- Ringraziamenti
- COS’È UN IMPIANTO IDROELETTRICO
- INTRODUZIONE
- DESCRIZIONE DELL’IMPIANTO DEL MARMARICO
- IL FUTURO DELL’IMPIANTO DEL MARMARICO
- CONCLUSIONI E NOTE RILEVANTI SUL PROGETTO
L’IMPIANTO IDROELETTRICO DEL MARMARICO Tra passato e futuro
di Emanuele Valenti
Ringraziamenti
Per le informazioni raccolte in questo opuscolo sento di dover ringraziare i lavoratori della SIC che ho avuto la fortuna di conoscere e che mi hanno trasmesso un "ritaglio" della Storia di Bivongi, che rischia ancora di andare perduto. Grazie quindi a Vincenzo Coniglio, Francesco Tisano, Salvatore Aloi e Luigi Chiera. Un doveroso ringraziamento va i no l tre a Patrizia Capitanio e a Massimo Alberti di Studio Seta, per la revisione del testo e il contributo nella definizione di alcune parti del libro.
L’IMPIANTO IDROELETTRICO DEL MARMARICO Tra passato e futuro di Emanuele Valenti
COS’È UN IMPIANTO IDROELETTRICO
Grazie alla particolare distanza Terra-Sole, la temperatura sulla terra consente all’acqua di esistere nelle tre forme: solida, liquida e gassosa. L’acqua può inoltre essere immagazzinata negli oceani, sulla terraferma e nell’atmosfera. È in questi tre ambienti che avviene il continuo cambiamento dello stato dell’acqua detto appunto ciclo dell’acqua.
Sugli oceani l’evaporazione è maggiore delle precipitazioni, mentre sulla terraferma avviene il contrario. Questo squilibrio è compensato dai fiumi che riportano l’eccesso di acqua dalla terraferma verso gli oceani; questo “ritorno” al mare dell’acqua genera l’energia idraulica.
FIGURA 1: IL CICLO DELL'ACQUA (FONTE USGS).
Lo sfruttamento dell’energia idraulica ebbe inizio agli albori della civiltà. Mediante i mulini si azionarono dapprima le macine e poi magli meccanici, in grado di lavorare i metalli. Quindi si azionarono macchine per tagliare il legno, per tessere e per attivare i mantici, necessari ad alimentare i forni per la fusione dei metalli o la cottura delle ceramiche.
FIGURA 2: SCHEMA ESEMPLIFICATIVO DI MULINO AD ACQUA.
Dirette discendenti dei mulini ad acqua sono le centrali idroelettriche.
Per far funzionare un mulino occorreva sbarrare un corso d’acqua e deviare parte della portata disponibile attraverso canali e condotte fino all’opificio, dove una ruota idraulica sfruttava il salto che si veniva a creare. Accoppiata alla ruota c’era una macchina (macina, maglio, sega, …) secondo le necessità cui era destinato l’opificio.
Anche un impianto idroelettrico ha bisogno della costruzione di uno sbarramento su un corso d’acqua e di una serie di canali e/o condotte per sfruttare un dislivello e portare l’acqua sulle turbine idrauliche installate in centrale. Accoppiati alle turbine, si trovano i generatori collegati alla rete elettrica.
Secondo le caratteristiche di salto e della portata i mulini erano di diverso tipo. Quelli di tipo ‘greco’ o ‘scandinavo’ erano i più semplici avendo la ruota idraulica e la macina sullo stesso asse. Questo tipo di mulino si adattava a basse portate e cadute relativamente elevate (per le tecnologie dell’epoca). L’altro tipo di mulino, quello ‘vitruviano’ era a ruota verticale. Il movimento rotatorio era trasmesso alla macina tramite un ingranaggio: tale tipologia si adattava a sfruttare portate elevate e piccoli salti. La presenza degli ingranaggi permetteva di cambiare la velocità di rotazione secondo delle esigenze.
FIGURA 3: TURBINA PELTON DEL 1880. SI NOTI LA SOMIGLIANZA CON UNA RUOTA A PALE DA MULINO. (FONTE: US PATENT AND TRADEMARKS OFFICE).
Allo stesso modo per sfruttare le diverse caratteristiche di salto e portata sono state ideate una serie di differenti turbine idrauliche da accoppiare ai generatori elettrici.
La possibilità di trasportare a grande distanza l’energia elettrica prodotta ha permesso la costruzione di impianti elettrici di potenza assolutamente non paragonabile a quelle dei più grandi mulini.
FIGURA 4: SCHEMA CONCETTUALE DI IMPIANTO IDROELETTRICO (FONTE: GSE).
Negli impianti idroelettrici si possono distinguere una serie di opere che svolgono le diverse funzioni e che contribuiscono al corretto funzionamento dell’impianto complessivo.
Sbarramento. Lo sbarramento serve per innalzare il pelo libero del fiume, in modo da far entrare l’acqua nella successiva opera di presa, e quando possibile formare un accumulo d’acqua a monte. Lo sbarramento può avere forma e dimensioni che variano in un campo molto esteso che va dalle semplici traverse alle dighe più imponenti. Di solito è dotato di uno scarico di fondo e di uno sfioratore di superficie.
Opera di presa. L’opera di presa si trova in corrispondenza dello sbarramento e permette la regolazione della quantità di acqua prelevata.
Canale di derivazione. Il canale di derivazione porta l’acqua dalla presa alla vasca di carico; talvolta il canale è sostituito da una condotta in debole pressione ed in questi casi (come nel caso dell’impianto del Marmarico) al termine della stessa è collocato un pozzo piezometrico.
Vasca di carico o pozzo piezometrico. Al termine del canale di derivazione si trova la vasca di carico, dal quale partono le condotte forzate. La vasca di carico serve per avere un piccolo accumulo in testa alle condotte forzate per compensare piccole variazioni di portata e rendere stabile il livello idrico. Il pozzo piezometrico ha invece il compito di attenuare le sovrappressioni (colpo d'ariete) nelle condotte forzate ed evitare che il fenomeno si trasmetta anche alle condotte in debole pressione.
Condotta forzata. È una tubazione (generalmente in acciaio), che porta l’acqua alle turbine poste nella centrale elettrica. In dipendenza del salto idraulico, le pressioni in condotta possono essere molto elevate. Pressioni ancora più elevate si manifestano durante il fenomeno del “colpo d’ariete” quando, per vari motivi, s’interrompe bruscamente il flusso dell’acqua.
Centrale elettrica. Nella centrale elettrica sono installate le turbine, gli alternatori, e gli apparecchi di comando e di controllo.
La turbina è costituita da diverse parti fisse, fra cui il distributore per la regolazione della portata, e da una parte rotante, la girante, che trascina in rotazione l’alternatore.
In base alle caratteristiche di salto e portata si sceglie la turbina più adeguata. Le turbine Pelton sono turbine ad azione, e sono adatte per salti motori molto elevati e portate basse. All’estremo opposto le turbine Kaplan sono adatte per portate molto elevate e salti motori modesti. Un altro tipo di macchina molto nota è la turbina Francis molto simile alle pompe. Esistono numerosi altri tipi di turbine che possono essere utilizzate in piccoli impianti.
Alla turbina è collegato un alternatore che a sua volta è collegato alla rete elettrica. In questo modo l’energia idraulica dell’acqua, trasformata in energia elettrica, viene trasferita a distanza nei luoghi in cui è viene utilizzata.
In centrale sono inoltre presenti i trasformatori elevatori e una serie di altre apparecchiature di comando e controllo che sono necessarie per gestire l’impianto.
Canale di scarico. Il canale di scarico serve per riportare l’acqua dall’uscita della turbina all’alveo del fiume.
FIGURA 5: LE TURBINE FRANCIS DELL'IMPIANTO BAGNI DI GUIDA
TIPI DI IMPIANTO
Considerando che la potenza è proporzionale al prodotto della portata, che attraversa la turbina (metri cubi al secondo), per il dislivello fra la vasca di carico e lo scarico della turbina (metri), gli impianti sono costruiti dove si possono avere portate e/o salti elevati; pertanto il fattore geografico influisce sulla possibilità/opportunità di realizzare un impianto.
