- Premessa
- Introduzione
- Capitolo 1. La documentazione edita
- Capitolo 2. Stato della storiografia, degli studi e proposte attuali di lettura
- Capitolo 3. Altra documentazione esistente fra '500 e'700 (documentazione inedita)
- Capitolo 4 - Un aspetto nuovo: il rifacimento della Vita di San Giovanni
- Abbreviazioni
Il monastero calabro di San Giovanni Therestis: documentazione e tradizione fino all'età moderna
Tesi di laurea di di Paola Gaglioti presso L'università degli Studi di Torino
Premessa (pdf)
Per un lungo periodo di tempo, che va dal VI all'XI secolo, le regioni dell'Italia meridionale appartengono all'Impero Romano d'Oriente.
In detto periodo, alcuni avvenimenti furono causa di una massiccia, emigrazione di monaci orientali verso la Sicilia e la Calabria.
Nel VII secolo, il sorgere della potenza arabo-maomettana mise in fuga molti anacoreti dimoranti nei deserti di Siria, Egitto, Libia.
Leggi iconoclaste, (distruzione delle sacre immagini), proclamate dall'imperatore Leone Isaurico, diedero origine, nel secolo successivo, ad un esodo massiccio di asceti, che fuggirono con le sacre icone. Dal IX secolo si trasferirono infine in Calabria i monaci della Sicilia, Invasa dagli Arabi.
Questi asceti, all'interno della regione scarsamente abitata, crearono eremi, laure e cenobi, diffusero la lingua e la cultura dell'Oriente ortodosso, arrecando gran beneficio economico alla gente del luogo.
Nel 1030, i Normanni, soldati di ventura già al soldo del principe di Salerno, cominciarono a "guadagnar terra" in proprio, entrando in conflitto con molti signori ed anche con il papa Leone IX che, nel 1053, fecero prigioniero a Civitare, in Puglia.
In seguito alla separazione tra la chiesa Greco-Ortodossa e quella Romano-Cattolica sopravvenuta nel I054, il Papa sì rappacificò con i Normanni, riconoscendone le conquiste: la Calabria nel 1059, l'Italia Meridionale nel 1071, la Sicilia in un periodo successivo.
Divenuti difensori del Papa, i Normanni ne assecondarono l'opera di latinizzazione volta a sottrarre all'ortodossia bizantina le diocesi greche dell'Italia meridionale evitando, però, di esasperare i rapporti con le popolazioni di forti tradizioni greche.
Mentre favorirono le fondazioni latine ad opera di monaci provenienti dal nord dell'Italia e d'Europa, i Normanni agirono con prudenza nei riguardi dei monaci greci.
Nel 1091, Papa Urbano II fece venire in Calabria il celebre San Brunone che, nella Serra, fondò la Cetosa di Santo Stefano del Bosco.
A quella fondazione, Ruggero il Normanno, nel 1094 fece donazione dei beni del monastero greco dell'Arsafia sul fiume Assi, comprendente diversi casali, tra cui Bivongi, pertinenza del monastero degli Apostoli (il grande rudere che si nota salendo la strada per raggiungere il San Giovanni).
Il monastero di San Giovanni Theresti, si trova nella campagne del comune di Bivongi, in una vallata sovrastata dalle ripide pareti del monte Consolino, denominata "Vallata bizantina dello Stilaro".
E' una zona che, a guardarsi attorno, tutto parla di monachesimo e di mondo bizantino, palestra ascetica verso la fine del primo millennio, dei Santi locali Ambrogio e Nicola.
L'arca monastica è compresa in un ristretto pianoro a cavallo tra le fiumare dello Stilaro (RC) e dell'Assi (CZ). dov'è possibile giungere dopo pochi minuti di macchina, lasciando la provinciale di Bivongi ed imboccando il grande ponte che la sovrasta.
Il piccolo monastero con alcune celle e una cappella, rimane a sinistra del grande portale granitico attraverso il quale si accede nel cortile e poi alla basilica.
In fondo al cortile rimangono i ruderi, del vecchio monastero basiliano. Dedicata a San Giovanni Therestis, la basilica risale alla fine dell'XI secolo.
Tra le tracce di un preesistente luogo di culto, va segnalato l'attuale nartece (il vano in fondo alla navata della basilica).
Il monastero rientra fra gli insediamenti ascetici posti sulle pendici del Consolino e delle colline circostanti, abitati da monaci dalla cultura, dalla spiritualità e dall'ascetismo così elevati, da far definire questa zona la "Terrasanta de Basilianesimo".
Nel monastero, dal 1994 vivono stabilmente, in preghiera, studio e lavoro, monaci greco-ortodossi provenienti dal monte Athos, in Grecia.
Sono tornati in questo lungo rimasto a lungo abbandonato, spinti dalla fede e dalle memorie storiche, per "elevare le loro preghiere all'Onnipotente", così come tanti loro confratelli più di mille anni fa.
Il monastero calabro di San Giovanni Therestis: documentazione e tradizione fino all'età moderna
Tesi di laurea di di Paola Gaglioti presso L'università degli Studi di Torino
Introduzione (pdf)
Confesso che rileggendo il titolo consigliato per questo lavoro, mi sono posta il problema: "Cosa potrò dire? Come orientarmi fra le tante e tante notizie raccolte nelle varie biblioteche ed archivi?”
Gli studenti universitari sono poco abituati a scrivere e, per questo motivo trovano non poche difficoltà nella stesura di quella che sarà l'ultima fatica dopo anni di studio: la tesi
Fra i tanti esami dati, non ho avuto difficoltà nell'individuare il docente, il prof. Cracco, con cui terminare il mio corso universitario, con cui lavorare ad un progetto, che non consideravo affatto facile, per la mia inesperienza.
Il campo è stato sgombro da quelli che possono considerarsi, i problemi iniziali: argomento, bibliografia e indirizzo di lavoro, perché ho avuto libera facoltà in tutti e tre gli orizzonti.
La mia origine calabrese non poteva non essere attratta da un qualche aspetto religioso del luogo.
Alla mia proposta di andare alla ricerca di documentazione sul monastero greco-ortodosso di. San Giovanni Theresti, nella vallata tra Bivongi e Stilo; il professore non ha avuto nulla da obbiettare, se non dire, con fare di colui che è prodigo a dare solo un consiglio, più che una ammonizione: "si mette nei guai con le sue mani".
Questo a causa della mia ignoranza in lingua latina e greca, avendo frequentato un Istituto Tecnico Commerciale Sperimentale per Ragionieri.
Le parole del docente però non mi hanno fermata e mi sono trovata nella stesura di una tesi, non certo semplice, ma ricolma di volontà.
Non ho potuto, però, non scontrarmi con alcuni problemi di tipo organizzativo-burocratici nella fase di reperimento del materiale di ricerca.
Il primo problema (che mi ha costretto a sfogliare ogni pagina dei primi elementi documentari che trovavo, per cercare bibliografie e rinvii, di ricerca) era la mancanza della gran parte di indici di pubblicazione, perché l'argomento non era qualcosa di molto conosciuto.
Inoltre, l'impossibilità di visionare più di quattro documenti alla volta, secondo le ferree leggi delle biblioteche di tutta Italia mi costringeva ad interrompere spesso la lettura.
Questo è successo soprattutto nelle biblioteche lontane da Torino, come Roma nella Biblioteca Apostolica Vaticana e nell'Archivio Segreto, a Catanzaro nell'Archivio di Stato, a Squillace e a Serra San Bruno, nell'Archivio della Certosa.
In una fase successiva, ho riscontrato qualche difficoltà nello stilare le note bibliografiche di alcuni personaggi citati e autori di lavori sul monastero, soprattutto per il fatto che non tutti erano di lingua italiana, ma francesi, inglesi e, ancor peggio, latini, greci e tedeschi.
Data la varietà di documenti, per lingua e per argomenti trattati (religiosi, economici, istituzionali, di un mondo bizantino, poco conosciuto, se non dopo aver studiatone le caratteristiche peculiari, anche se ben radicato nel nostro territorio) forse me lo sarei dovuto aspettare!
Ma come organizzare il materiale trovalo è stata la parte più difficile.
a) Ho inizialo a schedare la bibliografia ed a catturarne le parti più salienti, cercando possibili congetture e collegamenti con altri autori e critiche in argomento.
b)In un secondo momento ho dato avvio alla libera scrittura sulla documentazione del monastero, badando alle tematiche trattate degli autorevoli autori che mi hanno preceduto. All'interno di tale parte ho inserito anche figure, per meglio evidenziare le analogie con i monumenti esistenti in Calabria e che hanno affinità col San Giovanni Therestis.
c) Ho inoltre scritto una parte sulla struttura architettonica del monastero.
d)In ultima analisi ho dedicalo una parte alla biografia, da considerarsi come la tradizione del santo
Da qui l'idea di mutuare questa articolazione per il mio studio:
• Documentazione edita
• Stato della storiografia, degli studi, problemi e proposte attuali di lettura
• Altra documentazione esistente Ira il '500 ed 11 '700 (inedita)
• Un aspetto nuovo: il rifacimento della vita di San Giovanni Therestis.
In ultimo, ma non per ordine di importanza, devo dei ringraziamenti.
Al mio docente-relatore, che con calma ha cercato di infondermi sicurezza, per il lavoro che mi accingevo a svolgere, con preoccupazione per la mia inesperienza in campo, a darmi il linguaggio idoneo per la stesura dell'elaborato ed insegnarmi gli elementi utili per leggere e giudicare un documento che potrebbe dire poco o tanto a seconda del modo di porsi dinanzi.
A mia sorella, che con pazienza e tralasciando a momenti il suo studio in facoltà per me, mi ha aiutato nelle traduzioni greche e latine, colmando la mia ignoranza, di ragioniera, in tali ambiti.
Mi auguro sinceramente di aver compreso ogni aiuto, anche quello di coloro che me ne abbiano dato uno involontariamete, e di averne fatto buon uso per la mia tesi.
Il monastero calabro di San Giovanni Therestis: documentazione e tradizione fino all'età moderna
Tesi di laurea di di Paola Gaglioti presso L'università degli Studi di Torino
Capitolo 1. La documentazione edita (pdf)
Della storia del monastero di San Giovanni Therestis abbiamo un fondo monastico, o meglio una sua dispersione, che può essere organizzato secondo categorie cronologiche e secondo fonti edite ed inedite.
È stato pubblicato un certo numero di documenti a seguito riportato; una prima parte riguarda documentazione del monastero sotto l'aspetto organizzativo e territoriale, mentre la seconda parte è composta da documentazione letteraria sul Santo, Giovanni il Mietitore, vissuto sul monte Consolino nel secolo XI.
Il primo autore da considerare è Andrè Guillou che, sotto la spinta e in collaborazione con S.G. Mercati e C. Giannelli, scrive e pubblica, nel 1980, in lingua francese, il volume Saint-Jean Therestis 1054-1264 (1), non con la sola intenzione di pubblicare vario materiale di documentazione, ma di renderlo intelligibile , per meglio capire e spiegare una storia di uomini ed istituzioni, del demanio di Stilo, attraverso un monastero basiliano.
L'autore presenta il testo secondo un insieme di documenti notarili in lingua latina o greca, organizzati cronologicamente e commentati con specifici apporti linguistici, per non rischiare errori di interpretazioni.
Il 10 novembre del 1457 Athanase Chalkéopoulos e Macario, archimandriti rispettivamente di S. Maria de Padre e di S. Bartholomeo di Trigona e designati dal papa per un viaggio in Calabria, in visita pastorale, scrivono nel lori rapporto: " Noi arrivammo nella terra di Stilo per visitare il monastero di S. Giovanni Theristes, che è a 2-3 miglia dalla terra. Noi l'abbiamo trovato desolato al punto di non volerci rimanere e ci siamo fatti portare, dalla gente del luogo, nel villaggio di Guardavalle…".
Athanase e Macario, come per tutte le istituzioni visitate, allegano un succinto inventario dei beni del convento ("una cassa con 23 privilegi"):
- Un sacco con 105 privilegi
- Un sacco con 246 documenti notarili
- Un sacco con 78 documenti e privilegi
- Un sacco con 25 documenti vari
- Un sacco con 37 documenti vari
- Un sacco con 193 documenti vari
- Un sacco con 18 documenti vari
- Un sacco con 95 documenti vari
- Un sacco con 8 documenti vari e carte diverse (2)
Si può pensare ad una prima classificazione? Nel 1551, dalla visita dell'Abbate Marcello Bazio, si può leggere un altro riferimento sullo stesso monastero:" il monastero di san Giovanni Theristes di Stilo è il primo e in capo agli altri monasteri visitati. Il 3 aprile noi ci siamo recati al monastero che abbiamo trovato perfettamente costituito secondo le regole antiche, ricco di reliquie ed ornamenti sacri. Abbiamo ordinato che i documenti antiche del monastero siano riuniti e depositati in un forziere "(3).
Questo fa pensare che gli archivi non siano stati circondati da tutte le cure richieste: documenti inutili, reliquie poco stimate.
Si sa, per certo, che nel XVI secolo, il cardinale Guglielmo Sirleto, nato a Guardavalle, non lontano da Stilo e, perciò, dal monastero, fece trasportare a Roma un certo numero di manoscritti, che oggi si trovano alla Biblioteca Apostolica Vaticana. Ma non si parla di documenti d'archivio (4).
Nel secolo successivo sono 3 gli inventari di cui si hanno notizia. Il primo datato 28 dicembre 1603 che apporta la seguente scritta: " un sacchetto di scritturi in bergamina greci et latini"; il secondo del 28 giugno 1606 firmato da sacrestano, Don Marsilio Politi, ripete:" un sacullo pieno di scritturi greci e latini"; l'ultimo, redatto il 27 giugno 1607 su ordine del vicario generale apostolico, Don Atanasio di Trayna, è più preciso: " un numero d'istrumenti greci in carta pecora e concessioni sopra li beni dell'abbatia, non piombati sono di numero ottanta. Strumenti greci in carta pecora piombati numero tre", dunque in tutto 83 pergamene conservate nella sagrestia del monastero.(5).
Da questi anni in poi cosa ne resta degli archivi?
Il monastero fu vittima di turbolenze che toccarono la Calabria nella seconda metà del XVII secolo. Un bandito di nome Mommo Comito attraverserà la campagna calabrese e fisserà la sua dimora ad un chilometro dal monastero. Il papa Alessandro VII accorda (1660) ai monaci di rifugiarsi a Stilo. Mommo rimane in questi luoghi per circa due anni e dopo trattative con il governo fu preso a suo servizio. I monaci poterono così installarsi nella dimora originaria e dar vita ad una nuova chiesa (6).
Fu così che il loro archimandrita pubblicò, in traduzione italiana, svariati manoscritti (7).
Verso la fine del XVII secolo il reverendo P. M. D. Pietro Menniti, nominato vice generale dei basiliani, decise di riunire gli archivi dei monasteri greci nella chiesa di San Salvatore di Messina e a San Basilio di Roma. Non si sa alcun che dei fondi depositati a Messina, oggi dispersi. Per quanto riguarda tutti i documenti di San Giovanni Therestis non pervenuti a San Basilio di Roma, nel 1835 arrivarono in mano di un collezionista e ricco notabile di Monteleone, oggi Vibo Valentia in Calabria, che conservò nella sua biblioteca domestica e che poco prima fece leggere a Don Salvatore Cirillo, bibliotecario della Biblioteca Borbonica di Napoli, che tradusse in latino e ivi li depositò.
Da San Basilio, i documenti di San Giovanni Theresti si disperdono in almeno due direzioni: l'abbazia di Grottaferrata, che conserva ancora tre atti non codificati, e la biblioteca dei Camilliani di Santa Maddalena presso il Pantheon a Roma. Qui pare siano stati depositati un certo numero non preciso di documenti, da 80 a 137, oggi completamente dispersi.
Solo 57 originali greci e latini furono casualmente scoperti da W. Holtzmann nella sacrestia della Maddalena e passati al fondo latino n° 13118 nella Biblioteca Vaticana (8).
A questo punto A. Guillou, dopo aver fatto una breve storia dei viaggi dei preziosi fondi di S. Giovanni Therestis, cataloga, in ordine cronologico, 59 documenti greci, tutti di natura notarile, che possono considerarsi come una prima raccolta degli archivi di San Giovanni:
1. Contenuto del dominio dei presbiteri (7 febbraio 6562 = 1054). Il primo presbitero, di cui San Giovanni Theresti si considera successore è Pitzèioannès (verso l'anno 990, per la tavola genealogica vedere pagina x) che riceve in donazione (da chi?) il campo di Bounin presso la riva destra dello Stilaro che si getta nel mare a sud est di Stilo sulla costa orientale della Calabria. Col passare del tempo i possedimenti vanno espandendosi sempre più (9). Il contenuto dell'atto è di natura economica e sociale.
2. Vendita di Nicetas d'Agrilleas di un terreno di ulivi, Agrelli per la somma di 2 taria (10) (6597 = 1088 - 1089).
3. Atto del giudice di stilo Giuseppe Terras per Génésios Moscatos (1098, perduto)
4. Sentenza del giudice di Stilo Giuseppe Terras che conferma al monastero di San Giovanni Theresti una terra, a 5 chilometri da Stilo, concessagli dalla corte del conte Ruggero, contesa con un privato. (5 agosto 6606 = 1098)
5. Atto del conte Ruggero. (dicembre 6609 = 1100) Il conte di Calabria e di Sicilia dona al monastero dei territori a due chilometri da Monasterace, che comprendono oltre zone di coltura anche villaggi di case tra Stilo ed il mare.
6. Donazione dello stratega Turoldos (1101-1102, perduto)
7. Testamento dell'higoumene Bartolomeo che designa suo figlio Pankratios suo successore. (6610 = 1101- 1102)
8. Conferma dell'higoumene e donazione di Adelaide, moglie del conte Ruggero di un casa presso Stilo e due villaggi (6613 = 1105)
9. Conferma della donazione (1106)
10. Vendita di Irene (1113 - 1114)
11. Donazione del monaco Bartolomeo Parillas (1124- 1125)
12. Giudizio del visconte di Stilo, Papathyrsos Changémès, che condanna un privato, confermando al monastero alcuni campi circostanti (1127)
13. Donazione dei fratelli Ardabastoi di alcune terre di vigneti situate a pochi passi dal mare ma non precisamente identificate (1127 - 1128)
14. Donazione di Guillame figlio di Roberto Kolontzestras in esecuzione dei voleri di suo padre, dona al monastero di San Giovanni tutti i suoi beni, in terre e denaro. (1127 - 1128)
15. Giudizio dello stratega di Stilo che fa restituire al monastero una quantità imprecisata di montoni rubati da un certo Chrysomenos di Hagia - Aikaterina (11). (1128)
16. Testamento del monaco Bartolomeo Parillas (1138?)
17. Donazione dei discendenti di Bratzès Kourtos (1140 - 1141)
18. Atti di vendita (1144, perduti)
19. Sentenza dello stratega (1144, perduto)
20. Giudizio dello stratega Leon Maléinos (1144)
21. Conferma del re Ruggero II di tutti i beni del monastero di San Giovanni Theresti nominandolo monastero reale e concedendogli il compito di esigere le tasse nei suoi possedimenti. (24 ottobre 6653 = 1144). Inoltre nel documento, stampato da padre Apollinare Agresta, e raccolto sotto il titolo di Privileggi e concessioni… monastero di San Giovanni in Stilo, vi sono inserite parti di concessioni e conferme delle stesse, fatte dallo stesso re, dalla sorella e dal figlio. Le numerose conferme sono importanti per una terra di transito politico e culturale; sono dimostrazione di ciò i numerosi documenti di giudizio da parte del tribunale del contado di Stilo, che più di una volta si è trovato davanti privati che avanzavano diritti su alcuni dei territori di possesso del monastero di San Giovanni Theresti.
22.Sentenza del visconte Pietro giudice di Stilo (1149)
23.Vendita di Bonos e suo fratello Godinos (1151)
24.Vendita di Giovanni e di Constas (1153)
25.Sigillo del re Ruggero ( 1154, perduto)
26.Donazione di Zoé (1154)
27. Donazione del monaco Dyonisios al monastero di alcune sue terre private. (1154)
28.Donazione di Arkadios e di Léon (1154)
29.Vendita di Anna (1155)
30. Donazione del monaco Ruggero di tutti i suoi possedimenti al momento dell'arrivo presso Stilo. (1155)
31. Donazione di Léon e dei suoi figli (1156)
32. Vendita di Phyllia (1156)
33. Giudizio del visconte di Stilo (1156)
34. Vendita d'Arkadios Oursolén e di Zoé di vigne ed alberi da frutta nella provincia di Lecce in cambio di vari versamenti al monastero in Calabria (1159). Questo a dimostrare che gli interessi del monastero del Santo Mietitore non si limitavano al territorio calabrese.
35. Costituzione di una ipoteca da parte di Nicolas Erébinthes (1159)
36. Donazione d'Arkadios Gaidarokritès e dei suoi parenti (1162, perduto)
37. Donazione per la fondazione di in monastero (1162)
38. Donazione di Filippo, figlio di Giovanni Brullos (1165) 3
9. Donazione da Adelitza (1165 - 1166)
40. Donazione di Costantino Philorès (1165 - 1166)
41. Vendita di Giovanni figlio di Kalò (1166 - 1167)
42. Donazione di Siklegata (1168 - 1169)
43. Donazione di Skribonissa (1171)
44. Donazione del monaco Nicolas (1172)
45. Vendita di Nicolas (1177)
46. Donazione di Bohémond de Padula (1186)
47. Sigillo del re Guillame II (1189, perduto)
48. Vari sigilli perduti
49. Testamenti del prete Matteo Papathyrsou (1197 -1198)
50. Testamento di Basilio Pyrges (1197 - 1198)
51. Documenti non definiti del XII secolo
52. Donazione di Baldoguinos (1213 - 1214)
53. Atto di esenzione di Giovanni signore di Stilo, a favore del monastero di San Giovanni Theresti, con l'aggiunta del compito di gestione da parte dei monaci di tutta l'amministrazione dei loro territori, lasciando loro, inoltre, la possibilità di scelta delle modalità di pagamento delle tasse da loro riscosse (1214 - 1215)
54. Conferma del signore di Stilo, Giovanni (1215)
55. Giudizio del vescovo di Squillace, Nicolas (1222)
56. Testamento del monaco Hilarion (1222 - 1223) 5
57. Vendita di Nicolas (1235 - 1236)
58. Donazione dell'archimandrita Sabas (1245)
59. Vendita di Giovanni Rousillès (1264).
I documenti latini venuti dalla Maddalena sono poco numerosi e sono classificati sotto il Cod. Vat. Lat. n° 13118. Essi sono schedati in ordine cronologico con, tra parentesi, il numero dato loro alla Maddalena.
