gola, si sentiva il rumore a chilometri di distanza, quando le porte della sala macchine erano aperte).
Il livello d’istruzione tecnica era molto basso: i primi operai erano artigiani locali convertiti a operai elettrici. La seconda generazione erano i figli o parenti di tali operai, anche loro senza cognizioni di elettrotecnica.
Gli operai raggiungevano il posto di lavoro risalendo il letto fiume a partire dall’abitato, passando per la centrale Guida. Le piene invernali costringevano a percorsi più lunghi. In occasione di grosse piene rimanevano isolati e, in caso di fermo delle macchine, al buio e al freddo.
Compito degli operai in centrale era commutare le linee in partenza ed eseguire il parallelo con la SEC su comando telefonico dagli uffici di Ferdinandea.
In caso di grossi guasti collaboravano alle riparazioni dei tecnici specializzati inviati dalle ditte produttrici dei macchinari, oppure di bravi meccanici locali. Ad esempio il danneggiamento degli avvolgimenti degli alternatori a causa di scariche atmosferiche sulle condotte era un evento non troppo raro.
A sorvegliare le condotte c’era un guardacondotte che abitava con la famiglia a Vertice 11. Compito del guardacondotte era fare piccole riparazioni sulle condotte e segnalare e intervenire insieme con altri operai sui problemi più importanti. Nei periodi di utilizzo, veniva sorvegliato anche il canale proveniente dalla Fiumara Storta.
Le piccole falle erano tappate con i “pirùni” (bastoncini di legno, in dialetto locale). Questi all’inizio erano effettivamente piccoli cunei di legno che venivano inseriti a forza nei fori della condotta assieme a degli stracci. Nel seguito sono stati sostituti da guarnizioni di gomma trattenute sulla falla con una vite, e ancora visibili numerose, sulla condotta Ruggero. Racconta l’ultimo guardacondotte che su un tratto di tubazione era arrivato a inserire fino a 1000 di questi “pirùni”. Le falle erano provocate dai colpi di ariete, prima della costruzione del pozzo piezometrico nel 1952. La galleria in pressione Azzarella è stata in seguito rivestita di cemento a causa delle numerosissime falle che si erano accumulate nel tempo.
Per gli interventi più importanti, come sostituzione di guarnizioni, si fermavano le macchine, anche di notte. Gli operai in centrale mantenevano però la colonna d’acqua in condotta, per riprendere celermente il servizio.
Il guardacondotte inoltre doveva portare i rapportini di produzione dalla centrale fino agli uffici di Ferdinandea, seguendo quasi lo stesso percorso dei tubi.
Altro ruolo importante nella produzione erano i guardafili, cui spettava il compito di sorvegliare e riparare le linee elettriche.
Gli altri lavoratori dell’azienda elettrica erano addetti alla contabilità, negli uffici di Ferdinandea, e addetti alle riscossioni che giravano per i paesi.
A1.1.3 L’alluvione del 1973
Pur non essendo la più rilevante per quantità di pioggia caduta, l’alluvione del 1973 è quella il cui ricordo è più sentito negli operai ancora in vita, perché più recente, ma soprattutto perché ha determinato la chiusura della centrale.
Abbiamo trovato coinvolgente il racconto del guardacondotte Vincenzo Coniglio che riportiamo quasi integralmente. Ricordiamo solo che in quell’occasione a una prima precipitazione di ben 435,2 mm tra i giorni 21 e 25 dicembre 1972, è seguita una seconda tra il 31 dicembre e il 2 gennaio 1973 con 459,8 mm di pioggia. Racconta Coniglio:
La mattina del primo gennaio del ‘73 era uscito finalmente il sole dopo tre giorni e quattro notti di pioggia. Presi la mia seicento e mi avviai verso Vertice 11 [Coniglio vi abitava insieme con la famiglia] dove c’è mio padre.
[Durante il viaggio] passando nei piani di Monte Campanaro sembrava di essere nel mare. Alla galleria l’acqua del ruscello saltava fin sopra al cofano della macchina. A Ferdinandea la tempesta aveva spazzato via i muri a secco. Giunsi finalmente a Vertice 11, da mio padre, ero salvo.