Un altro fattore che influisce sulla dimensione degli impianti è la regolarità della portata: un impianto troppo piccolo non sfrutterebbe in modo adeguato l’energia disponibile mentre un impianto di taglia troppo alta resterebbe ‘a secco’ quando la portata è bassa. Dove è possibile si realizza un accumulo d’acqua creando un invaso artificiale, che si riempie quando c’è un eccesso d’acqua e si svuota quando l’acqua è scarsa. La possibilità o meno di accumulo determina la distinzione tra le centrali ad acqua fluente e quelle a serbatoio.
Centrali ad acqua fluente
Le centrali ad acqua fluente non dispongono di un serbatoio per cui tali centrali possono elaborare solo la portata disponibile al momento. Talvolta, per ottimizzare l’efficienza dell’impianto anche con portate molto minori di quella massima derivata si installano più macchine in parallelo.
Sono di questo tipo gran parte degli impianti idroelettrici collocati sui grandi fiumi nei quali la portata disponibile è molto elevata. In questo caso si installano generalmente turbine di tipo “Kaplan” o “a elica” che sono in grado di elaborare elevate portate elevate con salti idraulici di pochi metri o decine di metri.
Centrali a bacino
Quando la geomorfologia lo consente, può essere utile realizzare un invaso artificiale per accumulare acqua durante i periodi di piena dei fiumi e restituirla nei periodi di magra; in tal modo si permette alla centrale idroelettrica di produrre in modo programmato l’energia. Le centrali a bacino sfruttano il dislivello fra il bacino e la centrale e questo dislivello può essere diverso da quello fra lo sbarramento di presa e la centrale. In questo tipo di impianti il salto idraulico motore risulta influenzato dal livello del bacino e quindi può essere abbastanza variabile nell’arco dell’anno.
In questo tipo di impianti in genere si utilizzano le turbine di tipo ‘Pelton’ adatte per salti molto elevati e portate relativamente basse, oppure delle turbine di tipo ‘Francis’ adatte per portate e salti intermedi.
La realizzazione di questo tipo di impianti è di norma molto costosa ed anche impattante per via della creazione dell’invaso artificiale. D’altra parte però questo tipo di impianti è molto utile per il sistema elettrico in quanto sono utilizzati per stabilizzare la rete.
Centrali di pompaggio
Le centrali di pompaggio sono dotate di un doppio serbatoio uno a monte e uno a valle della centrale. Durante la notte (consumi ridotti ed inferiore costo dell’energia) l’acqua può essere pompata dal lago inferiore al lago superiore ed in tal modo sarà disponibile il giorno dopo per generare di nuovo energia nel momento in cui sarà più necessaria.
L’acqua pompata di notte non è una fonte di nuova energia, ma una forma di accumulo della stessa, pertanto l’energia così prodotta non è considerata rinnovabile. Il processo di pompaggio e generazione ha intrinsecamente delle perdite in quanto sia la pompa sia la turbina hanno un rendimento che non è unitario; il rendimento complessivo del processo è usualmente inferiore al 70%.
L’IMPIANTO IDROELETTRICO DEL MARMARICO Tra passato e futuro di Emanuele Valenti
INTRODUZIONE
L’impianto idroelettrico del Marmarico, realizzato nel 1926, prende il nome dalla omonima cascata – la più alta della Calabria (oltre 120 metri) – situata nell’alto corso del torrente Stilaro. Questo ha origine dal monte Pecoraro, nell’area del Bosco di Stilo, e scorre sul versante ionico nell’estremo lembo della provincia di Reggio Calabria.
Figura 6. Il bacino dello Stilaro e i bacini limitrofi
Già nel 1891 era comunque attiva nell’area delle Serre una centrale idroelettrica che era a servizio di una (allora) modernissima fabbrica di cellulosa ubicata nei pressi di Serra San Bruno.
Nel 1892 si costruì una seconda centrale voluta dal senatore del Regno Achille Fazzari destinata a produrre energia elettrica per l’illuminazione delle segherie di Ferdinandea e, successivamente, per le abitazioni degli operai. Seguirono nell’area del Bosco di Stilo numerose piccole applicazioni idroelettriche. Dell’antica centrale del Fazzari, centralina di Ferdinandea, resta oggi solo l’edificio all’interno del complesso produttivo di Ferdinandea. Tale centralina fu, in seguito, adibita a cabina elettrica di supporto a servizio della centrale del Marmarico.
I primi anni del 1900 videro il proliferare della nascita in Calabria delle officine elettriche: nel 1910 viene fondata a Siderno (RC) la “Società Bruzia di industria elettrica di Siderno”, nel 1912 la “Società idroelettrica dell’Ancinale” a Soverato (CZ) e nel 1913 un gruppo di cittadini bivongesi fonda la società per azioni “L’Avvenire Società Idroelettrica di Bivongi” per costruire una piccola centrale in località Bagni di Guida. Inizia così la produzione diretta alla vendita al pubblico dell’energia elettrica nella Vallata dello Stilaro.
Qualche chilometro più a monte di Bagni di Guida, sfruttando il dislivello di oltre 500 metri che lo Stilaro offre lungo il suo percorso, fu realizzato nel 1926 dalla Società Immobiliare Calabra di Torino l’impianto idroelettrico del Marmarico.
L’impianto cessò la produzione nel 1972 a seguito dei danni provocati alle condotte da una importante frana e nel 1973 fu nazionalizzato (entrò nella disponibilità dell’ENEL).
Pur trattandosi di un impianto di modeste dimensioni (se paragonato agli impianti attuali che forniscono energia all’Italia), presentava tutte le caratteristiche di un moderno impianto idroelettrico.
CENNI STORICI SULL’IMPIANTO DEL MARMARICO
La Società Immobiliare Calabra aveva acquisito dalla società elettrica Borilli - che lo aveva avuto a sua volta nel 1922 dalla Banca d'Italia - il complesso della Ferdinandea con i suoi immensi boschi circostanti.
Nello stesso periodo acquisisce dalla stessa Borilli il progetto dell'impianto Marmarico, e il 10 marzo del 1922 presenta il progetto di massima agli enti preposti a concedere le autorizzazioni all’uso dell’acqua.
Con R.D. 9 luglio 1926, n. 6074 ottiene la concessione per la derivazione dai torrenti Roggero, Don Luca e Folea, (bracci montani della fiumara Stilaro), della portata media di 533,3 litri/sec), atti a produrre sul salto utile di 580 m la potenza nominale di HP 4214 per una officina energia elettrica. Nel novembre dello stesso anno ottiene dal Comitato Forestale l'autorizzazione allo scavo.
Il 29 dicembre 1928 fu approvato il progetto esecutivo redatto dall’ing. Manlio Salvetti e dal geom. Federico Pulitani, che prevedeva delle modifiche a quello di massima del 1922 tenuto a base della concessione. Le modifiche, che consistevano nell’abbassamento del punto di prelievo da 1.024 a 1.007 m, con la conseguente riduzione del salto utile da 580 a 565 m, restando invariato il punto dello scarico, furono considerate non sostanziali.
La tradizione mineraria, determinava la presenza nella zona di minatori, meccanici, fabbri, carpentieri e altre categorie di artigiani. Anche la manodopera era abbondante e si offriva a buon prezzo, nonostante la massiccia emigrazione della popolazione verso le Americhe iniziata nel 1870.
In queste condizioni, i lavori furono affidati, spesso a cottimo, a maestranze locali, tranne per le opere riguardanti i macchinari e le attrezzature particolari. Per questi lavori, mancando l’esperienza sul posto, le ditte fornitrici dei macchinari inviarono dei tecnici dal nord Italia, causando una specie di emigrazione al rovescio, come era già successo nei secoli precedenti nel caso delle ferriere. Le macchine elettriche e il carro ponte furono, infatti, fornite dalle “Officine Savigliano” di Torino, le turbine dalla “De Pretto Escher-Wyss” con sede a Schio (Vicenza) e altre attrezzature idrauliche dalla “Alessandro Calzoni” di Bologna.
L’impianto inizialmente prevedeva il funzionamento in isola, alimentando solo alcuni comuni delle Serre mediante delle linee che partivano dalla stazione di smistamento di Ferdinandea. Questa stazione era collegata alla centrale mediante una linea che inizialmente era gestita alla tensione di 5000 V ed in seguito fu convertita a 20000 V. La frequenza di alimentazione era di 45 Hz, essendo la velocità delle macchine di 900 giri/min.
