Il parco delle Serre, guida naturalistica ed escursionistica
di Francesco Bevilacqua
Prefazione
Macché paesi lontani. n mistero e l'avventura (nonché la libertà di viverla) sono a due passi. Valli e montagne dove c'è ancora il fascino dell'ignoto e magari il compiacimento di smarrirsi.
Chi, al di fuori della Calabria centrale, conosce i percorsi intricati e intriganti delle Serre? «Un grande, articolato, diversificato complesso orografico - è il rapido e calzante schizzo fornito dall'autore di questo libro - popolato di boschi e di praterie, di valli e di canyon, di monumenti di roccia e di cascate».
Eccole, le Cenerentole dell'Appennino Meridionale, defilate e <<lontane», obliare da sempre. E ora (ri)scoperte per la nostra gratificazione. È vero: Serra San Bruno, Mongiana, la Ferdinandea, proprio ignote non sono. Ci mancherebbe! Ma il tessuto connettivo della catena montuosa fra l'Aspromonte e le Sile è assai più ampio e attendeva il suo Norman Douglas.
A toglierle dall'isolamento fisico e mentale ci ha pensato Francesco Bevilacqua, escursionista-esploratore colto come i viaggiatori inglesi del passato, ma affinato dal valore aggiunto della sensibilità naturalistica che avvalora il senso più profondo della scoperta.
Ho conosciuto Francesco durante il Camminaitalia del '95, proprio nella traversata sud-nord delle Serre, con altri amici di Catanzaro e dintorni, sotto la guida di Vittorio Luzzo, uno di quei camminatori formidabili che si incontrano assai di rado. Delle Serre ricordo indelebilmente gli abeti bianchi: patriarchi fra i più maestosi, che reggono il confronto con i loro fratelli alpini. Ricordo le lunghe giornate fra quelle cattedrali verdi, scandite dall'atmosfera irreale dei pochi luoghi rimasti ancora fuori dal mondo, che offrono però l'opportunità di ascoltare la voce del silenzio. Incantesimo sempre più raro.
Il nostro policromo serpentone di vagabondi, inguaribili curiosi, ha trovato in Francesco il migliore conoscitore delle terre calabre, aiutato da una solida conoscenza scientifica quanto da un'esemplare virtù divulgativa. Il suo impegno costante e concreto attestano che queste affermazioni non sono frutto di adulazione. E il conforto viene anche dalle sue numerose e splendide pubblicazioni che hanno aperto gli scrigni di una Calabria sconosciuta a tutti gli italiani.
Questa guida ne è un'ulteriore prova documentale. Vi trasuda l'amor del paese, che non è strapaese ma storia, ossia conoscenza. E anche memoria, ossia coscienza. Un prezioso strumento non da biblioteca, ma da consumare nel piacere-escursionismo. Modulato, se possibile, sullo stesso «intelletto d'amore», dell'autore.
Teresio Valsesia
Direttore Rivista del Club Alpino Italiano
Il parco delle Serre, guida naturalistica ed escursionistica
di Francesco Bevilacqua
Introduzione
La prima volta non riuscii a scorgerle, causa la nebbia che aleggiava, tetra, nella valle. Ne percepivo però, distintamente, l'urlo: un tuono cupo, riecheggiante nell'atmosfera ovattata del bosco. Raggiunsi una rupe fuori dai lecci nella speranza che la nebbia si diradasse. Nulla da fare. Quella gelida domenica di gennaio del 1980 dovetti tornare a casa insoddisfatto, anche se con l'intuizione confermata che nell'alta valle della Stilaro dovessero esservi delle cascate. Tre gli indizi che a quel punto avevo accumulato: innanzitutto la morfologia dei luoghi, ricavata dalle vecchie carte corografiche dell'Istituto Geografico Militare in scala 1:25.000; poi l'indicazione, per la verità piuttosto vaga, ricevuta da uno dei guardiani di Ferdinandea; infine il rumore dell'invisibile salto d'acqua percepito quella mattina.
Vi tornai nell'aprile successivo, in un giorno tersissimo, spazzato da un vento freddo e teso. Dall'antica ferriera borbonica sperduta nei boschi delle Serre rifeci il tragitto di qualche mese prima, lungo la condotta forzata di una vecchia centralina idroelettrica dismessa che correva nel vallone Folea. Giunto alla confluenza con l'altra condotta, proveniente dal parallelo vallone Ruggiero, continuai direttamente giù per il costone che divide le due gole. Ed ecco, aggirata un' altura, levarsi di nuovo, improvvisa, quella che Thomas S. Eliot definisce, in una sua poesia, «la voce arcana della cascata». Non più un tuono sordo, compresso dalla coltre di nebbie, ma un suono cristallino, fragoroso, possente.