Mi avviai quindi per verificare che la tempesta non l’abbia spezzata, facendo il solito percorso. Circa all’altezza della cascata vidi che la condotta si era piegata, a causa di un cedimento del terreno, ma era ancora integra. Scendendo più in basso scorsi la centrale tutta intera, per fortuna.
Arrivato alla centrale, trovo Vincenzo Tisano [uno dei due operai di turno che non avevano avuto il cambio, e di cui non si avevano notizie dall’inizio dell’alluvione] che aveva acceso un fuoco per scaldarsi. La sala macchine, di solito torrida per le perdite dei macchinari era gelata, poiché la centrale aveva già smesso di funzionare. Gli chiesi allora notizie del collega. Pasquale Simonetti era andato a verificare che il ponte sul torrente Sant’Ilario fosse ancora integro.
Presi allora il “rapportino” da consegnare agli uffici a Ferdinandea e mi accinsi a risalire. Incontrai allora il Simonetti che stava tornando in centrale e che mi chiese: “Coniglio! Che cosa è successo là sopra?”. Dalla sua posizione, Simonetti era riuscito a vedere il giudizio [universale] prodotto dalla rottura della condotta nel punto in cui si era deformata. [Nonostante la centrale fosse ferma, la condotta era alimentata e pronta a riprendere il servizio. Gli spruzzi provocati dalla rottura della tubazione erano visibili anche dall’abitato di Bivongi, a circa 5 km di distanza].
Era allora necessario risalire fino a Vertice 11 e chiudere la saracinesca principale. Ma tutti i sentieri e la mulattiera erano invasi dall’acqua che sembrava sgorgare anche dalla nuda roccia, per cui fui costretto a fare un giro molto più lungo. Finalmente arrivai a Vertice 11, sudato e per la fatica e per la paura.
Chiusi la saracinesca principale, poi mi avviai verso la diga di Ruggero per chiudere la paratoia in partenza. Ma il passaggio sulla diga era ostruito da rami e tronchi trascinati dalla corrente. Mi incamminai allora verso la diga di Ferdinandea [Azzarella]. Per strada incontrai un altro operaio, inviato per vedere cosa fosse successo, che mi chiese: “La centrale c’è ancora?”, io lo rassicurai e proseguii per la mia destinazione. Arrivato alla diga, vidi che era completamente interrata. Non c’era bisogno di chiudere nulla!. Il mio compito era terminato e, così, anche il mio lavoro per la SIC.
A1.1.4 Il rapporto tra SIC e comune di Bivongi
Della documentazione concernente la centrale, il comune di Bivongi conserva solo un fascicolo relativo alla controversia tra Comune e SIC, riguardo alla vendita del terreno occupato dall’impianto. Questo paragrafo riassume la situazione ed è basato su documenti contenuti nel suddetto fascicolo.
Nel novembre del 1925, la SIC è in trattativa con il comune di Bivongi per la “cessione gratuita” della striscia di terreno, che sarà calcolata in seguito in 85.000 m2, che sarà occupata dagli impianti, in cambio della costruzione, da parte della SIC, di una strada, larga sei metri, dal casino del comune in località Bucolia, fino alla statale 100 (in seguito SS110, oggi SP9).
All’epoca come del resto oggi, i boschi del comune di Bivongi, in quello che sarà definito nei documenti il “demanio di montagna”, erano intensamente sfruttati per la produzione di legname, che poi doveva essere avviato verso la “carrozzabile”. Il comune avrebbe tratto vantaggio dalla costruzione della strada, per l’evidente aumento di valore dei boschi.
Il comune inoltre pretendeva che la concessione di sfruttamento fosse di 29 anni, al termine dei quali tutti gli impianti sarebbero divenuti di proprietà del comune. Questo era in contrasto con la concessione statale con una clausola analoga della durata di 60 anni. Poiché gli interessi del comune scompaiono rispetto a quelle dello Stato[6] , il consiglio comunale rinuncia alla clausola della concessione per 29 anni. In cambio la SIC s’impegna a costruire la strada aumentando la larghezza a otto metri.
Le opere di scavo vengono autorizzate dal comitato forestale nel novembre del 1926.