Per costruire la condotta forzata e portare i macchinari e attrezzature nella centrale fu costruita una teleferica che da Vertice 11 arrivava fino all’ingresso della centrale, non essendovi allora nessun'altra via di accesso. Diversi verricelli, dotati di motori a scoppio, distribuiti lungo il percorso, agivano da freno e da traino.
Mentre i materiali più pesanti viaggiavano sulla teleferica, gli operai e i materiali più leggeri venivano trasportati dal punto denominato “Vertice 11” (ancora oggi viene conservato questo toponimo legato all’impianto), dove arrivavano i mezzi, alla centrale su una ripida e tortuosa mulattiera (Strada Caldaia-Ruggero) di 2 km di lunghezza. A dorso di mulo erano condotti anche i montatori inviati dalle ditte costruttrici dei macchinari.
Fu costruita dapprima la condotta forzata, in lamiera chiodata con spessore fino a 28 mm, partendo dall'arrivo alla centrale: i “conci” (pezzi di condotta), preassemblati a gruppi di tre, erano calati fino alla loro posizione e poi uniti mediante chiodatura a caldo da abili artigiani che si servivano di fucine mobili.
In seguito fu costruita la condotta Ruggero con tubi nuovi, a partire dallo sbarramento e procedendo verso il collettore di unificazione posto al Vertice 11. Il progetto iniziale di realizzare il percorso quasi interamente in galleria fu abbandonato, a favore del tracciato esterno, che ha comunque richiesto la creazione della sede di posa mediante costruzione di muri a secco di sostegno, e lo scavo di brevi gallerie.
Figura 7: superamento di un diaframma di roccia sulla condotta Ruggero.
Quindi fu costruita la condotta Azzarella con tubi riutilizzati, provenienti da un impianto silano, procedendo a ritroso dal Vertice 11 verso la diga Azzarella, in modo avere la sede di posa sempre libera man mano che i lavori avanzavano. Anche in questo caso sono state realizzate due piccole gallerie e un tratto in trincea, seguendo per lo più il tortuoso andamento naturale del terreno.
Sulla condotta forzata, per limitare il numero variazioni di pendenza e quindi di blocchi di ancoraggio, sono stati realizzati diversi ponti e gallerie.
L'esecuzione delle gallerie fu affidata a cottimo ad ex lavoratori delle vicine miniere di ferro, abituati a scavare a forza di piccone e polvere da sparo, spesso con l'aiuto di familiari. Ad esempio la galleria più a monte della condotta forzata fu costruita dai “Marzano” di Bivongi, che era una famiglia di minatori.
Le condizioni di lavoro furono causa di diversi incidenti, anche mortali. La teleferica causò almeno due incidenti. Nel primo la rottura dei freni provocò la caduta di un tubo che per poco non investì gli operai in centrale. Conseguenze più tragiche ebbe la rottura di una fune che provocò la morte di un operaio.
Anche l'assenza di agevoli vie di comunicazione nonché i luoghi impervi causarono degli incidenti. Si racconta, infatti, di un tale Simonetta, mulattiere, che perse la vita durante la risalita per portare uno dei montatori. In corrispondenza di un precipizio, il mulo cadde e nel tentativo di farlo rialzare il mulattiere fu spinto in un dirupo. Il corpo fu recuperato solo al mattino successivo, portato alla meglio alla centrale, e poi a spalla fino al paese. Un altro operaio morì per le ferite riportate nel cantiere.
La centrale fu attivata quando alcuni elementi erano ancora in condizioni precarie; le operazioni di consolidamento e manutenzione continuarono per tutta la vita dell'impianto. La lungimiranza con la quale gli ingegneri avevano progettato l'impianto permise nel tempo espansioni dello stesso, mentre altre, pur se ideate, non furono mai realizzate.
Le linee elettriche erano inizialmente costruite su pali di legno provvisori con guasti frequenti, e solo negli anni successivi sono stati sostituiti dai tralicci metallici definitivi. La rottura di un filo a 20000 V causò un incidente al guardiano delle condotte, che si salvò per puro caso. Lo stesso guardacondotte fu vittima di una fulminazione dalla linea telefonica; le protezioni furono installate solo in seguito.
Solo nel 1938 si ha il definitivo consolidamento e allargamento della sede, a Vertice 12, della condotta Ruggero con la costruzione di imponenti muri a secco. Anche in questa occasione si fece ricorso al lavoro di ditte locali affidando il lavoro ad una impresa di Stilo (i “Patella”), che dovettero eseguire due volte il lavoro. Il Comune di Bivongi si era opposto all'apertura della cava di pietra necessaria per l’approvvigionamento del materiale, ma i lavori furono comunque eseguiti.
Durante l’alluvione del 1951 l’acqua dello Stilaro raggiunse quasi il livello delle finestre al piano terra, allagando parzialmente anche la centrale e interrando la galleria situata immediatamente a monte.
In conseguenza fu rialzato il muro di protezione e fu sbancato l’alveo mediante esplosivi in corrispondenza della centrale.
Figura 8: ancoraggio della condotta forzata in prossimità della centrale.
Fu anche consolidata la condotta, all’arrivo, in corrispondenza dell’attraversamento del fiume. La galleria interrata fu svuotata e l'ingresso parzialmente murato.
La stessa alluvione provocò una piccola frana sotto la condotta forzata. Si consolidò la zona con alti muri a secco e la condotta fu sostenuta da un grande cavalletto realizzato in legno di faggio. Solo nel 1956 furono realizzati gli alti pilastri in cemento ancora oggi visibili.
Figura 9: condotta forzata nel tratto a forte pendenza.
A partire dal 1952 furono eseguite alcune di migliorie e estensioni dell'impianto.
Per ridurre gli effetti dei colpi d'ariete sulle condotte Ruggero e Azzarella, fu costruito in località Vertice 11 un pozzo piezometrico in cemento. Questo ridusse di molto il lavoro di manutenzione alle due condotte, che in precedenza consisteva nell'individuare e tappare prontamente le falle che si creavano frequentemente a causa della corrosione e dei rilevanti sbalzi di pressione.
Per proteggere le due dighe Ruggero e Azzarella dall'erosione, dovuta all'acqua che necessariamente le sormontava nei periodi di sfioro, furono realizzati dei cordoli di cemento armato che contenevano un sistema di areazione, che consentiva all'acqua di staccarsi dalla parete della diga, anziché lambirla.
Figura 10: particolare del sistema di areazione dello sfioratore del laghetto Azzarella.
Sulla condotta Ruggero furono realizzate diverse opere in cemento e dei muri a secco per proteggerla dalla caduta di massi. La passerella di legno, caduta e ricostruita più volte, fu finalmente fatta in ferro.
Nelle gallerie furono realizzati rivestimenti in cemento, in sostituzione dei precedenti di legno, che andavano a deteriorarsi.
A questo periodo risale anche il collegamento in parallelo con la Società Elettrica delle Calabrie (SEC), mediante due linee a 20000 V che collegavano la centrale a Chiaravalle e a Pazzano, che impose il passaggio della frequenza della corrente elettrica a 50 Hz (conseguentemente la velocità di rotazione dei macchinari passò a 1000 giri/min). Il parallelo consentiva la compravendita di energia con le altre società di distribuzione, secondo le necessità.
In questo frangente anche le turbine idrauliche furono sostituite, poiché il rendimento si era ridotto a causa dell'usura e della variazione di velocità di funzionamento. La sostituzione avvenne sotto la supervisione di tecnici montatori inviati da Schio (Vicenza), dalla società De Pretto. Il trasporto delle turbine avvenne, allora, su slitte di legno trainate da buoi sulla ripida mulattiera. Una volta che era stata smontata la teleferica, la mulattiera rimase infatti l'unica via di accesso alla centrale fino alla costruzione, da parte della Cassa per il Mezzogiorno, della strada interpoderale per il raggiungimento delle opere di presa dell’acquedotto consorziale per i centri di Stilo, Pazzano e Bivongi.