Poco dopo, dall'orlo di una grande frana, le vidi, finalmente, in tutta la loro imponente bellezza: un furibondo erompere d'acque spumose dallo stretto passaggio fra i graniti superiori della gola; e poi un greve, maestoso tuffo di 90, forse 100 metri, interrotto soltanto da grandi e scure pozze intermedie dalla superficie increspata; un lungo, adamantino fluire di acque incastonato in un alveo verticale di rocce irte di arbusti pensili e di alberi dalle fronde strinate da miriadi di stille lucenti.
È questo il racconto della mia prima volta al cospetto delle grandi Cascate di Marmarico, nelle Serre orientali. Come sempre capita durante le mie esplorazioni geografiche, anche quella volta fui colto da una sorta di vertigine. Una sensazione che ho imparato a collegare ai momenti di pura contemplazione estetica, di rapporto intimo, profondo, spirituale con la bellezza della natura. E come in altre occasioni simili ero eccitato e felice per aver trovato quel che stavo cercando dal più profondo di me stesso, quel che i miei occhi avevano visto pur senza conoscere, quel che il mio cuore mi diceva esistere in un luogo più o meno celato agli occhi degli uomini.
Come quell'altra volta, quando mi venne la bislacca idea di ridiscendere in un sol giorno, in assetto torrentistico, le gole della Fiumara Allaro dal ponte di Ragonà, in territorio di Nardodipace, sino al Monastero di Sant'Ilario, in quello di Caulonia. Avevo immaginato la morfologia delle gole attraverso le carte e ne avevo già percorso due tratti parziali in altre occasioni. Per effettuare il tentativo di traversata completa scelsi una domenica d'agosto, affinché ci potessimo bagnare liberamente senza dover affrontare continui, faticosi aggiramenti dei tratti a canyon. La giornata si presentava splendida e calda. Nel gruppo, oltre ai miei soliti amici, anche il mio editore, deciso a capire fino a che punto fossi matto davvero.
Per tre ore tutto filò liscio. L'escursione non rivelò problemi soverchi, anche se in alcuni tratti fu necessario bagnarci sino al collo e arrampicare su qualche roccetta laterale. Raggiungemmo così un luogo spettacolare ed impressionante: una cascata di una decina di metri si tuffava al di sotto di noi; alte rupi levigate dall'erosione fluviale ci sovrastavano da entrambi i lati; dinanzi, scuri meandri, dall'aria tutt'altro che rassicurante, serpeggiavano sino ad un'ansa.
Stavamo discutendo se e come ancorare la corda per calarci di sotto (e già ci chiedevamo se fosse prudente, considerato che se l'avessimo fatto, molto difficilmente saremmo potuti tornare sui nostri passi in caso di necessità) quando la striscia sinuosa del cielo sopra di noi divenne improvvisamente plumbea ed una serie di schianti furibondi fendettero l'aria. Una pioggia, dapprima leggera e ben presto torrenziale si abbattè sulle gole.
Desistemmo immediatamente dal proposito di proseguire l'escursione, consci che una tempesta in una gola fluviale è quanto di più pericoloso possa capitare, stante il rischio di piene improvvise e di frane. Ci aspettavano tre ore di risalita sul fondo delle gole, sotto la pioggia. Indossammo tutto ciò che avevamo negli zaini, quantunque fossimo destinati a bagnarci. La temperatura, infatti, si era abbassata di diversi gradi ed il vento raffreddava ulteriormente i nostri indumenti fradici.
Ma il vero pericolo veniva dall'alto, dalle instabili pendi ci della gola che, sferzate dagli elementi, scaricavano continuamente sull'alveo pietre e terriccio (in questi casi anche un piccolo sassolino che cada da poche decine di metri può avere la forza distruttiva di un proiettile). Senza contare la preoccupazione per il livello dell'acqua che, sollevandosi di appena qualche centimetro, avrebbe potuto complicare notevolmente certi passaggi delicati, e per i fulmini che avrebbero potuto abbattersi vicino a noi, con il pericolo di trovare nell'acqua una formidabile conduttrice. Occorreva, inoltre, prestare molta attenzione a non farsi male: un incidente nelle gole avrebbe potuto risultare fatale per l'estrema difficoltà di recuperare il ferito in quelle condizioni.
Fu solo grazie alla decisione e all'esperienza che riuscimmo a cavarci dai guai senza conseguenze, salvo una buona infreddatura e la certezza, nel mio stoico editore, che quel che gli avevo raccontato di tante folli avventure vissute tra le montagne calabresi era vero.