A partire da questo momento il complesso iter burocratico procede su due livelli. La SIC riesce ad ottenere le autorizzazioni ministeriali, del genio civile e delle amministrazioni forestali. Nei confronti del comune di Bivongi il comportamento è di rinvio ed elusione, se non di prepotenza, come testimoniato dal fitto carteggio. Tra il 1930 e il 1946 si alternano alla guida dell’amministrazione 5 podestà e 11 commissari prefettizi (anche se spesso le stesse persone coprivano le cariche in diversi periodi) senza che si trovi una soluzione, mentre la SIC persegue profitti dall’impianto.
A lavori abbondantemente avviati, nel marzo e nell’aprile del 1928 il comune sollecita la SIC, a regolarizzare la sua posizione verso il municipio. In maggio in una lettera al Prefetto, il sindaco si lamenta per il silenzio della SIC. Il municipio non è al corrente nemmeno delle dimensioni dell’impianto, tanto che chiede delucidazioni al Genio Civile, per far valere il diritto alla riserva di energia, in quanto comune rivierasco[7].
Il consiglio comunale delibera di far valere il diritto alla riserva (quantificato nel 10% dell’energia prodotta), e in una successiva seduta delibera la vendita alla SIC della striscia di terreno attraversata dagli impianti. Il valore dovrà essere determinato da esperti del Genio civile e dell'ufficio forestale.
A ottobre il comune chiede al Regio Commissario per la liquidazione degli usi civici e al Prefetto chiarimenti sul fatto che il comune di Stilo avrebbe venduto alla SIC il terreno dove si sta costruendo l’edificio della centrale. Il comune di Bivongi rivendica invece la proprietà del terreno.
In effetti, il comune di Stilo aveva venduto il terreno in oggetto, m2 1660 in località Finocchio, per 1.500 lire. Dall’archivio di stato fanno presente che la divisione tra comuni dell’ex contea di Stilo è contenuta in un verbale del 30 maggio 1811. La SIC sembra prendere atto, e chiede al comune di Bivongi anche la vendita del terreno della centrale.
Il comune pretende per la cessione del terreno lire 10.000 a forfait e la costruzione della strada dal casino del comune di Bucolia fino alla statale, inoltre il comune pretende il libero accesso su tutte le strade costruite dalla SIC per lo sfruttamento dei boschi, e la costruzione di passaggi adeguati sulle condutture onde non creare una divisione artificiale dei terreni attraversati.
Nel maggio del ‘29 il comune chiede ancora alla SIC di iniziare le trattative sulla riserva di energia. La SIC risponde lamentandosi per le condizioni gravose imposte dal comune, per il prezzo esagerato di 10 mila lire per un terreno roccioso e improduttivo, per il fatto che la clausola della costruzione della strada sia del tutto estranea all’atto della vendita, e del fatto che il terreno della centrale era stato acquistato dal comune di Stilo. La società ritiene inoltre che il comune rivierasco sia Stilo, per cui la riserva di energia sarà destinata a Stilo. Dovrà essere comunque un’autorità superiore a decidere.
La SIC chiede insistentemente il restringimento da sei a quattro metri. Il segretario comunale risponde che il podestà ha chiuso un occhio su tutte le irregolarità della SIC, assumendosi delle critiche e delle responsabilità. Quindi se già ha accettato la riduzione da 8 a sei metri, non può accettare la riduzione a 4.
Il 21 dicembre del ‘29 il consiglio comunale approva una minuta del contratto, necessaria per completare la sdemanializzazione dell’area. Essa prevede la vendita della striscia di terreno attraversata dagli impianti e del terreno dove sorge l’edificio della centrale, di complessivi 85.000 m2 alle condizioni: a) pagamento a forfait di lire 10.000; b) costruzione entro sei anni da parte della sic di una strada larga sei metri dalla località Bucolia fino alla rotabile nazionale; c) costruzione di passaggi sopra condutture e canali; d) concessione della SIC del libero accesso a tutte strade costruite.
Il carteggio s’interrompe fino al 1934, quando s’insedia il podestà cav. Simonetti Giuseppe che invia una lettera alla SIC, nella quale lamenta che l’occupazione del terreno è già avvenuta mentre la società non ha onorato nessuno dei suoi impegni, e invita a regolarizzare la situazione.
Nasce una trattativa che si trascina fino al 1936 quando il podestà scrive al Regio Commissario per gli usi civici e al Prefetto per spiegare la situazione: la SIC ignora gli inviti del comune e la situazione di bilancio non consente di agire per vie legali. Si chiede consiglio su come far valere i propri diritti.
