Paolo Tisano - Raccolta di proverbi, detti, motti

Raccolta di proverbi, detti, motti - cantilene, arguzie, storielle, battute di spirito del dialetto bivongese di Paolo Tisano

 

NOTE ESPLICATIVE SULLE PAROLE DEL DIALETTO BIVONGESE

Come in quasi tutti i dialetti, anche in quello bivongese ci sono delle parole la cui corretta dizione è molto difficoltosa, per chi non è abituato, ed è altrettanto difficile rappresentarne la grafologia anche perché mancano nella lingua italiana certi suoni tipici del dialetto e quindi non esistono lettere alfabetiche, o loro gruppi, necessari allo scopo.

 

È ovvio che non si può chiedere alla lingua italiana d'introdurre tutte quelle lettere necessarie per ottenere nella pronuncia tutti i suoni dei vari dialetti. Chi si accinge a scrivere in forma dialettale ha bisogno perciò di fornire al lettore quei simbolismi indispensabili per ottenere, leggendo, dei suoni che siano il più possibile vicini a quelli emessi dalle persone che li imparano sin dalla nascita nell'ambiente familiare o fuori ma nel Comune dove quel dialetto si parla. Nel nostro caso trattasi del dialetto del Comune di Bivongi e di altri Comuni viciniori appartenenti alla fascia Jonica della Provincia di Reggio Calabria.

 

Prima di passare alla lettura di quanto scritto nel volume si raccomanda a tutti di leggere queste nozioni introduttive.

 

Non mi risulta l'esistenza in Bivongi di altri scritti in dialetto bivongese. Se questo è, com'io ritengo, il primo lavoro del genere, mi pare doveroso avvertire che l'esigenza della lettura di queste note introduttive dev'essere sentita anche dagli stessi bivongesi, essendo questa la prima volta che si trovano sotto gli occhi la traduzione in simboli grafici di alcuni suoni da sempre solo pronunciati.

 

Il suono della vocale i nella parola Caio risulta scritto Cajo nella forma dialettale, sostituendo la i colla j, e altrettanto avviene quando la i è seguita da vocale.

 

Es.: Aiuola è scritta Ajuola

 

Teiera è scritta Tejera

 

In italiano è usata la lettera j come nelle parole Jonio, Juba, Jonico, Jader, ecc., e con lo stesso suono si pronuncia nelle parole scritte in dialetto bivongese.

 

Es. : jastima (in dialetto) - bestemmia (in italiano)

 

jettara (in dialetto) - gettare (in italiano)

 

jira(in dialetto) - andare (in italiano)

 

jocara (in dialetto) - giocare (in italiano)

 

jumenta (in dialetto) - giumenta (in italiano)

 

Mentre in italiano non figura l'uso di jj, nella forma dialettale bivongese, invece, tale suono esiste e corrisponde al suono di j rafforzato.

 

Es. : ajjànda (in dialetto) - ghianda (in italiano)

 

mujjéri (in dialetto) - moglie (in italiano)

 

ajjìru (in dialetto) - ghiro (in italiano)

 

tajjola (in dialetto) - trappola (in italiano)

 

pajjuni (in dialetto) - pagliericcio (in italiano)

 

Nel dialetto bivongese esiste quasi sempre una trasformazione del suono della f italiana in suono gutturale, anziché in dento-labiale, e per esso si userà il grafema h, H (acca sottolineato) da pronunciare come il suono della h della parola inglese hear (per quanti conoscono l'inglese), cioè con una emissione di suono gutturale, tenendo però la bocca aperta, come se si dovesse espettorare il suono emesso.

 

Es.: Hicu (anzichè Ficu) (in dialetto) - Fico (in italiano)

 

Hacci (anzichè Fàcci) (in dialetto) - Faccia (in italiano)

 

Honta (anzichè Fonta) (in dialetto) - Buca (in italiano)

 

hezza (anzichè fezza) (in dialetto) - feccia (in italiano)

 

hungi (anzichè fungi) (in dialetto) - fungo (in italiano)

 

Sarà usato pure il simbolo chi da pronunciare come il suono di chi nella parola italiana china, tenendo però la lingua appoggiata alla parte superiore della cavità orale anziché in basso, come invece si fa in italiano.

 

Es. : chinu (in dialetto) - pieno (in italiano)

 

chianu (in dialetto) - piano (in italiano)

 

chiuovu (in dialetto) - chiodo (in italiano)

 

chiamara (in dialetto) - chiamare(in italiano)

 

Dopo che si è riusciti a pronunciare il suono di chi (secondo quanto sopra) sarà più facile pronunciare il suono di echi, che rappresenta il suono rafforzato di chi.

 

Es.: ticchiu (in dialetto) - ticchio (in italiano)

 

addocchiàra(in dialetto) - fare il malocchio (in italiano)

 

cchiu (in dialetto) - piu (in italiano)

 

chiacchiari (in dialetto) - chiacchiere (in italiano)

 

Infine è stato usato il simbolo sci che corrisponde al suono di sci in italiano, ma con la s e la c dal suono molto dolce.

 

Es. : abbruscira (in dialetto) - bruciare (in italiano)

 

brisciuoli (in dialetto) - braciole (in italiano)

 

Come si può notare, si è cercato d'introdurre il minore numero possibile di simboli contrariamente a parecchie altre convenzioni che da tempo sono quasi codificate e che, a mio avviso, sono tante e con troppe lettere per ogni simbolo.

 

In definitiva si sono usati: jj, H , h sia all'inizio che nel corpo di una parola; sci.

 

In verità non mi sembrano affatto molti.

 

Raccolta di proverbi, detti, motti - cantilene, arguzie, storielle, battute di spirito del dialetto bivongese di Paolo Tisano

Prefazione alla Ia edizione

Mi rendo conto che dare a un bivongese, abituato a parlare in dialetto, quanto c'è scritto nel presente volume è come dare del ghiaccio agli abitanti delle zone siberiane. Ovviamente non è con tali intendimenti che ho fatto quanto ho potuto per portare a conclusione la raccolta di detti o motti, arguzie, esclamazioni, invettive, imprecazioni, proverbi, cantilene e quanto altro mi è sembrato degno di essere conservato e che costituiscono il contenuto delle pagine che seguono.

Già dieci o più anni fa mi è capitato di avvertire tra i giovani bivongesi una carente conoscenza di vocaboli, proverbi, detti, ecc ... e di quanto in genere costituisce il patrimonio culturale dialettale del paese natale.

Convinto del fatto che una scomparsa, o quanto meno uno scadimento della conoscenza del dialetto non è nè utile né auspicabile sotto tutti gli aspetti socio-culturali, ciò mi ha dato la carica propulsiva per avviare (nei periodi delle mie vacanze estive, solitamente trascorsi in Bivongi) prima il lavoro di ricerca e poi di composizione e di traduzione in italiano di quanto ho potuto raccogliere sino al momento della chiusura di questa raccolta.

Scopo di questa è quello di dare un quasi esauriente campione di quanto esiste come cultura latente nel dialetto bivongese e non si propone con ciò di risolvere il problema della raccolta di quanto esiste nei cervelli di coloro che conoscono ciò che costituisce l'enorme mole di tradizioni e cultura paesana e tanto meno l'interpretazione in senso assoluto di quanto c'è scritto. A proposito d'interpretazione spero di essere riuscito in parte nello scopo prefissatomi, perchè il significato di alcune espressioni dialettali è talmente abituale tra quanti lo usano che talvolta se ne ignora l'intima essenza in quanto l'espressione si deposita nel subcosciente di ciascuno come una successione di strati d'incrostazione definitiva e poi inconsapevolmente assume un significato istantaneo come istantanea reazione da parte di chi riceve il messaggio, come una mano materna sul volto di un figlio la quale informa che si tratta di carezza o di ammonimento a secondo del tipo di gradimento da parte di chi l'ha ricevuto.

Per evitare che si perdano le conoscenze di parte della cultura dialettale bivongese, ho pensato di accelerare i tempi del lavoro di stampa onde avere poi altro tempo per eliminare carenze ed errori che certamente ci sono e che spero di potere togliere col prezioso contributo di quanti vorranno collaborare.

Talvolta capiterà di trovare un detto tra i proverbi e quanto può sembrare un proverbio di trovarlo invece tra i detti. Di ciò ne ho piena coscienza e se è avvenuto me ne attribuisco piena responsabilità dell'arbitrio, in quanto, dopo accurata analisi, ho ritenuto che fossero degni di quella sistemazione. Al termine della raccolta dei proverbi è stata sistemata una piccola parte di quell'enorme quantità di storielle, cantilene, battute di sapore molto arguto e piccante ed è un vero peccato che mi debba limitare, per ora, solo alla trascrizione di alcune di esse. Nel caso specifico delle cantilene sarebbe stato meglio se avessi saputo trascrivere anche musicalmente il motivetto che le accompagna.

Dalla lettura anche sommaria si potranno dedurre caratteri, vita, rapporti sociali, usi e costumi e quasi tutti i vari aspetti della vita di un gruppo sociale. Non spetta a me fare l'analisi di tali aspetti; dichiaro all'uopo la mancanza d'intendimenti e l'incompetenza professionale, se si tiene conto anche del fatto che il mio interesse professionale è stato ed è rivolto a studi di natura scientifica, qual è la matematica.

Sono pago di aver potuto raccogliere il materiale necessario affinché tali analisi si possano fare inquadrando il contenuto del presente lavoro nel contesto più generale dello studio di ciò che riguarda il problema socio-culturale, prima di tutto della fascia jonica cui appartiene Bivongi e poi della regione calabra.

Dopo la scrittura del detto, o del proverbio, in forma dialettale ci sarà la traduzione letterale in lingua italiana indi, se ritenuto necesario, segue l'interpretazione o la spiegazione oppure una brevissima annotazione.

La traduzione letterale è stata concepita soprattutto pensando a quanti, dentro o fuori Bivongi, vorrebbero sapere quale parola italiana corrisponde (se c'è) ad una parola bivongese.

Il tentativo vale quindi come una prima prova di vocabolario del dialetto bivongese e penso che ciò possa bastare, per ora, perchè il vocabolario bivongese-italiano (al cui lavoro mi sono avviato già da tempo) comporta molto tempo e maggiore impegno che non quello della presente raccolta.

Talvolta ho abbondato, forse troppo, in spiegazioni che sembreranno superflue, ma tengo a chiarire che se per la persona colta sarà facile trovare il vocabolo adatto a sostituire una frase, ciò non lo è sempre per chi non è abbastanza colto per poterlo fare.

Spero pertanto che non si voglia giudicare superflua una lunga esposizione dei concetti che si sarebbero potuti esprimere in forma più abbreviata e tecnicamente più valida. Si voglia tenere conto che quanto è scritto è rivolto anche (e non so affermare se soprattutto) a coloro che del linguaggio di cui si tratta nel volume hanno usato quello parlato e, forse, poco l'italiano se non che nelle forme più elementari. Ritengo così di avere cercato di adempire a un mio preciso convincimento: La cultura tanto più si potrà diffondere quanto più si riesce a farla penetrare nei più profondi strati sociali, e per fare ciò è necessario almeno l'uso di un linguaggio il più possibile comprensibile dal maggior numero di persone che non risultano analfabeti.

Ringrazio sin d'ora quanto vorranno contribuire a migliorare la raccolta, dandomi qualche apprezzatissimo consiglio o suggerimento o giudizio o qualunque altra valutazione verbale o scritta, e ringrazio infine tutti i bivongesi che spontaneamente o inconsapevolmente hanno contribuito durante il lavoro della raccolta del materiale di base.

Dopo tale necessaria premessa, poche parole penso che bastino per dire del criterio usato per distribuire il lavoro che segue.

Si inizia coi DETTI, motti, imprecazioni, esclamazioni e invettive, distribuiti in ordine alfabetico; poi i PROVERBI raggruppati per affinità di argomento (Amore, matrimonio - Uomo, donna- Lavoro, arti, mestieri ecc.), oppure per opposizione (Ragione, torto - Salute, malattia ecc.) e pure loro, in ogni gruppo, sono distribuiti in ordine alfabetico per facilitare la loro ricerca.

Es.: Chi volesse sapere dove si trova la frase (Mujjereda muti cojja!) oppure dove si trova la frase (Cu on crida i doluri guarda i figuri), troverà la prima frase tra i Detti che iniziano colla lettera M (iniziale della frase) e troverà la seconda frase nel gruppo dei proverbi relativi alla Salute e Malattie ecc., perché trattasi di dolori. Come già detto, chiude il volume il gruppo delle storielle, cantilene ecc.

Bergamo -Novembre 1980

Eccoti o paese mio natale

«Quello che mi desti ora ti rendo»

Spero sol che sia l'originale

Raccolta di proverbi, detti, motti - cantilene, arguzie, storielle, battute di spirito

del dialetto bivongese di Paolo Tisano

Prefazione alla IIa edizione

A distanza di otto anni dalla prima, vede la luce questa edizione, riveduta e corretta della prima, ma soprattutto notevolmente accresciuta in ogni sua parte: 850 nuove unità.

Le ulteriori ricerche fatte e la preziosa collaborazione di qualche bivongese mi hanno consentito di potere migliorare notevolmente quanto esisteva. Ringrazio vivamente tali persone e resto sempre in attesa di altri contributi migliorativi sia nella numerosità che nella qualità espositiva e interpretativa dei vari elementi che costituiscono il volume. Senza volermi abbandonare a facili lusinghe o illusioni, penso che il presente lavoro rappresenti un notevole sforzo per codificare, in gran parte, quanto esiste come sapienza popolare dei bivongesi e che valga la pena di lasciare a quanti in avvenire vorranno sapere qualcosa in merito a tale patrimonio che, come vado notando da diversi anni, è sempre più ignorato dalla generazioni che sopraggiungono.

Non sono sicuro di potere garantire che in avvenire avrò molto tempo da dedicare al miglioramento della presente raccolta, però assicuro che tutto il contributo che vorranno darmi le persone interessate alla questione, lo terrò conservato e disponibile per chiunque in futuro avrà desiderio di venirne a conoscenza.