1. 25 ottobre 1302, Reggio. Roberto, figlio del re di Gerusalemme e di Sicilia, esonera il monastero ed il suo archimandrita Nymphus da tutte le prestazioni (foglio 37)
2. 31 luglio 1320, Napoli. Maria, regina di Sicilia e di Gerusalemme, ordina ai suoi conti di Calabria di non molestare più il monastero di San Giovanni Theresti. L'atto è stato perduto.
3. 12 dicembre 1358, Stilo. Luchinus capitano generale e giustiziere di Calabria conferma all'archimandrita Paolo 'atto del 1302 (foglio 38)
4. 24 febbraio 1373, Stilo. Il giudice di Stilo Federicus Bonus effettua uno scambio tra Denys archimandrita e Nicolas (foglio 40)
5. 7 giugno 1308, Squillace. Processo davanti al vescovo di Squillace, Antonio, tra il monastero ed il suo archimandrita Denys ed un abitante Squillace a proposito di una " grangia " (foglio 41)
6. 4 marzo 1382, Roma. Cyprien archimandrita di San Giovanni Theresti nomina procuratore Cosmas Crispi di Messina (foglio 41)
7. 24 febbraio 1410, Stilo. Atto del giudice di Stilo, Jacobus Balduinus in favore di Cyprien de Comestabilo (foglio 129)
8. 3 dicembre 1466, Roma. Papa Paolo II vista la pianta del monastero, portata da Ysaias, archimandrita, per scambiarla con altre donazioni, domanda al vescovo di Squillace di vegliare sul monastero ed essere equo (foglio 47)
9. 13 settembre 1475, Roma. Papa Sisto IV concede la legittimazione dei bastardi (foglio 48)
10. 2 aprile 1482, Roma. Dopo la morte dell'abbate Ysaias, il papa Sisto IV dona al monastero di San Giovanni Theresti un nuovo commendatario, Ligorius de Ligoriis di Napoli (foglio 49)
11. 14 novembre 1492, Roma. Papa Alessandro VI permette a Ligorius de Ligoriis di Napoli, archimandrita del monastero di San Giovanni, la legittimazione di dodici bastardi (foglio 12 ?)
12. 15 giugno 1502. Privilegio (?) per Ligorius de Ligoriis di Napoli, archimandrita (foglio 43)
13. 8 settembre 1508, Roma. Giulio II eleva Ligorius, archimandrita di San Giovanni Theresti, al rango di prete (foglio 42)
14. 12 giugno 1510, Roma. Dominicum Grimanus, vescovo di Tusculum e protettore generale dei Basiliani, designa Ligorius abate commendatario di San Giovanni Theresti ed archimandrita di tutti i monasteri basiliani di Calabria, e Luca di Stilo abate di San Pietro d'Arena visitatori e vicari generali dei monasteri basiliani di Calabria (foglio 56).
Questi 14 fogli rappresentano, senza alcun dubbio, che qualche rottame salvato dal naufragio degli archivi latini del monastero salvo la scoperta di un fondo complementare (contenuto nel maniero dei Capialbi ?, a Vibo Valentia).
Il volume di Guillou, arriva, con lo spoglio sistemico dei documenti, fino al 1502; seguono parti meno analizzate, o meglio, solo documenti di donazione elencati, anche perché nel testo è specificato che i documenti, da questa data in poi, diventano più rari e perciò difficili da rintracciare.
Per quanto riguarda le vecchie liste di codici di librerie basiliane in Calabria ricordiamo il documento titolato Per la storia dei manoscritti greci di Genova di varie badie basiliane d'Italie e di Patmo , risalente al 1561 (pubblicato poi da Giovanni Mercati nel 1935 in Studi e Testi 68), quando Francesco Torres, scrivendo il 17 ottobre da Trento al Sirleto, mettendolo a conoscenza di buone informazioni bibliografiche, annotava " grece…di rare cose che dice ", riferendosi al contenuto del testo. Questo fa riferimento al fatto che fino al XVI secolo molti documenti manoscritti erano difficilmente rintracciabili, perché la loro conservazione era disordinata e con conseguenti smarrimenti.
Non è fatto riferimento al luogo di ritrovamento, ma è certo che il card. Sirleto, venuto in possesso del materiale lo ha depositato nella Biblioteca Vaticana.
Da questo materiale si evince altresì, che grazie alla capacità gestionale ed editoriale dei monaci residenti nel monastero sul Consolino, il sacro convento era fornito di una discreta scuola di amanuensi.
Bisogna ricordare, però, che, prima di ricevere il nome di San Giovanni Therestis, il monastero si chiamava S. Maria de Magistro: il termine Magistro si riferiva al basiliano S. Nilo, maestro di vita monastica. È precisamente questo l'eremo di S. Maria, di cui fa cenno il codice greco 598 di Parigi, contenente le opere di S. Efrem.
Tale codice, copiato nel convento di Stilo, contiene di mano più recente l'annotazione: "Questo sacro e utile libro fu scritto nel monastero della SS. Genitrice di Dio, per mano di Michele Monaco: il 2 novembre dell'anno 6943 (1436) indizione seconda". Il libro di S. Maria di Stilo fu portato dall'abate Cristodulo nell'isola di Patmo, in seguito ad una incursione saracena.
Il codice citato e i documenti enumerati da V. Capialbi in Memoria sulle Tipografie Calabresi (12), nonché l'evangelario regalato da Achille Fazzari al Monastero di Monte Cassino (e che certamente proveniva da S. Maria de Magistro) sono testimonianza di una discreta attività scrittoria locale, meritevole di attenzione per la sicurezza del testo e la perizia calligrafica.
I pregevoli codici dell'XI, XII, XIII secolo, un tempo esistenti nella biblioteca, portati via dal card. Guglielmo Sirleto, si trovano ora nella Biblioteca Barberiniana e Vaticana.
Se ne fa riferimento in La storia di Stilo e del suo regio demanio di Luigi Cunsolo, ristampa del 1987 e in Stilo e le sue vicende politico - culturali , ASCL 1940 pp.273 - 292, anno X°.
In questi volumi è altresì affrontato l'evento "terremoto del 1783".
"Nel febbraio di quest'anno avvennero i terremoti che tanti arrecarono danni alla Calabria e di cui orrori destarono ancora spavento dalle pagine che li narrano ". Il governatore del luogo si vide impotente nell'alleviare l'enorme miseria materiale e morale delle popolazioni. Si ricorse alla soppressione degli ordini religiosi e dei luoghi pii per incamerare i vistosi beni, creando un organismo che provvedesse a sollevare le condizioni dei danneggiati.
Fu istituita la Cassa Sacra, e così si legge in un documento del tempo, scritto per mano del cancelliere regio di Napoli, qualche anno dopo " nel 1874 fu pubblicato il famoso dispaccio col quale Ferdinando I decretò la soppressione di tutti i luoghi pii e ordini religiosi della sola Calabria Ultra, per l'unico e santo fine si destinarono le rendite al sollievo ed alle risorse dei popoli sovversi dai terremoti "(13).
Lo stesso pontefice giustificò il provvedimento.
Molti conventi, bellissime chiese, importanti opere d'arte, quadri, libri pregevoli, codici antichi non più custoditi o mancanti di manutenzione, andarono miseramente perduti (14).
Restringendoci ai territori di Stilo, la soppressione dei ben di S. Giovanni Theresti e la raccolta per mano della Cassa Sacra si può considerare la più consistente, insieme ai beni della Certosa di S. Stefano e di S. Domenico e Soriano.
Nel marzo del 1783 la Cassa Sacra pubblicò un indice generale dei paesi della Calabria, il loro stato e i morti:
|
Prima de' tremuoti |
Paesi |
Loro stato |
masch. |
femm. |
monaci |
monache |
Contado di Stilo |
inabitabile, perché totalmente lesionato |
1879 |
|
Basiliani 12 Cappuccini 14 Domenicani 9 Conventuali 16 |
S. Chiara 26 |
Camini |
parte distrutto parte lesionato |
656 |
|
|
|
Riace |
parte lesionato |
1328 |
|
|
|
Guardavalle |
lesionato |
2918 |
|
|
|
Stignano |
parte distrutto parte lesionato |
1533 |
|
|
|
Pazzano |
molto lesionato |
977 |
|
Romitorio di S. Maria della Stella 6 |
|
Pochi morti: a Stilo, una donna; a Riace una donna; a Guardavalle un ragazzo ed un uomo; a Stignano un uomo; otto ragazzi a Camini e a Pazzano nessun morto.
Dallo schema si evince come il contado di Stilo fu la zona più lesionata e dove vi erano monaci in numero rilevante (Basiliani 12).
Dell'anno 1677 si trova un altro documento di padre Apollinare Agresta intitolato Vita di San Giovanni Theresti.
Il padre si interessa dell'agiografia del santo perché vuole offrire la vita di un glorioso ricco di virtù, di atti, orazioni e miracoli e perché, dice al lettore, si confrontino le proprie opere con quelle del santo affinché si capisca quello che manca in se stessi: è questa conferma di quanto dico; anche San Gregorio della Sacra Scrittura quando ci racconta le gesta dei santi, per risvegliare i nostri cuori dall'imitazione di quelli.
La storia fu raccolta da manoscritti greci antichi in carta pergamena posseduti, al tempo, nel monastero di Grottaferrata insieme con altri codici antichi e moderni, greci e latini.
L'opera si divide in tre parti:
I. composta da sei capitoli riguardanti i genitori di Giovanni, la sua nascita, i viaggi e l'arrivo in Calabria;
II. composta da tredici capitoli riguardanti la vita laboriosa e povera ma ricca di solitudine di Giovanni, i miracoli ante mortem, le donazioni da Ruggero, re e conte di Sicilia, la morte e la sepoltura;
III. composta da ventuno tutti riguardanti, il primo le sante reliquie di Giovanni e i successivi i miracoli e le grazie concesse dal santo post mortem , a donne, bambini, infermi, lavoratori dei campi.
Apollinare Agresta nella prefazione dello scritto fa riferimento all'aiuto delle Vitae Sanctorum Siculorum, del 1657.
Altri spunti di ricerca biografica possono rintracciarsi negli AASS, XXIV februarii, De S. Joanne Theriste, monacho ordinis S. Basilii apud Stylum in Calabria , redatti dai Bollandisti e nella "Biblioteca Sanctorum", Giovanni Theristi, santo.
Ma per quanto riguarda l'agiografia è importante far riferimento ad un articolo, pubblicato negli anni '90 dello scorso secolo, contenuto in Calabria Bizantina. Civiltà bizantina nei territori di Gerace e Stilo, apporti sul monastero dello Stilaro, di Augusta Acconcia Longo, San Giovanni Terista nell'agiografia e nell'innografia.
Questo è un apporto molto importante perché affronta l'argomento delle varie fonti agiografiche.
Sul Santo sono state tramandate due diverse redazioni greche di una Vita leggendaria (15), tratte ambedue da codici molto tardi, copiati tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo.
L'una, la Vita A , si trova in uno dei codici miscellanei, conservati nella Biblioteca Centrale della Regione Sicilia. I fogli con il testo greco furono copiati nel 1611 da un manoscritto di Stilo, che riportava, alla fine dell'opera, la data del 1217 - 1218 (16). Questa Vita è scritta in una lingua di livello molto basso, vicino alla lingua parlata (17).
L'altra, più corretta dal punto di vista formale, designata come Vita B , è tramandata da un codice di Parigi, copiato nel 1591 da Paolo Bevilacqua a Grottaferrata (oggi perduto) mentre il frammento, con la parte iniziale databile intorno al XVII secolo, è riportato anche in ASV, Fondo Basiliani 43 (non consultabile).
I legami tra le due redazioni sono indubbiamente molto stretti.
La Vita B , che è considerata una riscrittura colta della precedente, riporta solo un episodio in più, ma l'assenza di tale episodio nella Vita A può essere attribuita ad un accidente della trascrizione, tenuto conto del fatto che essa ci è giunta in una copia tarda e scorretta.
Ogni riferimento alla agiografia del santo è rinviato al capitolo 4.
Altra vecchia pubblicazione risale al 1760, da parte del professore di lingua greca nella Biblioteca Vaticana, Pietro Pompilio Rodotà, scritta in occasione della nomina a vescovo di Santa Severina del card. Francesco Conrado di Dodt, ed intitolata Dall'origine progresso, e stato presente del rito greco in Italia osservato dai greci, monaci basiliani, e albanesi.
L'opera è composta da un volume, suddiviso in tre Libri il primo dei quali affronta l'argomento della adozione del rito greco in Italia a partire del V secolo. Il secondo affronta l'argomento "San Basilio", delle sue doti di sapienza e zelo e il terzo libro, oltre a contenere una lista, limitata, di alcuni dei santi greci, contiene i riferimenti di alcuni monasteri ortodossi dispersi nel Meridione. Si parla della loro vita quotidiana e, soprattutto, delle lo usanze religiose in relazione al rito greco.
Fra questi è preso in considerazione anche il monastero di San Giovanni Therestis, considerato uno fra i monasteri più importanti e prosperi, sia sotto l'aspetto spirituale e devozionale sia per quello economico, per sé e per i territori sotto la sua giurisdizione, affidatagli dal regio demanio di Stilo (18).
Nel XIX secolo e nel XX le pubblicazioni sono varie.
Infatti, nell'ultimo secolo, sono molti gli autori a cimentarsi nella ricerca di antichità bizantine soprattutto nell'Italia meridionale e, nel far questo, non potevano non incontrarsi col monastero sul Consolino, luogo ricco di quella meditazione prettamente orientale, ma anche laboriosa ed operante attività nel tessuto religioso.
La prima pubblicazione risale al 1868, sulla rivista Archivio Storico italiano, serie terza - tomo VII, da parte di G. Muller.
Questi, nelle Tre carte dell'Italia meridionale, illustra come, nelle vicende politiche di inizio età moderna, si erano stabilite numerose colonie bizantine che, operando con zelo per la nuova terra in cui risiedevano, avevano mantenuto la lingua e le "costumanze dei padri loro" . Inoltre, concernente il monastero presso Stilo, è evidenziato il fatto che il conte Ruggero, e suo figlio, concedono molte proprietà ad un convento nella vallata dello Stilaro, che ospita monaci, i quali vivono ed operano secondo pie azioni.
La seconda pubblicazione, che risale al 1835, Memorie delle tipografie calabresi, è di Vito Capialbi, notabile di Vibo Valentia, il quale raccolse un mediocre archivio, contenente numerose carte greche, pubbliche e private, de' secoli XI, XII e XIII, vari manoscritti di prestigiosi autori e opere di SS. Padri, libri liturgici ed ecclesiastici.
Prima dell'elenco l'autore tiene a precisare che i manoscritti e le pergamene si trovavano nel cenobio di S. Giovanni ancora al principio del secolo XVII , vale a dire dopo lo spoglio per opera del card. Sirleto e degli altri monasteri Superiori per arricchire le biblioteche Romane.
Questo a dimostrare che l'archivio de monastero ha continuato a creare e conservare documenti importanti che andarono poi smarriti in occasione del terremoto di fine XVIII secolo.
Nell'opuscolo sono riportate, contrassegnati dai numeri, liste di manoscritti facenti parte di vari inventari fatti redigere dai Priori per aggiornare l'archivio del monastero.
Il 28 dicembre 1603 il sacrestano del monastero di San Giovanni di Stilo redige una lista di documenti, sotto l'ordine del priore P. D. Paolo Capimolla, che vanno ad aumentare man mano si va avanti col tempo. Infatti, in questa data l'inventario è composto da 9 punti, quello successivo, datato 28 luglio 1606 per mano del sacrestano D.
Marsilio Politi, è passato ad un numero di 16 e, successivamente a 28, nella lista di luglio 1607, redatta per volere del P. reverendo D. Atanasio di Trayna, Vicario Apostolico Generale e da D. Atanasio Rosio, Segretario.
Nella medesima opera si rinvia ad altre liste, che l'autore afferma di aver depositato nella biblioteca domestica , nella città natale, ancora oggi esiste ma, rimanendo privata, non è accessibile al pubblico, se non in casi eccezionali.
Vito Capialbi fu un importante collezionista di manoscritti e molti autori, come S. Borsari e A. Basile (19), lo citano come il possessore di svariati documenti relativi alla società calabrese, e non solo, verso la fine del medio evo e gli inizi dell'età moderna.
Nel novembre del 1902 G. Cozza Luzi scrive al mons. Cotroneo alcune lettere inviandogli una serie di documenti specificando che fa questo perché è a conoscenza del fatto che egli ha "interesse de' monasteri greci in Calabria". Per questo motivo gli invia copia di alcune concessioni fatte dal conte Ruggero all'abbazia del Tereste (20) e diritti di caccia e pesca decisi dal signore di Stilo, consapevole del fatto di essere venuto in possesso di documenti rari.
L'anno successivo tutto questo materiale fu pubblicato nella Rivista Storica di Calabria, anno XI - Serie III, sotto la voce " Lettere calabresi ", n° LIX e n° LX, ad eccezione dei Privileggi e concessioni… .
Negli ultimi anni, gli storici calabresi hanno ripreso l'argomento sulla Calabria bizantina e, di conseguenza, si è ritornati a riprendere gli studi precedenti sul monastero di San Giovanni Therestis.
I riferimenti li troviamo nelle pubblicazioni della:
• rivista della Deputazione di storia Patri per la Calabria, vol. II, a cura di F. Russo. Questi si è occupato della situazione e consistenza degli archivi di Congregazioni e Ordini religiosi in Calabria - Archivi dei monaci greci, pp.813- 22, contenuti negli Atti del VII congresso Storico Calabrese, Vibo Valentia - Mileto 11 / 14 marzo 1982. L'autore evidenzia, con amarezza, il fatto che gli archivi dei Regolari si riducono a ben poca cosa. Oltre ai flagelli naturali, quali i terremoti, le alluvioni, gli incendi, etc., altri fattori umani hanno contribuito a " spogliarci del nostro patrimonio culturale e documentale". Innanzitutto la soppressione innocenziana del 1652, poi l'istituzione della Cassa Sacra e, in seguito, il flagello del 1783. Ma la situazione diventa più favorevole se ci si riferisce agli archivi ex-monastici, che conservano materiale di provenienza calabrese, fuori dalla regione. I religiosi che hanno operato in Calabria sono numerosi e tra questi bisogna considerare la laboriosa attività dei monaci greci (detti Basiliani) che portarono alla vita numerosi codici, in particolare il monastero di S. Giovanni Therestis di Stilo, che ospitò la pregevole scuola di amanuensi (21). In riferimento a questo argomento F. Russo si avvale della collaborazione di un'altra pubblicazione degli stessi anni di Ulderico Nisticò Storia delle Calabrie .
Bisogna premettere che diversi archivi dei monaci greci passarono alle abbazie latine quando i Normanni intraprendendo la rilatinizzazione della Calabria, misero diversi monasteri greci alle dipendenze di abbazie latine, le quali si premurarono di trasferire gli archivi all'abbazia madre, per eventuali casi di contestazione. Ciò spiega la presenza di documenti greci in monasteri latini.
Gli archivi di monasteri greci, oltre ad essere i più antichi, erano anche i più numerosi di materiale documentario.
• La Visita Apostolica di Athanasio Chalkeòpoulos, condotta nel 1457 - 1458, ci dà la possibilità di farcene un'idea, perché su 77 monasteri visitati, ben 72 sono ubicati in Calabria. Il visitatore accenna a diplomi sovrani, ad atti di donazione e a bolle pontificie, che generalmente, vengono indicati come racchiusi in casse. Di queste casse (circa 28) vengono rilevate 10 relative a San Giovanni Therestis di Stilo con 820 documenti. Di questi, una parte sono depositati nella Biblioteca Vaticana (CVL 13118), studiati da A. Guillou e riprodotti da Apollinare Agresta.
• G. Lavermicocca, San Giovanni Vecchio di Stilo , in l'Arts dans l'Italie méridionale . Aggiornamento dell'opera di Emile Bertaux sotto la direzione di Adriano Prandi, t.IV, Roma 1978.
Questa recensione si è occupata della struttura architettonica di vari edifici religiosi nei territori della Locride ed il monastero di S. Giovanni Therestis occupa la maggior parte della pubblicazione.
Molti sono i riferimenti al saggio, più completo e organico, di P. Orsi (22).
• P. Orsi, Le chiese basiliane in Calabria , Firenze 1929.
Nella chiusa e mistica solitudine, a settentrione di Stilo, sull'aspro calvario che monta la Fiumara (23), si scorge la povera sede basiliane, anteriore al Mille, ma nobilitata solo circa l'anno 1054, dopo la presenza di Giovanni il Mietitore. Dopo circa tre secoli di completo abbandono regge ancora salda, soprattutto nelle parti centrali, facendo fronte agli assalti della natura e dell'uomo.
Per la descrizione della struttura, a causa delle complessità, si rinvia ai capitoli successivi.
• A riprendere, in parte, il lavoro dell'Orsi, è C. A. W. Dagmar Odenthal con la pubblicazione, negli anni Ottanta dello scorso secolo, di Calabria. Destino di una terra in transito .
Il volume è organizzato in circa 200 schede numerate, ciascuna delle quali si occupa soprattutto di architettura di monumenti, religiosi e non (dai santuari ai musei), di tutta la provincia reggina. La scheda numero 117 - 118 (composta da quattro pagine) è intitolata S. Giovanni Vecchio. Visita a distanza delle rovine del monastero * La parte longitudinale e il transetto visti da sud .