Segue un carteggio amichevole con la SIC. Ma questa si lamenta delle clausole del contratto che non sono chiare: il terreno da vendere non è stato delimitato, ecc... Tanto basta per ritardare ulteriormente.
Nel 1938 la SIC chiede alla Milizia Forestale l’autorizzazione per l’apertura di due cave di pietra da utilizzare per il consolidamento del vertice V12. Il comune nega il nulla osta, riferendosi ai mille abusi che la SIC sta compiendo sul territorio. I lavori vengono comunque eseguiti.
Nel 1939 la SIC chiede al comune di rivedere alcune clausole: rinuncia alla strada Bucolia/Statale 100 in cambio di un compenso da pattuire e rivedere in senso logico la costruzione di passaggi sopra condutture e canali larghi sei metri e a distanza di non più di trecento metri. In alcuni punti sono effettivamente non realizzabili e del tutto inutili. Il comune deve inoltre dimostrare di essere proprietario del terreno della centrale, prima di procedere all’acquisto.
Nel 1940 la SIC non solo non ha costruito la strada, ma blocca l’accesso e la costruzione della strada di tale Zirilli, che aveva ottenuto lo sfruttamento del bosco di Lenza, impedendo, di fatto, il trasporto del legame. Il comune farà causa alla SIC e la vincerà.
La strada in questione sarebbe stata costruita da Zirilli, con evidente sgravio per la SIC. Questo rifiuto conferma che non erano motivi di economia a trattenere la SIC dal costruire la strada dal Bucolia alla rotabile, ma il fatto che su questa strada vi sarebbe stato il “libero accesso”. La concezione di tipo esclusivistico dell’uso dei boschi e del territorio arrivava al punto che la SIC aveva anche provato a imporre il divieto alla raccolta di funghi, alla raccolta di legna da ardere e perfino di arbusti utilizzati per la confezione di cestini, come hanno testimoniato i discendenti di alcuni guardiani. I guardiani stessi hanno consigliato di rinunciare a queste pretese, per evitare problemi con la popolazione che da sempre usufruiva di queste risorse senza intaccare il valore dei boschi.
Nel 1952 la SIC chiede al comune la vendita del terreno per la costruzione del pozzo piezometrico. Il comune risponde che la vendita non è possibile, perché area demaniale. Il pozzo piezometrico viene costruito.
La lite è ancora irrisolta nel 1953. Il fascicolo si chiude senza che sia possibile stabilire se, quando e a che condizioni la transizione sia avvenuta.
A1.2 Costruzione gestione e dismissione dell’impianto Avvenire
L’impianto Avvenire venne costruito a Bivongi, in località “Bagni di Guida” dopo che il 16 febbraio del 1913, fu costituita con rogito notarile del notaio Taverniti Pasquale, la Società Anonima per azioni a capitale limitato “L'Avvenire” di Bivongi, autorizzata ad agire con decreto del 13 giugno dello stesso anno dal tribunale di Gerace Marina (odierna Locri) [16].
Figura57. Certificato azionario della SA.
Accanto ai cittadini più abbienti ideatori del progetto, “Avvenire” un nutrito numero di cittadini divenne socio partecipando ai lavori di costruzione.
L’edificio della centrale, il canale, la galleria, e i tralicci delle linee elettriche e il montaggio di buona parte dei macchinari furono affidati a maestranze locali che per la perizia con la quale eseguirono i lavori, suscitarono ammirazione e apprezzamento nei tecnici lombardi.
La Marelli, invece, vista la difficoltà dei collegamenti aveva garantito la consegna dei macchinari solo alla stazione ferroviaria di Monasterace. I macchinari furono portati con carri nei pressi del paese di Bivongi e dopo con slitte trainate da buoi, lungo il greto del fiume per circa 5 km. Fu grande la sorpresa dei tecnici che furono chiamati a montare i macchinari ad appena un mese dalla consegna.
Ad appena un anno dalla costituzione della società, la centrale fu ultimata, e pronta a essere messa in funzione. L'inaugurazione ufficiale avvenne il 12 giugno 1914.
Ciò che avvenne il giorno dell’inaugurazione è riportato in un enfatico articolo di Franco Bova pubblicato sul periodico “Terra Nostra” che riportiamo quasi integralmente in un paragrafo successivo.