In seguito alla costruzione della linea per Guardavalle, nel 1959, in conseguenza dell’aumento del carico elettrico, fu costruito un canale di gronda (acquaru 'e Bulici), che portava l’acqua dalla Fiumara Storta, affluente dell’Assi, a monte della presa Ruggero. Il canale era in terra, la presa in cemento, ed era utilizzato nei periodi di magra. Non andò mai in porto, invece, l'idea di realizzare una diga sul torrente Mula, sempre affluente dell'Assi, che avrebbe rifornito la derivazione Ruggero tramite un sistema di tubi a sifone.
La realizzazione di nuove linee in partenza dalla centrale impose la realizzazione di un secondo quadro per lo smistamento delle stesse e l'installazione di nuove sbarre, sezionatori e interruttori sul lato a media tensione.
Per sopperire alle magre estive, nella centralina di Ferdinandea, già adibita a cabina di smistamento e trasformazione, furono installati nel 1965 e 1966, due gruppi elettrogeni (derivati da due motori navali di recupero) con potenze dell’ordine di 350 kW ciascuno. L’ENEL si oppose alla loro messa in servizio, e la SIC propose ricorso al Consiglio di Stato, ottenendo il riconoscimento del diritto ad utilizzare i gruppi a motore.
Figura 11: particolare di un alternatore (in primo piano la dinamo eccitatrice).
Nel 1961 venne costruita da maestranze locali la diga Giulia (in onore della contessa Panza). La diga costruita sul torrente Stilaro, alimentava la derivazione Azzarella, che si trovava più a valle, durante le magre. La diga fu collaudata dal Genio Civile, che, però, nel 1973 non aveva ancora rilasciato il certificato di collaudo.
Nel 1971 la SIC non era ancora stata nazionalizzata nonostante “amministratori e popolazioni dei comuni interessati [Serra San Bruno, Mongiana, Fabrizia, Nardodipace e, parzialmente, i comuni di Santa Caterina sullo Jonio, Isca sullo Jonio e Guardavalle] lamentavano insistentemente: bassa tensione a causa dello stato deteriore delle linee; continui disservizi e frequenti interruzioni dell'energia; mancanza di fornitura di energia elettrica per uso AD (applicazioni domestiche); disalimentazione degli impianti delle contrade rurali; ritardi di alcuni mesi negli allacciamenti […]. La nazionalizzazione della suddetta società […] è pure richiesta dal personale dipendente che, oltre ad avere un trattamento economico normativo, assistenziale e previdenziale notevolmente inferiore a quello dei dipendenti dell'ENEL, è costretto ad uno sfruttamento di natura medioevale”.
Nonostante le migliorie apportate negli anni precedenti, nel 1970, a causa della siccità, la SIC acquistò dall'Enel rilevanti quantitativi di energia.
Nel 1971, grazie ad un aumento delle tariffe elettriche, gli operai videro aumentati i lori salari, seppure ancora molto inferiori a quelli erogati dall'ENEL ai propri dipendenti.
Nel 1972 si completò il rivestimento in cemento della condotta Azzarella, di alcuni tratti della condotta Ruggero e del tratto iniziale della condotta forzata.
Il primo gennaio 1973 a seguito delle piogge intense una grossa frana causò la rottura della condotta forzata. Il getto dell’acqua che fuoriusciva dalla condotta per un certo tempo fu visibile dall’abitato di Bivongi a quasi 6 km di distanza.
Figura 12: il tratto di condotta spezzato dalla frana del 1972.
I danni furono stimati in 20/40 milioni di lire. I proprietari, consigliati dal ragioniere Riva, decisero di non riparare l’impianto che poco dopo fu nazionalizzato.
Una volta cessata la produzione, la distribuzione dell'energia elettrica ai propri utenti continuò per tutto il 1973, acquistando energia dall'ENEL.
Subentrata alla SIC nel 1974, l'ENEL decise la chiusura definitiva dell'impianto, cessandone il presidio. Il patrimonio boschivo passò, invece, qualche anno dopo, alla Società Agricola Forestale Ferdinandea. Avendo già ceduto nel 1968 la S.p.A. 'Fonte della Mangiatorella', la SIC abbandonò definitivamente la Calabria.
In centrale lavoravano 4 operai. Erano divisi in due squadre che si avvicendavano ogni 48 ore. Gli operai di una squadra alternavano 4 ore di lavoro a 4 di riposo. Allo scopo, gli operai disponevano di un alloggio adiacente alla rumorosa sala macchine.
Il livello d’istruzione tecnica era molto basso: i primi operai erano artigiani locali convertiti a operai elettrici. La seconda generazione erano i figli o parenti di tali operai. Loro compito era, fra l’altro, di commutare le linee in partenza ed eseguire il parallelo con la SEC su comando telefonico dagli uffici di Ferdinandea.
Figura 13: operai in posa all’ingresso della centrale. Da sinistra a destra: geometra Venturini, Giuseppe Iorfida, Raffaele Murace, Antonio Tisano, Giuseppe Aloi.
Gli operai raggiungevano il posto di lavoro risalendo il letto fiume a partire dall’abitato, passando per la centrale di Bagni di Guida o seguendo, durante le piene invernali, percorsi più lunghi. In occasione di grosse piene rimanevano isolati e, in caso di fermo delle macchine, al buio e al freddo.
Per guasti rilevanti si ricorreva a tecnici specializzati inviati dalle ditte produttrici dei macchinari, oppure di bravi meccanici locali. Ad esempio il danneggiamento degli avvolgimenti degli alternatori a causa di scariche atmosferiche sulle condotte era un evento non raro.
Figura 14: operai al lavoro durante la riparazione di un alternatore. Da sinistra a destra: Luigi Chiera, Giuseppe Aloi, Francesco Tisano.
A sorvegliare quotidianamente le condotte c’era un guardacondotte che abitava con la famiglia a Vertice 11. Il suo compito era di fare piccole riparazioni sulle condotte e segnalare e intervenire insieme con altri operai sui problemi più importanti. Nei periodi di utilizzo, era sorvegliato anche il canale proveniente dalla Fiumara Storta.
Una delle occupazioni principali del guardacondotte era tappare le falle con bastoncini di legno, inseriti a forza nei buchi (“piruni”). In seguito le stesse riparazioni erano fatte con una vite di ferro che pressava una guarnizione di gomma contro la falla. Racconta l’ultimo guardacondotte (Sig. Vincenzo Coniglio) che su un piccolo tratto di tubazione era arrivato a inserire fino a 1000 di questi “pirùni”. La condotta proveniente dal bacino Azzarella, e in parte quella della presa sul Ruggero, è stata in seguito rivestita di cemento.
Il guardacondotte inoltre fungeva da collegamento tra la centrale e gli uffici di Ferdinandea, trasportando piccoli pezzi di ricambio e i rapporti di produzione.
Ai guardafili spettava il compito di sorvegliare e riparare le linee elettriche e le cabine, coordinandosi con gli uffici di Ferdinandea e gli operai in centrale che dovevano manovrare le linee soggette ad intervento. Un errore di manovra fu causa di un incidente che provocò la morte di un guardafili.
Gli altri lavoratori del ramo elettrico della società erano addetti alla contabilità, negli uffici di Ferdinandea, e addetti alle riscossioni presso gli utenti.
Nel 1973 la SIC aveva più di 11.000 utenze e occupava 26 operai nel settore elettrico su un totale di circa 200 addetti, comprendendo le attività agricole e boschive.
Nel 1974 l'ENEL subentrò alla SIC e gli operai del settore elettrico furono ricollocati nelle sedi di Serra San Bruno e Vibo Valentia.
L’IMPIANTO IDROELETTRICO DEL MARMARICO Tra passato e futuro di Emanuele Valenti
DESCRIZIONE DELL’IMPIANTO DEL MARMARICO
L’impianto del Marmarico è costituito da due prese, una sul torrente Stilaro e una sul torrente Ruggero. Le prese, tramite due condotte, convogliano l’acqua a un collettore di unificazione dal quale ha inizio la condotta forzata che, dopo un salto di circa 550 m, arriva alla centrale.
Figura 15: planimetria dell'impianto Marmarico.
In un secondo tempo l’impianto è stato dotato di un pozzo piezometrico e di un bacino di accumulo rilevante (diga Giulia) sullo Stilaro poco a monte di Ferdinandea.