Il contenuto è un misto di tradizione storica e di architettura, con immagini e molti confronti con il mondo della Grecia e con le numerose opere che questo mondo ci ha regalato (a cominciare dalla Cattolica, sita a pochi chilometri dal monastero di S. Giovanni).
• D. L. Raschellà, Saggio Storico sul monachesimo italo greco in Calabria, capo IV parte II - capo I parte III, Reggio Calabria 1930. In questo saggio si affronta, come dice il titolo stesso, le origini del monachesimo in Calabria, con collegamenti anche alla Sicilia.
Il riferimento a S. Giovanni Therestis si trova in due parti.
Il primo riguardante l'inizio del secondo secolo dell'anno Mille, quando la fama del santo raggiunge alti livelli, anche al di fuori la regione calabra.
Inoltre il saggio illustra come, proprio la fama del monastero, lo arricchisce di numerosi possedimenti, donatigli non solo dai testamenti o dalla donazioni di piccoli privati, ma arricchiti dei signori del luogo, dal demanio di Stilo e, perfino, dalla corte del regio demanio di Napoli e di Sicilia (24), che riconosce l'operosità dei monaci, non solo in ambito spirituale, ma anche nella ottima gestione delle terre. Non va dimenticato che, circa un secolo più tardi, ai monaci è concesso il compito di esigere le tesse, non solo nei loro possedimenti, ma anche in quelli del demanio di Stilo.
Il secondo riferimento riguarda il XV - XVI secolo.
In questo periodo il grecismo in Calabria è in forte decadenza, per rilassatezza ed ignoranza del clero greco, che va sempre più amalgamandosi alle costumanze del luogo. È una vergogna per quella tradizione, derivante dal X secolo, che aveva scritto pagine indelebili di gloria nella storia della Chiesa e che ora si riduce nella vita oziosa dei padri basiliani mondani, distesi sulle loro enormi proprietà.
Sapendo ciò la Santa Sede, sotto la direzione di papa Giulio III, nel 1551, invia i suoi Delegati a visitare i monasteri in Calabria. Dagli Atti apostolici si evince che …apud Ioannem Theristi de Stilo Ord.
S. B.…i monasteri, se non fiorivano, almeno si mantenevano ancora con un tal decoro e con un certo numero di monaci pii (25). Fu affidata al card. Sirleto, calabrese di nascita, la riorganizzazione dei monasteri basiliani in Calabria, e, perciò, nominato Prefetto della Congregazione per la riforma dei Greci.
NOTE del capitolo 1
1. Riferimenti al CVL 6189 - f. 67 e CVL 13118. È A. G UILLOU a foto - stampare ed organizzare tale materiale nel suo volume " Saint - Jean Therestis ".
2. M. H. LAURENT - A. GUILLOU , Le Liber Visitationis d'Athanase Chalkeopoulos (1457- 1458) , Studi e Testi 206, Città del Vaticano 1960, pp. 86 - 92;
3. Ibidem, p. 294;
4. V. CAPIALBI , Memorie sulle tipografie calabresi , Roma 1941, p.85
5. Ibidem, pp. 85 - 86
6. P. ORSI , San Giovanni Vecchio di Stilo , ASCL Vol. 2, 1914, P. 532; E. JORDAN, Monumenta byzantins de Calabre , EF de Rome, 1889, p.335;
7. APOLLINARE AGRESTA , Privileggi e concessioni fatti dal Gran Conte Ruggiero…, ASV fondo Basiliani 74 in 8°, Roma 1675
8. G. ROBINSON , Dans Orientalia Christ., XI, S, 1928, p. 277, n° 2; L. R. MÉNAGER , Notes et documents sur quelques monastères de Calabre à l'époque normande, dans Byz Zeitschr., 50, 1957, pp. 354 - 361
9. Vedere Fondo Cassa Sacra 1784 e seguenti
10.Luogo a 12 chilometri a Sud - Ovest da Stilo (?);
11.Santa Caterina dello Jonio, comune nella provincia di Catanzaro a 15 chilometri, a volo d'uccello, da Stilo
12.Il materiale enumerato da Capialbi non ha importanza rilevante. Al più conferma l'attività degli amanuensi. L'inventario del Capialbi è del 31 agosto 1604 e comprende: "due strumenti in carta di pecora latini; tre strumenti in carta di pecora greci; tutti i libri di l'ofizio n°12; tridici pezzi in bergamina greci vecchi; otto libretti scritti a mano et stampa mezzo stracciati; la leggenda sanctorum a stampa, latina; due missali latini a stampa e due greci; uno staurò anastasimo vecchio a mano". Non c'è da meravigliarsi che in Calabria fosse tanto diffuso non solo il greco, ma anche lo studio delle lingue orientali: queste, afferma V. Capialbi, furono coltivate nelle Due Sicilie fin da tempi de Re Normanni per la necessità, in cui (le popolazioni e i funzionari) erano di trattare co' Saraceni, co' Greci, e cogli Ebrei, i quali allora formavano la massima, più ricca e cospicua parte della popolazione. Vediamo infatti molti diplomi delle aule Normanne dettati in greco ed in Arabo, e fino la stessa monetazione e i monumenti sono per lo più arabi o greci . Anche secondo il Lenormant dal secolo V al XVII esisteva un ellenismo calabrese, che particolarmente alla venuta dei Normanni, era diffuso nella nostra regione e per la lingue e per la costumanze e per il culto e la stessa liturgia religiosa.
13.GRIMALDI , la Cassa Sacra ovvero la soppressione in Calabria delle mani - morta nel secolo XVIII, Napoli, 1863.
14.V. CAPIALBI , nella prefazione al volume Memorie sulle tipografie Calabresi , pag. 13, lamenta che con la soppressione dei conventi calabresi del 1764 e del 1783 siano andate disperse "preziose biblioteche, singolarmente quelle della Certosa di Santo Stefano del Bosco, dei PP. Predicatori di Soriano (dove dimorò anche T. Campanella) e di Cosenza, dell'Archimandritale Monistero Basiliano di San Giovanni Theresti di Stilo". Abbiamo appreso da Capialbi - sugli Archivi delle due Calabrie ulteriori - che il " Monastero archimandritale di San Giovanni Theresti di monaci basiliani di Stilo possedeva altresì molte scritture greche e latine dell'epoca normanna, sveva, ed angioina. Nelle Memorie delle biblioteche di Calabria ho pubblicato un inventario di quelle che tovavansi ivi esistenti a 3 dicembre 1603, ed un istrumento greco del 1154, anno memorabile per la morte del re Ruggero I, che solo era pervenuto in mia mano. Altri ne riportò il celebre P. Montfaucon nella Palaeographia Graeca. Buon numero di sì fatte scritture si consegnarono alla Cassa Sacra, ed altre si depositarono nell'Archivio pubblico di quella città. Esse, con l'intero archivio, furon date alle fiamme, o involate all'epoca dell'ultimo saccheggio sofferto dagli Stilesi nell'agosto del 1806".
15.F. HALKIN , BHG
16.VSS, II 1675, p. 38 (alle pp. 107 - 109 del volume è stata pubblicata la traduzione latina. Per quanto riguarda quella italiana bisogna far riferimento alla Vita di S. Borsari, ASCL, vol. 22, 1953)
17.G. MATINO , Per la configurazione del greco nella Calabria medievale: le due redazioni della Vita di S. Giovanni Terista , in Contributi alla cultura greca nell'Italia meridionale , I, a cura di A. Garzya, Napoli 1989, pp. 259 - 288
18. A tal proposito, in un fascicolo del Bullettino dell'ISI per il Medio Evo e Archivio muratoriano n°93, La classe dei monaci - proprietari nell'Italia bizantina (sec. X - XI) si fa riferimento alla grande capacità organizzativa della società bizantina in Calabria. Certamente non si fa alcun riferimento al monastero in questione, per il fatto che bisogna aspettare il XII° secolo per sentire parlare di San Giovanni, il Mietitore, ma le sue attività fecero eco non solo nella terra calabra.
19.Vedi S. BORSARI , Vita di San Giovanni Therestis , in ASCL, anno XXII, 1953, pp.13 - 30 e A. Crispo, Antichità precristiane nella Calabria pre bizantina, in ASCL, anno XIV, 1945, pp. 3 - 14
20.APOLLINARE AGRESTA , abate generale dei Basiliani, fu colui che raccolse, in un volumetto inedito di circa 13 pp., tutte le concessioni del conte Ruggero al monastero di San Giovanni Therestis, fondo Basiliani 74, ASV
21.L. CUNSOLO , La storia di stilo e del suo regio demanio , Stilo 1987
22.P. ORSI , S. Giovanni Vecchio di Stilo in Le chiese basiliane in Calabria, Firenze 1929, pp. 41 - 61
23.È così che i Bivongesi e la gente del luogo chiama, dialettalmente, il fiume dello Stilaro, che nasce ….e va a gettarsi, quando riesce ad arrivare a causa della siccità, nel mar Jonio di Monasterace, a circa 15 chilometri da Stilo
24.Tutti i riferimenti si trovano nelle pubblicazioni di A. Guillou, nei manoscritti del CVL 13118 e dalle raccolte di Apollinare Agresta "Privileggi e concessioni…", Città del Vaticano 1675
25.Atti delle Sante visite apostoliche del XV e XVI secolo dei monasteri basiliani in Calabria , AP di Reg. Cal., Lista di Carico 17, foglio 65
Il monastero calabro di San Giovanni Therestis: documentazione e tradizione fino all'età moderna
Tesi di laurea di di Paola Gaglioti presso L'università degli Studi di Torino
Capitolo 2. Stato della storiografia, degli studi e proposte attuali di lettura (pdf)
2.1 Un'introduzione
San Giovanni Therestis, unità monastica nota anche con il nome di San Giovanni Vecchio, appare tardi nella storiografia sul Medioevo meridionale. L'abbazia è ignota al Capialbi che, pure, nella famosa Lettera al Bonucci del 1836 (1), menziona altre due unità monumentali stilesi. Evidentemente, i boschi la serravano sin da quando solitudine e pericolo avevano spinto i monaci a lasciare il complesso nel primo Seicento, per una nuova sede nel borgo, da cui la denominazione di Vecchio all'insieme abbandonato (2).
La sua presenza non sfuggì, invece, alle più tarde ricerche di Edouard Jordan, partecipe con Charles Diehl, degli interessi culturali francesi aperti a fine di secolo verso il mondo di Bisanzio (3).
È dello Jordan la prima descrizione del San Giovanni che appare nel 1889. Oggetto: la sola chiesa monastica, come avverrà a lungo e quasi totalmente sul piano degli studi. Elementi strutturali e decorativi suggeriscono un primo immediato riferimento alle chiese siciliane, tanto da farla definire poi dal Bertaux come " una costruzione siciliana in Calabria".
È solo un'intuizione, che sarà successivamente ripresa e sviluppata per quanto riguarda il rapporto Calabria-Sicilia, su altre basi di conoscenza, solo in anni a noi vicini.
In tali termini - sulla base dello Jordan - ne dà precisa notizia il Croce a fin di secolo (4) e, ai primi del successivo, il Bertaux, nella sua opera monumentale, che vale a diffondere la conoscenza dell'antica unità monastica, isolata tra Stilo e Bivongi (5).
Sono questi i capisaldi cui attinge il Toesca nel 1927 (6) e che non saranno trascurati da Charles Diehl nel 1931 (7), anch'egli impegnato - come già lo Jordan - nello studio dei rapporti tra impero d'Oriente ed Italia Meridionale e, sollecitato dalla Grande-Grèce del Lenormant a cercarvi tracce della conquête qui fit sur le monde latin l'helenisme oriental (8).
Ricordiamo così i primi segni d'attenzione per San Giovanni Therestis, mostrati dalla storiografia artistica italiana ed europea tra Ottocento e primo Novecento.
Solo premessa rispetto a quelle che saranno le successive indagini scientifiche sull'argomento, con due momenti-chiave segnati dalla ricerca dell'Orsi tra il 1914 e il 1929 (9) e dalla svolta critica operatasi dal 1938 agli anni Cinquanta con gli apporti della critica siciliana - dal Calandra al Bottari - (10) e dello Schwarz col suo primo saggio del 1942-1944 edito nel 1946 (11).
Dal 1969, data di pubblicazione del successivo ed ampio studio monografico dedicato a San Giovanni Vecchio dallo studioso tedesco (12), preceduto dalla sintesi del Venditti (13) e seguito nel 1974 dall'ampia trattazione dedicatagli da Corrado Bozzoni (14), si pone un importante gruppo di proposte di lettura e d'inserimento della chiesa abbaziale nel quadro della produzione architettonica fa XI e XII secolo nel Sud, col suo radicato linguaggio d'oriente e in Sicilia fra il tempo della Contea e del Regno.
Vanno qui ricordati i contributi di Wolfgang Kronig (15) e del Cappelli (16), assieme al preciso lavoro di aggiornamento redatto da Gaetano Lavermicocca per la riedizione del 1978 de L'art dans l'Italia méridionale del Bertaux (17), nonché un cenno sulle componenti islamiche nel San Giovanni, redatto nel 1988 (18).
Recenti gli apporti di Francesco Basile (19) e del Brucher (20), con i loro scritti rispettivamente sulle basiliche italiane e sull'architettura normanna in Sicilia.
Cresce contemporaneamente l'interesse per la ricerca e la revisione critica delle fonti, dal Borsari (21) al Peters (22), sino all'edizione critica del corpus dovuta al Guillou (23).
Il lungo e corposo iter di studi, condotto a livello internazionale, ha rilevato valori e ruolo del nostro monastero di San Giovanni in una cultura architettonica, che si configura fra tradizione d'Oriente ed esperienze islamiche del costruire con dimensioni su cui fra presenza, connessioni e tangenze, si muove l'architettura sacra dell'estremo Sud continentale e insulare in età normanna, fra XI e XII secolo.
Il primo rapporto di carattere scientifico sul San Giovanni, si ha con l'Orsi, corredato dai rilievi del Carta.
Struttura, planimetria, materiali vengono fissati e si rilevano rapporti con chiese calabre e sicule d'età vicine.
A parte contatti con Santa Maria della Procella (oggi Roccella Jonica) e la cattedrale di Gerace lo studioso trentino evidenzia affinità con Santa Maria de Tridetti presso Staiti e con chiese siciliane della prima età normanna, proponendo che tutto il gruppo sia considerato quale frutto dell'operosità di maestranze attive al di qua e al di là dello Stretto e che il San Giovanni possa datarsi fra l'età di Ruggero Gran Conte e Ruggero re, suo nipote.
L'Orsi aggiunge che la cronologia debba essere successiva al 1100, quando un diploma di donazione normanna precisa che "...mancando del necessario il tempio del padre nostro S. Giovanni, lo costituiamo abbondante..."(24). Sembra, peraltro, evidente il riferimento ad una prima costruzione, sorta mentre era ancora in vita San Giovanni Therestis, come già approvato da altri studi recenti.
Il legame linguistico Calabria-Sicilia, così approvato dall'Orsi, diventa il leit-motiv, che si presenta in ogni ulteriore riflessione, pur se dapprima in termini di assonanze, non a fondo precisate per analisi di modi strutturali e decorativi. Per una rinnovata ricerca sulla produzione architettonica calabra e sicula dalla fase pro-normanna, ricordiamo ancora, dopo l'Orsi, il contributo decisivo della scuola siciliana, dal Calandra in poi, soprattutto per quanto riguarda il cosiddetto " tempo della Contea (25).
Si ravvisano nell' iter di questa linea storiografica, i punti di fondo che sfociano nel citato primo saggio dello Schwarz (26), col quale nasce una nuova lettura della produzione calabro-sicula tra la seconda metà dell'XI secolo e i primi decenni del XII.
Ai grandi eventi politico e religiosi, che si consumano in questo periodo, al nuovo assetto che le due regioni vengono ad avere fra amministrazione civile normanna, con un ritorno - sia pure parziale - alla chiesa di Roma e riorganizzazione monastica orientale, si accompagna tutto un fiorire della produzione architettonica regolare e secolare.
Gli studi vanno evidenziando come in questi decenni, sul continuum di fondo rappresentato dalla tradizione orientale, si apra il flusso della cultura latina nella duplice accezione nordico-benedettina e campano-cassinese; come le formulazioni nate fra la Borgogna di Cluny II e di Bernay e il Cotentin di St. Eroul-sur-Ouche, giungano, anche lungo il cammino dei conquistatori nelle abbazie di Sant'Eufemia e di Mileto, si diffondano nelle cattedrali fondate e rinnovate, incidano anche sulla ricostruzione di abbazie italo-greche rifiorite da donazioni normanne, trapassino in più unità sacre della Sicilia proto-normanna (27).
E in questo quadro, trova le sue motivazioni il linguaggio, entro i cui termini nasce il nostro San Giovanni, col suo impianto presbiteriale nordico-benedettino destinato allo spazio liturgico-sacrale rivolto ad Oriente, l'aula allungata e la policromia nel tessuto strutturale-decorativo propria della tradizione bizantina, gli aspetti non solo morfologici, ma anche di valenza volumetrica e statico-decorativa di radice islamica, le affinità coeve o quasi, note nella Sicilia antecedente al regnum , la possibilità (oggi preclusa da recenti acquisizioni) di identificare un ambiente precedente l'aula, nell'atrio-Galilea di origine cluniacense.
Lo Schwarz, dopo aver fissato origini e valenze del flusso innovativo fiorito nella Calabria e nella Sicilia normanna con le soluzioni nordico-benedettine importate dai monaci al tempo della conquista ed aver verificato al presenza del plan bénédictin, quale fondamento delle soluzioni presbiteriani in più edifici - da Santa Maria della Roccella a Gerace, alla cattedrale di Mazara del Vallo ed a tutto un gruppo di chiese monastiche della Sicilia orientale - sorti nelle due regioni fra i due secoli (fine XI - primi decenni XII), si sofferma sul monastero del santo mietitore di Bivongi, su cui ritornerà varie volte, anche con un saggio monografico pubblicato postumo nel 1929 (28). In esso, associando i dati documentari all'analisi comparativa delle strutture, conclude con una datazione dell'edificio al limite fra i due secoli in precedenza considerati, riconfermando il carattere composito della cultura nel cui ambito nasce, fissando contatti e differenze con la non lontana Santa Maria de ridetti, cercando ulteriori rapporti col romanico europeo anche in area provenzale, soffermandosi in particolare sui rapporti linguistici con la Sicilia, dai S. S. Pietro e Paolo d'Itala e di Forza d'Agrò ad edifici sacri emergenti della Contea e del Regno. Un'attenta disamina di fonti e dati documentari, gli consente di affermare l'esistenza di un più modesto impianto greco-orientale già a metà dell'XI secolo, una ricostruzione successiva alla morte del santo ed alla prima donazione normanna in suo onore (110-1101), una consacrazione della chiesa nel 1122. È lo studio cui dobbiamo affermazioni decisive, non solo per il San Giovanni Therestis, ma per la restituzione tutta della produzione calabra e sicula in età normanna e della posizione in essa dell'edificio di cui ci occupiamo.
Esemplare nell'adesione sostanziale alla posizione dello Schwarz ma anche nell'aprirla a puntuali revisioni, con particolare riferimento ai rapporti con le chiese siciliane e nell'additare possibilità di altri influssi e contatti (chiese con la pianta a T non solo italiane), lo studio di Corrado Bozzoni, anche per l'attenta osservazione portata sulle strutture, sui valori spaziali, sulla qualità coerente o meno della tessitura muraria, con ipotesi di tempi, fasi, forse mutazioni nelle vicende costruttive (29).
Il lavoro dello studioso romano vale ad aver portato rinnovata attenzione sugli aspetti anche materici dell'unità conservata.
Ancora sulla tecnica ed anche sulla cultura delle maestranze operose di San Giovanni e negli organismi affini di Calabria e Sicilia, ci portano di studi del Brucher, 1987 (30), di Francesco Basile (31) nel cui lavoro un notevole corredo di grafici rende più agevoli comparazioni e letture di valori spaziali, strutturali, statici.
In questo cammino di parecchi decenni, che s'è cercato di sintetizzare, appare ancora sostanzialmente inesplorata la fonte materica nel suo complesso: strutture ipogeiche, stratificazioni verticali obliterate da successivi accorpamenti, resti di quanto del costruito medievale ha potuto lasciare le sue tracce nei resti evidenti di fabbriche monastiche, con le loro successive trasformazioni.
Dalle fonti scritte possiamo trarre riferimenti ormai vagliati e da accertarsi.
I testi agiografici, considerata a parte la misura di credibilità loro assegnabile, appaiono concordi nell'attribuire al santo nascita a Palermo e successivo passaggio in Calabria e nello Stilese, ove sarebbe morto nella seconda metà del sec. XI, in un decennio non concordemente precisato (32).
Esistono, invece, testimonianze d'archivio inconfutabili, come un ante quem alla scomparsa del santo monaco fissata nel 1098, quando appare esistente il monastero del nostro grande padre Giovani Therestis (33). Una citazione del monastero di san Giovanni nell'atto di costituzione del vescovato latino di Squillace (1096), viene riferita dallo Schwarz. Consentirebbe una datazione più alta per l 'ante quem, se la sua autenticità non fosse messa in dubbio, come lo stesso Schwarz riporta (34).
La documentazione certa dà modo di seguire la crescita d'importanza e di devozione per l'abbazia dopo la morte del Santo e nei primi decenni del sec. XII, quando può cronologicamente collocarsi la ricostruzione del complesso, anche per ragioni d'ordine linguistico, come si vedrà.
Del 1100 è una donazione del conte Ruggero al monastero. La motivazione del gesto munifico fa pensare ad un intervento di rinnovo su modesto preesistente impianto. Così recita il testo: ... cum igitur multa necessaria desint templo patris nostri S. Ioannis, Dei auxilio id abundanter providemus (35).