Bergamo - Novembre 1988

L'autore
PAOLO TISANO 

Raccolta di proverbi, detti, motti - cantilene, arguzie, storielle, battute di spirito del dialetto bivongese di Paolo Tisano

DETTI MOTTI INVETTIVE - A

 

 

 

 

Abballara 'a pirrica Ballare, saltellare a caso come un matto e in modo frenetico. Abbàsa u pappù! Bacia il nonno! Veniva detto, tra bambini, per costringere ad atto di umiltà, invitando a baciare ciò che di norma non si suole baciare. Abbolàra 'e vanti. Volarlo davanti. Considerare come una piuma che al minimo soffio vola via. Si dice a proposito di persona, o lavoro, che si ritiene di poter superare facilmente, appunto come il far volare una piuma. Abbasciàra 'a crigna ('a crista). Abbassare la criniera (la cresta). Divenire umili, docili ecc.. Abbruschiàra 'a cuda. Bruciacchiare a coda. Produrre un danno insignificante, di poco conto, di scarso valore. Abbruscira u pajjùni. Bruciare il pagliericcio. Commettere una azione subdola, cattiva, a danno di qualcuno. Abbussàra cu di piadi. Bussare con i piedi. Perché le mani sono impegnate a tenere i regali che si stanno portando. Abbuttàra 'a ricchia Gonfiare l'orecchio [a qualcuno]. Continuare a ripetere sempre le stesse richieste, con insistenza. Abbuttàra cuomu 'na signa. Gonfiarsi come una sanguisuga. Mangiare tanto da doverlo quasi rimettere; mangiare a crepapelle. Abbuttàra u culu. Gonfiare il deretano. dare o avere fastidi. A bièdu mio! O bello mio! E' un avvertimento che sta a dire: stai attento a ciò che fai, o hai fatto, perché pagherai le conseguenze 'A caca 'a ciàvula! La defeca la cornacchia! - Si dice a proposito di qualcosa che si ottiene insperatamente. Accattàra 'a héra. Comprare la fiera. - Comprare qualcosa in fiera. Accordàra i campani.  Intonare le campane. - Mettere d'accordo chi non lo è. Accordàra i hilàti. Mettere in ordine i filati. - Chiarire fatti e situazioni intrigate; dipanare la matassa. A-ccrùci ed a-nnùci. A [segno di] croce e noce. - In direzioni di perpendicolarità, proprio come nel caso della croce del Cristo. Accucchiàra vidichi.  Avvicinare ombelichi. - Promuovere l'avvicinamento tra persone a scopo matrimoniale oppure di rappacificazione.   A cuójjì alivi. A raccogli olive. - Mettersi in posizione prona, come chi si china per raccogliere le olive.  A cuórpu e no a masùra.  A colpo [d'occhio]) e non a misura. - A stima; a occhio nudo. Ada barva do mièdicu!  Alla barba del medico! - Esclamazione pronunciata subito dopo avere scorreggiato, per dire: Alla mia salute, e in barba al dottore, perché ora sto bene. Ada bona 'e Dio! Alla bontà di Dio! - Dicesi quando nell'incertezza si vuole sperare nell'aiuto divino per la buona riuscita di un evento. Ada bona venuta! Alla buona venuta! - Siate il ben venuto! - Bene arrivato! Ada hacci 'e cù 'om-bola tràsa e nèscia quandu vola! Alla faccia di chi non vuole, entra ed esce [il fidanzato, o il frequentatore di una famiglia] quando vuole! - È ciò che si risponde a chi avrebbe l'ardire di giudicare poco favorevolmente la frequenza di un uomo nella sua famiglia! Ada miéjju. Alla meglio, mediocremente. Ad'ammucciùni. Di nascosto. Ad'ampulisa. Alla vista di tutti; alla luce del sole; senza vergogna. È il contrario di Ad'amucciùni. Ada sambasà. Alla meno peggio; in qualche modo. Ada scordata. Quando avrai dimenticato; quando meno te l'aspetti. Ada storta Al rovescio; al contrario. Adi tiémpi de' Canonici 'e lignu. A i tempi dei Canonici di legno. - Moltissimi anni fa quando i Canonici pur essendo uomini erano «di legno». Adi tiémpi errami. Ai tempi di una volta. Ad uócchiu-e-ccrùci. A occhio e croce. - Grosso modo; circa; quasi. Adu curtu. Al corto. Da vicino A fatta 'è juórnu Sul fare del giorno. A fàcci pa (in) terra. A faccia per terra. - Con grande devozione, rispetto, riverenza. Affrittu e calijàtu. Afflitto e secco al sole. - Solo e soltanto quello; per puro caso. A futtìra cumpàgnu. A frodare compagno. - Dicesi di chi al gioco o in affari agisce con frodi, inganni, imbrogli, azioni illecite.) Ah huócu!... Oh fuoco!... - Che sventura! Che dispiacere! Che dolore! Che meraviglia! Che orrore! Oh quanto! - I diversi signifcati vanno considerati secondo l'intonazione relativa all'avvenimento accaduto o in atto. Ah huócu de' cana! Oh fuoco dei cani! - Iddio ce ne scansi e liberi! Perché il fuoco non è buono neanche per i cani, che pure sono molto capaci di scappare. Si usa come intercalare per esprimere il proprio senso di spavento, raccapriccio, terrore. Ah huócu randa mio!... Oh fuoco grande mio!... - Come il caso: Ah huócu!, ma con maggiore forza espressiva. Aja chidu chi àrda 'a nivi! Mannaggia quello che arde la neve! - Imprecazione molto generica, non rivolta contro alcuno, come è ovvio, perché la neve non arde. Aja cui! Mannaggia chi! - Imprecazione equivalente a quella italiana: porca l'oca!  Aja li vischi tue! Mannaggia le tue invenzioni! - Santo cielo quante cose pensi (o fai, o inventi)! - Pensa ad altro! - Non preoccuparti! - Non farci molto caso! Aju ma'! Aiuto mamma! - Si dice per indicare stupore, meraviglia, ma anche per dire: Vedi ora cosa ti capita! Aju maaaa... ! Aiuto mamma...! - Voce di lamento che serve a implorare aiuto in momenti di pericolo, sconforto, malattia, dolore, ecc.. Aju mamma mia! Aiuto mamma mia! - Come: Aju maaaa... !, però detto nei momenti di stanchezza fìsica o morale. Allegriéttu a-binu.  Allegretto a vino. - Si dice di chi è un pòalticcio, che ha bevuto oltre misura. Alleluja!... Alleluja!... Pijja 'a cuzzùpa e fuja! Alleluja!. Alleluja!.. Afferra la «cuzzùpa» e scappa! È al grido di tale frase che i bambini, in chiesa, il giorno di Pasqua, alla benedizione, si giustificavano quando afferravano il dolce pasquale «cuzzùpa» che un altro bambino teneva alzato perché fosse benedetto dal sacerdote, e, se riusciva, glielo portava via. Allisciàra 'a giacca (u pilu; u mantu). Lisciare la giacca (il pelo; il cappotto). - È sempre detto in senso ironico, per dire: Dare una buona lezione, anche con eventuali batoste. Allongàra u bruódu. Allungare il brodo. - Dilungarsi troppo nel parlare o scrivere. Farla troppo lunga A luócu sue! Al posto suo! - Lungi da me! Dicesi per scaramanzia quando si parla di pessimi mali bubbonici. A lùstru 'e luna. A chiarore di luna. - È detto a proposito di offese o invettive di ogni genere che si sono pronunciate contro qualcuno. A mani 'e miédicu! A mano di medico [possa capitare quanto mi stai indicando]! - È la risposta che si da a quell'uomo che indica le proprie parti genitali in segno di offesa. Ammenna!... e cù 'om-bóla u nei néscianu l'uòcchi 'e hòra! Amen! [Così sia! Ti sta bene!]... e, a chi non vuole, possano gli occhi suoi uscirgli fuori! - È una maledizione che viene detta da chi ha molto in odio la persona a cui è capitata qualche disgrazia che ha appena appresa. Essa esprime non solo consolazione per la disgrazia capitata al nemico ma pure agli amici di costui, in segno del rancore e odio che nutre per il nemico. Ammodàtu cuómu nu baccalà. Bagnato come il merluzzo salato ammollato. - Dicesi di chi è stato molto in, o sotto l'acqua, specie quando si va al mare e si esce dall'acqua dopo molto tempo, oppure se si è stati molto bagnati dalla pioggia. Ammojjàra u viscuóttu. Bagnare il biscotto. - Prendere in giro, divertirsi alle spalle di qualcuno senza essere scoperti. A nudu pizzu 'e riègnu. In nessun angolo del regno; da nessuna parte. A rahuni. Carponi. Trascinando. Arriva Tittu cu di sardi! Arriva Tito colle acciughe salate! - Dicesi a quei bambini che fanno capricci, per avvisarli che si è sul punto di prenderli a botte con santa ragione. Arróbba 'e jamu-jamu Roba di andiamo-andiamo. - Viene detto di materiale scadente, andante, a basa prezzo ecc. Arrobbàra adi passi. Rubare ai crocevia, tra le strade di paese. - Rubare dove capita senza paura. Arrobbàra punì u humu de' candili Rubare persino il fumo delle candela Dicesi di chi è ladro incallito. Equivale all'altro detto: S'arrobbaria puru 'a Mamma Nostra nto stipu. - Si ruberebbe persino Mamma Nostra nell'armadio. Arrùsta e mangia. Abbrustolisci e mangia. - Produci e consumi. Vivere alla giornata. A spacca e pisu. Dicesi quando si compra una parte (o tutto) del maiale appena macellato dal privato: appena ucciso viene spaccato in due e pesato. Assonàra i ricchi. Far risuonare le orecchie. - Far intendere la ragione. Indottrinare molto bene, anche con eventuali rimproveri. Asu mai! Asso (giocalo) mai! - Viene detto al gioco del tressette, per far capire che l'asso quando è solo, non bisogna giocarlo mai. A testa e-nnùci de cuódu! A testa e noce di collo! - A rotta di collo! Maledizione lanciata a chi sta correndo, a piedi o no, creando panico. A tocca piedi. A urta piedi. - Uno dopo l'altro; di seguito; con un piede dietro l'altro, come si fa quando si vuole misurare una lunghezza usando quella dei propri piedi come unità di misura. Avira 'a bona (o: 'a mala). Avere la buona (o la cattiva). - Essere di buono (o cattivo) umore. Avira 'a cammisa 'e quandu nesciu. Avere la camicia di quando nacque. - Essere nudo. Avira 'a chiavi ada (supa) 'a porta. Avere la chiave alla (sulla) porta. - Essere nullatenente. Non avere preoccupazione di furti in casa o pignoramenti. Avira a decàru. Avere a cuore. - Desiderare ardentemente. Avira 'a hacci cuomu 'a gadina. Avere la faccia come la gallina. - Dicesi di chi, nonostante il diniego o l'invito ad andarsene, insiste nell'atteggiamento o nella richiesta. Avira 'a hacci cuomu 'a mpigna. Avere la faccia come il cuoiame. - Essere faccia tosta, sfacciato.  Avira 'a hacci frìsca. Avere la faccia fresca. - Avere l'aria di chi non ha colpa. Essere sfacciato. Avira 'a hacci tosta cuomu u scaluni. Avere la faccia dura come il gradino. Essere molto sfacciato e insensibile a richiami e rimproveri. Avira 'a mala nuominata. Avere la cattiva fama. Avira 'a mangiatura vàscia (àuta). Avere la mangiatoia bassa (alta). - Avere molta (o poca) possibilità di mangiare a volontà. Avira 'a ndùnda. Avere la fiacca. Avira 'a pricàda. Avere premura, fretta; ma pure dispiaceri, amarezze. Avira 'a testa cuomu u ciucciu 'e Rituórtu. Avere la testa (dura) come l'asino di Rituórtu. Rituórtu è nomignolo di un bivongese. Avira 'a testa gloriùsa. Avere la testa gloriosa. - Essere un po' mattoide. Avira 'a testa 'e quandu nesciu. Avere la testa di quando nacque. - Ragionare come un neonato. Non mutare mai di parere. Avira 'a vucca chi nci héta 'e latta. Avere la bocca che gli odora di latte. - Viene detto di un adulto per trattarlo da poppante. Avira chidi cuosi. Avere quelle cose (mestruazioni). Avira culu. Essere fortunato al gioco o negli affari. Avira i mani 'm-pasta. Avere le mani nell'impasto. - Essere impegnato, o al corrente, nel disbrigo di pratiche, affari, situazioni correnti. Avira i piaghi de' muli 'e Pelli. Avere le piaghe dei muli di Pelle. I Pelle erano famiglie di mulattieri, le cui bestie avevano quasi sempre le piaghe sulla schiena (sotto il basto) e non guarivano mai, anzi andavano sempre più allargandosi perché dovevano lavorare di continuo. Avira i spadi cuviérti. Avere le spalle coperte. - Avere protettori, guardaspalle. Avira i vizzi d'à mula 'e Duòmi. Avere i vizi della mula di Duòmi. - Duòmi è nomignolo di un bivongese la cui nula è rimasta proverbiale perché pare avesse oltre al vizio di scalciare, anche quello d'impennarsi, che è molto pericoloso, e pure quello di mordere; per cui era impossibile addomesticarla. Avira l'anima adi dienti. Avere l'anima ai denti. - Avere enormi affanni, timori, preoccupazioni, afflizioni ecc... al punto di stare per emanare l'ultimo sospiro, allorché l'anima non si è staccata dal corpo e la si trattiene coi denti. Avira l'anni do cùccu. Avere gli anni del bacucco. - Essere molto vecchio, incitrullito. Avira l'ingia. Avere odio, rancore. Avira l'uócchiu gruóssu. Avere l'occhio grosso. - Stimare sempre per eccesso; vedere le cose più grandi di quello che sono. Avira l'uóssu nto piedi. Avere l'osso nel piede. - Dicesi di chi è perfettamente sano ma accusa malattie inesistenti; onde lo si prende in giro dicendo appunto che qualcosa ha, ma ha solo l'osso nel piede. Avira l'uóvu adu huócu. Avere l'uovo al fuoco. - Avere premura, ma soprattutto dovere prestare attenzione o sorveglianza affinchè non succeda che per breve incuria finisca male ciò che si stava facendo, come avviene appunto quando si ha l'uovo al fuoco. Avira 'm-pùnti. Avere in punta. - Avere fretta come chi non ne può più quando deve defecare, o come la gallina in procinto di deporre l'uovo. Avira 'na brutta cammisa. Avere una brutta camicia. - Essere ammalato grave o molto ubbriaco. Avira ndrilli.  Avere soldi. Essere ricco. Avira no arti e no parti. Avere ne arte e ne parte. - Esser privo di una qualsiasi fonte di reddito, com'è appunto chi non ha ne un mestiere ne un cespite ereditato. Avira pagura 'e l'umbra sua. Avere paura dell'ombra propria. - Essere pauroso, vile, pusillanime. Avira panni 'm-bucàta. Avere panni nel bucato. - Avere qualcosa di poco pulito o da pulire di nascosto per ché immorale o malamente ottenuto. Avira pruna. Avere prugne. - Essere cornuto. Avira santi 'm-Paradisu.  Avere santi in Paradiso. - Avere protettori molto potenti. Avira u corniédu. Avere il cornetto (acustico). - Appurare subito una notizia. Stare sempre in ascolto di quanto si dice. Avira u culùri do ridi (do limùni, d"a gada, d"a cira). Avere il colorito dell'iride (del limone, del mallo, della cera). - Dicesi di chi è pallido per cattivo stato di salute. Avira u cuori grassu.  Avere il cuore grasso. - Essere generoso; ma si dice pure di chi mangia limoni, sottaceti o prodotti simili, perché sente tanto il grasso, o quello del proprio corpo o quello del cibo che sta mangiando, da essergli giunto sino al cuore. Avira u cuori 'ncajàtu. Avere il cuore pieno di amarezze, rabbia, dispiaceri, ecc. Avira u cuori nigru. Avere il cuore nero. - Avere molti dispiaceri per i quali persino il cuore è vestito a lutto. Avira u gudiédu d'amicu. Possedere l'intestino dell'amico. - Essere sempre pronto a mangiare, pur avendo appena mangiato, perché entra in funzione un particolare tratto dell'intestino, detto appunto «gudiédu d'amicu». Così si giustificano coloro che hanno tale capacità. Avira u mussu 'e 'na codàta. Avere il muso (come fosse) un carico gravoso. - Avere un broncio enorme. Avira vuci 'n-capitulu. Avere voce in capitolo. - Essere persona autorevole, importante, in capitolato. A-zziccu-a-zziccu. Appena appena. A zzùmpa hilici. A salta felci. - A casaccio; a saltoni; come viene.

Raccolta di proverbi, detti, motti - cantilene, arguzie, storielle, battute di spirito del dialetto bivongese di Paolo Tisano

DETTI MOTTI INVETTIVE - B

 

 

 

 

Banadica! Sia benedetto! - Dicesi per scaramanzia contro il malocchio. Biellu ninnu! Vedi detto: Chi biellu niéspulu! Botta d'ajjócastru! (Ti venga) Colpo d'ajjócastru! - Ajjócastru è malattia che colpisce i bambini, facendoli diventare cianotici per insufficiente respirazione. Botta 'e capistuóticu! (Ti venga) Colpo di vertigine! Botta 'e chiùmbu! Colpo di piombo! - Che tu possa essere fucilato! Botta 'e huócu! Colpo di fuoco! - Che tu possa essere investito dalle fiamme! Botta 'e lampu! Colpo di fulmine! - Che tu possa essere colpito dal fulmine! Spesso è detto però per esprimere una enorme meraviglia di un fatto insolito, incredibile. Botta 'e lapìci u ti pijja (t'accumpagna)! La furia del libeccio ti possa colpire (ti accompagni)! Botta 'e malanóva! Colpo di cattiva notizia! - Possa giungerti una cattiva notizia! Botta 'e pisciasàngu! Che tu possa orinare sangue! Botta 'e sangu! (Possa tu avere un) colpo di sangue! - Che tu possa emettere dalla bocca fiotti di sangue (come avveniva ai tisici)! Significa pure: Ti venga una trombosi!