Costruita sul corso del torrente Stilaro, in località Valle delle Ortiche, occupa una superficie complessiva di 14.300 m2 alla quota di 1070 m s.l.m.. Il bacino, che prende il nome della contessa Giulia Panza contitolare della SIC, è stato realizzato con una traversa in conglomerato cementizio e terra battuta ed ha una capacità di circa 100.000 m3. Sul coronamento della traversa sono installati tutti i comandi di manovra.
Figura 16: vista da monte della diga Giulia.
La lunghezza della traversa è di circa 87 m. Lo scarico di fondo è costituito da una galleria che attraversa il terrapieno chiusa da una paratoia piana. Lo sfioratore si trova in sponda sinistra, e la quota di sfioro può essere aumentata mediante assi di legno incastrate in apposite guide.
L’acqua raccolta raggiunge il bacino di alimentazione dell’Azzarella mediante il corso del torrente Stilaro.
Derivazione Azzarella
Ubicata alla confluenza del torrente Folea con il torrente Stilaro, occupa una superficie complessiva di mq 660 ed è stata realizzata mediante uno sbarramento in muratura di pietrame e malta cementizia, ad andamento planimetrico leggermente arcuato.
Lo sfioro avviene su tutta la lunghezza del coronamento ed una passerella sovrastante lo sfioratore (realizzata in profilati di ferro) consente di raggiungere i comandi di manovra delle paratoie di controllo dei flussi. La struttura di ferro può alloggiare delle assi di legno, mediante le quali si può aumentare fino a 1 m il livello dell’acqua nel bacino.
Sia lo scarico di fondo sia la presa (protetta questa da una griglia) sono intercettate da paratoie piane a comando manuale.
Figura 17: briglia vista da valle della Azzarella: particolare della partenza della condotta con tubo aeroforo.
Dal bacino di accumulo ha origine una condotta in tubi di ferro rivestiti di conglomerato cementizio, della lunghezza complessiva di circa m 1570, del diametro di circa 65 cm, che raggiunge la località denominata “Vertice 11” da cui ha origine la condotta forzata a servizio della centrale idroelettrica del Marmarico.
Figura 18: la condotta Azzarella all’uscita di una galleria.
La condotta è affiancata per quasi tutta la sua lunghezza da una strada di servizio, transitabile con piccoli mezzi.
Ubicata nell’alveo del torrente Ruggero, occupa una superficie complessiva di 890 m2 e insiste interamente su terreni un tempo appartenuti al Comune di Bivongi.
Similmente al bacino Azzarella, il bacino Ruggero è stato realizzato con sbarramento, in muratura di pietrame e malta cementizia ad andamento planimetrico leggermente arcuato, di 24 m di lunghezza.
Lo sfioro avviene su tutta la lunghezza del coronamento, realizzato in conglomerato cementizio armato e sovrastato in parte da una passerella in profilati di ferro che conduce ai comandi di manovra.
Figura 19: briglia sul Ruggero, sulla sinistra la passerella di accesso agli organi di comando.
Anche in questo caso, sia lo scarico di fondo che la presa sono intercettate da paratoie piane a comando manuale.
Dal bacino Ruggero si diparte una condotta in tubi di ferro in parte rivestiti di conglomerato cementizio, della lunghezza complessiva di circa 970 m, che raggiunge la località denominata “Vertice 11” in cui si unisce alla condotta proveniente dal bacino Azzarella.
Figura 20: condotta Ruggero, si notano i fori di corrosione sul tubo e la protezione della condotta dalla caduta massi in calcestruzzo.
Figura 21: condotta Ruggero, passerella di servizio in ferro.
La condotta è intercettata da una paratoia piana nel paramento di monte della diga che è a sua volta protetta da una griglia a barre; immediatamente all’uscita dallo sbarramento vi è il tubo aeroforo per permettere la fuoriuscita e l’ingresso di aria nel caso di chiusura della paratoia.
Collettore Vertice 11 e pozzo piezometrico
In località Vertice 11 le due condotte provenienti dalle derivazioni Azzarella e Ruggero confluiscono nella condotta forzata.
Ogni condotta in arrivo è intercettata con delle saracinesche a comando manuale e l’unione avviene a forma di Y. Immediatamente a valle della unificazione si unisce anche una terza tubazione proveniente dal pozzo piezometrico. Immediatamente a valle di quest’ultima unificazione è presente una valvola di sicurezza a contrappeso, dotata di valvola di bypass, e infine, uno sfiatatoio. Gli apparati appena descritti era ospitato in una baracca con pareti di legno e copertura in fibrocemento, sostenuti da quattro pilastri in muratura.
Figura 22: vertice 11 - unificazione fra le condotte Azzarella e Ruggero: particolare dello stacco del tubo di collegamento al pozzo piezometrico e delle valvole di sicurezza.
Circa 80 metri più a monte è presente il pozzo piezometrico che è un cilindro di cemento tutto fuori terra. Ha un’altezza di 6,50 m e un diametro di 2,70 m.
Figura 23: Vertice 11, particolare di un giunto di smontaggio.
Figura 24: pozzo piezometrico.
La condotta forzata parte dal collettore a Vertice 11, dove si riuniscono le condotte provenienti dalle due derivazioni Azzarella e Ruggero, ad una quota di circa 1000 m s.l.m. e si “tuffa”, in un susseguirsi di tratti rigorosamente rettilinei, fino alla centrale del Marmarico a quota 450, con un salto quindi di oltre 550 metri.
L’andamento altimetrico segue da vicino quello dello spartiacque tra i torrenti Stilaro e Ruggero. Per limitare il numero dei cambiamenti di pendenza (vertici) sono stati realizzati diversi piccoli ponti e gallerie.
Figura 25: profilo della condotta forzata.
La condotta entra in centrale tramite con due derivazioni dalla tubazione principale per l’alimentazione delle due turbine; esiste anche la predisposizione per un terzo gruppo mai realizzato. É costituita da tubi di lamiera di acciaio a elementi chiodati della lunghezza di 1400m e del diametro iniziale di 70 cm e finale di 55 cm e dello spessore variabile da 5 a 28 mm.
Figura 26: condotta forzata su selle - piloni.
Figura 27: condotta forzata in un tratto a pendenza elevata.
La centrale del Marmarico si trova in sponda destra del fiume Stilaro, immediatamente a valle della confluenza del torrente Ruggero. L’edificio consiste in un corpo principale in muratura che costituisce la sala macchine, ove sono installati i gruppi generatori.
In adiacenza sono sistemati 3 corpi secondari. Il primo, a tre piani, ospita le apparecchiature elettriche e il vano scale. Il secondo, a due piani, ospita gli alloggi del personale di sorveglianza. Il terzo, costruito successivamente, era adibito a piccola officina e fucina.
Figura 28: Vista da valle della centrale.
Il piano pavimentato è rialzato rispetto al piano delle fondamenta e quest’ultimo e rialzato rispetto al letto del fiume. Un muro di contenimento, realizzato in conseguenza degli effetti di una piena, protegge l’edificio sul lato prospiciente l’alveo.
Vi sono tre ingressi: il primo porta direttamente nella sala macchine, il secondo nell’ala degli alloggi, il terzo situato al primo piano, porta anche esso negli alloggi, ed era utilizzato dagli operai come accesso disponibile anche in caso di piena del fiume.
La sala macchine è a pianta rettangolare, con dimensioni di 18,5 per 11 m e ospita i due gruppi turbina/alternatore ed ha lo spazio per ospitare un terzo gruppo. E’ alta circa 12 m , ed è servita da un carro ponte da 7,5 tonnellate costruito dalle officine Savigliano di Torino, che corre su due rotaie poste a 6 m di altezza.
Il tetto a due falde era sostenuto da capriate di legno. Lo stesso tetto copriva anche l’ala dell’appartamento degli operai.
L’ala delle apparecchiature elettriche è disposta su tre piani. Al piano terra, comunicante con la sala macchine, erano ubicati due trasformatori elevatori. Il quadro generale di comando (in marmo) e controllo dell’impianto costituiva una sorta di separazione fra la sala dei macchinari e la sala dei trasformatori.
Al primo piano era collocato il trasformatore dei servizi ausiliari e il sistema degli interruttori di gruppo e delle sbarre, protetti da una gabbia metallica sulla quale è presente un secondo quadro comandi. Al secondo piano sono tuttora presenti i quattro interruttori di linea e relativi sezionatori. Le linee partivano da appositi fori passanti nelle pareti, protetti da isolatori in vetro.