A voler considerare soltanto donazioni e conferme, susseguitesi nei primi tre decenni del secolo, un buon elenco dedito dal Guillou attesta ulteriormente ruolo ed importanza del S. Giovanni Theriste (36), quasi affiancando un'opera ricostruttiva condotta in tale periodo e, probabilmente, culminante dapprima nella consacrazione della chiesa avvenuta nel 1122 (37) e, quindi, nel passaggio del complesso a monastero reale, franco e libero, disposto da Ruggero II nel 1144, assieme a nuova conferma dei beni precedentemente concessi (38).
Ancora certezze si hanno sulla posizione del monastero che, dopo una parentesi di depressione nel Quattrocento, documentata dai verbali di Athanasio Chalkéopoulos (39), viene definito da Marcello Terracina nel 1551 primum et caput aliorum monasteriorum convicinorum e appare al Visitatore antiquo more competenter instructum et opulentum in reditibus, sacris reliquis et ornamentis (40).
2.2 L'unità monastica e il suo complesso edilizio
Segue, fra tardo Cinquecento e primo Seicento, un intervento per finalità di difesa comprendente una torre su piana quadrata ed un recinto con un portale a bugne, recentemente demolito. Forse si apriva allora una pesante situazione di pericolo per al zona infestata dai banditi, culminante nel passaggio della famiglia monastica nel borgo di Stilo, con assenso di Alessandro VI nel 1660 e veto biennale del bandito Mommo Comito, dominatore dell'area circonvicina (41).
Abbandono, quindi e modesto tardo riuso di ambienti già facenti parte dell'abbazia.
I problemi di lettura dell'insieme che, sino agli anni Ottanta, si sono esplicati su tempi, fasi, giudizi su qualità tecnico-formali, antecedenze e connessioni linguistiche, muovono oggi da più vasto raggio.
Il San Giovanni Therestis è - a quanto mi è noto - il primo documento architettonico-urbanistico d'età normanna in Calabria, non senza possibili preesistenze anteriori, che sia stato oggetto d'una campagna di scavo.
Condotta nel 1990, su segnalazione di architetti impegnati allora in un intervento sulla chiesa per iniziativa dell'Amministrazione Comunale, dalla Soprintendenza ai Beni archeologici della Calabria, affidata al Direttore archeologo dott.ssa Silvana Iannelli, ha messo in luce una situazione nel corpo ecclesiale nuova ed aperta ad ulteriori acquisizioni scientifiche, nei primi sondaggi effettuati sul territorio ad esso adiacente.
La documentazione materica comincia così a dare nuove risposte.
Le prospettive ipogeiche e le parziali analisi delle stratificazioni verticali nella chiesa, ne aprono nuovi valori e prospettive di lettura.
L'ambiente quasi quadrangolare, già ritenuto vorhalle (atrio-Galilea), sino all'ultima lettera degli archeologi, sembra proporsi forse quale vano funebre, destinato ad un rituale di culto, se attorno affiorano bancali per visitatori-oranti forse dinanzi alle spoglie conservate nella grande tomba-ossario sul lato nord-est. Ma può anche rivelare funzione originaria o successiva diversa, con esclusione d'una finalità di spazio d'accesso alla navata, per la sua posizione a strapiombo sul vallone, inaccessibile sul lato ovest.
Tale corpo anteriore, di tessitura e materiale murario, diversi rispetto al corpo ecclesiale, pone l'interrogativo d'una impostazione da definirsi nella sua valenza linguistica. Richiede ampie indagini comparative con aggiunta di valori architettonici del San Giovanni Therestis che, probabilmente, dovranno essere verificate con l'ipotesi di un'originaria ascendenza da riportarsi a tipologie monasteriali d'oriente connesse a soluzioni fortificate, presenti in vasta e articolata area mediterranea, se l'ipotesi sarà suffragata da elementi probanti.
Il lavoro archeologico-storiografico ha aperto un nuovo discorso su presenze e ruderi affioranti oltre il vano ecclesiale, sollecitando analisi e comparazioni tecniche d'un esistente, che muove certo da originarie fabbriche monastiche, luogo una via ancora oscura di riusi e trasformazioni.
È la vicenda che, oltre i limiti dell'unicità monumentale, va fluendo attorno e in connessione ad essa, ponendo agli studiosi domande di rilevante interesse considerato anche il vuoto di conoscenze, che in genere si hanno nei riguardi dei complessi monastici orientali in Calabria.
Di seguito, alcune immagini propongono un contatto diretto con l'insieme ed una focalizzazione, quanto possibile puntuale, di problemi critici.
FIGURA 1 San Giovanni Theriste. Planimetria della chiesa con vano anteriore di recente messo in luce. 1193
FIGURA 2 Abbaziale di Cluny II. Planimetria
FIGURA 3 Abbaziale di Bernay. Planimetria
FIGURA 4 Abbaziale di Santa Maria della Roccella. Planimetria
FIGURA 5 San Giovanni Theriste. Zona presbiteriale. Planimetria delle strutture di copertura (Orsi - Carta. 1929)
FIGURA 6 San Giovanni Theriste. Sez. long. della chiesa (Orsi - Carta. 1929)
FIGURA 7 San Giovanni Theriste. Presbiterio. Lato Sud. 1988.
FIGURA 8 San Giovanni Theriste. Presbiterio e inizio navata. Lato Sud. 1988
FIGURA 9 San Giovanni Theriste. Ingresso al presbiterio. 1988
Uno stralcio IGM 1: 25.000 vale a darci conto della configurazione orografica del sito, fra avvallamenti e salti di quota da 495 a 415 metri s.l.m. A sud si allunga la vallata dello Stilaro; a sud-ovest Stilo e Bivongi.
Ciottoli fluviali e argille ferrose da qui provenienti, vengono utilizzati nella costruzione.
Il monastero appare quindi dalla vallata.
A distanza ravvicinata, si propone nello stato attuale.
E, ancora più ravvicinata, dal basso verso sud-ovest, si presenta con resti del recinto Cinque-secentesco, strutture più recenti e vano occidentale da poco messo integralmente il luce.
La storiografia segue molto ogni nuovo elemento della struttura del San Giovanni messa in luce, perché in molti frammenti si sono ritrovate scritte che rimandano a nuovi riferimenti documentari utili per lo studio del monastero e della storiografia del santo, ancora dubbia in alcuni punti, a seconda delle due Vite prese in considerazione.
Da tale visione complessiva dell'insieme, quale ci si propone dal 1988, passiamo ora ad un rapido esame del corpo ecclesiale.
La sua pianta, quale appare in un grafico recente, molto studiato, è fondamentalmente immutata rispetto al rilievo edito dall'Orsi nel 1914 (42) e poi nel 1929 (43), tranne che per il vano occidentale (fig. 9).
La planimetria evidenzia il rapporto fra aula mono-navata allungata e presbiterio con absidi laterali prive di coro, crociera centrale seguita da coro e abside. Gli accostamenti di fondo sono noti, ma è motivo di ulteriore studio andare ad accertarli nelle radici della ricerca architettonica sacra proto-normanna e normanna del nostro Sud, pur nelle varianti determinate dalla compresenza di culture ed etnie diverse.
In tale situazione - com'è noto - diventa spesso motivo caratterizzante l'innovazione portata al plan bénédictin e dal gusto di torreggiante verticalismo recepito dall'estremo Meridione d'Italia fin dal tempo della conquista.
Ovvio ormai riferirsi a prototipi nordici, in primis falle abbaziali di Cluny II (fig. 10) e di Bernay (fig. 11), ed alle applicazioni monumentali derivatene in Calabria, dalla cattedrale di Gerace a Santa Maria della Roccella (fig. 13) e in Sicilia dalla cattedrale di Mazara del Vallo sino alla più tarda Monreale.
San Giovanni Therestis, nata in un diverso comporsi linguistico, accusa anche radici in questa linea, evidenti nella parte presbiteriale.
Nella sezione longitudinale, sempre dal Carta-Orsi (44), (fig.14) è chiara la composizione in alzato dell'invaso.
Dal piano di crociera, lo spazio si configura verso l'alto con una sequenza di tre tamburi sovrapposti in asse.
Il primo, quadrangolare, limitato da doppio ordine di cornici a dente di sega; il secondo, ottogonale, aperto in quattro finestre alternate ad altrettante trombe d'angolo a duplice risalto; il terzo, cilindrico, su cui si imposta la cupola, ha una risega di lieve aggetto.
La crociera si apre con archi acuti verso l'aula e il presbiterio, a tutto sesto sulle absidi alterali.
All'interno, un ben calcolato rapporto di coperture arcuate (fig.15); all'esterno, una altrettanto ben calcolata soluzione stereometrica (figg. 16-17); nei particolari e nell'insieme, gli elementi connotanti la composizione, anche nei suoi valori di luce e spazio (fig. 18). Per una visione completa, è utile seguire al sequenza nell'interno del presbiterio, dall'accesso con arco acuto (fig. 19).
Le considerazioni sin qui fatte ci consentono di accettare quanto sinora detto di un'esperienza di sincretismo tra gli impianti longitudinali orientali e un presbiterio maturato dalla conoscenza delle soluzioni nordico-benedettine.
I particolari interni e la struttura tutta orientale, consentono altre riflessioni. Struttura torreggiante ed esperienza centrica si assimilano.
L'articolazione verticalistica del presbiterio non sembra estranea a una ricerca spaziale d'ispirazione orientale e il giudizio d'una disorganicità o dissociazione tra le due parti (aula e presbiterio) sin qui accettato, può forse essere superato nel valore spaziale d'un santuario dall'orma di fondo bizantina che, in adesione a quella religiosità e a quella liturgia, non deve essere pienamente visibile dagli astanti nell'aula.
La componente orientale in San Giovanni Theriste, va cercata non solo nella navata allungata e nella dicromia-policromia del tessuto strutturale-decorativo esterno, ma anche nella configurazione dell'orma così in sé chiuso e non visibile dall'aula, così chiaramente centrico nei suoi valori di misteriosità e di sacralità spaziale, che religiosità e liturgia bizantine postulano e che già troviamo nel rapporto aula-presbiterio in Santa Maria di Mili, in provincia di Messina, fondata nel 1090 (45).
Se parte evidente degli elementi tecnico-morfologici interni riporta a lessico islamico (archi acuti, denti di sega) come per gli archi intrecciati dell'esterno, e la struttura torreggiante di radice nordico-benedettina, prende corpo con un valore spaziale partecipe della religiosità d'Oriente , c'è ancora da considerare a testimonianza della qualità composita di questo linguaggio calabro-siculo, che il gusto di una rigorosa stereometrica e la capacità di realizzarla, non possono essere estranee all'esperienza delle maestranze arabe operanti tra le due rive dello Stretto.
E ad esse, portatrici d'un consumato mestiere già ricco di tante applicazioni nella Sicilia degli emiri - Ibn Hawkal scrive nel X secolo di trecento moschee costruite in Palermo (46)-, bisogna guardare anche per quanto concerne la soluzione dei problemi statico-strutturali.
E penso anche alla cura con cui vengono calcolati pesi e resistenze nella parte strutturale-decorativa del presbiterio esterno al dosato alternarsi di gruppo di mattoni, di piatto e di taglio, nei punti di scarico di arcate e arcatelle (fig.39).
Dalle poche nozioni di storia dell'arte che ho e dalle letture dei vari scritti, credo che la componente islamica, d'altronde documentata in tanta parte del medio evo figurativo di Calabria (47), vada considerata in questa fusione di linguaggio microasiatico e nordico-benedettino, che sta alla base del San Giovanni Therestis, unificato da esigenze di liturgia e di sacralità, come s'è detto.
Questa, dunque, la realtà, la consistenza, la problematica connessa all'unità monumentale. Sino al 1990, quando un accorto intervento di archeologia, ha consentito di rivederne la struttura e di aprire più ampio raggio di osservazione sull'interno.
La situazione anteriore è, per la chiesa, documentata dai rilievi dell'Orsi, con l'atrio-vorhalle dello Schwarz.
Anche l'Orsi ci dà l'immagine di parte della fiancata meridionale e del presbiterio della chiesa, entro il recinto cinquecentesco costruito dai monaci a difesa dai banditi, che infestavano la zona. Sulla linea del recinto, il modesto perimetro d'una costruzione rurale, cui s'indossano nuclei forse anteriori.
Il recinto, col portale a bugne e i resti intravisti possono notarsi nelle figure 45 e 46.
Tenuto conto dello stato che si è descritto fermo al 1990, seguono i dati emersi dagli scavi diretti dalla dott.ssa Iannelli, nello stesso anno. Una serie di innovazioni emerge da un sondaggio ipogeico del piano pavimentale.
Nel cosiddetto atrio vengono messe in luce una grande tomba-ossario ed una serie di bancali addossati alle pareti opposte. L'analisi del tessuto murario di tale ambiente nelle sue stratificazioni verticali, mette a nudo tecnica e materiali diversi da quando realizzato nella chiesa, ciottoli e mattoni irregolarmente allineati, senza ricerca cromatica.
È importante l'aspetto dedicato alla mancanza cromatica: segno evidente della semplicità della religione orientale, che " non dà rilevanza all'aspetto esteriore e visivo, ma alla spiritualità e all'animo di ogni uomo. È importante ascoltare e riflettere circondati dal minimo indispensabile, senza cercare di portare a casa la materialità ma l'animo di ogni ambiente.
Con queste parole Padre Kosmas, monaco ortodosso che da quattro anni vive nel monastero sul Consolino, accoglie i migliaia di visitatori che arrivano a "curiosare" nel luogo sacro, cercando di rubare qualche fotografia per ricordare un pezzo di Oriente calabrese.
Non si potrebbe capire in modo migliore la semplicità del luogo, avvolto nella ricca spiritualità orientale, senza queste poche parole di accoglienza dei padri che abitano l'eremo del santo Mietitore, vissuto nell'XI secolo.
Ma proseguiamo sull'aspetto architettonico, avendo sempre come sfondo a cui rapportarsi per capire, le parole del saggio Padre.
Sulla parete est del vano, una struttura verticale di grandi conci allineati, sembra agganciarlo alla contigua navata, che può ben apparire di ricostruzione successiva della chiesa, promossa dall'intervento normanno in memoria del Santo, testimoniato dalla donazione ruggeriana del 1100.
Il vano destinato ad oratorio funebre o ad altra funzione, ancora non documentata, propone stacco temporale rispetto alla fiancata della chiesa. Appare realizzato con una buona accuratezza tecnica, non senza una piccola ricerca decorativa espressa da una serie di pilastrini in rombi sovrapposti di cotto, inseriti verso la sommità della sua parete sud. Non precisabile nelle sue fonti, il motivo è pur sempre testimonianza del gusto d'una decorazione ottenuta con materiali costruttivi, largamente diffusa nell'Oriente bizantino.
Ritornando al corpo ecclesiale, ben chiaro lo stacco in due tempi.
Forse riferibile all'XI secolo il vano della grande tomba; successivi ala donazione normanna del 1100 l'aula ed il presbiterio, con un completamento che la data di consacrazione della chiesa (1122) e quella del conferimento della qualifica di "reale" al monastero (1144) pongono come probabile arco cronologico. E la cronologia suggerisce altresì un possibile accostamento alle chiese monastiche siciliane linguisticamente più vicine con una collocazione del nostro San Giovanni successiva alla fondazione di Santa Maria di Mili e probabilmente coeva alla prima fase della Chiesa dei SS.
Pietro e Paolo di Forza d'Agrò, anteriore al documentato intervento nordicizzante di Girardo il Franco, 1173 (48).
Circa l'intorno, il rilievo eseguito su coordinamento della dott. Iannelli dalla sua équipe, mostra la nuova situazione. Nei sondaggi, affiorano resti di strutture, che richiedono altre analisi per un'auspicabile lettura diacronica di quanto oggi resta delle fabbriche monastiche cresciute attorno alla chiesa di San Giovanni Theriste dai resti dell' aedicula intra lucos (49) ove il Santo visse inizialmente, alla costruzione nell'XI (50), alla ricostruzione in forme protonormanne.
FIGURA 11 San Giovanni. Resti del recinto cinquecentesco
FIGURA 12 San Giovanni Theriste. Strutture semidirute addossate a sud-ovest della chiesa.
Note del capitolo 2
1. Sopra alcuni monumenti del Medioevo esistenti in Calabria.
lettera del Cav. Vito Capialbi al signor Carlo Bonucci, Architetto Direttore degli Scavi di Antichità in Napoli , "Il Faro", IV (1836), T. II, 11-12.
2. C. GIANNELLI-S. G. M ERCATI-A. G UILLOU, Saint-Jean Théristès (1054-1264), Città del Vaticano 198 ( Corpus des Actes grecs d'Italie du Sud et de Sicilie. Recherches d'histoire et de géograpgie, 5), 16.
3. E. JORDAN , Monuments byzantins de Calabre , "Melanges d'archéol, et d'histoire de l'Ercole francaise de Rome", IX (1889), 334; CH. DIEHL, Notes sur quelques monuments byzantins de Calabre, ibidem, XI (1891), 284-302.
4. B. CROCE, Sommario critico della storia dell'arte del Napoletano; IV, "Napoli nobilissima", III (1894), 70.
5. E. BERTAUX, L'art dans l'Italie méridionale de la fin de l'Empire Romain à la conquete de Charles d'Anjou, I, Paris 1903, 124-125.
6. P. TOESCA, Il Medioevo, II, Torino 1955, 620.
7. CH. DIEHL, Chiese bizantine e normanne in Calabria, "ASCL", I (1931), 10.
8. Sul rapporto Diehl-Lenormant, D IEHL, L'art byzantin dans l'Italie méridionale, Paris 1894, 186-203.
9. P. ORSI, S. Giovanni Vecchio di Stilo , "Archivio Storico della Calabria", II (1914), 511-533; ID. Le chiese basiliane della Calabria, Firenze 1929, 41-63.
10. Sulla questione del rapporto Calabria-Sicilia nell'architettura d'età normanna e sue diverse interpretazioni, sino alle più recenti posizioni orientate a rilevarvi un comune fondo di cultura, una lucida puntualizzazione è data da Cleofe Giovanni Canale ( Aspetti della cultura architettonica religiosa del sec. XI in Sicilia e in Calabria, "Cronache di archeologia e di storia dell'arte", 6, 1967, 92-106). Sul tema, vanno essenzialmente ricordati: E. Calandra, Breve storia dell'architettura in Sicilia, Bari 1938, 30-44; S. BOTTARI, Chiese basiliane della Sicilia e della Calabria, Messina 1939; ID., L'architettura della Contea. Studi sulla prima architettura del periodo normanno nell'Italia meridionale ed in Sicilia, "Siculorum Gymnasium", N. S., I (1948), 1-33; ID., La Bourgogne et la première architecture normande en Italie méridionale et en Sicile, "La revue des arts", 1953, n. 1, 2-12; ID., L'architettura del Medioevo in Sicilia, in Atti del VII Congresso Nazionale di Storia dell'Architettura, Palermo 1956.
11. H.M. SCHWARZ, Die Baukunst Kalabriens und Sizillien in Zeitalter der Normannen. I. Die lateinischen Kirchengrundungen des 11. Jahrhunderts und der Dom in Cefalù, "Romisches Jahrbuch", VI (1942-1944), 1-112.
12. Iz., Zur Stilsynthese und Datierumng einer der altesten griechischen Monchskirchen Calabrien: S. Giovanni il Vecchio bei Stilo , in Miscellanea Bibl. Hertzianae zu Ehren von Leo Bruhns , Munchen 1969, 77-89.
13. A. VENDITTI, Architettura bizantina nell'Italia meridionale, Napoli 1967, 906-913.
14. C. BOZZOLI, Calabria normanna. Ricerche sull'architettura dei secoli undicesimo e dodicesimo, Roma 1974, 31-40.
15. W. KROENIG, Frankreich un die romanische Architektur in Unteritalien, in Relations artistiques entre la France et les autrea pays depuis le haut moyen-age jusqu'à la fin du XIX e siècle (Actes du Congrès international d'histoire de l'art. Paris 1958, 92-99; ID., La Francia e l'Italia meridionale , "Napoli Nobilissima", I (1962), fasc. VI, 203-215.
16. B. CAPPELLI, L'architettura dell'età normanna, "Almanacco calabrese", 15 (1965), 32-33.
17. G. LAVERMICOCCA, S. Giovanni Vecchio di Stilo, in l'Arts dans l'Italie méridionale. Aggiornamento dell'opera di Emile Bertaux sotto la direzione di Adriano Prandi, t. IV, Roma 1978, 317-319.
18. E. ZINZI, Presenze e memorie della cultura figurativa islamica in Calabria e Basilicata, a cura di P. De Leo, Cava dei Tirreni 1988, 256.
19. F. BASILE, L'architettura della Sicilia normanna, Catania-Caltanissetta-Roma, 1975.
20. G. BRUCHER, Die Baukunst Italiens im 11. und 12.
Jahrhundert, Koln 1987, 332-334.
21. S. BORSARI, Vita di San Giovanni Terista , ASCL, (1953), 13-21 e 136-151.
22. A. PETERS, Joannes Messor, seine Lebensberschreibung und ihre Enstehung, Auszung aus der Bonner philosophischen Dissertation (1955), mulheim (Ruhr), 1955; Bonn 1955, 7-49.
23. Cfr. n. 2 supra.
24. ORSI, Le chiese basiliane... 58-59 e n. 16. L'Orsi desume la frase dal Cozza-Luzzi (G. C OZZA-LUZZI, Lettere calabresi, "Rivista storica calabrese, 11, 1903, 28), a sua volta facente capo a P. Apollinare Agresta (P. APOLLINARE AGRESTA , Privilegi e concessioni fatti dal grande conte Ruggiero..., Roma 1675, 6 s.