 

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DETTI MOTTI INVETTIVE - C

 

 

 

 

Cacàtu 'e héra! Cacato di fiera! - Dicesi a chi ha molta paura di eseguire un'azione o d'intraprendere una nuova attività o di affrontare un, sia pur lieve, pericolo. Cacciàra 'a cuntrasciénzia. Fare la controprova. - Togliere, o togliersi, la soddisfazione di vedere, o toccare con mano, ciò che si riteneva quasi impossibile. Cacciàra 'a musca do nasu. Togliersi la mosca dal naso. - Non sopportare alcun fastidio; reagire al minimo segno di offesa; essere intollerante. Cacciàra 'a testa hóra do saccu. Mettere la testa fuori dal sacco. - Dicesi, in genere, di quei ragazzi che iniziano ad essere smaliziati sui problemi della vita degli adulti. Cacciàra do chiànu (de' piedi, de' mani).  Togliere dal piano (dai piedi, dalle mani). - Togliere da una posizione comoda, sicura, certa, perciò è come dire: Mettere in pericolo, consumare, sprecare, eliminare, distruggere. Cacciàra 'na nzànzara. Diffondere una notizia infamante, calunniosa, deplorevole. Cacciàra pàcciu. Far diventare matto. - Assillare continuamente con domande, o comandi, o richieste. Caccìàra u pilu do labbru. Togliersi il pelo dal labbro. - Essere soddisfatti per aver detto, o fatto, quanto si è ritenuto opportuno, o necessario, per una offesa, o maldicenza, alla propria persona oppure a qualcuno della famiglia. Ca cuomu! Come no! - Dicesi in senso ironico e scherzoso, invece di dissentire Cadira cu da hàcci nta mmérda. Cadere con la faccia nella merda. - Trovarsi in situazioni vergognose per azioni mal fatte da se stesso o dai familiari. Cadira cuómu nu taramàzzu. Cadere come un masso, come morto. Cadira do patrusinu. Cadere dal prezzemolo. - Cadere per un nonnulla; essere incapace. Caminàra a-mmiénzu 'n'armata. Camminare in mezzo ad una armata di soldati. - Viene detto di donna sicura delle sue virtù morali. Caminàra 'e travièrsu ('e sbinciu). Camminare di traverso (di sbieco). - Passare tra persone senza farsi notare perché non si è ben visti. Caminàra tràppa-tràppa.  Camminare lentamente per la stanchezza, quasi trascinando i piedi; forse come un frate trappista al termine del giro di richiesta di elemosina. Cana cumanda a cucci e cucci cumanda a cana. Cane comanda a cucciolo e cucciolo comanda a cane. - Fare a scaricabarile; comandarsi l'uno con l'altro. Capiscira Roma pa toma. Capire Roma per bonacciona. - Capire una cosa per un'altra. Ca quandu mai! Che quando mai! - Non è mai successo! Non è vero! Dicesi per esprimere diniego, dissenso, impossibilità. Carricàtu 'n-juviédu. Caricato (come) sotto il giogo. - Essere carico, di peso se riferito a persona ma di frutta se riferito a pianta, come il bue sotto il giogo. Carui Dio ca... (Non sia) Caro a Dio che... Dio non voglia che... Dicesi sempre per scongiurare un evento poco piacevole. Ca tu! Che tu! Vedi tu! Come vuoi! Cazzùni cu da scòlla. Cretino con la cravatta. - Dicesi di persona benestante e ben vestita ma che, nel parlare, denunzia le carenze. Cazzùni huttùtu! Cretino fregato! - Gran stupidone insensato! È detto, fra maschi, senza cattiveria, a chi commette gravi errori per sbadataggi ne o incuria. Cazzùni miericànu! Cretino (come un) americano! ... Cca dùnca... ogni tri panni si hacia 'na runca. Ccà dùnca è un intercalare usato frequentemente da alcune persone per dire: in conclusione; in definitiva. Alcuni astanti, per far notare la frequente ripetizione, pure loro, quasi a voler prendere in giro, dicono «ccà dùnca» però lo fanno seguire da una frase a mó'di rima, ma con nessun significato pratico, perché la frase vuoi dire: Dunque... ogni tre palmi (di ferro) si fa una roncola. Cca-ssùtta 'on chiòva! ...e si chiòva 'on si vagna! Qui sotto non piove!... e se piove non si bagna! - La frase si pronuncia intanto che si mette in vista il palmo della propria ma- no sinistra rivolto verso il basso e l'indice della mano destra sotto il palmo della sinistra. Ciò per dire all'interlocutore: Stai, attento!... perché verrà il tuo turno, e allora me la pagherai! (la vigliaccata, o l'offesa fattami). Intanto le tue offese non mi colpiscono; io sono al riparo come questo dito sotto il palmo di mano. Cchiù do scuórnu! Vergognati! Cchiù nd'ammàzzu e cchiù nda viju! Più ne ammazzo e più ne vedo! - Frase dalle diverse allusioni e sottintesi. Il più comune significato è: più ne ammazzo (cimici, o insetti fastidiosi) e più ne rivedo! Tenuto conto che la frase si pronuncia alla vista di una persona, si capisce come è abbastanza offensiva nei confronti di questa. Ccóoool... Ccooool... Cujjàndri!... Giùuuu!... Giùuuu!... Confetti! - È l'invito corale dei bambini, non invitati a un matrimonio o battesimo, affinchè, dai balconi della casa dove si svolgono i festeggiamenti, vengano gettati in strada i confetti e altri dolciumi e, talvolta, anche monetine. Chiacchiarùni 'e héra! Chiacchierone di fiera! - Mercante di fiera! Dicesi generalmente a chi afferma cose non vere, o esagera come appunto fa il mercante nella fiera per lodare le qualità della propria merce, per potere venderla. Chiàmu tata cu' ni duna pana. Chiamo padre chi mi da pane. - Così dice chi vuole giustificare i suoi affetti o premure verso chi non è un suo familiare. È del tipo «ubi bene ibi patria». Chi biéllu nìéspulu (ninnu)! Che bei nespolo (ninnolo)! - Dicesi sempre in tono ironico per significare: Che testardo! Che ostinato! tu che non ascolti mai i consigli e/o non mantieni le promesse. Chida mamma chi ficia a-ttia avia u nda u facia 'na carcaràta! Quella mamma che fece tè doveva farne una fornace di calcare piena! - Si dice a chi ti vuoi fare un apprezzamento, complimento, perché ritenuta persona intelligente, proba, di molta stima. Chidu chi resta paga! Quello che rimane (dopo il disastro) paga! Quanto rimane deve bastare per quello che non si potè produrre. Chi duómmu pijjàvi minna! Che tu non avessi potuto prendere mammella. - Che tu, nascendo, avessi avuto la sorte di non riuscire a poppare! Come dire: Che fossi morto sul nascere! Chimmu u cuójji l'anchi! Che tu possa raccogliere le tue gambe! - Che tu possa avere le gambe paralizzate! (perché solo così dovrebbe tirarsele colle mani per poterle muovere). Chimmu u m'hai 'a suórtì de' ciaramidi! Che tu possa avere la sorte delle tegole! - Non è poco, se si pensa che le tegole sono sempre esposte all'aria, al vento, all'acqua, al gelo, insomma ad ogni intemperie. Chimmu u m'ammutàvi cuómu i campani a Pasqua! Che tu possa ammutolire come le campane a Pasqua! Chimmu u nescìa 'na pitta!... Che fossi nato una focaccia!... (così a qualcuno sarei stato utile, mangiandone, considerato che ora, come persona, nessuno mi apprezza). - Dicesi nei momenti di sconforto e/o disillusione. Chimmu u squàjji cuómu u sala nta l'acqua! Che tu possa scomparire come il sale nell'acqua! Chimmu u ti cadarìa 'a lingua! Che possa caderti la lingua! - Dicesi a chi ha pronunciato grande maledizione, o frase molto scorretta, o sonora bestemmia. Chimmu u ti màngianu i cana a-vvànda d'acqua! Che ti possano mangiare i cani in posti d'acqua! (Così potrebbero dissetarsi e continuare a mangiarti sino all'esaurimento). Chimmu u ti mora! Chimmu u ti mora! E pue u tu gùjji nta cassalòra!... Che ti possa morire!... Che ti possa morire!... E poi tè lo possa fare bollito in casseruola!... - Grido corale di bambini che, sotto le finestre, o fuori l'uscio, della casa dove si svolgevano i festeggiamenti di un battesimo, dopo vana e lunga attesa di dolciumi, imprecavano ed auguravano quanto esprimevano in coro. Chimmu u ti parrava u priévutì! Che ti possa parlare il prete! - È per augurare la morte. È allora, infatti, che il prete parla, invece della persona, per invocare la grazia e il perdono divino. Chimmu u ti ruppi l'anchi! Che tu possa romperti le gambe! - Dicesi a chi ha provocato qualche danno, o spavento, e poi scappa, per non essere preso e punito. Chimmu u ti viju santu.  Che ti possa vedere santo! - È un modo benevolo per non fare rimbrotti o dire invettive e male parole; dicesi per far capire: Dio ti perdoni! Chimmu u vai cuómu u hàuzu dinaru! Che tu possa andare come il falso denaro!: (girovago e clandestino). Chimmu u vena 'a sditta! Possa venire la disdetta! (cioè il divieto, la fine, la mancanza assoluta) - È detto per tutto ciò che causa danni o dispiaceri. Chiovira a stracia. Si dice quando, insieme all'acqua, cade anche fìnissima sabbia di provenienza africana. Chiovira 'n-juviédu. Piovere a dirotto. ...Chi si dicia?... Si dicia ca 'a sarda si mangia 'a licia! ...Che si dice?... Si dice che la sarda mangia l'alice! - È la risposta scherzosa che si da, a qualcuno che desidera sapere delle nuove, quando non volendo o non avendo informazioni da dare ciò nonostante se ne vuoi dare egualmente una ma con una battuta di spirito; anche se, alla fine, in essa c'è la verità espressa dal fatto che il pesce grosso mangia il piccolo. Chiuda l'uòcchi e lapara u culu! Chiudi gli occhi e apri il culo! - Preparati al peggio! Non pensare a quanto sta per succederti! ... Chiur'é?... È l'ura d'ajéri a chist'ura cacciati u mbàstu e mentati 'a pastura.  ...Che ora è?... È l'ora di ieri a quest'ora togliti la soma e mettiti la pastura. - È la risposta scherzosa che si da a chi chiede l'ora, ma, ritenendolo una bestia (alla quale non serve sapere che ora è) gli viene data questa cattiva risposta. Ciangìra cuómu 'na viti. Piangere come una vite (che, come si sa, emette molta linfa alla rottura di un suo ramo), quindi: Piangere con molte lacrime per forte dolore, dispiacere, disperazione. Ciùcciu jiu e ciùcciu vinna. Asino andò e asino tornò. - Viene detto di chi, invitato a portare una ambasciata, è stato incapace sia di darla che di riferire la risposta. Cojjira 'a rami. Raccogliere (si) il rame. - Mutare alloggio. Chiudere bottega. Cojjira i pezzùdi. Raccogliersi le pezze. - Morire misero e povero. Consàra tri ova nta nu piattu. Condirsi tre uova in un piatto. - È detto in senso ironico per significare che si è sistemato alquanto malamente. Consàtu cull'uójju e cu du sala. Condito con l'olio e col sale. - È detto in senso ironico per significare: Mal conciato, sia in senso figurato che economico. Consàtu pa di hiésti. Conciato per le feste. Malridotto. È simile ai due detti precedenti. Cornutu mindùtu! Cornuto colle orecchie piccole! - È detto sempre con tono di rimprovero un pò bonario e senza volere offendere. Cridira adi ciùcci chi abbólanu. Credere agli asini che volano. - Essere credulone. Criscira cull'acqua adu piedi. Crescere coll'acqua al piede. - Crescere rapidamente, bene e col necessario per alimentarsi continuamente; come fosse una pianta acquatica che ha le radici in acqua. Criscira 'm-bàtula. Crescere inutilmente. Cu chiàcchiari e tabbacchiéri 'e lignu... Con chiacchiere e tabacchiere di legno... - Con cose di scarso valore... non si può realizzare o concludere nulla. Cu' cchiù nd'ava cchiù nda spara. Chi più ne ha più ne spara. - Nelle esagerazioni non si finisce mai con la maggiore perché ce n'é sempre da raccontare di più grandi; quindi, avanti... chi più ne ha più ne dica. Cu' curpa-curpa, Giuànni abbùsca. Di chiunque sia la colpa. Giovanni busca (botte conseguenze). - Così dice chi vuoi difendersi da colpe, secondo lui, non commesse. Cuda d'arràttu! Ciclone distruttore (venga)! - Si dice quando si è molto nervosi o spaventati, contro qualcosa o qualcuno che ne è stata la causa. Cu di buoni grazzi vuóstri. Con le buone grazie vostre. - Di grazia. Col vostro permesso. Cu di mani 'ndolé (pendiéndu). Con le mani penzoloni (pendendo). - A mani vuote Cu du parmu e cu da chicatura. Con il palmo e con la giunta. - In misura molto abbondante. «Palmo» è unità di misura di lunghezza pari a 20 cm. È detto dal venditore, per far capire al cliente che la merce gli è stata misurata in modo molto abbondante. Lampu 'e truónu. Lampo di tuono. - Dicesi di cosa forte, impenetrabile come il centro del tuono. Se riferita a pane allora vuol dire che è poco lievitato. Cumandara 'm-bacchetta. Comandare colla bacchetta (cioè da padrone, con decisione e fermezza). Cantara cicì e cocó. Raccontare tutto, antefatti e fatti. - Far sapere i proprii fatti, per filo e per segno, anche a chi non vuole. - Cici e cocó sono voci onomatopeiche che esprimono il verso della gallina prima e dopo aver deposto l'uovo. Cuntàra mari e mundi. Raccontare (di) mari e mondi. - Vantarsi molto, raccontando di esagerate gesta e avventure in ogni dove.  Cuntientu e gabbatu. Contento e gabbato. Cuómu cumanda 'a liégi. Come comanda la legge. - Secondo le migliori norme; in modo eccellente. È detto dal committente come raccomandazione a chi deve eseguirgli un lavoro; oppure, per vanteria, da parte di chi l'ha già eseguito e desidera far notare l'accuratezza e perfezione del lavoro. Cuómu cumanda Dio. Come comanda Dio. - II meglio possibile, come se fosse ordinato da Dio. È da considerare come il detto precedente. ... Cuómu? ... Cuómu Dio crijàu l'uomu. ...Come? ...Come Dio creò l'uomo. - Tipica risposta scherzosa a chi, giunto tra amici e conoscenti, chiede informazioni e particolari su quanto si sta dicendo e, siccome non si è disponibili a fornirle, perciò alla domanda: Cuómu? (com'è il fatto?), si risponde in tono canzonatorio e rimato: Come?... Come Dio creò l'uomo. Cuómu èsta si crida. Come (lui) è, così crede (siano pure gli altri). - È il giudizio dato a chi dice cattiverie o malignità. Cuómu n'a manda Dio! Come ce la manda Dio! - È detto, con spirito di rassegnazione, per specificare che se così Dio vuole, così sia, quindi si accetta la sua volontà accontentandosi di quel che c'è. Cuómu quandu ca. Come se. Cuómu ti hicia màmmita. Come ti fece tua madre: nudo, solo. Cuómu vena, pàtra, fa cuntu. Come viene, padre, tè la racconto. - Come riuscirò a farlo il lavoro che mi hai detto di fare così tè lo terrai e ti accontenterai. È la risposta confidenziale, tra amici o familiari, di chi ha avuto la raccomandazione di eseguire molto bene un lavoro. Cu' paga 'on'e muórtu! Chi paga non è morto! - Sono io, infine, quello cui tocca pagare! dice, con orgoglio e dispiacere, chi, nonostante tutto, pagherà. Cu' pota (cu' si hida) nda duna. Chi può (chi più è capace) più ne da (sottinteso sempre botte di ogni genere). - Dicesi in risposta a chi avverte che, se dovessero litigare, l'altra persona sarebbe vincente. Cu rispiéttu parràndu. Con rispetto parlando. Curtu e malu paratu. Corto e preparato al male. - Corto ma terribile. Dicesi di persona che sembra insignificante sotto ogni aspetto, ma che, al contrario, è forte e violenta. Cu' si pùngia nèscìa hora!  Chi si punge esce (esca) fuori! - Chi si sente offeso si fa (faccia) avanti! È una tipica frase di atteggiamento di sfida nei confronti della persona che non viene menzionata ma che la si attende o la si invita (nel caso del congiuntivo) a reagire e quindi a scoprirsi di essere stata quella che aveva detto delle scorrettezze in assenza di chi ora, pubblicamente, l'invita al chiarimento mediante forti punzecchiature. Cu 'vacia avanti, tira 'a corda 'e tutti quanti. Chi cammina in testa tira la corda di tutti quanti. - Viene detto quando si cammina in salita, uno dietro l'altro, e qualcuno degli ultimi si lamenta dell'andatura un po' sostenuta dei primi.