Per sopperire al periodo di magra estiva del fiume, fu installato in centrale un motore supplementare a petrolio collegato ai generatori esistenti mediante lunghe cinghie in cuoio.
In seguito lo stesso motore, insufficiente allo scopo, fu sostituito da una centralina termica con motori Diesel, progettata dall'ing. Campagna di Riace, e realizzata da maestranze locali.
Nel 1932 anche la società “Avvenire” viene acquistata dalla SEC, società creata dal gruppo SME dopo l’acquisizione e la riorganizzazione della “Industrie Elettriche Calabresi” e la “Riunite di elettricità”.
Nel 1955 la centrale fu abbandonata perché non più remunerativa.
Nel ‘94 il comune di Bivongi ha acquisito lo stabile della centrale idroelettrica “Guida”, dismessa nel 1953 in seguito all'alluvione di qualche anno prima.
L'immobile è stato successivamente ristrutturato dall'ACAI e integrato nell’Ecomuseo delle ferriere e fonderie di Calabria.
Con un protocollo d'intesa nel 2006 lo stabile è stato assegnato alla “Ebs srl” di Polistena, per la riattivazione della centrale com'era all'origine.
Figura 58. La centrale Guida prima del restauro.
“la luce elettrica a Bivongi”
La luce elettrica a Bivongi.
Il nostro piccolo e industrioso comune […] ha oggi solennemente festeggiato una bella e confortante festa civile.
La geniale iniziativa.
L’idea di un impianto idro-elettrico che provvedesse ai bisogni dell’illuminazione e delle piccole industrie locali, fu lanciata da un gruppo di volenterosi cittadini. E mentre in Calabria vi è viva diffidenza per ogni forma di associazione, qui l’idea incontrò subito il favore della cittadinanza, e si addivenne alla costituzione legale di una società anonima denominata L’Avvenire, col capitale sociale di £ 100.000. Scopo della Società: utilizzare il carbone bianco dello Stilaro, che nascendo fra le rupi scoscese dell’interminabile foresta di abeti e faggi di Ferdinandea […] va a perdersi dopo un lungo e pittoresco percorso nelle glauche onde del mar Jonio. Cosicché grazie all’instancabilità operosa del suo benemerito presidente signor Giuseppe Simonetti e del Consiglio di amministrazione composto dei signori avv. Fiorenza Camillo, Murdolo Francescangelo, Pisani Giuseppe, sac. Raspa Giovanni e Valenti Domenico, che lo coadiuvarono costantemente rimanendo sempre vigili e forti al loro posto di lavoro, in breve giro di tempo, questa popolazione ha potuto con giubilo vedere realizzare uno dei più grandi sogni.
I festeggiamenti
Dai paesi circonvicini, attratti dai festeggiamenti e dalla domenica splendidissima e fresca per avere ieri alquanto piovuto, si è riversata una quantità enorme di gente. Le vie sono gremite, la musica del comune di Guardavalle, dappoiché quella locale, floridissima in passato, attraversa una crisi di dissolvimento, percorre le vie del paese.
Alla centrale Idro-Elettrica
Alle ore 7 a.m. dalla sede degli uffici della società muove il corteo imponentissimo per recarsi all’officina elettrica, che sorge superba a quattro chilometri ad ovest dell’abitato, e propriamente nella contrada detta “Acque Sante” […].
Il battesimo delle macchine
Alle ore 8, dopo una faticosa tappa si raggiunge l’officina, che attorniata da una calca di uomini, di donne e di fanciulli appare come una nitida e bianca casetta di villaggio in un giorno di festa. IL rev. Sac. Giovanni Raspa, in rappresentanza del Vescovo della diocesi di Squillace […] fra religioso silenzio frammisto ad un’intensa emozione, impartisce al complicato e potente macchinario d’acciaio la benedizione di rito, mentre la madrina scelta nella graziosa signorina Mariuccia Michelotti, con simpatico slancio, al suono della marcia reale e fra lo sparo dei mortaretti al cui eco si ripercuote nella vallata, infrange la tradizionale bottiglia di champagne.