25. Cfr. n. 10 supra.
26. Cfr. n. 11 supra.
27. Sul tema esiste ormai una consistente letteratura, della quale ci limitiamo a ricordare gli studi già citati di Cleofe Giovanni Canale, Corrado Bozzoni, Francesco Basile e G. Brucher con i loro copiosi rimandi bibliografici. Da ricordare anche gli scritti di Giuseppe Occhiato, del quale è di pubblicazione recente un denso saggio: La Trinità di Mileto nel romanico italiano (Cosenza 1994). Per un'essenziale sintesi, E. ZINZI, Normanni e assetto territoriale. Orientamenti e forme dell'architettura in età normanna in Calabria, in Calabria, a cura di Maria Pia di Dario Guida, Roma 1983, 108-120 e 432.
28. Cfr. n. 12 supra.
29. Cfr. n. 14 supra.
30. Cfr. n. 20 supra.
31. Cfr. n. 19 supra.
32. BORSARI, 13-19 e passim.Ivi anche riferimento a documenti, in parte passati dal Peters allo Schwarz e in parte editi nel Corpus recente dal Guillou (con Giannelli e Mercati).
33. GIANNELLI-MERCATI-GUILLOU, n. 3, 5 agosto1098, pp. 47-58.
34. SCHWARZ, Zur Stilsynthese..., 87. Sulla non accettabilità di tale documento, lo Schwarz (ibidem) accenna al parere dell'Holtzmann.
35. GIANNELLI- MERCATI-GUILLOU, n. 4, dicembre 1100, pp. 59-61. Traduzione: "...dunque avendo dato ogni cosa necessaria per il tempio del nostro padre San Giovanni, provvediamo abbondantemente e con l'aiuto di Dio".
36. Ibidem, n. 6, aprile 1105, pp. 69-71; n. 7, gennaio 1106, pp. 72-73; n. 11, 1127-1128, pp. 86-91; n. 12, 1127-1128, pp. 92-94; n. 14, 20 marzo 1138 (?), pp. 99-103; n. 15, 1140-1141, pp. 104-107.
37. La notizia è trasmessa da Apollinare Agresta ( Vita di S. Giovanni Theriste, abate archimandrita dell'ordine di S. Basilio Magno, Roma 1677 2). La consacrazione è attribuita a Callisto II. Cfr. Bozzoni, 38 e 59 n. 87.
38. GIANNELLI- MERCATI-GUILLOU, n. 16, 24 ottobre 1144, pp. 108-110.
39. M. H. LAURENT- A. GUILLOU, le Liber visitationis d'Athanase Calkéopoulos (1457-1458). Contribution à l'histoire du monachisme grec en Italie méeridionale, Città del Vaticano 1960, 86-95.
40. Ibidem, 294. Traduzione: " primo e a capo degli altri monasteri vicini e appare al visitatore per antica usanza convenientemente ben fornito e ricco in rendite, sacre reliquie ed ornamenti ".
41. GIANNELLI-MERCATI-GUILLOU, 16.
42. ORSI, S. Giovanni..., 514, fig.1.
43. ID, Le chiese basiliane..., 44.
44. ID, S. Giovanni Vecchio, 521, fig. V; ID., Le chiese basiliane..., 49, fig. 29.
45. La chiesa monastica di Santa Maria di Mili presso Messina, presenta anch'essa santuario con andatura torreggiante e tamburi sovrapposti con trombe, il quale s'apre verso l'aula con arco acuto di modesta dimensione e, quindi, scarsa visibilità dal santuario all'aula. Ha ancora in comune col nostro santuario di San Giovanni, l'uso di materiale lapideo e cotto con effetto cromatico e forse al prima applicazione di archi intrecciati esterni. È ritenuta fra le prime progettazioni influite nell'isola della cultura islamica. La sua fondazione, voluta da Ruggero, è del 1090. La sua costruzione iniziata nel 1091. Cfr. BASILE, 10-19 e 110 n. 24; BRUCHER, 346.
46. BRUCHER, 343; A.F. VON SCHSCK, Poesie und Kunst der Araber, Bd. II, Berlin 1965, s. 104).
47. ZINZI, Presenze e memorie della cultura figurativa islamica in Calabria e Basilicata..., 250-303.
48. La chiesa dei SS. Pietro e Paolo a Forza d'Agrò ha la prima cronologia lagata ad un diploma di donazione da parte di Ruggiero nel 1117 ed un secondo riferimento alla data d'un restauro (1172) operato dal normanno Girardo il Franco. Cfr. BASILE, 25-35 e 113 n. 38; B RUCHER, 248.
49. ORSI, 57. È il piccolo monastero nei boschi stilesi in cui S. Giovanni Therestis iniziò la sua vita monastica. L'Orsi cita 574 9da un testo agiografico. Traduzione " raccolta di libri nel luogo.
50. Cfr. n. 24 supra
Il monastero calabro di San Giovanni Therestis: documentazione e tradizione fino all'età moderna
Tesi di laurea di di Paola Gaglioti presso L'università degli Studi di Torino
Capitolo 3. Altra documentazione esistente fra '500 e'700 (documentazione inedita) (pdf)
Andare alla ricerca di documenti inediti su un piccolo monastero calabrese, abbandonato da molto tempo e poco conosciuto, non è facile, perché si è consapevoli del fatto, dopo la mole di documenti editi trovati, che si troverà ben poco o nulla.
Mi posso ritenere fortunata: forse non tanto per la mia inesperta capacità di orientarmi fra gli strumenti del mestiere dello storico, ma per aver avuto la capacità di catalogare tutti i luoghi di possibile archivio e visitarli accuratamente, con la speranza di trovare anche una piccola fonte inedita.
Col prezioso testo di A. Guillou (1), mi sono recata nella Biblioteca Apostolica Vaticana dove ho avuto dinanzi il CVL 13118, già argomentato per mano del Guillou, e nell'Archivio Segreto Vaticano dove la cordialità dell'addetto ai permessi mi ha concesso di fare una visita guidata all'indice archivio.
Qui la mia visita non ha dato fruttato manoscritti, ma solo il fascicolo stampato di Privileggi e concessioni… di Apollinare Agresta.
A questo punto le mie ricerche si sarebbero potute fermate, perché il testo di Guillou non conteneva altri riferimenti di documenti inediti, ma sapendo che il demanio di Stilo, fino a qualche anno fa, quando passò sotto la giurisdizione ecclesiastica della curia di Locri, faceva parte della diocesi di Squillace, mi sono recata nell'Archivio di Stato di Catanzaro, luogo dove furono depositati alcuni documenti del monastero, nel momento in cui la Cassa Sacra, nel 1785, constatando l'assenza di monaci nel convento sul monte Consolino, abbandonato durante il terremoto del 1783, decise di dichiararlo disabitato e, perciò, chiuderlo, raccogliendo i pochi beni rimasti.
Nell'Archivio sono depositati 5 fascicoli, più un inserto aggiuntivo, rappresentanti il Libro Contabile di chiusura conti del monastero nel 1784, insieme a quelli riguardanti le entrate ed uscite degli anni 1766 - 1784.
Il tutto è catalogato sotto la denominazione di Fondo Cassa Sacra. Serie Libri antichi e platee.
I fascicoli sono manoscritti non sempre firmati, ad eccezione dell'ultimo, che apporta le firme del vescovo di Catanzaro e Gerace, il Capo Mastro responsabile della Cassa Sacra per i lavori di restauro del monastero.
Fascicolo n 1°, 1766 - 1780_Compendio dei censi del monastero.
Le 99 pagine sono dedicate per 1/3 al conteggio e inventario delle mucche, pecore e vitelli classificati per nome e stimate per valore.
In alcuni casi, accanto al loro valore, è inserito il nome di colui a cui l'animale era stato dato in affidamento (affitto) e che pagava il suo censo in relazione alla produzione che aveva.
Si può constatare questo per il fatto che alla fine di ogni foglio, o conteggio parziale, il responsabile annotava il totale di quanti animali sarebbero stati venduti, quanti restituiti o scambiati con altra merce, fra quelli dati in affidamento.
La merce di scambio più frequente è data da conigli.
Segue un esempio di obbligo di gestione del quantitativo di animali già in possesso da 21 anni, per altrettanti anni, ed in più, come compenso della possibilità di avere per sempre gli animali, sono da versare un certo numero di conigli alla Cassa Sacra (il numero preciso non si legge perché gli anni hanno completamente sbiadito il manoscritto).
Alle fine del foglio si legge, con difficoltà… … si è fatto li obligo, dì 17 . 7bre . 1775, a Franc. Anto. Princi ulteriori valenze per anni 21 e come allo obligo di n° X conigli… .
Un esempio di conteggio parziale degli animali del monastero, nel 1773, può essere così riassunto:
vacche di corpo
|
23
|
tori
|
4
|
gennizze
|
6
|
giovenchi
|
9
|
gencozzi
|
5
|
gennizzole
|
11
|
antichi
|
2
|
annichila
|
1
|
vitelli
|
5
|
vitelle
|
1
|
Intutto n.
|
67
|
Nella restante parte del fascicolo sono annotate le terre e le colture, con relative rendite.
Ogni foglio ha per intestazione il nome e la provenienza di colui che amministra le terre e l'uso che ne viene fatto, oltre, che per la coltivazione.
Di tanto in tanto si legge, annotati " erbaggi per bestie "; questo a significare che i monaci contribuivano all'allevamento delle bestie, anche se date in affidamento.
Inoltre, per ogni soggetto c'è il relativo tempo di devozione (2) al monastero di S. Giovanni Therestis e se ha pagato puntualmente le tesse.
Il nuovo padrone , la Cassa Sacra, usa questi elementi per sincerarsi di cedere il mani sicure l'immenso patrimonio che i monaci, lasciando il luogo, hanno abbandonato nelle sue mani. E il grado e tempo di devozione non potrebbe essere miglior metodo di valutazione.
Il criterio per stabilire chi poteva essere considerato un amministratore modello delle terre e degli animali non si evince in modo rilevante dai manoscritti in questione, se non per il fatto che, di tanto in tanto, accanto al nome del signore vi è scritto " che devotamente paga, affidandosi da anni al nostro santo Giovanni, il Mietitore".
Frase fondamentale per una società fortemente religiosa, che faceva da collante indissolubile con quella laica.
Altro elemento importante, che si nota a primo sguardo fra i cinque fascicoli, è che solo gli ultimi tre hanno una rilevante consistenza, mentre il primo (censi, B.98 fasc.6 ) ed il secondo (culture varie e denari, B.98 fasc. 4 ) solo limitati.
Questo dimostra che la consistenza in denaro del monastero, derivante dall'affitto dei terreni non era molto alta e che gli incassi maggiori ruotavano sulle entrate dei censi, in beni, dati in relazione alla produttività dei terreni.
Niente denaro, solo terra.
È un motto rimasto ancora oggi: i monaci residenti sul Consolino, non sono molto propensi ad accettare offerte in denaro, ma solo prodotti, prettamente provenienti dalla terra.
Fascicolo n 2°, 1781 - 1784 _ Colture varie e denari.
Fascicolo, non più consistente del precedente, sul quale sono annotate, oltre le colture, anche gli introiti in denaro, già esatti o da esigere, classificati, su ogni foglio, per giorno, mese ed anno.
I beni si distinguono fra grano, olio, panicolo (pannocchie di grano), grano da semina.
Inoltre, accanto ai vari beni, è inserita la persona, la sua provenienza e il debito o il credito che ha nei confronti del monastero.
Molto più consistenti (circa il doppio di fogli rispetto ai precedenti) sono gli altri tre fascicoli, come anticipato.
Fascicolo n 3°, 1782 - 1783 _ Libretto d'incassi dell'anno 1783.
Questo opuscolo, consistente negli incassi di due anni, è suddiviso per luogo.
Ogni foglio manoscritto porta in calce il paese di provenienza dei censi e, a seguire, i vari soggetti e beni, per i quali è previsto l'incasso, per gli anni in questione.
Per circa 20 fogli, ci sono inseriti incassi generali della fine dell'anno 1782 e del 1783, senza un preciso criterio, se non per beni.
In seguito si notano:
Stilo: censi in denari e affitti in grano '
Pazzano: censi in denari '
Bivongi: censi in denari
Camini, Riace, Placanica, Monasterace: censi in denari
Guardavalle: censi in denari e grano '
Riace: censi in grano '
Santa Caterina,
San Vito, Soriano, Pizzoli, Vazzano ' Residui di fronda (3) : Stilo per gli anni 1775 - 1783 Residui di lino, cotone, fagioli, olio, granturco
Accanto ad ogni classificazione è apportata la corrispondente persona, o ente, in ordine alfabetico, da cui bisogna esigere il censo, e molti di questi sono quelli provenienti dai cosiddetti " residui di fronda ".
Nota di ricerca.
Sperimentazioni didattico - culturali di appena sei anni fa, portate avanti dal prof. Nicola Amato e patrocinate dal comune di Reggio Calabria, hanno evidenziato l'elevata produttività del baco da seta nella regione Calabria, soprattutto negli eremi dispersi per tutta l'Italia meridionale.
Tale attività non è venuta meno con la chiusura dei monasteri o con l'allontanamento dei monaci, ma è continuata ad esistere come produzione privata, almeno fino al 1931.
In questo anno, le notizie statistiche dell'Ente Serico, riguardanti la produzione italiana di bozzoli, riportano che il quantitativo prodotto nel nostro paese è stato di 40.000 kg, e gran parte derivante proprio dalla Calabria, che deve tale attività proprio alla tradizione ortodossa in campo, nella Vallata dello Stilaro.
Solo nelle Marche e nel Veneto, paesi con una popolazione numericamente di gran lunga superiore rispetto a quella calabrese, riuscivano a produrne di più.
Risultato ottimo per qualche padre che, abbandonando la propria terra greca, si è dato da fare in altra, riuscendone così bene.
Sfogliando ancora il fascicolo, si nota come la parte più consistente di introiti riguarda il comune di Guardavalle, posto a circa 30 chilometri dal monastero e perciò sulla vallata opposta del monte Consolino.
Infatti il luogo sacro è considerato il punto centrale, a volo d'uccello, che separa la provincia di Reggio Calabria e quella Catanzaro.
E da ciò che si può notare l'enorme quantitativo di beni e denaro, disseminato per la regione, in possesso del monastero e, la conseguente estrema urgenza, da parte della Sede Apostolica prima e della Cassa Sacra poi, di organizzare e sistemare quella enorme ricchezza abbandonata per calamità naturali o in balia di monaci greci non più operosi come al momento del loro arrivo in Calabria (4).
Fascicolo n 4°, 1784 _ Libretto d'incassi dell'anno1784 .
Questo può considerarsi come una prima chiusura, dopo i conteggi parziali dell'anno 1784.
La suddivisione delle entrate è, questa volta, soprattutto per tipologia di beni (lino, fagioli, barbaciechi - fagioli selvatici - olio e affitti vari di terre e bestiame), con accanto i luoghi di provenienza.
Modo frettoloso e più generico, rispetto alla catalogazioni precedenti, per meglio avere sott'occhio una vasta tipologia di beni da distribuire, nel minor tempo possibile.
La seconda scansia di questo fascicolo, circa 20 pagine, porta il titolo Chiusura annualità collettiva (denari e prodotti) per l'anno 1784.
È questa una chiusura contabile di denaro, già esatto e da esigere.
Certo, l'enorme quantitativo di beni ereditati non permetteva conteggi unici e generici; ecco perché il fascicolo successivo, Libretto di esazzione , è da considerarsi la chiusura generale ufficiale degli incassi, così rilevante ai fini gestionali, da richiedere in calce al documento, la firma del procuratore del demanio di Stilo.
Fascicolo n 5°, 1785 _ Libretto di esazzione di questo reale monistero di S. Giovanni Terestis della città di Stilo .
Chiusura totale di tutte le entrate in denaro, e anche di prodotti vari.
Di tanto in tanto, si legge " Nicola Carnovale e compagni, per li fichi di Marone, cambisi 8 = 00".
Non vi erano, fino a questo momento, documenti misti, schedati in beni e denari, o meglio, fra scambi i due. È questo l'unico fascicolo del genere.
La Cassa Sacra, si rende conto che i monaci avevano investito molto nella terra e in quello che essa produceva. Agli affittuari chiedevano la produttività agricola, non quella pecuniaria.
Per questo motivo, essa ritiene più importante snellire l'entrata dei prodotti, per indirizzare le entrate del regio demanio sul denaro, e l'unico modo per farlo, è chiedere l'eguale, in soldi, che dovrebbe ricevere in beni.
Criterio favorevole non solo per il nuovo ente, che accaparra per sé del denaro, ma anche per le persone del luogo che vivevano di terra e bestiame e che si accontentavano di pagare una certa somma di denaro al Demanio, piuttosto che cedere i beni fondiari, loro unica fonte di sussistenza.
La data del manoscritto è del 1785 e la firma in calce al documento è del Proc:re Michele Mellace .
Due documenti di chiusura dei conti di particolare importanza da richiedere la firma di un responsabile regio.
Idem per l'ultimo fascicolo; ultimo, ma non per questo meno importante dei precedenti.
Fascicolo 5° / bis, Carte relative alla restaur.ne da farsino nel Monastero di San Giovanni in Stilo destinato queso di PP. Del Santisimo Redentore.
Questo fascicolo supplementare, contenente conti, grafici e lettere varie del vescovo con il capo mastro della Cassa Sacra e della regia cassa di Napoli, evidenzia l'intenzione di ripristinare la vita all'interno del monastero.
Le date risalgono agli anni fra il 1790 e il 1795, ma proprio in questo anno si bloccano documenti e intenzioni.
Numerose sono le lettere fra i vari vescovi di Catanzaro (diretto interessato, perché il territorio di Stilo appartiene alla sua giurisdizione ecclesiastica) e quello di Gerace (interessato a far rifiorire un luogo sacro che, in un passato, non molto lontano, ha dato lustro a' luoghi nostri (5).
Altrettante numerose sono le lettere inviate al Supremo Consiglio delle Reali Finanze di Ferdinando IV di Borbone, presso Gerace, e al Capo Mastro della Cassa Sacra.
Il vescovo vuole rendere nuovamente agibile il monastero tanto valente, perciò si spreca, in collaborazione col Marchese Capo Mastro, in perizie e calcoli, se non in progetti per ristrutturazioni ed aggiunte.
Si notano perizie e calcoli, prospettive e proiezioni: il vescovo volendo rendere abitabile il luogo, calcola un totale sommario della spesa, che può occorrere e poi una spesa semplificata per piani:
Per il Primo piano viene calcolata la spesa per la pulizia del fango e della terra che il tempo e le intemperie hanno fatto risiedere nel piano terra e primo piano, l'aggiustamento delle parti in legno, dai rosoni alle icone lasciate dai monaci, rimasti quasi intatti ed ancora oggi esistenti, nella loro bellezza originaria.
Per il Secondo piano e uso di refettorio viene calcolata la spesa di un allungamento di 86 palmi in larghezza, un alzo di 24 palpi ed un'ottavo (6) per via aerea di questo piano con aggiunta di aree nuove (refettorio) per nuove esigenze dei monaci.
Nel conteggio è calcolata la necessità di non modificare il materiale di cui sono fatte le strutture iniziali. Infatti si legge sempre, specificando "…tavole in castagno…trave in castagno…".
È questo certamente il modo di far rivivere quell'ambiente originario e caratteristico del monastero che tanto lustro ha dato al luogo e che i monaci hanno abbandonato solo per urgenza.
Altri aggiustamenti riguardanti il secondo piano riguardavano porte e finestre e, all'interno del refettorio è inserito un elemento nuovo: "tavoli in ferramenti con espansione di 4:in 8 ".
I nuovi materiali e le nuove dimensioni sono simbolo di grandi novità e voglia di rivedere il monastero migliore rispetto ai tempi passati, per dar lustro alla religiosità e ad una regione degradata e abbandonata a se stessa.
Per il Terzo piano le modifiche riguardano le strutture già esistenti, con ampliamento delle dimensioni e sostituzione dei materiali consumati "… dall'abete consumato al castagno decorativo" soprattutto per porte, finestre e altari.
Per l'Ultimo piano non ci si scosta molto dalle modifiche degli altri piani.
La spesa totale, risultante dai calcoli allegati dopo il preventivo del Capo Mastro della Cassa Sacra, Diego Marchese, alla data del 25 giugno 1793, è di 1004,, 56,, 6,, con la specificazione che "…della spesa può occorrere da perfezionare…"(7).
Al preventivo è allegata una lettera accompagnatoria di ulteriori chiarificazioni sui tempi dei lavori, che sarebbero iniziati al momento della autorizzazione e accordo fra Cassa Sacra, Regio Demanio (per un primo stanziamento della somma) e i vescovi dei territori limitrofi al Monastero de' SS. Basiliani.
Questa lettera porta la data del luglio 1793 e la volontà di far rivivere il monastero continua solo con lettere fra vescovi e capi mastro della Cassa Sacra, senza arrivare ad una conclusione definitiva.
Nelle pagine fin qui schedate non si rilevano disegni circa l'architettura vecchia e nuova del monastero, ora, invece, alla data del 28 settembre 1795 è riportato un interessante foglio, n°75 (Fig. 25), riguardante il disegno dello spaccato del vecchio cupolone (puntualizzato con la lettera A) confrontato con quello della nuova cupola … che si progetta (puntualizzato con la lettera B).
Questa novità è data dal fatto che il progetto richiede un rinnovamento dell'antica cupola, rappresentativa del nuovo monastero, in rapporto alle nuove dimensioni dello stesso monastero e alla nuova e più ampia superficie su cui appoggiare la cupola.
Le modifiche, perciò, riguardano sia l'aspetto esteriore sia quello della sicurezza.
Infatti si richiede una nuova cupola … a posizione sferica con raggio 16 … non più di … palmi 8. Questo perché l'elevata altezza della prima cupola e il relativo peso hanno fatto sì che si verificassero maggiori crepe con il rischio di crollo.
Si altresì l'inserimento di quattro piloni sottostanti la cupola con l'incrocio di 32 palmi verticali.
Il progetto è alto e importante se così numerose autorità si danno da fare per il rinnovamento del monastero del santo mietitore.
Peccato che dal 1795 in poi non si rilevano, o non ci furono più, rapporti e testimonianze della volontà di ricostruire il monastero di San Giovanni Therestis da parte di vescovi, principi o autorità del Demanio di Stilo.