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DETTI MOTTI INVETTIVE - D

 

 

 

 

D'acqua vinna e d'acqua (o: de viéntu) si nda jiu. Dall'acqua venne e in acqua (o al vento) se ne andò. - Dicesi di qualsiasi cosa ottenuta senza sforzi ne sacrifici e sperperata poi con altrettanta facilità, come, ad esempio, avviene nella facile vincita al gioco o nel caso di eredità inattesa. Dassa ca pue. Lascia che dopo (si farà). - Si dice a chi, per indolenza, rinvia sempre a dopo ogni suo impegno. Dassàra i puórghi. Lasciare i giovani gelsi. - Lasciare bambini orfani. Dassàra u hàttu pa du sciàttu.  Lasciare il maturo per l'acerbo. - Lasciare il certo per l'incerto. Da truóppu cumpidénza nda divéna 'a mala crijànza. Dalla troppa confidenza ne deriva la cattiva creanza. Dira 'e gluória e de martuóriu. Dirgliene di gloria e di mortorio. - Dirgliene sia per un funerale da bambino (gloria), sia per uno da adulto (mortorio). Dire rimproveri e rimbrotti di ogni genere per bambini e per adulti. Dira i cuosi 'e Dio. Dire le cose di Dio. - Recitare le orazioni. Dira nò u-sci e nò arri. Dire ne ferma ne cammina. - Non profferire parola; stare muti. Come noto, «sci!» ed «arri!» sono rispettivamente voci con cui si intima alle bestie da soma: Ferma! o: Cammina! Dira pa vocihoria. Dire per convenienza, formalità. Do buonu ni prejàmu, ca do malu on pijjàmu nènta. Del bene ci consoliamo, perché del male non prendiamo niente (di piacere). È quanto dice qualcuno, quando nel riveder- ti dopo tempo, apprende che stai e sei stato sempre bene. Dojja-cuólica u ti pijja! Colica di doglie ti venga! Domana 'om-bena 'e ccà! Domani non viene di qua! - È detto per significare: Domani sarà ancora con noi, perciò ci sarà tempo e appunto possiamo rinviare senza alcuna preoccupazione quello che ancora dobbiamo fare. Può pure significare un invito a smettere di lavorare, perché ha già lavorato troppo, o una facile ironia, se rivolto a chi non ha voglia di fare. Dormira a casàrri. Dormire a lungo profondamente, come fa il baco da seta all'ultima muta. Dormira a-mmùndu. Dormire sino alla fine del mondo. Dormira a suónni chini cuómu u liéburu. Dormire sogni pieni come la lepre. Dormira cuómu 'a gurpi. Dormire come la volpe (cogli occhi semiaperti). - Fingere di dormire; stare all'erta. Dormira cuómu 'n'ajjiru. Dormire come un ghiro. - Andare in letargo. Dormira cu setta coscina. Dormire con sette cuscini: comodamente, da gran signore. Dormira 'n-chinu. Dormire in pieno, profondamente. Dunara acqua adi gadini quandu chiòva Dare acqua alle galline quando piove. - Fare cosa inutile; dare qualcosa a chi ne ha d'avanzo. Dunara 'e séntara. Dare da sentire, una buona lezione di comportamento, o d'altro genere. Dunara lingua. Dare lingua. - Passar parola; chiedere un favore a qualcuno e, nel caso lui non potesse, pregarlo di fare tale richiesta ad altri che potessero. Dunara trenta juórni u misi e l'acqua franca. Dare trenta giorni al mese e l'acqua gratuita. - Dare ciò che non costa niente; volere qualcosa senza dare, anzi, facendo fìnta di dare. Dunara u nsu-nsù. Dare un bel niente. Duómmu pierdi 'a hila! Stai attento a non perdere il filo! (Si fa riferimento al filo che emette il baco da seta durante la formazione del bozzolo). - Dicesi a chi sta parlando di continuo, quasi colla bava alla bocca, appunto, come il baco; ma il riferimento è anche al filo del discorso. Duómmu pierdi (o: ti càdanu) aniédi! Attenzione a non perdere gli anelli! - Dcesi a persona povera e boriosa che non vuole lavorare in umili servizi. È chiara l'ironia della battuta. Duómmu ti para ca... Non pensare che... Non credere che... Non illuderti. Duva lampa e duva trona. Dove lampeggia e dove tuona. - Da una parte lampi e dall'altra tuoni: Non c'è salvezza o scampo da nessuna parte. Dicesi quando arrivano fastidi e guai da ogni parte, e non si riesce a trovare una via di scampo. Duva ti vacia 'a testa! Dove ti va il pensiero! - Si da come risposta per dire lascia correre! Non preoccuparti! hai pensato diversamente da quanto ho detto.

 

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DETTI MOTTI INVETTIVE - E

 

 

 

 

'E biéllu - a - biéllu. Di ben bello. - Di proposito; di forza; di prepotenza. E buonu si!... E va bene, si!... - Lasciami in pace! Non insistere! E cchiù u dittu ca u hàttu. È più il detto che il fatto. - Si fa più fatica a dirlo che a farlo. Sono più le parole che i fatti. 'E crudu-a-crudu. In modo cruento. Senza badare al dolore. Senza pietà. Senza anestetici. Crudelmente. 'E curtu a-ccùrtu. Da corto a corto. - Da vicino, a breve di stanza. ... E dici ca ciàngia uòjju! ...E pensa che piange olio! - È la risposta che da un genitore o sorvegliate di bambino, a chi ha chiesto di prestare attenzione al bambino che piange, intanto che l'adulto era impegnato in altre faccende. E dici ca vai mari-mari! E pensi che andrai (disperso) nei mari! - Siccome penso che ciò non sarà, allora un giorno t'incontrerò e poi.... faremo i conti! Dice, chi vorrebbe chiarire i fatti, o togliersi le offese, alla controparte che gli sfugge. 'E duva vaju e viégnu, viégnu do mulinu. Da dove vado e vengo, vengo dal mulino. - La frase, in se, non dice molto, ma è quella che precede l'azione di una serie di botte a non finire. 'E-luóngu-a-lluóngu. Per tutta la lunghezza; per intero. E mamò mujjiérita si hacia i minni russi adu hùrnu! E giammai tua moglie si arrosserà le mammelle davanti al forno! - Dicesi a quell'uomo che sta lavorando un terreno non fertile, per fargli capire che giammai produrrà grano che sua moglie, poi, potrà panificare al forno. È anche detto, per sfotterlo, a chi è scarso lavoratore. E marno nda hunda! E giammai ne gocciola! - Vedi: 'On da hùnda! E marno nda scùgni! E giammai ne otterrai! - Dicesi a chi ostina a volere ottenere qualcosa da chi è notoriamente tirchio, taccagno, avaro. E mamò ti hai i minni russi adu hùrnu! E giammai ti arrosserai le mammelle al forno! - Dicesi alla sposa il cui marito è scarso lavoratore, o non dimostra alcuna voglia di trovare lavoro. 'E mo pa-mmó. Da un momento all'altro. 'E nu capu all'àutru. Da un capo all'altro. - Da un estremo all'altro. E passa ch'é notta. E passa ch'é notte. - E andiamo avanti; basta; non se ne parla più. 'E pra-ssé. Di per se; per proprio conio; di conseguenza. E pue?... E pue hijjàu 'a vacca e hicia u gue. E poi?... E poi partorì la vacca e fece il bue. La risposta è dello stesso tipo di quella in... Cuómu?... Cuómu Dio crijàu l'uomu. Essara adi corna d"a luna. Essere alle corna della luna. - Trovarsi nella posizione sociale più elevata possibile. Essara alliggistràtu 'e tuttu puntu. Essere vestito a puntino, in modo impeccabile. Essara biéllu (buonu) addobbatu. Essere bello (bene) acconciato. - È detto in senso ironico per significare: Essere malridotto, malconcio, o molto ubbriaco. Essara canusciùtu cuómu u hàuzu dinaru.  Essere noto come il falso denaro. - Noto dovunque come persona di poca fiducia. Essara caru a-bidira. Essere caro a vedere. - Farsi vedere raramente; farsi desiderare; rendersi prezioso. Essara cchiù bruttu do scuru (de' curtedàtì; de' scupettàtì). Essere più brutto del buio (delle coltellate; delle schioppettate). Essara cchiù 'nsipidu e l'acqua d'a barva. Essere più insipido dell'acqua per la barba. - Siccome l'acqua che si usa per fare l'insaponatura non si prova mai (al massimo potrà capitare di provare la schiuma del sapone, che è insipida), penso vorrà significare che è insipida la schiuma. Comunque sia, il detto vale per le persone giudicate, appunto, insipide, senza personalità ne capacità. Essara cchiù stuórtu 'e runca. Essere più storto di una roncola. - Dicesi del litigioso, attaccabrighe, che non sente ragioni; anche nel significato di stolto, indisponente. Essara chinu cuom'uovu. Essere pieno come uovo. - È detto di locale molto affollato di persone; ma pure di ripostigli, valige e barattoli contenenti oggetti sino all'inverosimile. Essara cocivuli. Essere cuocibile. - Essere di facile cottura, se riferito a cibi. Facilmente disponibile a ubbidire o far piaceri, se riferito a persona. Essara cùgnu do stìéssu lignu. Essere fatto della stessa indole e natura dei propri genitori forti e duri anche nel carattere; perciò: Difficilmente malleabile. Essara cuómu mànicu e ancinu. Essere come manico e uncino: Tutt'uno, inseparabili. Essara cuómu Marcu e Roséda. Essere come Marco e Rosetta: Sempre insieme, come due innamorati. Essara cuómu 'n'abrio. Essere come un ebreo: Indomabile, egoista, affarista, opportunista. Essara cuómu 'n'acciuómu. Essere come un "Ecce Homo" : solo, abbandonato e malconcio. Essara cuómu 'n'acqua 'e maju. Essere come un'acqua di maggio: Molto utile e benefica. Essara cuómu nu pijja gadini. Essere come un piglia galline: Malconcio, arruffato, sporco, malvestito. Essara cuómu Stìlu cud'Arena. Essere come Stilo con Arena: Sempre paesi rivali, perché tali erano i loro complessi bandistici. Essara cuómu 'a Stida cud'Arena. Essere come (monte) Stella e Arena: Uno di fronte all'altro, come rivali. Essara cuómu chidi d'Agnàna, chi tiràvanu a chièsi cu di cuórdi 'e lana. Essere come quelli di Agnana (R.C.), che tiravano la chiesa colle corde di lana (le quali, allungandosi, facevano credere, cosi si dice, che la chiesa si spostasse davvero Essara cuómu u cana 'e Bonsignùri: muórtu 'e hammi e de siti ammiénzu a ddu' hiumàri. Essere come il cane di Bonsignore: Morto di fame e di sete in mezzo a due fiumare. - Pur vivendo tra enormi ricchezze, a volte, capita, di non averne alcun benefìcio. Essara cuómu u ciùcciu nta stàda. Essere come l'asino nella stalla: Sempre pronto ad essere prelevato; disponibile per chiunque. Essara cuómu u ciùcciu nte suoni. Essere come l'asino in mezzo alla orchestra. - Stare cogli altri senza rendersi conto o raccapezzarsi di ciò che succede. Essara cuómu u Cristu (Crucihissu) do Biancu. Essere come il Cristo (Crocifisso) di Bianco: Pieno di ferite e piaghe. Essara cuómu u hùrnu 'e Malaharina chi duràu da sira ada matina. Essere come il forno di Malafarina che durò dalla sera alla mattina. - (Malafarina è cognome). Dicesi di cosa fatta male o di breve durata. Essara cuómu u miércuri ammiénzu 'a simàna. Essere come il mercoledì in mezzo alla settimana: Sempre lì, fisso, inamovibile, presente. - Dicesi di chi è sempre fra i piedi, pronto ad approfittare dell'occasione favorevole. Essara cuómu u pùlici nta stuppa  Essere come la pulce nella stoppa: In situazione scomoda, intrigata, da cui non si sa come uscirne. Essara d'a (appartenira ada) cuba (hibia).  Essere della (appartenere alla) cuba (fibbia), cioè ad associazione mafiosa. Essara do buttùni Essere del bottone. - Appartenere alla stessa associazione, di quelli che stanno abbottonati, che ha fini poco puliti, scarsamente morali. Essara 'e cunseguénza Essere di conseguenza: Importante, di prestigio, di valore, di qualità. Talvolta è detto in senso ironico, quindi come dire: Buono a nulla, di scarso pregio. Essara 'e ddu' cuori. Essere di due cuori, di cui uno dice sì e l'altro dice no. - Dicesi nell'incertezza del decidere. Essara 'e tri juórni padomàna Essere di tre giorni dopodomani. - Dicesi del mosto quando lo si vuoi bere subito come fosse già vino. Essara 'e vaja  Essere valido, di buona qualità. Essara gargia 'e hàvi Essere bocca di fave (secche). - Siccome per romperle occorre usare i molari, quindi spalancare la bocca, da ciò ne è scaturita l'attribuzione del detto a chi è sempre pronto a urlare per parlare di cose segrete; oppure a chi racconta tutti i propri fatti molto privati. Essara hijju d'a gadina nigra Essere figlio della gallina nera. - Dicesi di chi è sfortunato, tenuto in nessun conto, emarginato. Essara hijju de unu e de ddui Essere figlio di uno e di due. - Dicesi di chi è molto intelligente e sapiente, come se avesse ereditato tali qualità da più persone, oltre che dai propri genitori. Essara hijju 'e ciéntu e midi. Essere figlio di cento e mille. - Dicesi di figlio di meretrice. Essara jastimàtu. Essere bestemmiato. - Essere maledetto, sfortunato, stregato. Essara lascu 'e ciarviédu. Essere di cervello con fessure. - Essere un po' matto; perdere il senno. (Si crede che il cervello sia ben chiuso da listelli, perciò se questi non sono molto vicini lasciano passare il cervello attraverso le fessure, colla conseguente perdita della materia cerebrale e quindi del senno. Vedi pure: Nci manca 'na tavuléda). Essara 'm-bónis. Essere in soldi. - Trovarsi in buone condizioni finanziarie. Essara 'na bella scìscia (sciscìlla).  Essere una donna poco di buono. Essara 'na cuojjitina 'e majida. Essere un raccogliticcio (di pasta dal fondo) di madia. Dicesi di figlio nato dagli ultimi sprazzi amorosi. Essara 'na maddàmma Sabbéda. Essere una madama Isabella: Vestita con abiti cenciosi e sporchi, e senza un mimmo di senno. Essara 'na pitta moda. Essere una focaccia molle. - Dicesi di persona poco energica, rammollita, pappa frolla. Essara ne uórcu ne spiritu 'e puórcu. Essere ne orco ne spirito di porco. - Dicesi di persona insignificante, senza carattere, ne spauracchio ne temibile. Essara 'n-si. Essere nel (momento giusto per dire) si. - Dicesi di persona disponibile ad accondiscendere, di buon umore. Essara nte cincu minuti. Essere nei cinque minuti. - Avere un'amnesia temporanea, vuoto di memoria. Essara 'ntisu. Essere inteso. - Dicesi di persona al corrente di fatti, avvertita. Riferito ad oggetto, significa essere incrinato, sia pure debolmente. Essara nto hórta. Essere nel (momento) forte. - Trovarsi nel momento cruciale di un lavoro, avvenimento, crescita, atto. Essara nto vaja. Essere nel momento migliore della maturazione o crescita. Essara nu caca-nidu. Essere un caca-nido. - Essere l'ultimo della nidiata. Dicesi di chi stenta a crescere e svilupparsi. Essara nu càuzi (ricchi) calati. Essere un pantalone (orecchie) calato. - Dicesi di uomo buono a nulla, disponibile solo a far piaceri, fiacco, apatico, indifferente. Essara nu ciùcciu Carricàtu d'uóru. Essere un asino carico d'oro. - Dicesi di chi è molto ricco ma ignorante. Essara nudu e crudu. Essere nudo e crudo: Così com'è stato creato. Essara nu 'njùtta-hicabbuótti. Essere un ingoia-fichifiori. - Dicesi di chi manda giù tutto ciò che gli vien detto, credulone. Essara nu pipitùni 'e héra. Essere un pilastro di fiera. - È noto che chi va in fiera per vendere, e si piazza lì come monumento, non solo non vende ma si pensa non sappia cosa occorre lì per poter vendere, dunque è un inetto, inerme, incapace. È appunto ciò che vuol significare il detto. Essara nu pistasóla.  Essere un batti suola. - Dicesi di chi assorbe colpi (di qualsiasi genere) da chiunque; inetto; altrimenti detto: materasso. Essara nu pugnu d'amici e 'na manijàta e latri. Essere un pugno di amici e una manciata di ladri. - Dicesi, tra il serio e il faceto, di un gruppo di persone amiche ma che all'occorrenza potrebbero frodarti. Essara povaru 'n-cànna. Essere povero (e rimasto) in canna (con la canna tra le braccia (così è il busto dell'Ecce Homo, a Bivongi). Dunque povero, abbandonato e derelitto. Essara scocivuli. È l'opposto di "Essara cocivuli" al quale si rinvia. Essara smaladittu d'a mamma cu di minni adi mani. Essere maledetto dalla mamma con le mammelle in mano (cioè in atteggiamento di maledizione del latte che lei dette al figlio che sta maledicendo) - È l'atto più tremendo e temibile fra le maledizioni di ogni tipo. Essara stipu viécchiu. Essere stipo (credenza) vecchio. - Dicesi di chi conserva ogni cosa pensando che potrà essere utile in avvenire. Essara tonami ca càju. Essere (come chi dice) tienimi che casco. - Dicesi di chi è tanto debole da stare in precarie condizioni di equilibrio o fa fatica a stare in piedi, ma pure di cose di scadente qualità o di breve durata. Essara tuttu 'e chièsi e nènta 'e Dio. Essere tutto di chiesa e niente di Dio. Essara u pruopia. Essere il proprio (cioè propriamente lui, il capo, il comandante in prima). - Solitamente le spose lo dicevano parlando del marito. Essara vattijàtu. Essere battezzato. - Oltre al significato dell'avere ricevuto il Santo Battesimo, ha altri significati i quali variano secondo le allusioni che promanano dal discorso in atto. Fra questi: dicesi di chi ha ricevuto una lezione di comportamento dopo avere pagato il fio per qualche motivo addebitategli; di vino venduto dopo averlo annacquato; di chi ha ricevuto il battesimo d'iniziazione alla vita mafiosa o delinquenziale. ... E ti salutu barràcca.  ...E ti saluto baracca. - Ormai non c'è più nulla da fare. Dicesi quando qualcosa è finita male e che non bisogna pensarci più, anzi è bene rimboccarsi le maniche per fare qualcosa d'altro. 'E tuttu puntu. Di tutto punto. - A puntino, messo in ordine perfetto, curato in ogni parte.