Il macchinario
Sorridenti e soddisfatti dell’opera compiuta, stanno ai lati dei due gruppi di macchine gli ingegneri elettrotecnici Moncalvi di Pavia, e Scavini e Fulci della rinomata Ditta E. Marelli di Milano, i quali con squisita cortesia non si stancano di dare spiegazioni su ogni singolo apparecchio agli intervenuti che continuamente li interrogano. – Lo sviluppo dell’impianto è di 240 cavalli di forza – mi diceva il forte simpatico montatore Carcano – e quanto ella vede di materiale elettrico è stato fornito dalla ditta Marelli, mentre quello meccanico è della Ditta Moncalvi, sedente in Pavia, alla quale io appartengo in qualità di operaio meccanico. Il sig. Fulci rosso e rubicondo in viso, sfinito un po’ dall’accelerato lavoro di quest’ultimi giorni mi dice: - Energia ve ne sarà in esuberanza e la Società potrà benissimo fare impianti pubblici e privato in altri quattro o cinque comuni del mandamento, mentre di giorno l’energia potrà essere adibita a forza motrice.
L’arrivo delle autorità
Alle dieci si è novellamente in paese, il popolo si riversa sulla strada rotabile per andare incontro alle autorità. Alle undici infatti giungono in automobile calorosamente festeggiati il sottoprefetto di Gerace cav. Mangeri e il consigliere provinciale Spartaco Fazzari. Accompagnati dall’intero Consiglio Comunale, essi si recano in casa della signora Luisa Bombardieri, vedova cav. Michelotti dove ha luogo il pranzo di galà offerto alle autorità e ai sindaci dei vari comuni del mandamento.
La cerimonia inaugurale
Lì’ampia aula elettorale elegantemente addobbata con bandiere e festoni, essendo le 8 di sera, si va gremendo di invitati e di uno scelto pubblico. Giunge il sottoprefetto con le autorità, la musica di fuori suona instancabilmente, mille voci di evviva si alzano al cielo. Di un flat le tenebre vengono fugate, la sala è rischiarata a giorno, centinaia di lampadine elettriche indorano di densa e bianca luce le vie del paese che assume un aspetto caratteristico e bello. Scrosciano gli applausi: su tutti i volti si legge una gioia commossa. E cominciano i discorsi. Prende per primo la parola il Presidente Simonetti che dice sentite grazie agli intervenuti e manda un saluto di ringraziamento e di plauso alla Ditta Marelli […] nonché alla Ditta Moncalvi; accenna agli sforzi sovrumani sopportati con coraggio dalla Società ed a tutti gli ostacolo in frapposti dalla natura e dagli uomini. Legge infine numerosi telegrammi di adesione […]. Avuta la parola il Sindaco avv. Camillo Fiorenza […] fra uno scroscio di applausi calorosi così termina il suo discorso: “Auguro alla Società L’Avvenire un successo degno del fatidico nome a cui si intitola, auspicando alla nostra patria un maggiore lustro e splendore, in modo che il suo nome sia non solo temuto ma invidiato; alla nostra nobile, generosa e derelitta Calabria, un risveglio sempre più crescente; e al nostro paese un miglioramento corrispondente alle sue ispirazioni per il trionfo dei suoi ideali”. Segue brevemente il consigliere provinciale Spartaco Fazzari […] per salutare i forti e coraggiosi lavoratori bivongesi […]. Anche il sottoprefetto compreso di entusiasmo per le accoglienze avute coglie l’occasione per ringraziare […]. Il prof. Sac. F. Bova legge poi una ispirata ode da lui composta per l’occasione. Segue il sindaco di Pazzano sig. Francesco Vavalà […]. Moltissime le signore e signorine intervenute […]. Alla fine dei discorsi sono stati offerti rinfreschi, dolci e liquori a profusione. Le feste hanno avuto termine con uno scelto concerto eseguito in piazza dalla musica di Guardavalle. Esse hanno lasciato nel cuore di tutti un ricordo indimenticabile, e segneranno – lo auguriamo – l’inizio di un progresso più intenso sulle vie della civiltà per le quali il nostro paese s’è ormai decisamente avviato.
Francesco Bova.
In un primo periodo era la società Avvenire a gestire l’impianto dove lavoravano tre operai con turni di otto ore ciascuno. La società possedeva sei delle venti stanze dell’attiguo albergo. Tre di queste erano destinate agli operai della centrale.
In seguito la centrale fu affidata a cottimo a vari gestori locali.
Compito degli operai era eseguire la manutenzione ordinaria del macchinario e vigilare sullo scatto dell’interruttore automatico.