L'ultima lettera porta la data del 9 settembre 1795, proveniente dal Capo Mastro della Cassa Sacra per il vescovo di Gerace, esortandolo a tenere un registro per depositare tutte le perizie a lui arrivate e decidere, in tempi brevi, quale utilizzare per della ristrutturazione del monastero, in progetto da qualche anno.
In questa lettera non ci sono altri elementi per capire il perché ogni lettera, e perciò, ogni progetto si ferma in questa data, ma certo le parole del Capo Mastro non sono di colui il quale ha l'intenzione di continuare a lavorare, per un progetto mai portato a termine.
Qualche tempo fa, dei lavori di restauro di un così bell'edificio bizantino, non se ne parlava affatto.
Si scorgevano, dalla strada sottostante al monte Consolino, direzione Stilo - Bivongi, i ruderi degli Apostoli (8) e si palava degli altrettanti ruderi di San Giovanni Therestis, nascosti dalle collinette di Bivongi.
Niente e nessuno si è interessato di questa opera del mondo bizantino, se non fino a quando Padre Nilo, docente di Storia del Diritto Romano presso la Facoltà di Lettere a Reggio, durante un viaggio in Grecia, ha parlato di questo monastero con Padre Kosmas, che ha subito manifestato la volontà di venire in Calabria.
I lavori di restauro iniziano, all'incirca, nella primavera del 1990 e si bloccano l'anno successivo (come da consuetudine in Calabria!) e solo dopo numerose lamentele, per il perdurare della sospensione dei lavori attinenti il restauro e la conservazione della basilica bizantino - normanna di San Giovanni Therestis, nel luglio del 1992, l'appello per la prosecuzione dei lavori è stato accolto.
La lunga inattività pregiudicava la stabilità dei muri perimetrali della navata, le cui fondamenta erano state messe allo scoperto dagli scavi eseguiti dalla Sovrintendenza Archeologica di Reggio Calabria per la ricerca di tombe, senza che ne seguissero poi il successivo e necessario riempimento.
Si è intervenuto proprio a salvaguardare la stabilità dei muri della navata mediante la puntellatura degli stessi con assi di legno legati ad una serie di tubi "Innocenti " ancorati al terreno con piattaforme di cemento, sia internamente che esternamente alla navata.
Opere di consolidamento sono state eseguite nel burrone che scende nella fiumara Assi, antistante il portone di granito dell'entrata della basilica, per arrestare l'erosione del piazzale e poter così allontanare dal monumento, che finora lambiva, la strada poderale che porta alla zona "Pratura".
Alcuni mattoni nuovi e rossicci delle lesene esterne dell'abside, sono stati confezionati su misura di quelli mancanti, usando, per motivi di cottura e di uniformità, anche la stessa creta che le maestranze usavano negli anni in cui costruivano il monumento (secolo XI), e rotti a colpi di martello e di scalpello, per inserire quella limitata imperfezione che i primi costruttori apportarono al monumento.
In tutto questo operare non si fa riferimento ai progetti che, negli anni 1790 - 1795, si volevano eseguire per mano di varie autorità civili ed ecclesiastiche e, forse, non si è neanche a conoscenza del fatto che nell'Archivio Storico di Catanzaro sono depositati documenti che attestano la volontà di rinnovare quel monastero così ricco di storia della regione Calabria.
NOTE documenti inediti
1. A. Guillou, "Saint - Jean Therestis (1054 - 1264), Città del Vaticano, BAV 1980;
2. Era usanza dei monaci annotare nel Libro Cassa, il tempo di devozione dell'amministrazione della terre, nei confronti del Santo Mietitore.
Criterio secondo il quale si stabiliva se il monastero poteva fidarsi del signore affidatario dei beni e tramandarlo ai futuri monaci per far si che le terre e i vari beni del monastero potessero rimanere in mano sicura.
La Cassa Sacra considera questi elementi fondamentali per la riorganizzazione del nuovo patrimonio della sua giurisdizione, perché è a conoscenza del rigore dei monaci e della loro grande capacità di gestione;
3. Cibo che serve per alimentare il baco da seta;
4. Dal 1600 al rilassatezza dei costumi del rito greco era arrivata all'orecchio della Santa Sede, che cercava sempre più di controllare da vicino, attraverso le visite frequenti dei Delegati Apostolici;
5. Così il vescovo di Gerace risponde al vescovo di Catanzaro, che gli propone la collaborazione per la ristrutturazione del monastero di S. Giovanni. Non va dimenticato che è proprio in questo paese che risiedono la Casse Reali.
6. I termini sono riportati in modo identico dal manoscritto, comprendendo anche possibili errori di lessico (esempio: un' ).
7. La lettera allegata chiarisce il fatto che la spesa preventivata può richiedere variazioni a seconda delle necessità.
8. Costruzione dello stesso periodo del monastero di San Giovanni, che fa capolino fa i monti essendo posizionata sul colle più alto del monte Consolino, nella sua vallata della provincia di Reggio Calabria.
Il monastero calabro di San Giovanni Therestis: documentazione e tradizione fino all'età moderna
Tesi di laurea di di Paola Gaglioti presso L'università degli Studi di Torino
Capitolo 4 - Un aspetto nuovo: il rifacimento della Vita di San Giovanni (pdf)
4.1 Alcuni cenni di agiografia
Esaminando le fonti agiografiche ed innografiche su San Giovanni Therestis e mettendole a confronto con i documenti relativi al monastero di Stilo che ne porta il nome, si è intravista la possibilità di ritagliare un profilo inedito della sua figura e di proporre una nuova valutazione delle fonti che lo riguardano.
Ma, avendo affrontato nel capitolo precedente l'argomento del monastero a livello storiografico - strutturale, in questo capitolo mi limiterò alla vita del santo.
Su San Giovanni Therestis ci sono state tramandate due diverse redazioni greche di una Vita (1), entrambe tratte da codici molto tardi, copiati tra al fine del XVI e l'inizio del XVII secolo.
L'una, la Vita A (2) - così è chiamata (3) per differenziare le due - si trova in uno dei codici miscellanei delle carte del Gaetani, conservati alla Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, vol. gr. II. E. 11 (4).
I fogli del testo greco furono copiati nel 1611 da un manoscritto di Stilo, che riportava, alla fine dell'opera, la data del 1217 - 1218 (5).
Questa Vita A è scritta in una lingua di livello molto basso, vicino alla lingua parlata (6).
L'altra, considerata più corretta dal punto di vista formale, designata come Vita B (7), è tramandata da un codice di Parigi, copiato nel 1591 da Paolo Bevilacqua a Grottaferrata (8), il Paris., Suppl. gr. 106 (9), mentre un frammento, con la parte iniziale, databile al XVII secolo, è riportato anche in Archivio Segreto Vaticano, Fondo Basiliani, n° 43 (10).
I legami tra le due redazioni sono indubbiamente molto stretti, soprattutto se valutati alla luce delle fonti innografiche sul santo (11).
La Vita B, che è considerata una riscrittura colta della precedente (12), riporta in realtà un episodio in più, ma l'assenza di tal episodio nella Vita A può essere attribuita ad un accidente della trascrizione, tenuto conto del fatto che essa ci è giunta in una copia molto tarda e scorretta.
Giovanni era figlio di nobili e ricchi genitori calabresi, che abitavano nel villaggio Cursano. Anzi, la Vita B dichiara che il padre del santo era Arconte di Cursano. Durante un'incursione saracena, che colpisce molte località della zona, tra cui appunto Cursano, il padre viene ucciso e la madre, incinta di Giovanni, viene rapita e condotta a Palermo, dove diventa la moglie di un notabile musulmano.
Giovanni nasce dunque in Sicilia e viene allevato secondo gli usi musulmani.
La madre, però, gli impartisce segretamente un'educazione cristiana e, quando il giovane raggiunge l'età di quattordici anni, gli rivela il segreto della sua nascita, di essere figlio non del padre musulmano, ma di un nobile calabrese cristiano, e lo invita a fuggire nella sua patria di origine, dove il popolo è cristiano e dove potrà ricevere il battesimo. Gli rivela inoltre il luogo dove a Cursano erano nascosti i tesori della famiglia e, al momento del congedo, gli dona una croce.
Seguendo le esortazioni della madre, Giovanni fugge dalla Sicilia, ma, salito su di una nave, viene scoperto da marinai saraceni che lo inseguono e che il giovane fa scomparire servendosi della croce donatagli dalla madre. Questo episodio, su cui tornerò più avanti, è omesso nella Vita A (13), ma, come vedremo, apparteneva sicuramente, anche se in una forma diversa, alle fonti più antiche sul santo.
Giunto sul litorale calabrese, nei pressi di Stilo, viene catturato dalla gente del luogo a causa del suo abbigliamento barbarico. Condotto davanti al vescovo (14), narra le ragioni delle sue presenza in Calabria e chiede di essere battezzato.
Il vescovo, per mettere alla prova la sua sincerità, gli dice che alla sua età potrà ricevere il battesimo dopo essersi gettato in una caldaia di olio bollente. Giovanni accetta la prova e si prepara a gettarsi nell'olio bollente senza esitazioni. Convinto infine dell'autentica volontà del giovane, il vescovo lo battezza e lo tiene con sé per qualche tempo per istruirlo nei principi della dottrina cristiana.
È contemplando un'icona di San Giovanni Battista e chiedendo notizie sul Precursore, suo omonimo, che il nostro scopre la sua vocazione per la vita monastica. Gli viene indicato un monastero a due miglia a nord di Stilo, dove alcuni monaci seguono la regola del grande Basilio (15).
Anche qui, però, il giovane ottiene il rifiuto dei Santi Padri Nilo e Bartolomeo da Rossano, che lo invitano a tornarsene nel mondo, poiché non lo ritengono all'altezza di resistere alle durezze della regola monastica che si osserva in quel luogo (16).
L'introduzione dei nomi di Nilo e Bartolomeo da Rossano nella Vita deve attribuirsi probabilmente ad un momento piuttosto tardo della tradizione manoscritta, quando si è creduto opportuno collegare il nostro personaggio ai più famosi monaci di Grottaferrata (17).
Ancora nel 1677, infatti, Padre Apollinare Agresta conosceva un manoscritto della Vita, dove i monaci che accolgono Giovanni nel monastero si chiamavano Nicola ed Ambrogio (18), e, come vedremo più avanti, nell'innografia il nome di chi riveste il nostro santo dell'abito monastico è Basilio.
Comunque, tornando alla narrazione, solo dopo alcuni giorni, Giovanni riuscirà a convincere i monaci della sincerità della sua vocazione, e, accolto finalmente nella comunità monastica, rivela ai monaci le sue origini e il segreto del tesoro di famiglia nascosto dove era il palazzo dei suoi genitori.
I tesori ritrovati saranno distribuiti ai poveri secondo i comandamenti del santo Padre Basilio (19).
Inizia così la vita monastica di Giovanni, e le prove ascetiche, di cui dà esempio, saranno premiate da doni taumaturgici.
Il Santo era solito fare penitenza immergendosi nelle gelide acque di una fonte o di un ruscello, presso la spelonca dove si recava a pregare in solitudine.
Questo è un luogo comune abbastanza frequente nell'agiografia italo - greca (20). Ma qui l'episodio dà adito al compimento di uno dei miracoli di Giovanni. Un giorno, d'inverno, un signore del luogo che tornava dalla caccia con i suoi amici lo vide immerso nell'acqua e si scandalizza. " Guardate ", dice agli altri, " cosa fanno questi monaci: si lavano per apparire belli alla gente". Subito, per punizione divina, un fuoco incomincia a divorargli le viscere e, solo dopo essersi ravveduto della sua malignità ed averla confessata a sua madre sarà guarito dal Santo.
Questi infatti ordina alla madre del malato, recatasi presso di lui per chiedere perdono per il figlio, di dargli da bere un po’ dell'acqua di quella stessa fonte dove il santo si immergeva in preghiera.
Il miracolo frutta al monastero un podere che il cacciatore e sua madre riconoscenti gli consacrano, podere che, in ricordo della malattia che aveva colpito il miracolato, prese il nome di Pirite , "nato dal fuoco" (21).
Segue quindi la narrazione del prodigio più famoso legato alla memoria del santo, quello da cui deriva il soprannome di Therestis, " mietitore ".
Un giorno di giugno, mentre il santo si recava presso un benefattore del monastero, che abitava a Robiano (Rodiano nella Vita A ), luogo che oggi, precisa l'agiografo della Vita B , è "chiamato Monasterace" (22), si imbatte nei mietitori che lavoravano nelle proprietà del signore in questione, proprietà che si chiamavano Muturavolo e Marone (luoghi ancora oggi esistenti lungo la strada fra Monasterace e Bivongi).
Giovanni si ferma a parlare coi mietitori, ai quali distribuisce un po’ di pane e di vino che portava con sé, e che miracolosamente riesce a saziare tutti. Nel frattempo comincia a cadere la pioggia e i mietitori cercano riparo dove possono.
Terminata la pioggia, i mietitori, tornati a lavoro, trovano tutti i campi già mietuti e i covoni legati. Il padrone di quelle terre, informato dai lavoranti del prodigio, fa dono al monastero degli stessi poderi dove era avvenuta al mietitura miracolosa.
L'ultimo episodio della Vita è un miracolo post mortem di cui è beneficiario un Ruggero, " figlio del re di quella terra " dicono così le parole del testo (23), e quindi, secondo il significato medievale, " figlio dell'imperatore di quella terra ".
Questi, affetto da una piaga inguaribile sul volto, venuto a conoscenza dei prodigi compiuti dal santo, si reca presso di lui ma lo trova appena morto. Prende allora un lembo della veste del santo, e pregando se la passa sul viso, da cui scompare ogni traccia del male. In segno di gratitudine, Ruggero rinnova la chiesa e gli altri edifici del monastero cui consacra poderi e proprietà che, all'epoca in cui la biografia è stata composta nella forma pervenutaci, ancora gli appartengono (24).
Quest'ultimo episodio, che, come vedremo, contrasta cronologicamente con le altre fonti sulla vita del santo e le origini del monastero, è quello che ha creato più problemi agli studiosi, impossibilitati ad accettare e spiegare la presenza di un nome normanno nella leggenda di un santo, che, verosimilmente, sembrava essere vissuto prima della conquista normanna. Sempre questo episodio ha fatto si che venisse anche negata la reale esistenza del santo.
Secondo Michele Amari, infatti, che esprime un giudizio molto severo, "la leggenda di San Giovanni Terista non regge alla critica: tanti casi da romanzo intessuti sopra un anacronismo"(25).
È vero tuttavia anche il contrario, che cioè tanti casi da romanzo e un anacronismo non bastano a negare la storicità della figura del santo, in favore della quale depongono, oltre alle coordinate agiografiche (26), ossia data di celebrazione e luogo di sepoltura e di culto (27), anche alcune caratteristiche biografiche originali, che anzi, come vedremo tra breve, la tradizione agiografica rappresentata dalle due Vite pervenuteci ha cercato di attenuare o cancellare.
L'indubbio anacronismo tra l'epoca in cui è vissuto il santo, e la presenza nel racconto di un principe normanno, è spiegato da Silvano Borsari col fatto che "…i sovrani normanni hanno avuto una grande importanza nella vita del monastero dedicato a S. Giovanni, facendogli delle importanti donazioni, ed il ricordo di questa loro grande munificenza si deve esser conservato vivo nelle tradizioni del monastero, per cui, quando il nostro agiografo compose la sua opera, per dare maggiore importanza alle donazioni dei sovrani normanni, le fece apparire come fatte direttamente a S. Giovanni, e non al monastero a lui dedicato (28)".
Osserva inoltre Borsari, nel pubblicare le due redazioni giunte fino a noi della Vita: "Più che a scopo di edificazione, questa Vita sembra essere stata composta per giustificare il possesso di alcuni beni del monastero di S. Giovanni Terista di Stilo (29)".
L'osservazione è giusta fuori di ogni dubbio, perché tutti i miracoli del santo in essa narrati si risolvono, con una meccanicità molto esplicita, nella donazione al monastero, da parte dei beneficati, di terre di cui vengono precisati con puntigliosa precisione i nomi. Si tratta chiaramente di proprietà di cui il monastero voleva mettere la legittimità al di sopra di ogni possibile contestazione, facendone risalire il possesso a donazioni elargite al santo, e sigillandole con il sigillo sacro dei suoi miracoli.
Ciò premesso, occorre comunque riesaminare queste e altre fonti sul santo e determinare, attraverso la loro collocazione cronologica, i rapporti che intercorrono tra esse.
La Vita A, quella scritta nella lingua più popolare, tramandata da un codice del 1611 conservato a Palermo, copiato da un codice scomparso, contiene, come ho già detto, la data del 1217 - 1218 (30).
Silvano Borsari proponeva di spostare la datazione del codice e la stessa composizione della Vita a una trentina di anni più tardi, in base al fatto che il signore della regione porta nella Vita il titolo di basileus .
Vi si parla infatti, come si ricorderà, di un Ruggero, figlio del basileus di quella terra, sicuramente un principe normanno, ed i regnanti normanni non portavano il titolo di basileus , bensì quello di rex , da Ruggero II, che assunse il titolo di nel 1130, in poi. Soltanto Federico II, dopo il 1120, avrebbe avuto diritto a tale titolo.
Perciò Borsari, che ritiene l'identificazione del Ruggero nominato nella Vita "una impresa disperata", assegna la composizione dell'opera ad età federiciana, verso il 1247 - 1248, poiché "…è probabile che un agiografico calabrese della prima metà del XIII secolo, parlando dei sovrani normanni, li indicasse col termine di basileus , così come vedeva intitolarsi colui che allora dominava quelle regioni (31)".
Oggi però noi sappiamo che la limitazione sostenuta da Borsari non è da rispettare. È ormai noto, infatti, che gli autori greci di età normanna, per adulazione o per ingenuità, hanno giocato sull'ambiguità di significato del termine basileus , re o imperatore che sia, attribuendolo tranquillamente ai sovrani normanni fin dall'epoca di Ruggero II (32), non in documenti di carattere ufficiale, certamente, ma in testi letterari che potevano sfuggire alle regole di un rigido protocollo.
Quindi la data contenuta nel codice scomparso, insieme alla notizia che esso derivava da un esemplare più antico, può essere accettata senza riserve, e nulla si oppone a che la composizione della Vita di s. Giovanni Terista, così come ci è giunta nelle diverse recensioni, sia assegnata all'epoca normanna, o alla prima età federiciana (33).
Secondo August Peters, che ripubblica le due recensioni della Vita insieme all'innografia per il santo, la compilazione della Vita a noi giunta deve essere avvenuta tra il 1130 e il 1217 - 1218, con una netta preferenza per gli anni 1160 - 1170. Lo stesso studioso osserva, però, che una redazione simile è alla base dei due canoni in onore del santo composti prima del 1101 - 1102 (34), data dalla sottoscrizione del codice che li tramanda, il Vat. Gr. 2008 .
Nel codice Vat. Gr. 2008 , donato nel 1101 - 1102 al monastero di S. Giovanni Terista di Stilo da Leonzio ieromonaco (35), sono tramandati due canoni per il nostro santo, insieme ad altri brevi inni che ne completano l'ufficiatura, tutti pubblicati da August Peters accanto alle due recensioni della Vita (36).
Il primo dei due canoni è opera dell'innografo Leone di Stilo (37), il secondo di Bartolomeo di Roma, forse da identificarsi con Bartolomeo di Grottaferrata (38), anche se Peters, che crede il santo vissuto nell'XI secolo, tra il 1030 e il 1039 - 1095, è ostile a tale identificazione, poiché Bartolomeo di Grottaferrata è morto intorno al 1050 (39).
Si noterà però, da varie certificazioni, che l'epoca in cui si svolge vita del santo è probabilmente da spostare al X secolo. Quindi non ci sono ostacoli, almeno da questo punto di vista, all'identificazione di Bartolomeo di Roma con il celebre innografo di Grottaferrata, tanto più che il monastero criptense è abbastanza vicino a Roma da giustificare l'imprecisione. Nel contesto di questa discussione non è comunque indispensabile provare l'identità di Bartolomeo con l'innografo di Grottaferrata.
Ora, negli inni dedicati al santo, che probabilmente riflettono una fonte agiografica preesistente, insieme ad elementi comuni alle due biografie pervenuteci, si possono rilevare elementi decisamente diversi, che non sono, come è stato detto, semplici abbellimenti encomiastici apportati ad una trama comune (40), ma la spia di una derivazione da una fonte nettamente diversa dalle due Vite greche giunte fino a noi.
Certo, non è da escludere che la diversità di alcuni tratti delle descrizioni, non dipendano dalle esigenze del momento, dalle esigenze di lettura e dalle destinazioni.
Nella lettura di una fonte, in particolare delle fonti agiografiche, bisogna tenere in considerazione che il linguaggio e le trame diversi erano atti alla comprensione e alla conoscenza di avvenimenti per varie persone di cultura e grado sociale differenti e che gli stessi avvenimenti servivano anche a condizionare e avere il consenso da parte del popolo.
In particolare, però fra le diversità delle varie Vite di San Giovanni Therestis, colpisce l'assoluta mancanza di ogni riferimento ad un'origine calabrese del santo, al rapimento della madre e all'uccisione del vero padre. Per gli innografi, Giovanni è più semplicemente figlio di madre cristiana e padre musulmano. Il genitore empio non è solo il padre putativo del nostro, come pretenderebbe l'agiografia a noi nota, ma quello che lo ha generato: colui che è stato portato dal vento, lo definisce infatti Leone di Stilo (41).
Gli innogafi attingono quindi da una fonte dove Giovanni è presentato come figlio di un musulmano (42), anzi è considerato uno straniero: Leone di Stilo invoca le preghiere del santo, chiamandolo "tu che grande sei apparso tra gli stranieri" (43).
Agli insegnamenti della madre Giovanni deve la sua scelta religiosa, che comunque, ci dice l'innografia, fu duramente avversata dal padre.