 

Raccolta di proverbi, detti, motti - cantilene, arguzie, storielle, battute di spirito del dialetto bivongese di Paolo Tisano

DETTI MOTTI INVETTIVE - F

 

 

 

 

Frijira i puórci. Non attendersi, non pretendere più nulla, perché ciò che c'era si sta già consumando o s'è già consumato. Non sprecare.

 

Raccolta di proverbi, detti, motti - cantilene, arguzie, storielle, battute di spirito del dialetto bivongese di Paolo Tisano

DETTI MOTTI INVETTIVE - G

 

 

 

 

 

Giràra 'a pecca ed 'a Mecca. Girare pur peccando e andare in cerca della Mecca (per ottenere purificazione e perdono). Recarsi in qualsiasi posto e da chiunque per cercare ciò di cui si ha bisogno, come fa il peccatore musulmano recandosi alla Mecca. Giràra a Santu Rahièli. Portare in processione San Raffaele. - Andare in giro a rubare. San Raffaele è il protettore dei ladri. Guardàra 'n-cera. Guardare con cipiglio, fissando negli occhi. Gurdàra 'e cuórpi.  Rendere sazio di percosse.

Raccolta di proverbi, detti, motti - cantilene, arguzie, storielle, battute di spirito del dialetto bivongese di Paolo Tisano

DETTI MOTTI INVETTIVE - H

 

 

 

 

Hàcci 'e lavatàru. Faccia di pasta lievitata, grande, grossa e gonfia come la pasta lievitata e quindi pronta per fare l'impasto del pane, dunque da prendere colle mani. Da qui il significato del detto: Faccia da schiaffeggiare. Hàcci 'e mpigna ('e muru). Faccia di cuoio duro (di muro). - Dicesi di chi è molto sfacciato; come dire faccia di bronzo. Hara a cacciuócchi. Fare a cava occhi: A gara, per invidia o convenienza o necessità. Rivaleggiare per comprare qualcosa. Hara a Ciénsu 'e Cannuólu. Fare il Vincenzo di Cannuólu. - Provocare discussioni, mettere zizzania e poi dileguarsi (come appunto faceva la persona sunnomata il cui nomignolo era Cannuólu. Hara 'a cornétta. Fare la cornetta. - Comunicare a tutti un segreto altrui. Fare da messaggero indesiderato. Hara a Cristu pa trenta carrini. Fare il Cristo per trenta carlini. Penare molto per pochi soldi. Carlino era nome di una moneta d'oro o d'argento del regno di Sicilia fatta coniare da Carlo Primo D'Angiò. Hara 'a cucca.  Dimostrare di essere più bravo. Hara a Dio priégu. Fare (come chi) a Dio prega. - Desiderare ardentemente che sia esaudita una propria volontà e attendere con ansia e fiducia. Hara 'a hàcci cuómu a Saràca.  Fare (diventare) la faccia (di qualcuno) come quella (fatta) a Saràca (nomignolo di bivongese che aveva la faccia tutta sfregiata da coltellate o rasoiate); onde è ovvio il significato del detto: Sfregiare il volto in più parti. Hara 'a hàcci cuómu i santi 'e Riggiu. Far (diventare) la faccia (di qualcuno) come (quella de) i santi di Reggio Calabria. Sfregiare il volto in diversi punti. Hara 'a hacci-prova. Fare la prova davanti alla faccia. - Confrontare faccia a faccia. Hara 'a hini 'e Piattinu. Fare la fine di Piattino. - Rimanere miserabile per avere perso tutto al gioco. Piattino è nomignolo. Hara 'a lingua ruódu. Farsi la lingua senza taglio. - Parlare tanto da far perdere alla lingua la capacità di essere tagliente o di continuare il discorso. Consumarsi la lingua parlando. Hara 'a mastravóta. Fare la giravolta ammaestrata. - Far fìnta di correre in una direzione per poi cambiarla, il tutto facendo dispetti e boccacce a chi cerca di prenderlo o rincorrerlo. Era qualche bambinata fatta più per gioco che per offesa. Hara 'a pallégra. Cercare ovunque e disperatamente qualcuno o qualcosa e domandando a chiunque per appurare notizie idonee a rintracciarlo. Hara 'a pricàda adi labbra. Fare la pricàda alle labbra. - Parlare tanto da sentirsi le labbra ardere dalla sete; come avviene quando queste sono state toccate dalla pianta, non lavata, del cece, la quale aggredisce le parti umide delle labbra perché passano in soluzione gli acidi malico e ossalico che la pianta possiede. Tali acidi suoi dirsi che sono "la pricàda". Hara (tenira) 'a talàja. Fare la spiata. - Osservare gli spostamenti altrui di nascosto. Hara 'a tunnàra. Fare la tonnara. - Distruggere, ammazzare quanto capita a tiro. Hara 'a vita do mbiàtu puórcu. Fare la vita del beato porco: Mangiare, bere e dormire. Hara 'a zannélla. Imitare con schermo la voce o le mosse di Hara ca hara. Fare come (se stesse) a fare. - Far finta di fare. Hara còndamu.  Ridurre a mal partito. Hara cuómu 'antichi: campàru campàru e pue moriru. Fare come gli antichi: vissero vissero e poi morirono. - Dicesi quando non si ha nulla da rispondere a chi chiede cosa fare, come comportarsi, e non si ha nulla da proporre. Hara cuómu chidi do cuntu.  Fare come quelli del racconto. - Comportarsi come nelle favole. Hara cuómu San Bartuólu. Ridurre come San Bartolo. - Ridurre alla impotenza, fiaccare. Trovarsi 'con gli abiti inzuppati dalla pioggia e quasi incollati alla pelle. Hara cuómu u ciùcciu de' ccappuccini: chistu è nènta, chistu è nènta, hina chi s'i sguaradàu. Fare come all'asino dei cappuccini: questo (glielo carichiamo perché) è nulla, quest'altro è nulla, finché gli è calata l'ernia. Hara cuómu u modàru. Comportarsi come il compratore dei bozzoli di scarto, il quale bandiva sempre che l'indomani non ci sarebbe stato, e poi, invece, c'era. Hara cuómu u pignatàru. Comportarsi come il fabbricante di pignatte (che attacca il primo manico dove vuole, però poi, per il secondo, non può fare altrettanto, per questione di simmetria e di estetica). - Dicesi a chi, dopo aver fatto delle ammissioni come premessa, non è conseguente con esse e, pur di avere ragione, subito dopo si contraddice. Da qui l'invito alla coerenza. Hara cuosi 'e l'àutru mundu. Fare cose dell'altro mondo. - Compiere azioni, gesta o eseguire lavori, eccezionali, mai visti prima. Hara dubbru. Fare il doppio (matrimonio). - Dicesi di fratello e sorella quando sposano rispettivamente sorella e fratello di altra famiglia. Hara gattu-ballàttu. Fare il gatto ballante. - Comportarsi a proprio piacimento in assenza di chi comanda o sorveglia, mettendo tutto a soqquadro. Dicesi, di solito, di bambini, o ragazzi che, in assenza dei genitori, mettono la casa sottosopra. Hara hàcci. Fare faccia. - Far vedere di essere più capaci di altri. Tenere a bada, sostenere una parte con coraggio e buoni risultati. Fare concorrenza. Emergere, primeggiare. Hara i cana 'e Cola. Fare (come) i cani di Nicola. - Agire con provocazione e dispetti sotto gli occhi di qualcuno e poi scappare per non essere afferrato e malmenato. Di solito trattasi di bambinate. Hara i chiòva. Fare i chiodi. - Fare dispetti in continuazione, punzecchiare duramente con atti e/o con parole. Hara i chiòva a Cristu. Fare i chiodi a Cristo. - Fare del male come chi ha inchiodato Cristo. Hara i cuójji.  Fare le pieghe, le rughe, le grinze. Hara i costati cchiù muodi d'a pansa. Fare che le costole siano più molli della pancia, a furia di percosse. Dicesi per minaccia o ammonimento. Hara i curvi daritti. Fare le curve diritte. - Andare in linea retta ove c'è la curva; uscire fuori strada; andare incontro a grave pericolo. Talvolta si augura a chi viaggia sulle strade in modo pericoloso, correndo e creando panico. Hara i jastimi u cantanu u credu. Fare che le bestemmie cantino il credo. - Bestemmiare di continuo come se si cantasse il credo. Comportarsi da sacrilego bestemmiatore. Hara i sotizza adi gambi. Fare le salsicce alle gambe. - D'inverno avveniva che (specie le donne senza calze) a furia di stare colle gambe vicine al braciere, per riscaldarsi, si trovavano poi le vene delle gambe molto arrossate e gonfie (da qui l'analogia colle salsicce). Hara l'archissi. Fare chiasso indiavolato, baraonda a non finire. Hara l'India. Fare l'India. - Di ogni bene produrre un po' di tutto, su un piccolo appezzamento di terreno. Dicesi di ottimo, attivo e ingegnoso contadino cui non manca mai alcun prodotto. Hara luci. Fare luce. - Fare credito; andare incontro a chi ha tanto e urgente bisogno di un aiuto economico o morale o di consiglio. Hara l'uòcchi piru. Fare (diventare) gli occhi (gonfi e scuri come una) pera. - Dare tante batoste da produrre molte ecchimósi. Hara 'm-bruódu. Farsela in brodo. - Dicesi a proposito di qualcosa che non si è più in grado di condurre a buon fine ma che ormai occorre fare ogni sforzo per completarla perciò è necessario rendersi la cosa il più possibile in condizioni di mandarla giù come chi beve un brodo. Hara 'na manta 'e lignati. Fare un manto di legnate. - Percuotere su tutto il corpo. Hara 'na Russia. Fare una Russia: Provocare un disordine, rivoluzionare la disposizione esistente di oggetti o di lavori. Hara 'n'attu. Fare un atto. - Andare di corpo. L'attu veniva distinto in: attu randa (defecazione); attu picciulu (minzione). Hara ndiédi-ndiédi. Fare a brandelli, a piccoli pezzi, a fette. - Viene usato come forma di minaccia durante i litigi. Hara nu bucu a 'na pitta. Fare un buco a una focaccia. - Fare un lavoro da nulla, che non comporta alcun impegno, senza importanza, che sanno fare tutti. Dicesi quasi sempre in forma negativa per esprimere la incapacità di qualcuno. In tal caso dicesi: 'on e buonu u hacia mancu nu bucu a 'na pitta (non è capace di fare neanche un buco a una focaccia). Hara nu hazzùni.  Commettere una marachella. Hara nu stattì-m-pàci. Fare un requiescat (riposa) in pace. - Picchiare duramente, o rimproverare solennemente, sino a ridurre la persona in condizioni tali da non potere più reagire, oppure rispondere con insulti. Hara pasta 'e proppiétti. Ridurre a pasta per polpette. - Dicesi come minaccia, in caso di litigi gravi. Hara pinni. Fare piume. - Lasciare le piume e andarsene; rimanere indenni da perdite e/o disgrazie. Hara ppa-ppà cuómu 'a janéstra. Fare ppa-ppà (voce onomatopeica per indicare gli scoppiettii) come la ginestra (quando arde). - Fare cose solo apparenti, che fanno chiasso, ma di poca durata e concretezza e importanza. Hara saccu 'e vastùni. Fare (diventare) sacco di bastone. - Ridurre qualcuno allo stato in cui si trova un sacco pieno di pannocchie di mais quando lo si prende a bastonate per fare sgranare i chicchi dal tutolo. Hara scuónsu. Scombinare un affare o un fidanzamento. Hara suzzuméda. Far diventare carne cotta di bestia ammalata. - Siccome quando un maiale o bue era malato, la loro carne veniva ridotta a pozzetti prima della cottura, perciò significa ridurre in pezzi; sminuzzare. È usato come minaccia durante i litigi. Hara sùzzumu corda. Fare "sursum corda" (in alto i cuori). - Ridurre alla impotenza chi è pericoloso o nocivo o fastidioso, per cui alfine possa dirsi con gioia: "sursum corda". Dicesi con tono minaccioso. Hara tabaccu 'e nasu. Ridurre a tabacco da naso: Polverizzare, distruggere. Dicesi come minaccia. Hara terra chiana. Fare terra pianeggiante. - Fare piazza pulita. Hara trenta e trentùnu. Fare trenta e trentuno. - Completare un lavoro senza trascurare nulla, anche nei minimi particolari. Hara trippa e Iattàra. Mescolare le cose più disparate; mettere tutto sottosopra. Hara u cagnuólu. Fare il cicciolo. - Star sempre alle falde o alle calcagna di qualcuno. Hara u cana 'e màndra. Fare il cane da gregge. - Abbaiare alla luna ed al vento; gridare inutilmente. Vale pure per dire: Seguire chi può dare qualcosa per sopravvivere perché gli è utile. Hara u culu buba. Fare il culo (sede di) bum..barn. - Dare botte o pedate sul sedere. Ridurre in condizioni di non potere più vantarsi di nulla; superare in una competizione. Hara u culu a coppiédu 'e priévutì. Ridurre il sedere a cappello di prete (a furia di pedate nel sedere). Dicesi per bonaria minaccia e in tono scherzoso. Hara u culu cuómu 'na tocca.  Fare il sedere come una bàttola. - Prendere a pedate nel sedere tanto rapidamente quanto una bàttola quando è in funzione. Hara u culu 'mbutu. Fare il sedere imbuto. - Far diventare l'ano un imbuto, che essendo di apertura abbastanza grande, è capace di far passare di tutto e in abbondanza, sia in uscita, perché si è mangiato troppo, sia in entrata con calci e pugni in abbondanza. Hara u culu quantu 'na trimója. Fare il sedere quanto una tramoggia. - Farsi venire il sedere grande e grosso; ingrassare, per il troppo riposo; appiattirsi il sedere continuando a star seduti. Hara u hissillu. Fare il fessacchiotto, il finto tonto. Hara u hrischiagùe. Girovagare sperando in un gradito incontro di cui approffittare. Hara u malu cuori. Fare il cattivo cuore. Pensar male, fare cattivo giudizio su qualcuno. Hara u malu ed u buonu juórnu.  Fare il cattivo e buon giorno. - Essere ora di cattivo e ora di buon umore; comandare a piacimento secondo l'umore del momento. Hara una-una. Ripetere continuamente lo stesso lamento o pianto o richiesta. Hara u nci coddìja (u nci heta 'e piruóju) 'a barritta. Fare che gli si riscaldi (o gli puzzi di bruciacchiato) il berretto. - Procurare molti pensieri, guai e preoccupazioni al punto da fargli surriscaldare il cervello. È una minaccia. Hara u nci lùcianu (sùdanu) i trièmpi. Fare che gli luccichino (sudino) le tempie. - Fare che gli vengano i sudori a furia di botte che si è disponibili a dare. È detto in tono arrogante e minaccioso. Hara u nci passa u ràjju.  Fare che gli passi il raglio. - Fargli abbassare l'orgoglio, l'energia, l'esuberanza, il rigoglio. Dicesi con tono minaccioso e arrogante e poi si da pure dell'asino a chi è indirizzata la minaccia. Hara u nci piàcianu i marvi. Fare che gli piacciano le malve. - Fare in modo che gli piacciano anche le cose immangiabili, costringere a fare ciò che non si desidera. Dicesi con un tono quasi da burbero ma bonario. (La malva, di solito,si usa come emolliente e non è commestibile). Hara u nci pijja 'a friévi a friddu. Far che gli venga la febbre a freddo. - Dicesi con tono minaccioso per far capire che si è disposti a dare a qualcuno tante botte e/o fastidi da farlo tremare come se avesse la febbre a freddo. Hara u nci vannu stritti i scarpi.  Far che gli vadano strette le scarpe. - Mettere in condizioni disagevoli; costringere a rigare diritto. Hara u ngéi. Fare la G. - Condire con olio in modo tale che questo lasci una traccia a forma di G, cioè che la oliera faccia un giro incompleto durante il condimento. Dicesi per fare capire che chi condisce così è perché di olio ne ha molto poco, o è molto povero, o molto avaro. Hara u pàcciu pa duómmu vacia ada guerra. Fare il pazzo per non andare alla guerra. - Fingere pazzia per non subire gravi condanne o guai. Hara u pallunàru (hochista). Fare il millantatore. (Pallunàru è detto di chi faceva volare i palloni aerostatici; hochista è chi spara i fuochi pirotecnici). Hara u pazziju. Distruggere; ridurre a pezzetti. Hara u piditu cchiù randa do culu. Fare il petto più grande dell'ano. - Fare cose più grandi delle proprie capacità. Hara u pilu ed u cuntrapilu. Fare il pelo e il contropelo: Sparlare abbondantemente. Hara u pizzicùni. Farsi stupore. - Provare un senso d'enorme stupore o meraviglia, per qualcosa di inatteso. Hara sangu acqua. Fare il sangue acqua: Spaventarsi enormemente. Hara u sangu ciliju. Farsi il sangue a grumi: Arrabbiarsi enormemente. Hara u scalàsciu. Fare il disastro: Sconquassare o distruggere, danneggiare gravemente. - In genere è detto in senso ironico rivolgendosi a persona incapace di fare alcunché di male o danno. Hara u sciò. Fare il signore, lo scialacquone. - Dissipare, scialacquare. Hara u sciuóccu nto lanzuólu.  Fare lo sciocco sotto il lenzuolo. Vedi: Hara u zingaru 'mbiàcu Hara u si piscia nta bumbuléda.  Fare che orini nella brocchetta. - Far filare diritto. Dicesi in tono serio ma familiare. Hara u spadàzzu. Fare da spalla (a guardia). - Far da valido aiutante in azioni non sempre corrette; fare da copertura. Hara u va-ca-viégnu. Fare l'andirivieni. Hara u viaggiu do patrùni. Fare il viaggio del padrone. - Eseguire un trasporto, colle sole braccia, come lo vorrebbe fare il padrone: In modo che in una sola bracciata ci stessero tutte le cose. Hara vidira chi nd'é. Fare vedere che cosa c'è (di tanto grave da doverlo prendere a botte). È una lieve minaccia di botte o di punizione. Hara u vidicàru. Fare la pancia grossa (come fosse ernia ombelicale). - Ingrassare perché non si lavora e/o si sta bene economicamente. Hara u vizuóccu. Essere sempre a disposizione per ambascerie e/o umili servizi; fare il portaborse, comunque sempre dietro a chi si accompagna. Hara u zingaru 'mbiàcu. Fare lo zingaro ubbriaco. - Fingere di non capire, fare l'indiano per ottenere dei vantaggi. Hara vidira jancu pa nigru.  Far vedere bianco per nero: Ingannare, imbrogliare, sostenere una causa per un'altra, ostinarsi a dire il contrario di ciò che è l'evidenza. Hatigàra a testa 'e tùrchiu.  Lavorare a testa di turco. - Lavorare molto, a testa bassa, e senza usare il cervello e/o a casaccio. Hatigàra cuómu i puórci. Lavorare come i porci: Pasticciando e senza alcun garbo. Hetira cuómu 'a mmérda de' carbuniérì. Puzzare come le feci dei carabinieri. - Essere malvisti e disprezzati Hetira cuómu nu putùsu.  Puzzare come una puzzola. - Essere scostante, cattivo, iroso. Hetira do nasu (o: u nasu).  Puzzare dal naso (o: il naso). - Essere superbo, rissoso, irascibile. Hiedùtu cuómu 'a cimicia.  Schifato come la cimice. Hiedùtu puru de' piétri d'a via.  Schifato pure dai sassi della strada. - Dicesi del malvisto da tutti. Hijjàru all'aria i gue! Partorirono all'aia i buoi! - Dicesi a proposito di avvenimenti sopraggiunti e molto imprevisti. Hilàra sempa a nu husu. Filare sempre a un fuso. - Non migliorare mai. Hinira 'e hara husa. Finire di fare fusi. - Dicesi di chi ha finito tutte le possibilità di far andare le cose a proprio piacere. Hiniu u tiémpu chi Betta hilava! Finì il tempo in cui Betta filava (al fuso)! - Non è più il tempo di una volta! Oggi le cose son mutate! È ora di cambiare! Hora è 'cca duvesta esta. Fuori di qui, dovunque sia! - Dicesi per scaramanzia, quando si parla di mali o disgrazie tremende (ovviamente con molto egoismo). Hora gàbbu e fora maravijja! Fuori (dal mio pensiero) il gabbo e la meraviglia! - È detto per scaramanzia, quasi come per allontanare da sé il male di cui si parla. Hora maluócchiu! Via da me il malocchio! - Si dice per scaramanzia contro il malocchio o malvolenza o avversione.   Hujira a caca-li-cana. Fuggire come fa il cane (dopo aver defecato): Senza voltarsi indietro. Hujira cu di càuzi adi mani. Scappare con i pantaloni in mano. - Avere troppa fretta o per paura o per premura e scappare abbandonando tutto. Huócu randa mio! Fuoco grande mio! - Oh grande mia sventura (dispiacere, disgrazia)! Cosa mi tocca sentire (o vedere)! - È detto per esprimere il proprio dispiacere nell'apprendere, o vedere, un pessimo avvenimento. Huócu u t'adùma! Che il fuoco ti bruci! - Generalmente è usato come semplice rimprovero, specie ai bambini o ragazzi che hanno commesso qualche monellata.