Dovevano inoltre tenere pulito il canale e il resto dell’impianto. La pulizia della vasca di carico, sprovvista di scarico di fondo, avveniva trasportando la ghiaia attraverso la galleria, con una comune carriola. L’impianto doveva essere fermo essendo la galleria completamente sommersa durante il funzionamento.
Oltre agli operai della centrale occupava degli elettricisti nei paesi serviti: Bivongi, Pazzano e Stilo.
Energia idraulica nella Vallata dello Stilaro: la riattivazione delle centrali Marmarico e Avvenire tesi di laurea di Emanuele Valenti presso il Politecnico di Milano
A2 Un percorso di sensibilizzazione verso le energie rinnovabili (pdf)
In quest’appendice esaminiamo le altre possibilità di generazione da fonte rinnovabile nella Vallata, con progetti allo studio o in fase di realizzazione. Approfitteremo della concentrazione di impianti a fonte rinnovabile (idraulica, solare fotovoltaica, eolica, biomasse) che si prospetta nel futuro per proporre la creazione di una specie di “parco dell’energia rinnovabile”, che noi abbiamo chiamato “Un percorso di sensibilizzazione verso le energie rinnovabili”.
Figura A-1. Il logo del "percorso"
Nota: Alcuni particolari del logo sono ispirati a icone presenti sul sito web www.isesitalia.it. Le immagini presenti nei cartelloni sono immagini di pubblico dominio provenienti da USGS, NASA e altre fonti, oppure elaborazioni delle stesse.
A2.1 Altre energie rinnovabili nella vallata dello Stilaro
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A2.2 Percorso di sensibilizzazione
Lo scopo del nostro percorso didattico sarà fornire al pubblico, principalmente scuole, una visione d’insieme delle opportunità e delle problematiche legate alla produzione di energia elettrica con fonti rinnovabili.
Dato l’ampio spettro del pubblico verso cui è rivolto il nostro progetto, si è preferito affiancare al linguaggio tecnico, il linguaggio comune, sacrificando a volte il rigore a favore della chiarezza dell’esposizione.
Abbiamo immaginato il nostro percorso didattico senza porci alcuna limitazione preventiva: gli impianti nella vallata sono stati tutti realizzati come previsto. Sono aperti al pubblico per visite guidate (in giorni fissi o su appuntamento) e hanno locali da destinare al materiale del nostro percorso. Abbiamo la possibilità di realizzare modelli funzionanti d’impianti che illustrano il loro funzionamento e sui cui si possono fare esperimenti, e abbiamo a disposizione locali da destinare a laboratorio per accoglierli. Abbiamo capacità grafiche per realizzare modelli virtuali di impianti e parti, siamo in grado di realizzare accattivanti cartelloni e brochure. Possiamo stampare e distribuire brevi testi di accompagnamento e dvd.
Una volta svincolatici da limiti di budget, di spazi e di capacità artistiche possiamo dedicarci ai contenuti tecnici.
Base logistica del progetto sarà un laboratorio, attrezzato per fare piccoli esperimenti dimostrativi, che fungerà anche da spazio espositivo, e dal quale partiranno le visite verso gli impianti.
Il nostro progetto ha una struttura modulare: i moduli possono essere “connessi” creare percorsi adatti a target specifici. I moduli che proponiamo si stratificano su quattro livelli:
o Livello “impianti”: visite guidate negli impianti in attività;
o Livello “esperimenti”: modelli funzionanti per esperimenti, plastici 3d, prototipi;
o Livello “cartaceo”: cartelloni e minitesti;
o Livello “virtuale”: web e dvd multimediali.
Con modesto sforzo d’immaginazione si potrà allargare il percorso aggiungendo altri moduli in modo da comprendere altri argomenti attinenti l’energia, le fonti rinnovabili e lo sviluppo sostenibile.
A.2.2.1Moduli “Impianti”
Gli impianti saranno presentati con due flussi: il flusso della materia e il flusso dell’energia. Nei locali messi a disposizione negli impianti si possono implementare i moduli esperimenti, cartacei e virtuali.
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A.2.2.2Moduli “Esperimenti”
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A2.3 Il minilibro dell’energia rinnovabile
In questa appendice riportiamo il “minilibro dell’energia rinnovabile” realizzato per il nostro percorso.