Uno degli sticheri premessi al canone di Leone di Stilo, e che presumibilmente appartiene allo stesso autore, recita: "i figli delle tenebre non sopportando di vedere te, il figlio della luce, adorare la divina croce e frequentare sempre le chiese, ti percossero con la frusta e ti sottoposero a tormenti" (44).
E molte sono ancora le allusioni alle difficoltà incontrate dal santo nel manifestare la sua aspirazione a diventare cristiano.
Il quadro descritto è plausibile: non è strano che nella Sicilia dominata dagli Arabi una cristiana abbia sposato un musulmano, o ne abbia avuto un figlio.
Inoltre, mentre nelle due Vite al città di Palermo è descritta come priva di vita cristiana, tanto che la madre dice al giovano di andare in Calabria, perché lì soltanto amministrano il battesimo, dagli inni invece risulta chiaramente che nella città siciliana ci sono chiese, dove il giovane si aggira, me che egli non può ricevere il battesimo per la comprensibile avversione del padre.
Persuaso dalla madre e illuminato da un sogno profetico, Giovanni decide di abbandonare la sua terra (45).
Sicuramente la fuga del santo dalla Sicilia risulta più avventurosa nelle scarne illusioni dell'innografia che nelle fonti agiografiche pervenuteci.
Di nascosto dal padre, Giovanni abbandona la sua casa, per intraprendere la difficile via della salvezza (46).
Il canone di Leone di Stilo aggiunge alcuni particolari: lo scontro con un guerriero saraceno (47), la liberazione di prigionieri, insieme ai quali attraversa lo stretto di Messina, l'arrivo, per divina ispirazione, nella città di Stilo, dove riceve il battesimo (48).
Uno degli sticheri, ad esempio, paragona il santo a Mosè che fa perire gli Egiziani nel Mar Rosso, dicendo: " così anche tu, dopo aver ucciso il cane nemico e barbaro, strappasti alla morte le vite di innocenti" (49).
Tutti questi particolari mancano nel breve episodio, riportato solo dalla Vita A , dove Giovanni fa sparire in mare, con l'aiuto della croce donatagli dalla madre, i marinai saraceni che lo inseguivano (50).
Inizia così la vita da cristiano di Giovanni, che, ancora prima di farsi monaco, e questa è una differenza importante con le due Vite citate, si distingue con opere di carità, vita virtuosa e dure prove di ascetismo, e miracoli clamorosi.
Con il corpo piegato dall'ascesi più dura, ha tuttavia la forza di compiere la prodigiosa e sovrumana mietitura, con la quali riesce a sconfiggere il demonio e a soccorre i poveri. E questo miracolo è posto esplicitamente, sia nel canone di Leone di Stilo (51), sia nel contacio (52), prima della sua monacazione.
Gli inni ricordano ancora le notti di preghiera che il santo trascorreva in ruscelli gelati (53), ma non fanno alcun cenno all'episodio che si conclude con la donazione al monastero della proprietà di Pirite , nato dal fuoco , (54).
L'istruzione religiosa di Giovanni, inoltre, non è opera del vescovo del luogo, come nella Vita (55), ma è un dono divino, per cui il santo acquista la conoscenza dei Vangeli grazie all'apostolo Paolo, apparsogli in sogno (56).
È celebrata la sua capacità di leggere nell'anima di chi gli stava accanto, insieme ai doni profetici (57).
Tra l'altro, Leone di Stilo accenna ad un miracolo compiuto da un discepolo di Giovanni, che riesce a deviare la piena delle acque, obbedendo agli ordini del maestro (58). E alla guarigione di un ingiusto gabelliere, che, avendo rifiutato gli insegnamenti di Giovanni, era tormentato per punizioni da uno spirito impuro (59).
Il canone di Bartolomeo, più encomiastico e meno ricco di riferimenti bibliografici, ma che riflette nel complesso le stesse tradizioni dell'altro (60), aggiunge qualche accenno ad altri episodi.
Vi si parla di un miracolo, compiuto da Giovanni ancor prima di essere battezzato, nel quale greggi di buoi obbedivano al suo comando (61), della sua vestizione monastica, eseguita da qualcuno che si chiamava Basilio (62), della voce che gli annuncia al sua prossima morte e della guarigione di uno che aveva la " mano secca "(63).
Il canone di Bartolomeo ricorda anche gli effetti taumaturgici dell'acqua dove il santo si immergeva per penitenza (64), quella che sgorgava nella spelonca in cui Giovanni si ritirava in preghiera, e che la Vita B ricorda con parole che dimostrano come quel luogo, detto "l'acqua del santo", fosse diventato un ben noto un noto punto di riferimento della devozione popolare per San Giovanni Therestis (65).
Infine si deve sottolineare che in tutti gli inni noti manca qualsiasi accenno all'episodio tutto sommato un po’ grottesco della prova con il calderone di olio bollente, cui il vescovo sottopone il santo per saggiarne la sincerità (66).
Quindi dall'innografia esce un ritratto un po’ diverso e comunque più originale e ricco della figura del santo, che ci fa rimpiangere la perdita della fonte agiografica preesistente. Una fonte agiografica perduta si può ragionevolmente ipotizzare in base al fatto che i due canoni anteriori al 1101 - 1102 presentano un tracciato comune della biografia del santo, ma al tempo stesso riportano, indipendentemente l'uno dall'altro, episodi diversi, che ne escludono la reciproca derivazione. La stessa base comune, con variazioni finalizzate agli interessi del monastero, è seguita anche nelle Vite A e B, che, come ho già detto, non mi sembra abbiano punti di contatto con i canoni (67).
Tra i connotati diversi che il santo assume nell'innografia, sono da sottolineare anzitutto le sue origini siciliane, che l'agiografia calabrese di età normanna ha voluto invece cancellare, rivendicando totalmente il santo alla sua patria di adozione, e cancellando insieme, per ovvii motivi, il fatto che fosse figlio di un saraceno (68).
La liberazione dei prigionieri, con i quali Giovanni fugge dalla Sicilia, è del tutto ignorata nella Vita composta in età normanna.
E la fuga dalla Sicilia è banalizzata nel prodigio che solo la redazione B della Vita riporta. Evidentemente questi motivi, attuali durante la dominazione araba della Sicilia, non suscitavano più interesse in epoca successiva.
Negli inni Giovanni appare come un santo dei poveri, degli oppressi, un santo rurale, una figura avventurosa, una specie di " Digenis " dei diseredati, che scappa, lotta, libera i prigionieri, punisce i gabellieri rapaci, sfama i poveri e si sottopone ad una fatica epica per salvare i loro raccolti.
È proprio la figura che serve per un popolo, o meglio un borgo, quello Bivongese e dei territori limitrofi che ha bisogno di un aiuto, materialmente e spiritualmente, per la vita quotidiana cadenzata dalla raccolta dei prodotti della terra e dall'allevamento di vari animali.
I testi agiografici, composti in età normanna hanno ingabbiato la sua figura in uno schema più povero e meccanicistico, in cui, in definitiva, il centro della narrazione è costituito dagli interessi e dai possedimenti del monastero, ed hanno ricondotto le imprese del personaggio a onore e gloria dell'istituzione monastica che ne portava il nome.
Così i miracoli che negli inni son attribuiti a prima della monacazione di Giovanni, primo fra tutti l'episodio della mietitura sovrumana da cui il santo prende il suo soprannome sono trasferiti nelle due Vite al periodo in cui Giovanni era già monaco. E la mietitura straordinaria perde l'alone etico e spirituale che troviamo nell'innografia. Nelle Vite, Giovanni esegue il miracolo con la sola preghiera, senza nessuna urgenza, non vi si dice nemmeno che la pioggia minacciava di distruggere il raccolto. Negli inni invece si sottolinea che il suo corpo fiaccato dalle privazioni è sottoposto a sforzi immani. E soprattutto, mentre negli inni esegue la mietitura per salvare il raccolto dei poveri nelle Vite il raccolto è quello di un ricco benefattore (69), ed è la premessa per una ricca donazione al monastero.
Quindi le due redazioni della Vita giunte fino a noi, che pure riflettono sicuramente la stessa fonte degli inni, hanno in qualche modo snaturato questa fonte, concentrando l'attenzione del lettore sulle sorti del monastero dedicato al nostro santo, monastero che diventa il vero protagonista della narrazione.
E alle origine del monastero è collegato il problema dell'epoca in cui è vissuto il santo.
Il Lancia di Brolo (70), basandosi sulla notizia delle due Vite, che collegavano la nascita di Giovanni ad un'incursione saracena che colpì, tra gli altri luoghi, la città di Cursano, patria dei suoi genitori, identificava tale incursione con quella segnalata nel Chronicon Siculum del Vat. gr. 1912 (71) per l'anno 923 - 924, dove leggeva " in un anno pregò l'abitante di Cursano " invece di " Bruzzano " (72).
Poneva quindi la sua nascita al 924. Ma, a parte l'errore di lettura del Lancia di Brolo, alla luce degli inni esaminati, le origini del santo non hanno nulla a che fare né con Cursano né con la Calabria.
Secondo Silvano Borsari S. Giovanni sarebbe morto al più tardi verso la metà dell'XI secolo (73).
Invece secondo August Peters il santo sarebbe vissuto in pieno XI secolo, tra il 1030 ed il 1090 - 1095, prima comunque, del 1099 (forse 1098), data del più antico documento che nomina il monastero di stilo (74).
Oggi noi siamo più informati sulle origini del monastero, grazie ai documenti editi nel 1980 (75).
Dal più antico documento relativo al monastero, il giudizio emesso il 5 agosto 1098 dal giudice di Stilo su una lite che opponeva il monastero ad un signore locale (76), e dal testamento, scritto nel 1101 - 1102 da Bartolomeo, II abate di San Giovanni Theresti (77), sappiamo che il monastero fu fondato verosimilmente verso la fine del dominio bizantino in Calabria, da Gerasimo Atulino, su una terra di sua proprietà (78).
Quindi verso la fine dell'XI secolo, il culto di San Giovanni era già affermato, tanto che un monastero veniva intitolato al suo nome. Monastero che, comunque, poteva non essere esattamente quello che aveva abitato il santo, come vorrebbero farci credere le fonti agiografiche.
Dai documenti risulta inoltre l'interessamento dei sovrani normanni nei confronti del monastero: da una donazione di Ruggero Conte del dicembre 1100, ad altre donazioni e benefici ad opera di Adelaide e di Ruggero II (79), gli atti di San Giovanni giustificano l'inserimento anacronistico di un Ruggero, "figlio del re di quella terra" (80), nella leggenda del santo. E anche i resti del monastero e della chiesa, attribuibili ad epoca normanna (81), e recenti indagini archeologiche, che hanno messo in luce sotto la struttura attualmente visibile interessanti resti di edifici più antichi (82), confermano la notizia del rimaneggiamento della vita, secondo la quale gli edifici del complesso monastico sarebbero stati rinnovati sotto i sovrani normanni (83).
Nei documenti del monastero troviamo ancora nomi di località ricordate nella Vita, come il luogo di Cursano, luogo in cui secondo la Vita sarebbe stato concepito il santo (84).
Pirìto (85), che nella Vita è il nome del possedimento donato da quel signore che si era scandalizzato nel vedere il santo immerso nell'acqua, avrebbe preso tale nome, secondo l'agiografo, proprio in ricordo del fuoco che per punizione gli divorava le viscere.
Troviamo ancora il nome di Buturavolo (86) che nella Vita è riportato sotto forma di Muturavolo (87) ed è il luogo dove si sarebbe verificata la mietitura prodigiosa.
Sono, queste, tutte località dove realmente il monastero di stilo aveva dei possedimenti (88), e che ancora oggi sono possedimenti, intorno al sacro luogo, di abitanti bivongesi e stilesi.
È fuori dubbio, ormai, che l'autore, o meglio gli autori, del rimaneggiamento delle fonti, così informati e precisi sui luoghi dove sarebbero svolti i fatti, e insieme così preoccupati dei beni del monastero , siano da ricercare all'interno del monastero stesso, in un'epoca successiva alla salita al trono di Ruggero II, poiché il Ruggero nominato nella Vita è figlio di un basileus (89), e anteriore al 1217 - 1218, la data che troviamo alla fine della Vita A (90).
Ma, come già detto, il santo è sicuramente più antico poiché il suo culto è già affermato verso al metà dell'XI secolo, e, se il Bartolomeo di Roma autore di uno dei due canoni in suo onore fosse fuor di ogni dubbio Bartolomeo di Grottaferrata, morto intorno al 1050, ciò costituirebbe un elemento utile per anticipare l'epoca della sua vita.
Epoca che può andare dalla conquista araba della Sicilia fin verso al fine del X secolo, gli inizi dell'XI (91).
Comunque, anche se non si può essere precisi su questo punto, c'è ancora da notare che i connotati della sua leggenda, così come emerge soprattutto dagli inni, corrispondono a quelli delle biografie dei cosiddetti "santi migratori", quel gruppo, cioè, di monaci italo - greci, che nel X secolo si trasferiscono dalla Sicilia, spinti dalle persecuzioni e dalla carestia, in Calabria e in Basilicata, come Saba da Collesano (92), suo padre Cristoforo e suo fratello Macario (93), Luca da Demenna (94), Leo - Luca da Corleone (95), Vitale da Castronovo (96).
In comune con essi, la vicenda di San Giovanni Therestis ha non solo il motivo della migrazione dalla Sicilia dominata dagli Arabi alla Calabria bizantina, o luoghi comuni, come quello dell'ascesi severa e della preghiera immersi nelle gelide acque di un ruscello, ma ha soprattutto una connotazione pauperistica, che si riscontra in modo molto evidente nelle leggende, molto attente alla funzione organizzativa e sociale del monaco, dei santi migratori del X secolo, sempre preoccupati di soccorrere e sfamare i poveri, e non alieni dal prestare materialmente la loro opera per il bene comune (97).
È probabile, perciò, che le prime tradizione agiografiche sul santo si siano consolidate nello stesso periodo in cui venivano composte le Vite dei monaci migratori del X secolo.
Di originale, rispetto ad essi, la figura del nostro ha il fatto di essere metà saraceno e che la sua migrazione dalla Sicilia alla Calabria non avviene assieme ai suoi familiari, come nel caso di Saba da Collesano e di altri, ma insieme ad un gruppo di prigionieri liberati, motivi inconsueti che, invece, l'agiografia di età svevo - normanna ha ritenuto opportuno cancellare.
E, forse, non si può escludere che il culto di questo santo di origine saracena stia ad indicare che le migrazioni del X secolo dalla Sicilia non riguardarono soltanto la popolazione cristiana, ma che inclusero anche gruppi di estrazione araba: in fondo, la terribile carestia descritta dal biografo di Saba da Collesano (98), provocata probabilmente dalle lotte intestine che sconvolsero la Sicilia nel 940 (99), e che alcuni considerano al ragione principale delle migrazioni (100), riguardava tutta la popolazione dell'isola, cristiana e saracena.
A parte questa ricostruzione, verosimile e possibile, ma non verificabile, nella Calabria bizantina del X -XI secolo la presenza di abitanti saraceni, musulmani di religione, oppure convertiti al cristianesimo, è sicuramente testimoniata, almeno per Reggio, e, nonostante l'ostilità di base tra i conquistatori arabi e la popolazione cristiana, scambi economici, culturali e di popolazione tra le due sponde dello Stretto furono inevitabili (101).
Ciò che comunque qui interessa sottolineare è la diversità tra la tradizione agiografica che ha ispirato i due canoni composti prima del 1101 - 1102 e le due Vite del santo giunte fino a noi. Tradizione agiografica rappresentata, come già anticipato (102), da una Vita , una biografia tramandata per iscritto, ormai perduta.
Alla luce di quanto detta finora, un riesame della notizia cronologica, posta alla fine della Vita A (103) mi porta a concludere che essa si debba intendere come riferita non alla data del manoscritto da cui il testo è stato copiato, ma alla data in cui la Vita antica del santo è stata rielaborata e riscritta ad uso e consumo di un pubblico ormai mutato e per servire da sostegno agli interessi materiali di Stilo.
In ambedue le redazioni della Vita , infatti, si nota un particolare insistere dell'agiografo sul fatto che il monastero in cui entra il santo segue la regola di San Basilio, regola di cui è sottolineata con innegabile intenzione competitiva al particolare durezza, severità e santità (104).
Ora, i monaci greci in Occidente vengono distinti con l'appartenenza all'ordine di San Basilio a partire all'incirca, dall'epoca del pontificato di Innocenzo III (1198 - 12116), che, ad esempio, nel privilegio per San Maria del Patir del 1198, parla di "ordo monasticus, qui secundum Deum et Beati Basilii regulam " (105), con quel che segue.
Penso quindi si possa ragionevolmente concludere che l'indicazione cronologica posta infine alla Vita A , (106) riguardi non il codice, ma la rielaborazione della Vita antica, oggi perduta, che era la fonte degli inni in onore del santo composti prima del 1101 - 1102. La biografia del santo, giunta fino a noi, non sarebbe stata composta, perciò, né gli anni 1160 - 1170, come ipotizzava Peters (107), né nel 1246 - 1247, secondo l'ipotesi di Borsari (108), ma proprio nel 1217 - 1218.
4.2 Il come e il perché del rifacimento della Vita nel XVII secolo
Della Vita del Santo, come detto, ci sono due redazioni.
La prima è contenuta nel ms. II. E. 11. della Biblioteca Nazionale di Palermo, ff. 185r - 193r. Si tratta di una copia, eseguita nel 1611, per O. Gaetani, da un Nilo di Rossano.
Come ci informa lo stesso Gaetani, questa copia fu fatta su un ms. conservato nel monastero dedicato a S. Giovanni esistente in Stilo (109); però questo testo non compare negli inventari dei mss. di quel monastero giunti fino a noi.
Il copista del ms. Panormitano non doveva essere un esperto della lingua greca, e nel compiere il suo lavoro è incorso in un grandissimo numero di errori, che una seconda mano ha cercato di correggere, facendo le sue correzioni in margine, tra le righe o sulla prima scrittura.
In questa seconda mano dobbiamo riconoscere quella di Agostino Fiorito (110), in quanto sembra simile alla mano che ha scritto la traduzione latina della Vita contenuta nel ms. ff. 197r - 200r. Questa stesura della traduzione è quella ritenuta originale, come dimostrano le numerose correzioni e i rifacimenti di interi brani, ed è quella pubblicata dal Gaetani (111), che è appunto opera del Fiorito.
La seconda redazione è conservata nel ms. Suppl. Gr. 106 della Biblioteca Nazionale di Parigi, ff. 140r - 147v. Questo ms. fu copiato nel 1591 da Paolo Bevilacqua da un ms. di Grottaferrata oggi perduto.
Di questo ms. Cryptense nel 1623 fu fatta una copia, che non ci è stato possibile ritrovare, ed una traduzione latina dal minorita Stefano Bardari di Stilo, ed è questa traduzione che è stata pubblicata negli AA.SS. (112).
Questa seconda recensione differisce dalla prima non solo dalla forma, che qui è più elegante, ma anche perché narra un episodio (il miracolo compiuto da S. Giovanni durante il suo viaggio dalla Sicilia in Calabria attraverso al croce regalatagli dalla madre prima di partire) di cui nella prima recensione non è fatto cenno.
Oltre queste, doveva esistere un'altra recensione della Vita del santo, in cui ai due monaci che lo accolsero nel loro monastero veniva dato il nome di Nicola ed Ambrogio, e non Nilo e Bartolomeo, come hanno i testi giunti fino a noi. La sua esistenza è provata oltre che dalla correzione marginale apposta al f. 143r del Parisino, anche dal fatto che il basiliano Apollinare Agresta, nella sua opera su San Giovanni Therestis, chiama questi due monaci Ambrogio e Nilo.
Finora sul santo erano conosciute solo le due traduzioni delle Vite di cui ho parlato; però, dato che esse sono eseguite liberamente, poco quella del Fiorito, molto di più quella del Bardari, gli storici che se ne sono occupati si sono generalmente rifiutati di prestare loro fede.
È tipico a questo proposito il giudizio dell'Amari:" La leggenda di S. Giovanni Therista, non regge alla critica: tanti casi da romanzo intessuti sopra un anacronismo"(113).
Conoscendo i testi greci, quel è il giudizio che bisogna emettere?
La recensione del ms. Panormitano non sembra più antica dell'epoca di Federico II. L'archetipo del ms. sarebbe stato scritto nel 6726, ind. VI (1217 - 1218), ed è dichiarato che esso fu copiato da un ms. più antico (114); ma, come detto precedentemente, sembra impossibile risalire ed un'epoca anteriore a quella di Federico II perché l'autore usa, per indicare i signori della Calabria, il termine βασιλευ .
Ora, i re di Sicilia, da Ruggero II in poi, usarono per indicare al loro dignità regale, il termine ρηξ . Solo Federico II, quale imperatore, ebbe il titolo di βασιλευ (115).
Naturalmente le due dignità, quella di face="SymbolMT" size="6">ρηξ e di βασιλευξ , furono distinte; ma gli scrittori bizantini, parlando di Federico, lo indicarono semplicemente come βασιλευ ed è probabile che un agiografo calabrese della prima metà del XIII secolo, parlando dei sovrani normanni, li indicasse con tale termine, così come voleva intitolarsi colui che allora dominava quelle regioni.
Più che a scopo di edificazione, la seconda Vita sembra essere stata composta per giustificare il possesso di alcuni beni del monastero di San Giovanni Therestis di Stilo.
Infatti del santo vengono ricordati solo i miracoli per cui furono fatte al monastero delle donazioni. Questa ipotesi è rafforzata dal fatto che anche fra le carte del monastero che sono state conservate vi sono alcuni falsi, e spiegherebbe perché viene ricordato come contemporaneo di Giovanni, un principe normanno, Ruggiero, la cui identificazione è una impresa disperata.
La sua presenza nel racconto è anacronistica, perché Giovanni deve essere morto al più tardi nella metà dell'XI secolo; ma i sovrani normanni hanno avuto una grande importanza nella vita del monastero dedicato a S. Giovanni, facendogli delle importanti donazioni, ed il ricordo di questa loro grande magnificenza si deve essere conservato vivo nelle tradizioni del monastero, per cui, quando l'agiografo compose al sua opera, per dare maggiore importanza alle donazioni dei sovrani normanni, le fece apparire come fatte direttamente a S. Giovanni, e non al monastero a lui dedicato.