 

Raccolta di proverbi, detti, motti - cantilene, arguzie, storielle, battute di spirito del dialetto bivongese di Paolo Tisano

DETTI MOTTI INVETTIVE - I

Raccolta di proverbi, detti, motti - cantilene, arguzie, storielle, battute di spirito del dialetto bivongese di Paolo Tisano

DETTI MOTTI INVETTIVE - J

 

 

 

 

Jettàra l'uócchiu. Buttare l'occhio. -, Fare l'occhiolino; adocchiare; occhieggiare. Jettàra l'uórgiu. Buttare l'orzo. - Adescare per danneggiare; far perdere al gioco o in un affare ma con belle maniere. Jettàra 'na cantunéra. Abbattere una barriera di sassi. - Dire fandonie tanto grosse e gravi da potersi abbattere una barriera di sassi. Di solito è detto in tono bonario e quasi scherzoso. Jettàra 'na scrajola. Buttare una scarola. - Parlare commettendo gravi errori di grammatica o sintassi italiana. Forse si dice così perché la scarola è un pò amara da mandare giù. Jettàra nu càuci adu malu tiémpu. Dare un calcio al cattivo tempo. - Essere in grado di superare un periodo di tempo critico sia esso economico o meteorologico. Viene detto sempre in senso ironico per significare: È misera cosa quanto possiedi, per poter fare fronte a qualsiasi imprevisto. Jettàra nu suttamuóccu. Dare una sberla sul muso. Jettàra u bàndu. Gridare il bando. - 1) Fare il banditore pubblico. 2) Comunicare a tutti una confidenza, o un segreto. Fare il gazzettino. Jettàra u cuntu. Fare il proprio tornaconto; avere convenienza.  Jettàra u hieli. vedi: jettàra 'acitu. Jettàra u vizicànti. Buttare addosso il vescicante. - Far perdere al gioco o in affari una notevole somma. Jira ada bona. Andare alla buona. - Essere senza troppe pretese. Jira ada scarsa. Andare alla scarsa. Fare una giornata lavorativa senza pretendere dal datore di lavoro il vitto per la giornata (come di solito avveniva). Jira ada strìngijja (strittuóriu). Andare alla spremitura (strettoio). - Dicesi dei due compagni, perdenti al gioco delle carte, quando si accingono a giocare tra loro per stabilire chi dovrà pagare la perdita di entrambi. Jira a ddu' buótti. Andare in due colpi. - Andare e tornare. Dicesi quando si esegue, o si fa eseguire, un comando in modo rapido, senza perdere il tempo in chiacchiere inutili e senza fermarsi durante il percorso. Può anche intendersi andare velocemente come quando si sparano i due colpi di un fucile. Andare in due secondi, uno in andata e uno al ritorno. Jira adi catahùmari. Andare nel regno del fumo e del buio, cioè a quello dei morti: Morire. Jira adumàndu. Andare bruciando. - Andare in cerca di qualcuno o qualcosa in modo frenetico, affannoso, disperato, come se si stesse cogli abiti in fiamme. Jira a jérfani. Andare agli inferi. Dicesi come sinonimo di morire. Jira a leva a massa. Andare alla leva in massa. - Andare in folti gruppi e in continuazione. Solitamente è detto quando si notano persone che in continuazione si recano a comprare, in qualche posto, mercé a buon mercato. Jira a ligna senza corda. Andare a legna senza corda. - Essere in condizioni molto difficoltose, quasi impossibili; dover penare, appunto come capita a chi è andato al bosco per portarsi un fascio di legna e non ha portato con sé la corda per legarla. Jira a 'na mani terza. Andare da una mano terza. - Recarsi da una terza persona. Servirsi di un interme diario per rapporti di affari economici e no. Jira a piettu 'e cavàdu. Andare a petto di cavallo. - Camminare in testa a un gruppo di persone facendo l'andatura molto sostenuta. Trainare con impegno il gruppo come si fosse cavallo che spinge il calesse. Jira a Roma pa panitenza. Andare a Roma per penitenza. Andare in cerca di perdono. Molto spesso è usato nella forma negativa: e mamò vai a Roma pa penitenza! Giammai andrai a Roma per penitenza! Jira a Roma senza u vida u Papa. Andare a Roma senza che veda il Papa. - Fare viaggi o visite trascurando la parte essenziale. Jira a zzimba 'e casa e 'mpàcciu 'e husu. Andare a porcile di casa e perditempo di fuso. - Andare a raccogliere le castagne, ritenute adatte a sporcare la casa come un porcile e a perdere tempo, perché le donne, per essere andate a raccoglierle, non hanno potuto lavorare al fuso. Jira casa-casa. Andare di casa in casa. - Dicesi sia per significare che si va a cercare, qualcuno o qualcosa, passando da una casa all'altra, sia per dire che una persona sta passando da una stanza all'altra, o in cerca di qualcosa o per nervosismo o per agitazione. Jira cu da cuda a-mmiénzu i cuósci. Andare con la cosa in mezzo alle cosce: Come cane bastonato. Jira cu di nàschi ampràti. Andare con le narici spalancate. - Affrontare con molta ira e sdegno una persona o una situazione. Jira cu di piezzi adu culu. Andare con le toppe al sedere. - Vivere o vestire miseramente. Jira cu du huócu adu culu. Andare col fuoco al sedere. - Andare molto in fretta, come chi ha il fuoco che gli brucia dietro. Jira cu du piettu adi padi. Andare con il petto alle pallottole. Sfidare un grave pericolo. Jira cu du viérbu hùttara. Andare con il verbo fottere. - Agire col proposito di frodare o truffare o ingannare. Jira cu 'na mani davanti e una d'arriédi. Andare con una mano sul davanti e una sul dietro. - Ridursi a non avere neanche di che coprirsi la nudità. Jira cuómu 'a pùrvari. Andare come la polvere (da sparo). Scattare velocemente come fa la polvere da spro ai pallini della cartuccia da fucile. Essere velocissimo. Jira (o hara) cuómu u cordàru. Andare (o fare) come il cordaio: Indietreggiare, peggiorare. Jira cuómu nu tirri. Andare come una trottola. - Essere sempre in frettoloso movimento e affacendato. Jira de' sàjjura. Attraversare un corso d'acqua saltando sui sassi emergenti o sistemati all'uopo «sàjjura». - Superare indenni ostacoli e/o scomodità o pericoli. In genere è usato nella forma negativa: E tu 'om-bai de' sàjjura! E tu non andrai sui sàjjura E tu stai attento, perché non avrai la vita facile e comoda! Dicesi con tono di avviso minaccioso di vendetta. Jira 'e capu a munti. Andare da capo al monte. - Recarsi dal basso in alto, andare in salita. Jira 'e chiàttu ('e cuózzu.) Andare di soppiatto (di traverso). Vedi pure: Caminàra 'e travièrsu. Jira 'e lisciu. Andare di liscio. - Avere diarrea. Jettàra 'acitu (u hiéli). Emettere l'aceto (il fiele). - Secondo il tono con cui è detto può significare: 1) Che tu possa star tanto male da emettere il fiele (se detto con astio e accanimento). 2) Stare a sfibrarsi per un lavoro che fa sudare per potere ottenere qualche buon risultato (se detto con tono di comprensione e compatimento). Jettàra 'a strambòtto (stroffétta). Lanciare l'antifona (strofetta). - Fare un discorso allusivo; comunicare per sottintesi. Jettàra 'a sacùnda. Espellere la seconda, cioè la placenta, espulsa nella seconda fase del parto (detta anche fase di secondamento) che avviene in tre fasi: 1) distacco; 2) espulsione; 3) emostasi. Jettàra cu da barritta. Abbattere col berretto. - Dicesi in senso ironico per significare che la persona o cosa di cui si parla non è da tenere in scarsa considerazione ma invece è pregevole, un buon affare, di ottima qualità o capacità. Jettàra cuómu cuozzulàta. Mandar giù come a rotoloni: Ingoiare. mangiare voracemente quasi strozzandosi. Jettàra d'a hrunésta. Buttare dalla finestra: Sperperare. Jettàra ddui puómmu u si pijja tri. Gettare due per prendere tre: Fare un buon affare. Jettàra 'e cavàdu. Buttare giù da cavallo. Abbattere il prestigio, la fama, la prosopopea; far perdere un affare; eliminare da competizione; mettere fuori gioco. Jettàra huócu. Spruzzare fuoco. - Inveire con focosità, essere molto arrabbiati; ardere di furore Jira giru-'ngiru. Girare intorno. Jira naca-naca. Essere traballante, malfermo o dondolante. - Di solito si usa in riferimento a qualche dente che sta uscendo dalla gengiva o qualcosa di conficcato che manca di fermezza. Jira 'na vota a piedi e 'na vota caminandu. Andare una volta a piedi e una volta camminando. - Continuare a vivere senza mai progredire. Dicesi con tono scherzoso. Jira nto 'zzi stranu. Andare nello zio estraneo. - Andare nel podere altrui per prendere qualcosa come se il podere fosse di proprietà dello zio (ma era uno zio non appartenente alla propria famiglia) e da qui la battuta, dello zio ma di altri. Tutto ciò per non dire: Andare a rubare. Jira pa-llu surcu. Andare per il solco. - Andare via diritto e fuori dai piedi. In genere si usa nella forma imperativa: Va pa-llu surcu! per dire a qualcuno: Va via! Jira pezza davanti e pezza d'arrièdi. Andare (vestito con una) pezza davanti e pezza dietro. - Essere povero e nudo e/o sventurato. Jira raschiùsu. Andare raschioso. - Muoversi o agire o defecare con difficoltà. È il contrario di: Jira 'e lisciù. Jira sissula. Andare in brodo in giuggiole. - Essere molto felice; gongolare. Jira spiértu. Desiderare ardentemente; cercare disperatamente. Jocàra a 'zzi lupu. Giocare a zio lupo. - Comportarsi come chi, per gioco, vuole tutto lui e tutto prende, appunto come nella favola de "il lupo e l'agnello". Jocàra cu du pistùni 'nto saccu. Giocare con il pestello nel sacco: In modo subdolo. Jocàra 'e cuda. Giocare di coda. - Darla a intendere; fare il furbo come il topo quando fa scattare la trappola con la coda per poi mangiarne l'esca. Jocàra i cincu jidita ('a vrànca). Giocare le cinque dita (della mano). - Destreggiarsi colle cinque dita per rubare. Jornàta 'ncurunàta. Giornata incoronata. - Così viene definita una splendida, gloriosa, esaltante giornata. Juràra cuómu ciùcciu ada hicàra. Stare come l'asino sotto il fico:  Immobile, a testa alta e senza voglia dio mangiare, come se fosse in atteggiamento di giurare.