Il corpo degli alloggi è costituito da un ingresso, un magazzino a piano terra e da due camere al primo piano.
La piccola officina, realizzata in un secondo tempo, si trova a piano terra ed ha una copertura di legno e lamiera ondulata.
Figura 29: interno dell'edificio della centrale
Figura 30: edificio di centrale: pianta del piano terra
Figura 31: Centrale, arrivo della condotta forzata.
Figura 32: gruppo turbina-alternatore. In primo piano il generatore.
Nella centrale sono installati due gruppi generatori, ciascuno composto da una turbina Pelton, De Pretto Escher-Wyss, di 1000 kW collegata coassiale a un alternatore sincrono trifase, Savigliano, di 1300 HP, 1000 kW, 500 V, 1390 A, 900 giri e ad un’eccitatrice, Savigliano, 55 V, 235 A, 900 giri.
Figura 33: gruppo turbina-alternatore.
Nella sala macchine era previsto lo spazio per un terzo gruppo, di dimensione maggiore dei precedenti, e all'arrivo della condotta forzata è presente una terza diramazione.
La rete della Società Immobiliare Calabra lavorava, inizialmente, in isola, cioè separata dalle altre reti elettriche, con alternatori e turbine che giravano a 900 giri al minuto. Per potere effettuare il collegamento con la rete della Società Elettrica delle Calabrie, le macchine sono state fatte funzionare a 1000 giri al minuto, per ottenere i 50 Hz della rete SEC. Le due turbine sono state successivamente sostituite negli anni '50, mentre le macchine elettriche sono rimaste immutate.
Ai due gruppi turbina-alternatore erano collegati altrettanti trasformatori che elevavano la tensione dai 500 V della generazione ai 20000 V delle linee di trasporto. I trasformatori erano isolati in olio e raffreddati ad aria naturale.
Sul lato a Media Tensione di ogni trasformatore erano installati i sezionatori, i trasformatori di misura e l'interruttore di gruppo. Vi erano poi le due semi-sbarre MT, congiungibili attraverso un terzo interruttore, sezionato da ambo le parti.
I trasformatori si trovavano allo stesso livello della sala macchine mentre gli interruttori di gruppo e di parallelo erano collocati al primo piano. Gli interruttori erano comandati da un quadro, posto tra la sala macchine e la sala trasformatori, che comprendeva anche tutte le misure e le regolazioni. Al primo piano era sistemato anche il trasformatore dei servizi ausiliari (anch’esso isolato in olio e raffreddato ad aria).
Figura 34: interruttore di gruppo.
Al secondo piano erano collocati i 4 interruttori, e relativi sezionatori, relativi alle linee in partenza. Gli interruttori di linea erano comandati dal piano inferiore, da un quadro comandi, attraverso un gioco di funi, pulegge, catene e ruote dentate.
Nel tempo il sistema delle sbarre e la disposizione degli interruttori hanno subito adeguamenti per adattarsi alla costruzione delle nuove linee.
La SIC aveva realizzato nei locali dell’ex Centralina di Ferdinandea la propria stazione di trasformazione e smistamento. Alla stazione suddetta arrivava una linea a 20000 V lunga 2,6 km e fatta in conduttori in rame nudo 40/10, su sostegni di legno, direttamente dalla centrale del Marmarico
Dalla stessa stazione partivano tre linee. La prima, a 20000 V, alimentava Serra San Bruno e le sue frazioni con una fitta rete di cabine. La seconda, a 9000 V, si dirigeva verso Mongiana e alimentava anche Fabrizia e Nardodipace. La terza linea, anch'essa a 9000 V, alimentava lo stabilimento di acque minerali della Mangiatorella e puntava verso Nardodipace Vecchio e San Todaro.
Figura 35: PARTENZA DI UNA LINEA DA 20000 V.
Dalla centrale, sul versante opposto partiva la linea a 20000 V per Guardavalle, che alimentava anche S. Caterina e Badolato spingendosi fino a Isca Sullo Jonio.
Su quasi tutte le linee, oltre ai conduttori di potenza, si trovano anche due conduttori in Fe/Zn dedicati alle comunicazioni telefoniche attinenti all'esercizio.
Le utenze servite dalla S.I.C. al 31 maggio 1973 erano circa 11.000, alcune delle quali superavano i 30 kW.
Oltre alla rete di trasporto e distribuzione propria, la centrale era collegata alla rete, più estesa, della Società Elettrica delle Calabrie, mediante due linee a 20000 V.
La prima linea arrivava a Chiaravalle, in provincia di Catanzaro. La seconda arrivava a Placanica, in provincia di Reggio Calabria. Di entrambe le linee esistono ancora diversi tralicci.
Il parallelo con la SEC era una vera è propria interconnessione, attraverso la quale la SIC acquistava energia nei periodi di magra, per fornire le proprie utenze, e la vendeva nei periodi di esubero.
Figura 36: ricostruzione della rete elettrica della SIC nel 1973.
Dalla cessazione del presidio dell’ENEL, nel 1974, ad oggi le varie parti dell’impianto hanno subito diversi processi di degrado. In generale si può dire che gli elementi che si sono conservati meglio sono le costruzioni in cemento, mentre le parti metalliche hanno subito processi di corrosione più o meno estesi.
Le tre dighe in cemento sono in buone condizioni, anche se sono parzialmente interrate.
Le condotte in bassa pressione del Ruggero e dell’Azzarella sono corrose dalla ruggine. Alla giunzione a Vertice 11 la baracca che ospitava il collettore è crollata. Anche la condotta forzata si è parzialmente corrosa, ed è ancora rotta nel punto in cui c’è stata la frana nel 1972.
Figura 37: giunzione delle condotte a Vertice 11. Si nota una valvola a saracinesca (a sinistra) e il tubo di collegamento al pozzo piezometrico
Figura 38: Turbina Pelton del marmarico (gruppo 2).
Nell’edificio della centrale è crollato il tetto della sala macchine.
I trasformatori elevatori e, parzialmente, gli alternatori sono stati smontati (per rubare il prezioso rame). I quadri elettrici con tutte la strumentazione di misura e di controllo sono stati distrutti da vandali.
Nella sala macchina rimangono i due gruppi turbina-alternatore, completamente arrugginiti, e i resti dei trasformatori.
L’IMPIANTO IDROELETTRICO DEL MARMARICO Tra passato e futuro di Emanuele Valenti
DESCRIZIONE DELL’IMPIANTO DEL MARMARICO
IL FUTURO DELL’IMPIANTO DEL MARMARICO
La nuova Società Idroelettrica del Marmarico (titolare della concessione alla derivazione di acqua) ha incaricato lo Studio Seta S.r.l. di seguire la progettazione di un intervento di recupero dell’antico impianto idroelettrico del Marmarico, con lo scopo di raggiungere i seguenti principali obiettivi.
Sviluppo della funzione energetica.
Nel pieno rispetto dell’ambiente e della tutela delle risorse turistiche si riattiverà (dopo una ristrutturazione) un impianto di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, secondo gli obiettivi stessi che si prefiggono gli Enti Pubblici locali e nazionali, in continuità storica con la tradizione di utilizzo delle acque a scopi energetici e produttivi.
Restauro di manufatti di archeologia industriale.
Questo intervento permetterà il recupero dei manufatti esistenti che rappresentano un prezioso esempio di architettura legata all’allora nascente mondo della produzione elettrica. Si garantirà così il ripristino di vecchie costruzioni (altrimenti destinate a scomparire) e il recupero della loro funzione industriale primitiva.
Al primo posto fra le scelte progettuali va evidenziata la volontà di mantenere il più possibile le opere esistenti, evitando demolizioni non giustificate, nel rispetto di una testimonianza architettonica che può tornare a vivere. Nella ricostruzione delle parti mancanti, o tecnicamente inadeguate, l’uso di materiali tradizionali o comunque già impiegati garantirà l’integrazione con l’ambiente e con le parti esistenti.
Controllo massimo dell’impatto ambientale.
Si è prestata particolare attenzione alle tecniche e tecnologie per realizzare una minicentrale idroelettrica che, grazie a sistemi ad alto livello tecnologico, possa inserirsi all’interno di manufatti già esistenti.