Ebbene, quante volte gli amici coinvolti in escursioni tra i monti della Calabria mi hanno chiesto: ma chi ti ha indicato questo luogo così bello? Come lo hai scoperto? Come ci sei arrivato? Sono interrogativi che sorgono spontanei in chi è abituato a trovare la banca, l'ufficio postale, il municipio, l'imbocco dell'autostrada, grazie ad appositi cartelli, in chi è condotto per mano, da altri cartelli, attraverso i corridoi dei supermercati, in chi non sa cosa significa orientarsi in natura, in chi crede, magari, che le Cascate di Marmarico o le gole dell' Allaro siano state inventate dall'ente provinciale per il turismo.
Secondo Aldo Leopold, scienziato americano che fu tra gli antesignani del moderno ambientalismo, l'equivoco fondamentale di chi vive in città è credere che la colazione provenga dal negozio e che il calore derivi dal bruciatore. Cosicché, per chi è vittima di questo paradossale equivoco, non sarebbe più possibile oggi scoprire luoghi selvaggi e sconosciuti, sperdersi in boschi non popolati di segnavia colorati, abbracciare con lo sguardo terre senza segni di presenza umana.
Invece sì. È ancora possibile. Purché si abbia la voglia di cercare e la volontà di trovare. Purché quei luoghi esistano anche nelle profondità insondabili della nostra anima.
Scrive Leopold: «Per noi che apparteniamo ad una minoranza, la possibilità di osservare dal vivo delle oche selvatiche è più importante della televisione e l'eventualità di contemplare un anemone costituisce un diritto inalienabile di ogni uomo quanto la libertà di parola». Come dire che, talvolta, basta liberare le nostre menti dai preconcetti e dalle illusioni imposte dalla realtà virtuale delle città per accorgerci di ciò che esiste da sempre e che da sempre costituisce «la vera realtà».
Ma per far questo occorre lasciarsi possedere dal desiderio di conoscere e dalla voglia di amare. «Conoscere e amare>> era il motto del grande meridionalista Giustino Fortunato, un'esistenza spesa ad esplorare, per gran parte a piedi, gli angoli più nascosti del Mezzogiorno d'Italia, a portare soccorso all'umanità dolente che li abitava, a testimoniarne la tragica, incomparabile bellezza.
È con questo corredo di sentimenti che molti anni fa mi misi in viaggio alla scoperta delle Serre. Un comprensorio naturalistico apparentemente più piccolo e più omogeneo di altri più famosi della Calabria -penso al Pollino, alla Sila, all'Aspromonte-. Un'area ipoteticamente più marcata dalle attività antropiche, più vissuta e trasformata dall'uomo.
Un territorio, infine, meno complesso, sulla carta, dal punto di vista geomorfologico, più facilmente accessibile e percorribile. Nulla di più fuorviante. In tutto questo tempo ho imparato, invece, che le Serre costituiscono un grande, articolato, diversificato complesso orografico, popolato di boschi e di praterie, di valli e di canyon, di monumenti di roccia e di cascate. In esse ho conosciuto luoghi di una bellezza inusitata, di una purezza assoluta, di una originalità inimmaginabile. Grazie ad esse ho creduto di venire in contatto con lo spirito di luoghi unici ed eterni. Di esse, posso dire, senza tema di smentita, che meriterebbero, al pari di altre montagne italiane, di divenire parco nazionale.
Per converso, la sorte di queste montagne, come spesso accade in Italia e soprattutto nel Sud, sembra contrassegnata da pericoli ed ostacoli di ogni genere. Tagli scriteriati, insana gestione dei rifiuti, bracconaggio, pesca di frodo, opere pubbliche senza senso ed utilità, sono solo alcuni dei mali che affliggono questo territorio. Nel 1990 uno spiraglio: su proposta del W.W.F., l'on. Romano Caratelli ottenne dal Consiglio Regionale della Calabria l'approvazione di una legge che prevedeva l'istituzione di un grande Parco Regionale delle Serre. Ma da allora- incredibile a dirsi- quella legge giace completamente inattuata ed ogniqualvolta si tenta di ricordarne l'esistenza è tutto un rifiorire di vieti luoghi comuni contro le aree protette, di bugie e mistificazioni che nascondono ben più prosaici e meschini intenti speculativi.
Ecco come e perché nasce questo libro. Per rendere onore ad una delle più straordinarie e misconosciute montagne italiane. Per offrire a chi davvero voglia conoscere le Serre un'umile e per quanto possibile informata compagna di viaggio. Per distillare e memorizzare, in un piccolo manufatto dell'uomo, una goccia della bellezza delle Serre; una sola goccia di questo piccolo grande gioiello naturalistico che tocca a noi tutti proteggere e valorizzare.
Francesco Bevilacqua