 

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DETTI MOTTI INVETTIVE - L

 

 

 

 

Lavàra(si) 'a vucca. Lavarsi la bocca. - Dire tutto ciò che si ha voglia, nel parlare male, o rimproverare qualcuno. Fare pulizia delle cattive parole che si hanno sulla lingua. Lavàtu d'acqua e de lissìa. Lavato coll'acqua e la lisciva. - Dicesi di chi ha subito abbondanti rimproveri di ogni genere. Libarànda sdómini! Libera nos domine! Liberaci Signore! Lontano da me! (È sempre sottinteso: da ogni male). Dicesi sia per scaramanzia contro brutti mali o disgrazie d'ogni tipo, e sia per esprimere la propria meraviglia per qualche fenomeno straordinario del quale però non si conoscono bene le cause. Linchira(si) 'a pansa a tri salàra. Riempirsi la pancia a tre strati: Impinzarsi. Linchira(si) 'a vucca. Riempirsi la bocca. - Dire cose non vere; sparlare; offendere; criticare. Lucira 'a héra. Luccicare in fiera. - Essercene qualche esemplare per pura combinazione. Messo in mostra come unico o raro campione splendente su un bancone di fiera. Luórdu e cajuórdu. Sporco e sudicio. - Unto e bisunto.

 

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DETTI MOTTI INVETTIVE - M

 

 

 

 

Maccarrùni 'e héra. Maccherone di fiera. - Buono a nulla, anche se grande e grosso, appunto come i maccheroni venduti in fiera. Mala nottata e fìjja himmana. Cattiva notte e figlia femmina. - Lo dice il marito quando vuole esprimere il suo rammarico e disappunto se la moglie ha partorito di notte una bambina. Ma è pure ciò che dice la moglie lamentandosi non solo per le doglie patite ma anche perché sa della scontentezza del marito per la nascita di una femmina. Mala 'nte corna! Male nelle corna (ti venga)! - Possa venirti un forte male, ma ti venga nelle corna. - Cosi non solo viene augurato un malessere ma gli si da pure del cornuto. È una imprecazione contro villani. Mala u ti mangia! (u ti cocia!; u t'abbrùscia!) (Ti venga) Male che ti mangi! (che ti cuocia!; che ti bruci!) - Dicesi molto di frequente ma non colla cattiveria insita nelle parole. Mamma ca vénanu! Mamma (aiuto) che vengono! - Dicesi, per prendere in giro, a/di chi ha paura persino delle ombre. Mancu i cana! (oppure: mancu li cana Signuri!) (Che non capiti) neanche ai cani! (oppure neanche ai cani Signore!) - Dicesi nel parlare di brutti mali o gravi incidenti, disastri, disgrazie, dispiaceri, per scongiurare l'accaduto. Mangiare 'a hàcci. Mangiare la faccia. - Dicesi a proposito di qualcosa che si cerca, non si trova, ma essa è invece li, tanto vicina, da poterti graffiare la faccia. È pure detto a proposito di rimproveri talmente graffianti, da distruggere la faccia per la vergogna, ricevuta o data. Mangiara a 'mbidia cuómu i puórci. Mangiare a invidia come (fanno) i porci. Mangiara a rigùttu. Mangiare molto in fretta e senza masticare: Ingurgitare. Mangiara a tri ganasci. Mangiare a tre ganasce: Molto e avidamente. Mangiara a scàscia pansa. Mangiare a crepapelle. Mangiara cu da testa nto saccu. Mangiare con la testa nel sacco: Spensieratamente. Mangiara 'e tàjju. Mangiare di tutto e comunque sia, come falce che recide quanto capita. Mangiara i zzicchi. Mangiare le zecche. - Dicesi per significare che non si è mangiato proprio nulla; forse per analogia coll'apparente azzannare che fa il cane per farsi passare il prurito provocato dalle zecche che lo pungono per succhiare il sangue. Mangiara medùdi 'e marvizzi. Mangiare cervella di tordi. - È detto per scherzare chi si vanta di mangiare cose raffinate, uniche, eccezionali. Nutrirsi di poco o nulla ma prelibato. Mangiara u cuattu. Mangiare il cotto. - Consumare quanto si è già prodotto; non fare nulla per produrre; vivere di quanto si ha. Mani, pizzica e paga! Stabiliamo la mano, indovina la carta giusta e paga! - Dicesi all'avversario, nel porgergli il mazzo di carte da "alzare", per stabilire chi deve distribuirle, quasi per scaramanzia. Maritata cull'articulu tridici. Sposata con (l'applicazione) dell'articolo tredici. - Dicesi di donna che convive con un uomo senza legale contratto matrimoniale ecclesiastico: Concubina, per la chiesa cattolica. Maritata 'ncannistrinu. Sposata in canestrino. - Dicesi di donna convivente con un uomo e che ebbe rapporti prematrimoniali. È detto come battuta ironica. In genere in un cestino si offrivano primizie e quanto altro era frutto prelibato e prezioso, perciò la donna che non portava il pregio della verginità veniva considerata di scarso pregio. Marti 'e lazàta. Martedì grasso (di carnevale). - Forse vuole significare il martedì in cui si mangiava la carne di maiale messa da parte «lazàta» il giorno in cui è stato ammazzato il maiale (cosa che avveniva solitamente qualche giorno prima di carnevale). Mascaruni 'e huntana. Mascherone di fontana. - Faccia da ebete, imbecille. Era il rimprovero a qualche bambino o ragazzo che aveva commesso qualche monelleria. Masùrati cu da menzacanna! Misurati con la mezzacanna! - Non sopravalutarti! La mezzacanna è l'unità di misura di lunghezza, di cm. 106, della tela tessuta al telaio a mano. 'Mbarcàra è lignati. Infeltrire la pelle di legnate. Vedi pure: Hara 'na manta 'e lignati. Mbecchiara i santi. Invecchiare i santi. - Spazientire, infastidire con continue assillanti richieste. Mbivira supa 'a sputazza. Bere sulla saliva. - Bere vino o alcolici a digiuno. Dicesi degli alcolizzati. Mentirà 'a brahujjàta. Stringere la gola colle mani: Soffocare, strozzare. Mentira(si) 'a cozétta russa. Mettersi la calza rossa. - Fare da intermediario in un matrimonio. Il personaggio infatti indossava calze rosse e non era molto gradito, perciò il detto va preso in tal senso. Mentira(si) addùnu. Mettersi accorto: Accorgersi. Mentirà 'a mani. Mettere la mano. - Dicesi quando i genitori devono firmare (mettere mano) un documento notarile perché i figli possano vendere la parte di proprietà loro spettante ma di cui non sono leggittimi proprietari per non avere avuto l'atto di donazione. Mentirà 'a mani nta bugia. Mettere la mano in tasca. - Decidersi a pagare. Mentirà 'a pansa a rizicu 'e vita. (Mettere la pancia a rischio di vita. - Dicesi in senso ironico per significare: Mangiare a sbafo. Mentirà 'a piedi do lupu. Indossare la pelle del lupo. - Prepararsi a prender botte in quantità. Mentira 'a stuppa vicinu u huócu. Mettere la stoppa vicino al fuoco. - Avvicinare persone o cose che possono produrre danni morali o materiali; commettere grave errore e/o imprudenza. Mentirà 'a testa 'm-partitu. Mettere la testa a buon partito. - Cominciare a ragionare in modo serio; mettersi sulla buona strada. Mentirà cu nu buonu piedi. Iniziare con un buon piede. - Avviarsi bene, con buone intenzioni. Mentirà gadi 'n-tavula. Mettere galli in tavola. - Far credere in qualcosa che difficilmente si potrà verificare; creare nuovi problemi in cui si finisce col credere. Equivale a quello italiano: Mettere grilli nel cervello. Mentirà sputàzza adu nasu. Mettere saliva sul naso. - Manifestare, dimostrare, superiorità per intelligenza e/o capacità. Mentirà u cuòcciu. Mettere in incubazione il seme dei bachi da seta. Mentirà u carru davanti i gue. Mettere il carro davanti ai buoi. - Fare le cose al contrario, in modo tale che non possano realizzarsi. Mentira u ma. Mettere il ma. - Trovare qualche manchevolezza su qualcuno o qualcosa; avere sempre da dire; ma... se...; essere insoddisfatti di qualsiasi situazione ma senza addurre una precisa ragione di tale atteggiamento. Minàra ad arràntì. Inoltrarsi in un posto sconosciuto, di cui non si è proprietari, per portare via qualcosa o per arrecare danno. È pure usato nel senso: Picchiare a casaccio, sia per specificare in qualsiasi parte del corpo di chi si picchia, sia per indicare che si picchia chiunque capita a tiro. Minàra ad uócchiu d'uórbu. Picchiare ad occhio di orbo, cioè come può farlo un cieco: Dovunque capita, a casaccio, senza riguardo per nessuno, neanche se innocente. Minora a levànti e Cojjira a ponienti. Mirare a levante e colpire a ponente. - Dicesi di chi, sparando, colpisce molto lontano dal bersaglio Minàra all'aria. Tirare all'aria. - Separare i chicchi del grano dalla paglia, sull'aia, tirando in aria l'insieme di paglia e chicchi, perché la separazione avvenga sfruttando ogni alito di vento. Minàra all'ièrbi virdi. Andare alle erbe verdi (sui monti). - Raggiungere altezze e posizioni inaspettate. Crescere in modo smisurato e inatteso. Minàra a muori-mamma. Picchiare (come) a far morire la mamma: Senza alcuna pietà, a più non posso. Minàra a spérra-cavadu. Picchiare a calci improvvisi, come quelli sferrati dal cavallo. Minàra a tenirà. Colpire per fermare. - Dare tante botte da ridurre in condizioni di non potere più scappare; fernare ad ogni costo. Minàra cu du piedi d'a cruci. Picchiare con il piede della croce: Con santa ragione. - È usato soprattutto per significare: Consumare, dilapidare, distruggere. Minàra duva néscia-para. Picchiare (in modo che) dove esce (il livido o rottura) apparirà (il colpo dato). Picchiare si duramente da lasciare il segno per ogni colpo. Minàra 'na botta adu circhiu e n'autra ada gutti. Dare un colpo al cerchio e un altro alla botte. - Dare ragione, vantare, associarsi, ora all'uno ora all'altro secondo la convenienza. Minàra (assettàra) nu cincu liri. Dare (assestare) un cinque lire. - Colpire con un ceffone, sonoro come era il cinque lire fatto d'argento. Minàra (sparare) tumbu. Mettersi in ebollizione, dell'acqua. Mi nda nuótu 'e tia! Mi meraviglio di tè!.. Si dice, con enorme sorpresa, a chi ha agito in modo contrario ad ogni aspettativa, ma in modo riprorevole. Mo arriva Rosanéda cull'acqua! Ora arriva Rosettina coll'acqua! - È detto con ironia a chi viene trovato a far nulla sul lavoro, come se stesse ad attendere che la dispensiera dell'acqua arrivasse. Si rammenta che durante la mietitura era appositamente pagata una donna per portare da bere, acqua o vino, ai mietitori. Móranu cchiù agniédi ca piécuri. Muoiono più agnelli che pecore. - Di solito, così risponde un anziano al giovane che esprime la propria meraviglia per la longevità dell'anziano. Mpaticàra l'ova. Calpestare le uova. - Camminare con attenzione e lentezza e precauzione, come se si dovesse passare sulle uova ma senza romperle. Mpestàra l'aria cattiva. Infettare l'aria maleodorante. - Emanare odore fortemente puzzolente; oppure: diffondere cattiva notizia. Mprenàtu 'e chistu e de chidu. Montato da questo e da quello. - Dicesi di si lascia convincere facilmente da chiunque. Mujjeréda mu ti cojja! Mogliettina che ti prenda! - Che tu possa provare a prendere moglie! Dicesi a chi conduce vita spensierata, un pò dissennata, e si ostina a menar vanto della propria libertà, per augurargli qualcosa di poco piacevole. Muórti a-ttia e saluti a-mmia! Morte a tè e salute a me! - Dicesi, per buon augurio, nell'atto di uccidere polli o altri animali domestici destinati alla mensa della propria famiglia. Muórtu nquidu. Ruffiano, magnaccio. Mussu 'e rizzùlu. Muso di orciolo. - L'orifizio da cui esce l'olio dell'orciolo è molto stretto rispetto alla dimensione del recipiente, perciò si definisce cosi chi è: Avaro, risparmiatore. Muzzicàra(si) i vùvita. Mordersi i gomiti. - Essere molto rabbiosi perché non si è riusciti in un tentativo al quale si era molto vicini, quasi a toccar con mano quanto si desiderava, come appunto avverrebbe se si tentasse di mordersi i gomiti. Muzzicàra 'mbacànti. Mordere a vuoto. - Rimanere insoddisfatti per un'azione non riuscita.