Contributo all’attuazione dei piani nazionali e regionali di riduzione delle emissione di anidride carbonica in atmosfera.
Con il progetto di riattivazione dell’impianto del Marmarico si perseguono le direttive contenute nel trattato internazionale di Kyoto e nel Piano Energetico Ambientale Regionale (14/02/2005) che sollecitano la creazione di impianti di produzione di energia da fonti alternative e rinnovabili.
Attuazione degli obiettivi del Parco Naturale Regionale delle Serre e dell’Ecomuseo.
Il progetto dà un contributo agli obiettivi del parco attraverso lo sviluppo di strutture finalizzate alla protezione e conoscenza dell’ambiente naturale e all’educazione sull’uso dell’energia. I manufatti potrebbero essere pensati come futuri capisaldi di itinerari naturalistici (che conducono alla scoperta dell’ambiente), di archeologia industriale (visita alla centrale e agli altri edifici dell’impianto idroelettrico) e scientifico-divulgativi (conoscenza delle tecnologie per ottenere energia rinnovabile pulita, da utilizzare in maniera intelligente e responsabile).
Le opere di presa
Gli sbarramenti sui torrenti Stilaro e Ruggiero non presentano evidenti lesioni dal punto di vista strutturale, tuttavia in fase di inizio cantiere (una volta rimossa la vegetazione e i detriti) sarà opportuna una analisi attenta anche delle parti ora non visibili. L’operazione più importante consisterà proprio nello svuotamento del bacino ricolmo di detriti ghiaie, terriccio, arbusti e alberi. Dal punto di vista impiantistico, dovranno essere sostituiti tutti gli attuali sistemi di captazione e di controllo della presa (ormai danneggiati e superati) con altri automatizzati e controllabili a distanza per via telematica.
La realizzazione delle passerelle consentirà una vista panoramica sui laghetti formati dagli sbarramenti e il collegamento in piena sicurezza tra i sentieri sulle due sponde.
Le condotte in debole pressione.
In generale si rende necessaria la sostituzione della vecchia tubazione deteriorata dal tempo e quindi inutilizzabile. In tutti i casi comunque sarà ricalcato fedelmente il tracciato preesistente e saranno utilizzati i medesimi tratti di strada ghiaiata e di galleria. Con i lavori di sostituzione, per lunghi tratti, la condotta sarà interrata o ricoperta con terreno sostenuto da palizzata di legno di castagno, diminuendone così l’impatto visivo rispetto a prima.
Figura 39: particolare costruttivo.
La strada di servizio della condotta Azzarella fa parte dello storico “sentiero del Brigante” che sarà ripristinato e attrezzato al termine dei lavori di posa della nuova condotta ed anche il sentiero di servizio della condotta Ruggero sarà reso fruibile al termine dei lavori.
Si prevede di salvaguardare alcuni tratti delle vecchie tubazioni, non tanto per il loro riutilizzo, quanto per mantenere memoria del passato e per eventuali attività didattiche, rendendo possibile un confronto tra vecchie e nuove tecnologie.
Nella zona della giunzione delle condotte e pozzo piezometrico si prevede il recupero di edifici già esistenti, in parte con funzione di supporto all’impianto idroelettrico, ma principalmente con funzione di servizio alla fruizione del Parco e all’accoglienza con possibilità soggiorno e bivacco.
Figura 40: conservazione delle apparecchiature al vertice 11 - la tettoia di protezione verrà ricostruita.
Dal punto di giunzione delle 2 condotte descritte sopra, sarà sostituita la vecchia tubazione esterna che portava al pozzo piezometrico, con una nuova interrata (quindi non visibile). Il pozzo piezometrico verrà ampliato e pertanto la condotta, prima di arrivare al pozzo preesistente, entrerà in una nuova vasca inclinata che per esigenze impiantistiche serve ad espandere la capacità del pozzo stesso. La nuova vasca sarà praticamente interrata.
Il sistema delle giunzioni con i tratti delle condotte di arrivo e in partenza saranno conservati, scegliendo per le nuove condotte un tracciato lievemente diverso. Sarà ripristinata la tettoia un tempo esistente a protezione degli organi di manovra. Questo elemento architettonico leggero oltre a proteggere le parti impiantistiche avrà funzione di punto di sosta e di osservazione verso la vallata.
Figura 41: la copertura a protezione della giunzione al vertice 11, anno 2002.
In un secondo stralcio di lavori, si prevede di recuperare il complesso edilizio adiacente (la ex casa del guardacondotte e pertinenze) ed adibirlo ad uso ricettivo di tipo rifugio-bivacco per brevi soggiorni o per il riparo e la sosta temporanea.
Il progetto propone di ricavare nel corpo principale due camere, riscaldate con stufa a legna, una sala con angolo cottura, un bagno e una legnaia. Questo nucleo è collegato alla tettoia e a due ambienti staccati esterni, tramite una rampa pavimentata, all’interno dei quali trovano posto una ulteriore piccola camera e un locale tecnico a servizio dell’impianto idroelettrico.
La condotta forzata
Parte anch’essa dal punto di giunzione delle condotte e segue il tracciato della vecchia tubazione. In alcune parti del percorso la tubazione nuova sarà installata sopra quella esistente (sia per lasciarne la memoria storica, sia per sfruttare la sua funzione di supporto-trave).
Figura 42: particolare costruttivo di montaggio della nuova condotta sopra quella esistente.
A questi si alternano altri tratti in cui la tubazione è interrata o montata su ponte, o su selle in calcestruzzo, oppure attraversa i rilievi utilizzando cinque gallerie preesistenti.
Figura 43: schema di posa della condotta forzata in galleria esistente.
I lavori alla condotta forzata richiederanno la sistemazione dei sentieri esistenti, in particolare di quello noto come “Caldaia Ruggero” che fa parte del “sentiero del Brigante”. Tali percorsi saranno attrezzati e resi fruibili al termine dei lavori.
Figura 44: attraversamento dello Stilaro in prossimità della centrale: foto dello stato attuale e disegno del progetto.
Edificio della centrale
Nell’edificio della centrale è necessario il rifacimento del tetto, della scala e degli intonaci interni, ormai deteriorati. Dal punto di vista tecnico saranno fatti interventi di adeguamento che non varieranno significativamente l’estetica dell’edificio.
Figura 45: pianta del piano terra della centrale.
Figura 46: sezione dell'edificio di centrale con il nuovo gruppo turbina.
Il nuovo impianto idroelettrico occuperà solo parte dell’antica sala macchine e la sala trasformatori. La distribuzione interna degli spazi rimanenti si presta all’allestimento di attività museali e didattiche. Si offrirà al visitatore la concreta percezione di come sia possibile sfruttare le risorse naturali rinnovabili, avendo la possibilità di vedere contestualmente in azione l’impianto idroelettrico.
Nella sala macchine si prevede l’installazione di due turbine Pelton ad asse orizzontale, accoppiate ad due alternatori, di ingombro ridotto. I nuovi trasformatori e la quadristica saranno alloggiati nella ex sala trasformatori. Questa sistemazione impiantistica permette di lasciare in centrale uno dei vecchi gruppi turbina-alternatore.
Il percorso espositivo prevede l’ingresso nella sala didattica al primo piano, negli ex alloggi della centrale.
Figura 47: pianta della sala didattica.
Al centro della sala saranno sistemati elementi del vecchio impianto (girante della turbina, isolatori, altri componenti rinvenuti,…) contenuti in apposite teche.
Sulle pareti saranno presenti cartelloni didattici riguardanti il tema dell’energia e degli impianti idroelettrici.
Dalla saletta didattica, attraverso un ballatoio che sovrasta la sala macchine, si passerà alla saletta panoramica.
Figura 48: pianta della sala per conferenze e mostre.
Dalla saletta panoramica sarà visibile dall’alto tutta la sala macchine, dove saranno conservati uno dei gruppi generatori e il carro ponte.
Anche qui saranno presenti dei cartelli didattici riguardanti la storia dell’impianto e le nuove macchine installate, nonché schermi per la proiezione continua di foto e brevi filmati.
Terminata la visita della sala panoramica si salirà al secondo piano nella saletta multimediale, attrezzata per conferenze e proiezioni.
I cartelli in questa sala avranno una valenza generale di inquadramento territoriale e promozione turistica della zona.