Certamente le Vite sono fortemente collegate fra loro anche se con alcuni elementi discordanti, dati da diversità di copiatura, riguardanti nomi dei luoghi visitati dal santo e, soprattutto, per il lessico usato.
Questo è un elemento importante perché, la prima Vita, o meglio, la Vita A, è quella riservata ad un pubblico più umile, meno acculturato, avendo un livello di linguaggio molto basso e vicino alla lingua parlata.
Contrariamente, la seconda è scritta per un motivo preciso e perciò si è utilizzato un linguaggio diverso, più corretto e attento ad ogni particolarità.
Scritta in modo istituzionale e per scopi istituzionali, aveva la necessità di inserire nomi importanti e che ebbero rilevanza per meglio giustificare donazioni e possedimenti del monastero, divenuto nel XVII secolo una grande fonte di ricchezza.
Tutto questo non serve alla gente comune, a quella gente che per secoli ha vissuto sentendo parlare di un padre che, con i suoi miracoli, ha reso fertili i terreni, ha raccolto tanto dove aveva seminato poco e allontanato le intemperie su un popolo la cui unica sussistenza era la terra.
Ecco perché, malgrado tutto ciò, l'esistenza del santo, celebrato il 25 febbraio, e del suo monastero posto sulle pendici del monte Consolino, non possono essere messi in dubbio.
Circa i particolari della vita non si può dire molto di più. La determinazione precisa dell'epoca è impossibile; tuttavia, ponendo come terminus ante quem il 1099, anno in cui già esisteva il monastero dedicato al santo, l'impressione generale che si ricava da tutti i documenti che lo riguardano è che esso sia morto verso la metà del secolo XII.
Rimane, questa, un'opinione soggettiva di alcuni storici.
Le motivazioni sul rifacimento della Vita del santo calabrese, però, non si limitano solo a caratteri economici - organizzativi. Infatti non si possono non tenere presenti le profonde modificazioni sociali, culturali e religiose del secolo XVII.
In tale periodo c'è la necessità di installare precisi criteri storici per l'agiografia, per non rischiare uno sradicamento del culto dei santi dai contesti politico - sociali, definiti precisamente.
Nel Seicento si cercano nuovi discorsi in cui inserire l'agiografia, in quanto scienza storica. A far questo ci pensano i Bollandisti, incentrando la loro opera sulla raccolta ed edizione degli Acta Sanctorum, al fine di dare un legame storico - critico alla cultura, per una continuità di un discorso storico unitario.
San Giovanni Theresti si inserisce in questo filone di studi perché, come tutti i santi, la sua vita dona, alla Chiesa e alla società storica, un motivo di contrasto nei di un'epoca inquinata dalla nuova cultura umanistica, paganeggiante e, ancor più, incentrata, da quasi un secolo, su idee eretiche e protestanti.
Del Santo Mietitore si hanno due Vite, come citato in precedenza, e perciò, tale duplicità avrebbe potuto portare ad una concezione scaturita da un retaggio di tradizione pagana, mirante al culto di eroi e non di figure religiose e carismatiche.
Pochi sono gli elementi nuovi, che caratterizzano le due Vite ma comunque si cerca di escludere ogni pizzico di leggenda, non considerato ufficiale per gli onori della Chiesa. Questa ritiene che la santità è tale solo se, il suo ideale è dato da un insieme di armoniose virtù cristiane praticate da un santo appartenente ad una élite, strettamente collegata con i valori della Chiesa.
Ogni miracolo di San Giovanni Therestis, contenuto nella Vita A (116), non viene variato o abolito perché è fortemente collegato al luogo dove lo stesso vive ed opera.
L'immagine urbana - piccola o grande centro che sia - è dominante nella cultura bizantina nell'Alto Medioevo, quando ogni avvenimento fa capo alla città e valutato in ogni prospettiva urbana. L'originalità della nuova organizzazione dell'agiografia, al contrario, è di liberarsi dallo spazio urbano, con il rifiuto della vita civile a favore di quella di natura, dello spazio rurale e selvaggio.
L'agiografo del 1600 seleziona dati in grande quantità, spesso relativi a persone ed ambienti modesti, apparentemente poco importanti ma invece essenziali come sfondo ai miracoli.
Infatti Giovanni va proprio a stabilirsi in un luogo solitario, non molto lontano dalla città di Stilo, ma alienato dal caos e dove la gente ha bisogno di un aiuto per vivere. Gente dedita al lavoro dei campi, quegli stessi che sono unico elemento di sopravvivenza in una terra arida e, quasi abbandonata da Dio.
Ecco arrivare un uomo di grandi virtù, dedito ad aiutare persone di bassa estrazione sociale senza un appiglio di ausilio, se non ad un Dio o un suo uomo.
I Bollandisti uniscono la vita del Santo con l'ambiente in cui vive ed opera, le sue azioni, quasi sempre miracolose, con le necessità del luogo.
San Giovanni Therestis vive su un monte calabrese, il Consolino, arido e ricco solo di necessità e di una figura su cui contare. L'intercessione dell'eremita è fondamentale.
Ancora, nell'ambiente calabrese, non si è a conoscenza del fatto che questo uomo sia un uomo di Dio.
Il santo non è mai una figura vivente e, difficilmente, lo si considera tale fino alla sua morte ma, spesso, si è certi che si tratta di un soccorritore di coloro i quali hanno bisogno. Il suo ricordo, perciò, continua a vivere nella memoria delle generazioni successive e questo è un elemento importante proprio per gli storici che, partendo dalla memoria popolare, devono costruire l'agiografia del santo.
La santità dipende dunque dal ricordo che una comunità ha conservato dell'esistenza passata del defunto (anche se non solo da questo). Infatti c'è da aggiungere che esistono varie coordinate per la dichiarazione di un santo, fra le quali l'esistenza degli scritti, la virtù eroica, il martirio e il miracolo.
Nelle due Vite tramandate su San Giovanni Therestis non vi sono elementi discordanti su nessuno dei quattro criteri, evidenziando che il santo era disposto ad immergersi nella pece bollente per dimostrare la sua fede in Dio e che vari miracoli sono stati praticati per rendere fertili i terreni secchi alle pendici del Consolino.
La Chiesa cattolica ha quasi sempre considerato il miracolo elemento fondamentale per la santità. È un vero rivelatore di santità, cioè il fatto che un avvenimento possa significare per altri che una data persona sia intervenuta in tale avvenimento per merito della propria santità.
E proprio i miracoli occupano uno spazio rilevante nella Vita B di San Giovanni Therestis, a differenza di quella A, dove si dà più spazio alla vita di Giovanni, prima che arrivasse in Calabria.
È questo un elemento importante perché, questa lieve modifica della Vita iniziale , nel Seicento, è rilevante per la ricostruzione dell'agiografia da parte dei successori di J. Bolland.
Infatti, ora (117) non era più indispensabile ricordare la vita del santo prima dell'inizio del suo eremitismo o per la memoria popolare ma, la nuova redazione aveva un carattere istituzionale. Per questo motivo andava redatta non in modo completamente diverso dal primo, ma comunque atta ai nuovi bisogni, per gli agiografi e per l'organizzazione dei beni del monastero.
Note del capitolo 4
1. Cf. F. HALKIN, Bibliotheca Agiografia Graeca , Bruxelles 1957, II, p.21. nn 894 - 894a. Le due stesure greche della Vita sono state studiate e pubblicate da S. B ORSARI, Vita di S. Giovanni Terista , in AS per la Calabria e Lucania 22 e da A. PETERS, Joannes Messor, siene Lebensbeschreibung und ihre Entstehung, Bonn 1955, 49 pp. per i rimandi al testo delle due Vite è utilizzata sempre questa edizione che contiene anche l'innografia del santo.
2. BHG 894 a, ed. BORSARI , pp. 136 - 148; PETERS, pp. 28 - 48.
3. Peters, p. 3 ss.
4. Cf. E. MARTINI, Catalogo di manoscritti greci esistenti nelle biblioteche italiane, I, 1, Milano 1893.
5. Cf. O. CAIETANUS , Vitae Sanctorum Siculorum , II, Panormi 1657, p. 38; B ORSARI, pp. 13 - 14; PETERS pp. 34.
6. Lo studio di G. MATINO, Per la configurazione del greco nella Calabria medioevale: le due redazioni della Vita di san Giovanni Terista, in Contributi alla cultura greca nell'Italia Meridionale , I, Napoli 1989, pp. 259 - 288, ha il difetto fondamentale di basarsi su edizioni manchevoli e provvisorie, soprattutto per la Vita A, e non su un riesame dei manoscritti. Borsari, che nella Vita A si limita a dare un'edizione diplomatica, sottolinea, p. 13, l'incompetenza del copista del codice greco II. L'edizione dattiloscritta di Peters nella sua tesi di dottorato, per la stessa natura provvisoria del lavoro in tale fase, non è sottoposta a un lavoro di revisione e presenta molti problemi e manchevolezze. Nel complesso, quindi, se le edizioni citate sono sufficienti a farci conoscere il contenuto della narrazione, sono del tutto inadeguate a servire come base per un puntuale esame della lingua che, comunque, non sembra differire di molto da quella di altri testi agiografici di livello umile, non necessariamente calabresi.
7. BHG 894 , ed. BORSARI pp. 137 - 151; PETERS, pp. 29 - 49.
8. Sul manoscritto Criptense, oggi perduto, che fu modello per la copia di Paolo Bevilacqua fu eseguita nel 1624 anche la traduzione edita in Acta Sanctorum Februari i, III; Cf. Borsari , p.14; Peters, pp. 45.
9. A GIOGRAPHI BOLLANDIANI - HOMOND , Catalogus codicum hagiographicorum graecorum Bibliothecae nationalis Parisiensis, Bruxelles 1896.
10. Cf. PETERS , p. 4 e nota 9, pp. 29 - 35.
11. Cf. note 41 ss.
12. PETERS p. 4.
13. Cf. BORSARI p. 14; PETERS pp.32 - 33.
14. Con ogni probabilità, il vescovo di Squillace, cf. D. G IRGENSOHN , Italia pontificia, X, Calabria - Insulae, 1975 pp. 55 - 63.
15. Cf. PETERS p. 37, Vita B.
16. Cf. PETERS p. 37 ss.
17. Non è da escludere che ciò sia avvenuto intorno al 1583, quando un monaco di Grottaferrata fu nominato priore di San Giovanni di Stilo: cf. G. MERCATI , Per la storia dei manoscritti greci di Genova di varie badie basiliane d'Italia e di Patmo, Città del Vaticano 1935 (studi e testi, 68) pp. 104 - 105 + nota 1.
18. A. AGRESTA, Vita di San Giovanni Theresti, Roma 1677 p. 70. Probabilmente si trattava dello stesso codice di Grottaferrata, da cui è tratta la traduzione latina edita negli Acta SS. Febr. E dal quale fu copiato il testo della Vita nel Suppl. Gr. 106.
19. Cf. PETERS Vita A , pp. 38 e Vita B p. 39.
20. Lo si trova nel canto popolare che riprende la leggenda di Leo di Bova: cf. A. B ASILE, San Luca di Bova santo calabrese dimenticato?, in Boll. B. gr. Di Grottaferrata 2, 1948, pp. 134 - 135 e nota 24; Acta SS. Martii , I, p. 100; cf. Acta SS. Martii, II ,1668, p. *28 C.
21. Vita A , PETERS , pp. 42 - 43.
22. Vari sono i toponimi da trovarsi nelle varie Vite .
23. Vita B, PETERS, pp. 45 - 47 e Vita A p. 44.
24. Ibid., p. 49, Vita B .
25. M. AMARI , Storia dei musulmani di Sicilia , Catania 1935 2 , II, p. 473.
26. Cf. H. DELEHAYE, Cinq leÇons sur la méthode hagiographique , Bruxelles 1934 pp. 717.
27. La data di celebrazione del santo di Stilo oscilla tra il 24 febbraio, data sugli inni e il 23 febbraio nel sinassario italo - greco.
28. BORSARI p. 17.
29. Ibid., p. 16.
30. Cf. PETERS, p.48, BORSASI p. 148.
31. BORSARI, pp. 15 - 16.
32. Cf. A. ACCONCIA LONGO , Gli epitaffi giambici per Giorgio di Antiochia per la madre e per la moglie, pp. 44 - 46.
33. Su questo problema nelle pagine successive si parlerà.
34. PETERS p. 3.
35. Sul codice, cf. san Luca, Membra disiecta del Vat. gr. 21 - 10 pp. 58 con relativa bibliografia.
36. PETERS, pp. 23, 727. Gli inni sono editi anche in J. B. P ITRA, Analecta Sacra Spicilegio Solesmensi parata , I, Parigi 1896, pp. 619 - 621.
37. Cf. A. A. L ONGO, gli innografi di Grottaferrata , in Atti del Congr. Internaz. su san Nilo di Rossano, 1989, p. 325 e nota 46.
38. Cf. GIOVANNELLI, Gli inni sacri di San Bartolomeo, Badia Greca di Grottaferrata, 1955, pp. 156 - 161; PITRA , ANALECTA SACRA, I, p. 621 con nota, che identifica l'innografo con Bartolomeo di Grottaferrata.
39. PETERS, p. 1, scrive che Bartolomeo di Grottaferrata è morto intorno al 1060 - 1065; cf. E. FOLLIERI , Il crisobollo di Ruggero II re di Sicilia per la badia di Grottaferrata (aprile 1131), 1988, p. 60 nota 55.
40. PETERS , p. 4.
41. Ibid. p.11, ode IV, 1a strofa.
42. PETERS, p. 8.
43. PETERS , p.13, ode 6, 3a strofa.
44. PETERS, p. 8.
45. PETERS , p. 10, canone di Leone di Stilo, ode III, 1a e 2a strofa.
46. Cf. nota 41.
47. PETERS , p. 11, ode IV, 2a strofa.
48. PETERS, pp. 11 - 12, ode V, 1a strofa.
49. PETERS, pp. 8 - 9: le parole finali di questa parte somigliano ai versi di Leone di Stilo, per cui non è improbabile che anche il resto sia opera dello stesso autore.
50. Cf. sopra e nota 13.
51. PETERS , pp. 12 - 13, ode VI, 1a e 2a strofa.
52. Vaticano - greco 2008, fogli aggiunti n° 172 - 176 v.
53. Canone Leone di stilo, ode VII e Peters p. 13.
54. Cf. sopra e nota 21.
55. Cf. PETERS, pp. 34 - 35 e nota 14.
56. PETERS , pp. 13 - 14, canone di Leone di Stilo, ode VII.
57. PETERS , pp. 14 - 15, canone di Leone di Stilo, ode VIII.
58. PETERS , pp. 15, ode IX.
59. PETERS, pp. 15 - 16, ode IX.
60. PETERS , p. 17 - 25.
61. PETERS, p. 18, ode III.
62. PETERS , p. 19, ode IV.
63. PETERS, p. 23, ode VIII. Questo modello della mano secca (mano paralizzata) è un luogo comune frequente nell'agiografia: il carnefice che alza la mano sul martire, pronto a colpirlo con la spada o con la frusta, o l'avversario che aggredisce il santo, viene punito con la paralisi della mano (derivazione biblica). Si veda anche I. DUJCEV , La mano dell'assassino. Un motivo novellistico nella agiografia e nella letteratura comparata, Palermo 1975, pp. 193 - 207.
64. PETERS , p. 21, ode VII.
65. PETERS, p. 39, Vita B .
66. Cf. sopra, nota 14. In verità nel canone di Leone di Stilo si trovano parole che potrebbero essere state mal interpretate o che avrebbero potuto costituire lo spunto per l'invenzione. Non va dimenticata l'influenza tra le due Vite.
67. Su questo argomento ritornerò più avanti dopo aver affrontato i vari problemi delle fonti.
68. Cf. Peters, p. 3.
69. Ibid. p. 43, Vita B.
70. D. G. LANCIA DI BROLO , Storia della Chiesa in Sicilia nei primi dieci secoli del cristianesimo , II, Palermo 1884 p. 423.
71. Cf. P. C ANART, CVG , I in Bibl. Vat. 1970, pp. 651 - 664 e pp. 652 - 653.
72. Cf. P. S CHREINER, Vienna 1975 - 1976, i due luoghi Bruzzano e Cursano vengono identificati.
73. B ORSARI, pp. 16 - 17.
74. Peters, p. 1.
75. S. G. MERCATI - C. G IANNELLI - A. GUILLOU , Saint Jean Therestes (1054 - 1264) , Città del Vaticano 1980.
76. Ibid., pp. 47 - 58, n° 3. La data comunemente assegnata al documento era il 5 agosto 1099, cui corrisponde alla data bizantina (6607).
77. Ibid., pp.62 - 68, n.5
78. Cf. Pp. 23 - 24.
79. Ibid. pp. 59 - 61, n. 4; pp. 69 - 73, nn.6 -7; pp. 108 - 110.
80. Cf. sopra e note 23 - 24; pp. 28 - 29.
81. P. ORSI , Le chiese basiliane della Calabria , Firenze 1929, pp. 41 - 69. La chiesa è definita dell'autore come " una di quelle costruzioni ecclesiastiche bizantino - normanno".
82. M. T. JANNELLI , XI Incontro di Studi Bizantini.
83. Cf. sopra e nota 24, Peters, pp. 48 - 49
84. MERCATI - GIANNELLI - GUILLOU, Saint Jean Therestes , cit. , p. 100 e nota 13, p. 102 e nota 14.
85. Ibid. p. 248 e nota 48
86. Ibid. pp. 74 - 75.
87. Cf. Peters, pp. 42 - 45.
88. D. Minuto.
89. Cf. sopra e nota 23.
90. Cf. sopra e nota 30.
91. PITRA, Analecta Sacta , cit., I, p. 618 e P. O RSI, Le chiese basiliane , cit., p.57; S. Borsari, pp. 16 - 17.
92. COZZA - LUZI , Storia e lodi… , Roma 1893, pp.5- 70.
93. Ibid., pp. 71 - 96.
94. Acta SS. Octobris, VI, 1794, pp. 337 - 341.
95. Acta SS. Martii, I, cit., pp. 98 - 102.
96. Acta SS. Mertii, II, cit., pp. *26 - *34.
97. Cf. A. A CCONCIA L ONGO, Santi monaci italogreci alle origini del monastero di S. Elia di Carbone, in Boll. B. gr. Di Grottaferrata (1995 - 1996), pp. 131 - 149.
98. C OZZA - LUZI , Historia et laudes, cit. p. 13.
99. Cf. S CHREINER, cit., I, 338; II, pp. 125 - 126. 126
100. AMARI , Storia dei musulmani di Sicilia , II, cit. pp. 237 - 238; S. BORSARI, Il monachesimo bizantino della Sicilia e nell'Italia meridionale prenormanne , Napoli 1963, p. 47.
101. V.VON F ALKENHAUSEN , Reggio bizantina e normanna, in Calabria bizantina. Testimonianze d'arte e strutture di territori , Soveria Mannelli 1991, pp. 268 - 271.
102. Cf. sopra e nota 67.
103. Cf. nota 30.
104. Cf. sopra e nota 15, 16, 19.
105. P. T H. H ALUSCYNSKYI , Acta Innocentii PP. III, (1198 - 1216) Città del Vaticano 1944.
106. Cf. nota 30.
107. Cf. sopra e nota 34.
108. Cf. sopra e nota 31.
109. O. CAITANUS , Vitae Sanctorum Siculorum, Panormi, 1657, Animadv.,I, 38;
110. Gesuita, nato a Mazara nel 1580, professore di greco a Palermo, morto nel 1613. Compose molte traduzioni latine di testi greci agiografici greci, pubblicate dal Gaetani. Su di lui si veda C. S OMMERVOGEL , Bibliothèque de la Compagnie de Jesus, Tomo III, Bruxelles - Paris, 1892, 810 - 811;
111. CAIETANUS, op. cit. , vol. II, 107 - 109;
112. AA.SS. Febr., III, 481 - 483; 127
113. M. AMARI , Storia dei musulmani in Sicilia , II, Catania, 1935, 473;
114. È adoperato il condizionale perché con il copista non si può mai essere sicuri che egli abbia letto bene. In ogni modo, se è esatta l'ipotesi prospettata secondo cui questa Vita fu scritta mentre era imperatore Federico II, questa data è inesatta e deve essere corretta in 6756. Quello che è certamente falso è che l'archetipo del ms. di Palermo sia stato a sua volta copiato da un ms. più antico;
115. Intitolazione della lettera a Giovanni Duca del 1250 in N. F ESTA, Le lettere greche di Federico II, in Archivio storico italiano, Serie V, XIII (1894), 17;
116. D'ora in poi si continuerà a parlare solo di Vita A, perché la diversità, fra le due Vite A e B, è quasi nulla, se non per il linguaggio usato e per un unico avvenimento (regalo della madre di Giovanni di una croce, prima della sua partenza per la Calabria) che ha poco a che fare con i miracoli, successivamente praticati sul monte Consolino.
117. " Ora " Inteso come presente storico.
Il monastero calabro di San Giovanni Therestis: documentazione e tradizione fino all'età moderna
Tesi di laurea di di Paola Gaglioti presso L'università degli Studi di Torino
Abbreviazioni (pdf)
AASS. Acta Santorum
AP. Archivio provinciale
ASC. Archivio Storico di Calabria
ASCL. Archivio Storico di Calabria e di Lucania
ASS. Archivio Storico Italiano
ASV. Archivio Segreto Vaticano
BAV. Biblioteca Apostolica Vaticana
BHG. Bibliotheca Hagiographica Graeca
BS. Biblioteca Santorum
CVL. Codice Vaticano Latino
CVG. Codice Vaticano Greco
DSPC. Deputazione di Storia Patria per la Calabria
ISIME. Istituto Storico Italiano per il Medio Evo