Figura 49: pianta della saletta multimediale.
L’IMPIANTO IDROELETTRICO DEL MARMARICO Tra passato e futuro di Emanuele Valenti
DESCRIZIONE DELL’IMPIANTO DEL MARMARICO
RILEVANTI SUL PROGETTO
Produzione di energia rinnovabile
La riattivazione dell’impianto del Marmarico permetterà la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, evitando l’emissione in atmosfera di CO2 che si avrebbe con la produzione della stessa energia con fonti tradizionali (carbone, gas, petrolio).
La realizzazione dell’impianto avverrà nel pieno rispetto dell’ambiente e sarà occasione di promozione turistica come spiegato nei paragrafi seguenti.
Rispetto per l’ambiente
Il nuovo impianto del Marmarico avrà le seguenti caratteristiche:
a) prelievo dell’acqua dal fiume con un sistema automatico di regolazione che, tramite il comando delle paratoie di ingresso, garantirà ai corsi d’acqua un Deflusso Minimo Vitale sul torrente Stilaro e sul torrente Ruggiero conformemente alle prescrizioni dell’Autorità di Bacino della Calabria. Come previsto da apposita convenzione deliberata dal Consiglio Comunale di Bivongi, la tutela turistica della cascata del Marmarico sarà ulteriormente garantita da disattivazioni “mirate” della derivazione dal torrente Stilaro, secondo orari e periodi stagionali definiti dalla succitata convenzione.
b) restituzione dell'acqua al fiume nella zona appena sotto la centrale, senza modificare le caratteristiche chimico-fisiche dell'acqua stessa
d) rispetto delle più restrittive prescrizioni di legge in tema di inquinamento elettromagnetico;
e) riduzione dell'inquinamento ambientale, poiché la produzione di questa energia pulita eviterà ogni anno l’emissione in atmosfera di anidride carbonica (CO2 - principale gas ad effetto serra) e la combustione tonnellate equivalenti di petrolio (TEP).
Inoltre, potrebbero essere attuati sul territorio alcuni interventi finalizzati alla riqualificazione dello stesso, sia dal punto di vista storico che ambientale che di archeologia industriale. In particolare, l’ampia zona percorsa dall’impianto idroelettrico del Marmarico, potrebbe essere fatta oggetto di una ponderata rivalutazione, con poliedrici obiettivi, quali:
• la continuità storica con la tradizione di utilizzo delle acque per scopi energetici e produttivi;
• il recupero di manufatti esistenti tramite il ripristino di vecchie costruzioni altrimenti destinate a scomparire;
• il parallelo recupero della loro funzione industriale originaria;
• il mantenimento, il più possibile, delle opere esistenti evitando demolizioni non giustificate, nel rispetto di una testimonianza architettonica;
• il consolidamento del rapporto tra manufatti e paesaggio con armonica integrazione fra elementi recuperati ed elementi nuovi;
• la conoscenza e la protezione dell’ambiente naturale;
• il ripristino di manufatti pensati come futuri capisaldi di itinerari naturalistici per la riscoperta dell’ambiente;
• la tutela dell’archeologia industriale e la divulgazione scientifica delle tecnologie passate e attuali mediante l’organizzazione di visite guidate alla centrale idroelettrica.
EDIFICIO DELLA CENTRALE: recupero con scopi museali
Presso l’edificio di centrale la distribuzione interna degli spazi esistenti si presta alla collocazione sia degli impianti per la produzione di energia elettrica, sia all’allestimento di spazi per attività museali e didattiche.
Il recupero delle strutture dell’impianto idroelettrico ha fra i suoi principali obiettivi quello di valorizzare l’aspetto storico di questi edifici, testimonianze preziose di archeologia industriale che ritornano a vivere nel rispetto delle funzioni originarie.
Il progetto vuole favorire la fruizione di questi elementi architettonici e tecnologici e questo sarà possibile sia attraverso l’organizzazione degli spazi interni della centrale (area museale), sia conservando esternamente alcuni tratti delle vecchie condotte (in particolare la giunzione al Vertice 11 con il ripristino della tettoia).
La realizzazione di questi interventi ben si integra con gli obiettivi del Parco delle Serre e dell’Ecomuseo della vallata dello Stilaro.
VERTICE 11: recupero delle preesistenze
Nei pressi del cosiddetto “VERTICE 11” si trovano i resti di un fabbricato composto da alcuni vani costruiti in muratura di pietra. Alcune parti risultano tuttora coperte con travicelli e coppi di laterizio ed erano destinate probabilmente a deposito o ricovero per animali. Altri ambienti sono invece coperti con tavolato di legno e lamiera ondulata; al loro interno si trova un acquaio e un focolare. Sarebbe interessante prevedere il recupero di tale costruzione, adibendo i locali a destinazioni ben precise:
• in parte a supporto logistico per eventuali interventi all’impianto idroelettrico;
• in parte con funzione di servizio alla fruizione del parco; potrebbe cioè allestirsi un rifugio-bivacco per un breve soggiorno oppure come riparo o, ancora, per una sosta temporanea. All’interno potrebbe essere allestita, alle pareti, una sorta di “galleria fotografica” dello stato precedente i lavori di recupero e ristrutturazione.
CONDOTTA: recupero quale archeologia industriale
La condotta che dalla presa sul torrente Stilaro raggiunge il “Vertice 11”, risulta ad oggi molto deteriorata ed inutilizzabile. Essa corre lungo il ciglio della strada/sentiero: per taluni tratti è posta sopra uno zoccolo di pietrisco e cemento mentre per altri tratti è interrata o coperta da vegetazione; alcuni brani scompaiono in quanto interrati o coperti da vegetazione; brevi tratti corrono all’interno di gallerie. La vecchia condotta verrebbe sostituita con una nuova tubazione che ricalcherà il tracciato preesistente. Tuttavia, dal punto di vista del concetto di ”archeologia industriale”, è interessante porre a confronto vecchie e nuove metodologie impiantistico-costruttive. Sulla base di questa finalità, verranno salvaguardati alcuni tratti delle vecchie tubazioni, non tanto per il loro riutilizzo, quanto per il confronto ed un auspicabile uso didattico. Più precisamente, in alcune aree ritenute “comode” dal punto di vista della sosta e della fruibilità, è previsto che vengano allestiti appositi pannelli illustrativi per fornire notizie, confronti ed informazioni storico-tecnologiche.
SENTIERISTICA: ripristino della percorribilità dei sentieri
Considerando la centrale del Marmarico come uno dei punti focali del sistema dell’Ecomuseo nella valle dello Stilaro diventa importante ripristinare i sentieri che da essa partono per raggiungere altri nodi importanti di visita. Dunque si potrebbero recuperare i seguenti percorsi escursionistici:
1. Collegamento dalla centrale alla cascata del Marmarico (itinerario naturalistico).
2. Collegamento dalla centrale lungo il “sentiero del brigante” fino alla zona di giunzione delle condotte. La riattivazione di tale sentiero potrà offrire all’escursionista la visione di una natura incontaminata e di paesaggi di incomparabile bellezza, ma non solo. Si potranno scoprire ambienti poco conosciuti quali: insediamenti di particolare valore storico, resti significativi di manufatti industriali, testimonianze di cultura e tradizioni strettamente collegate alla civiltà contadina. Il sentiero offre altresì una spettacolare visione della cascata del Marmarico da una posizione ottima che consente di vederla nella sua interezza.
3. Collegamento dalla zona di giunzione delle condotte alla presa sul torrente Stilaro, fino a Ferdinandea, itinerario naturalistico e di archeologia industriale.
4. Collegamento dalla zona di giunzione delle condotte alla presa sul torrente Ruggiero, itinerario naturalistico e di archeologia industriale.
FIGURA 50: PERCORSI NATURALISTICI E DI ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE.
I percorsi saranno dotati di “semplici segnali che indicano l’itinerario secondo le tradizioni dell’escursionismo” (in accordo con il Parco delle Serre) e che si integreranno pienamente con il piano della fruibilità del parco stesso. Nei punti panoramici, di sosta o di particolare interesse saranno collocati pannelli illustrativi della rete museale, con particolare riferimento alle notizie storiche, alle caratteristiche architettoniche, alle peculiarità naturalistiche della località in cui ci si trova.