 

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DETTI MOTTI INVETTIVE - N

 

 

 

 

Na parola 'na petràcca Una parola una decisione. - Dicesi di chi ogni suo detto è come una sentenza di molto peso e valore. 'Ncazzolàtu do friddu. Intirizzito dal freddo. 'Nci dissa u surici: dùmani tiémpu ca ti cavu. Le disse il topo (alla noce): dammi tempo che ti bucherò. - È quanto si dice per far capire a qualcuno che lui sarà sistemato per le feste a tempo opportuno e in modo inatteso. 'Nci manca 'na tavuléda. Gli manca una tavoletta. - Dicesi di chi è un tipo dal comportamento alquanto strano, quasi da mattoide. Vedi pure: essara lascu 'e ciarviédu. 'Nci 'mpàccianu puru i pili. Gli danno fastidio pure i peli. - Dicesi di chi non sopporta neanche una piccolezza. 'Nci nda déttaru cchiù ad idu ca a Nàrdu nto catuóju. Gliene dettero più a lui che a Nardo in cantina. - Dicesi di chi ha ricevuto una notevole quantità di batoste. 'Nci nda dissa a lùstru 'e luna. Gliene dissi/e a luccicore di luna. - Cosi dicesi per significare che ha fatto rimproveri e/o offese oltre ogni misura. 'Nci porri cu du mieli e ti rispùnda cu du hiéli. Gli parli con il miele e ti risponde con il fiele. - Dicesi di persona alla quale pur parlando dolcemente risponde in modo bilioso. 'Nda màngianu cana e puórci. Ne mangiano cani e porci. - Dicesi di cose che si danno in abbondanza a tutti e indistintamente. Negàra puru a Cristu. Negare pure (davanti) a Cristo. - Dire il falso persino davanti alla croce di Cristo. Talvolta è pure usato nel senso: Rinnegare pure il Cristo. In tal caso chi agisce cosi è perché altrimenti subirebbe gravi punizioni. Nescira cu di sue. Uscire con i suoi. - Terminare, un gioco o affare o negoziato, col capitale, quindi senza guadagno e neppure perdita. Nescira culi'ossa sani (o rutti). Uscire colle ossa sane (o rotte). - Terminare un gioco o affare o negoziato, senza gravi danni (cull'ossa sani) o con gravi danni e perdite (ossa rutti). Nescira nudi e mindichi. Terminare nudi e mendichi. - Dicesi per significare che, alla fine di un avvenimento o annata agricola andati a male, si è rimasti senza più nulla, quasi nudi e mendichi. Vedi pure il detto successivo. Nescira póvari e pacci. Terminare poveri e pazzi. - Dicesi per significare che, alla fine di un avvenimento molto disastroso, si è rimasti poveri e pieni di disperazione. Nescira sutta 'a frùnda do càvulu (o sutta u paniculàru). Nascere sotto la foglia del cavolo (o sotto la pianta del mais). - Ignorare le cose più elementari della vita; essere quasi a livello di un vermiciattolo, di quei tipi che crescono appunto sotto la pianta del cavolo o del mais. 'Njuttira 'm-bacànti. Inghiottire a vuoto. - Dicesi quando svanisce la speranza di ottenere qualcosa di importante. 'Njuttira gruómula. Inghiottire bocconi duri. - È come dire in italiano: Ingoiare rospi. No cchiù pana e no cchiù casu. Ne più pane ne più formaggio. - Detto o fatto ciò, tutto è finito e non se ne parla più. Da ora in poi tutto è finito, non si ha più nulla da fare o da dire tra noi. 'Nsa-ccuom'è (o: nsa-ccom'è). Comunque sia. 'Nta casa sua potarissi passàra cu nu ciùcciu carricàtu 'e canni. In casa sua potresti  passare con un asino carico di canne. - Dicesi di chi ha la casa grande ma vuota. 'N-terra catta e rina pijjàu. In terra cadde e sabbia prese. - Dicesi di persona o cosa vista un attimo prima ma un istante dopo non si riesce più a trovarla, è perciò che vien detto: Come fosse scomparso nella sabbia; quasi volatilizzato.

 

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DETTI MOTTI INVETTIVE - O

 

 

 

 

O ada tajjóla mia o adu ccippiédu 'e Ciórda! (oppure: O 'e ccà o do ccippiédu 'e Ciòrda). O (passi) di qua o dalla trappola di Ciórda (nomignolo di bivongese). - Non hai scampo! O passi di qui e ti afferro, o dalla trappola di Ciórda e sarà peggio. Si dice o per minaccia o per far capire all'interlocutore: Se tu desideri far l'affare è solo con me che puoi farlo e subito perché altrimenti gli altri ti faranno subire perdite maggiori. Oh catinàzzu! Oh catenaccio! - Imprecazione prettamente femminile per dire, con dolce eufemismo, quello che invece dicono i maschi: oh cazzu!, come l'equivalente italiano di: Porca miseria! 'Oll'ava abbàcu! Ha voglia di perdere il tempo! Lascialo perdere! Non ha importanza! Lascialo fare! 'Om-bi! - 'Om-bi-ccà! - 'Om-bi-dà!  Non vedi! Non vedi qua! Non vedi là! - Sono tutti intercalari, usati per esprimere meraviglia, rincrescimento, compatimento, secondo i casi, per significare: Guarda un po' cosa è successo qua, o là! 'Om-bolira u hàvu. Non avere bisogno di fave (da masticare per aprire bocca). - Essere di buona parlantina. Non avere bisogno di stimoli per parlare. 'Om-bola nò u m'unchia e nò u scórcia. Non vuole ne gonfiare ne scuoiare. - Dicesi di chi non vuole collaborare in nessuna fase del lavoro che si sta facendo. Siccome nello scuoiare le capre era uso di gonfiarle prima, indi scuoiarle, per analogia a tale operazione, penso che il detto voglia proprio significare: Non desidera partecipare ne ai preparativi ne al lavoro definitivo. 'Om-bola u pana 'e setta Catarini puommu u parrà! Non abbisogna del pane di sette Caterine per parlare! - Dicesi di chi ha buona parlantina. Nel detto è implicita la credenza secondo cui per guarire la balbuzie bastava mangiare il pane fatto da sette donne di nome Caterina; eguale effetto si credeva di ottenere mangiando con posate lavate colla lavatura della madia. 'Om-para i tri maji. Non fare i tre maggio. - Non durare tre volte la ricorrenza di maggio cioè non durare tre anni. Dicesi a proposito di vino che ha vita breve. 'Om-pu' io!... 'Om-pu' io! Ca hù fràtuma cu Lio! Non fui io!... Non fui io! Perché fu mio fratello con Leo! - È quanto si dice, con tono canzonatorio ma accusatorio, a chi, piangendo, si discolpa dicendo: Non sono stato io!... mentre chi gli risponde sa che è una menzogna. 'On ava chimmu u piattina! Non ha che cosa pettinare! - Chi non ha null'altro da fare prende l'altrui lana a pettinare. Si dice di chi ha buontempo e tanta voglia di scherzare o sparlare. 'On avira mancu 'a cruci de' spàdi. Non avere neanche la croce delle spalle. - Essere privo di tutto. Non possedere neanche le sofferenze del portare la croce come il Cristo. 'On cacciàra mussu. Non togliere bocca. - Dicesi di chi continua a chiedere, o a prendere da solo, quanto gli è molto piaciuto, dopo che una prima volta l'ha ricevuto come offerta; dunque dell'approfittatore continuo di una favorevole occasione. 'On c'è nènta p'à gatta! Non c'è nulla per la gatta! - Dicesi a chi si autoinvita, o si presenta, ad un pranzo colla speranza di essere invitato, oppure nel caso in cui uno desidera partecipare a qualche buono affare di cui sente parlare e gli altri non hanno voglia di soddisfare la richiesta fatta. Tenendo conto che di solito la gatta che ha i micini ha sempre voglia di mangiare e perciò le va bene ogni rifiuto, la risposta appare molto espressiva per far capire che non si è disponibili a farlo partecipare neanche ai rifiuti, pur dicendolo, quasi sempre in tono scherzoso. 'On c'è nènta pa sutta u nasu! Non c'è nulla per sotto il naso (cioè la bocca)! - Non c'è nulla che tu possa mangiare! È di significato quasi simile al precedente ma meno grave. 'On ci tràsa 'a mundizza nta l'uócchiu! Non (sarà mai che) gli entri una pagliuzza nell'occhio! - Dicesi di chi ha l'occhio molto vigile, che sta attento a non ricevere alcun fastidio. 'On da cada 'e pitàzzu! Non (sarà mai che) ne manchi un pezzo (del carattere del genitore)! - Dicesi di chi ha ereditato appieno tutti i peggiori caratteri del/i genitore/i. È detto però con un senso di dispiacere. 'On da hùnda! Non ne gocciola! - Non si riesce a spillargliene neanche una goccia! È avaro! 'On dassa mancu u hùmu d'a candìla! Non lascia (agli altri) neanche il fumo della candela! - Dicesi di chi è molto avido e avaro. 'On da vola mancu cu da brocca (o cucchiarina)! Non ne vuole neanche con la forchetta (o cucchiaio)! - Dicesi di chi è talmente scarso di voglia di lavorare che non ne vuol sapere neanche di fare la fatica di prendere la forchetta o il cucchiaio per mangiare. Dicesi pure di chi si rifiuta di capire, pur dopo avere ricevuto molte spiegazioni, e, infine, di chi ha un handicap mnemonico. 'On ebba tiémpu mancu a muóru! Non ebbi tempo neanche di morire! - Dice chi vuole giustificare il mancato svolgimento di un impegno di lavoro o visita di cortesia o di promessa non mantenuta. 'On essara buonu mancu pa di cana. Non essere buono neppure per i cani. - Dicesi di ciò che è immangiabile. 'On hara pana. Non andare d'accordo con una persona, o famiglia, o ambiente sociale. - Non amalgamarsi con alcuno. 'On jira cu di cunti. Non andare con i conti (alla mano). - Non tenere conto di ciò che si da, o si riceve. Non fare il ragioniere; dare senza tornaconto. 'On mentirà jiditu all'acqua fridda. Non mettere dito in acqua fredda. - Vivere nell'ozio totale. 'On mi ruppira 'a divuziuóni! Non mi rompere la devozione! - Non stare a seccarmi! Lasciami in santa pace! Dicesi allo scocciatore, talvolta col significato sottinteso di tenore un po' volgare. O pa si o pa forza. O perché (dici di) si o per forza. - O colle buone maniere o colle cattive; a ogni costo; che tu voglia o no. 'On sapa mancu quantu para hànnu tri gue! Non sa neanche quante paia sono tre buoi! - Dicesi, con tono canzonatorio di chi si giudica un po'ignorante o tonto. 'On si buonu mancu pa-d'acitu' Non sei buono neanche per (essere conservato nel) l'aceto! - Si dice con tono confidenziale ma di scarsa considerazione. 'On si buonu mancu u n'attacchi i scarpi. Non sei capace neanche di legarmi le stringhe delle scarpe! - Dicesi a chi vorrebbe dimostrare di essere più capace di ogni altro e invece lo si stima un buono a nulla. 'On si pijja nò d'a testa e no d'a cuda. Non si prende ne dalla testa ne dalla coda - Dicesi di chi si vorrebbe intrappolare qualche modo e invece si comporta da astuto e sa guardarsi dai tranelli. 'On si nda vida 'e bena. Non se ne vede di bene. - Non ha mai un attimo di tregua; mai un pò di gioia o una volta che gli vada bene. 'On sugnu saccu chi ni divàcu! Non sono sacco che mi svuoto! - Così risponde chi è spronato a lavorare più svelto o invitato ad essere più conciso e breve nel parlare. 'On tajja mancu l'acqua! Non taglia neanche l'acqua! - Dicesi di qualsiasi lama, o sega, cui manca il filo del taglio. 'On ti nièji ca si! Disbrigati che si! (dopo ti accontenterò). Dicesi, con tono deciso, a chi prima di eseguire un ordine fa una richiesta. 'On ti ruppi l'anchi! Non ti rompi le gambe! - Dicesi, quasi con tono di rimprovero, a chi non desidera fare un piacere, recandosi in qualche posto, o lo fa ma con molta malavoglia e 1entezza. 'On ti scuórdi l'uovu adu huócu! Non ti dimentichi l'uovo al fuoco! - dicesi a chi è molto attento e puntuale per non perdere quanto gli è stato promesso. È molto evidente l'analogia, perché dimenticando di aver messo l'uovo al fuoco si rischia di perderlo, perché si brucia. On ti vola nò u cielu e nò a terra! Non ti vuole ne il cielo e ne la terra! - Dicesi, con impeto, a chi ha dato tanti fastidi ' e rogne da essere malvisto in cielo ed in terra, considerato che non è ancora morto; per cui la imprecazione vale: Quanto sarebbe meglio se tu fossi in cielo o sotterrato! 'On tocca timpi. Non tocca colline. - Se sparasse un colpo di fucile contro una collina non riuscirebbe a colpirla, tanto è incapace. Dicesi di chi non ha la più pallida idea di ciò che fa o intende fare, oppure che nel parlare non dimostra alcuna conoscenza di quello che dice. O sona 'a banda o si hèrma u santu. O suona la banda o si ferma il santo. - Frase tipica per far capire: O lavorate o vi facciamo lavorare. Ostinàtu cuómu a Pìssi. Ostinato come Fissi (Pissi è nomignolo). - Dicesi di chi, nonostante abbia subito gravi perdite per errori commessi, si ostina a rifarli.

 

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DETTI MOTTI INVETTIVE - P

 

 

 

 

Pad'attu apparenza. Per atto (di) apparenza. - Per pura formalità o convenienza. Pa dira 'a vièru. Per dire il vero; in verità. Pagàra a Pasqua 'e maju. Pagare a Pasqua di maggio, cioè mai, perché la Pasqua non ricorre mai nel mese di maggio. Pa 'na cazziglia 'e musca. Per una piccola fece di mosca. - Per nonnulla; per una piccolezza. Panza 'e hezza. Pancia di feccia. - Dicesi a/di chi ha la pancia molto grossa, simile a quella di una botte (da qui il riferimento alla feccia). Para 'a fràbbica 'e San Piètru. Sembra la costruzione (della chiesa) di San Pietro (in Roma). - Così dicesi di un lavoro che termina mai. Para ca 'a testa nci-'a hicia l'argagnàru! Sembra che la testa gliela fece il fabbricante di pignatte! - Dicesi di chi è giudicato testa di creta. Para ca l'ava sputatu. Sembra che glielo abbiano sputato. - Dicesi di chi è molto fortunato, quasi fosse stato benedetto con lo sputo sul sedere; azione che pare sia apportatrice di fortuna. Para ca mangiasti ricchiédi! Sembra che tu abbia mangiato «orecchiette» (funghi a forma di orecchio)! - Dicesi a chi finge di non sentire. Para ca nci arrivau 'a barca cu du ranu! Sembra che gli sia arrivata la barca con il grano! - Dicesi di chi è molto felice e contento. Qui c'è il richiamo ai tempi remoti, quando la popolazione veniva rifornita via mare di viveri ed era gran festa tal giorno perché arrivava di chi vivere. Para ca nci catta u bogàjju nto hàru. Sembra che gli sia caduto l'asino nel baratro. - Dicesi di chi ha subito una grave perdita che però dagli altri non è ritenuta irreparabile. Para ca nci hacisti i panni niètti a Cristu! Sembra che gli facesti la biancheria pulita a Cristo! - Si dice a chi ha tanta e tale fortuna negli affari da sembrare il lavandaio del Cristo e che questi lo avesse consigliato. Para ca nci moriu 'a gadina. Sembra che gli sia morta la gallina! - Dicesi di chi dimostra di non essere a lutto per la morte di un congiunto o parente molto stretto. Para ca nci muzzicàu 'a ninna ada mamma! Sembra che le abbia morsicato la mammella alla mamma! - Dicesi di chi è molto sfortunato nella vita o tale è ritenuto. Para ca nci scippau 'a barva adu Patratiérnu! Sembra che gli abbia tirato i peli della barba al Padreterno! - Lo dice con rabbia chi si ritiene perseguito dalla malasorte. Para ca nci tajjàsti i puórghi! Sembra che gli tagliasti i giovani gelsi! - Dicesi a chi è odiato a morte o molto malvisto, da qualcuno di cui si sta parlando e del quale si riferiscono, all'interlocutore, giudizi tali da giustificare l'odio o malvolenza. Para ca nci-u sputàu u monacu! Sembra che glielo abbia sputato (il sedere) il monaco! - Dicesi di chi possiede una fortuna strepitosa. (Vedi pure: para ca l'ava sputatu). Nel caso del monaco si ritiene che la fortuna sia la massima possibile. Para ca nci-u vidisti a màmmita! Sembra che tu glilelo abbia visto a tua madre! (è sottinteso l'organo genitale). - Dicesi a persona molto sorpresa e meravigliata, quasi scioccata o inebetita, per avere visto qualcosa di eccezionale e perciò è incapace di reazioni normali. Para ca ti 'mpastàru cu da sputàzza! Sembra che ti impastarono con la saliva! - Dicesi a chi cade per un nonnulla, oppure lamenta dolori non appena è toccato. Para ca ti pijjàu 'a musca! Sembra che ti abbia assalito la mosca! (cavallina o ippobosca, sotto l'effetto delle cui punture i bovini e gli equini vanno correndo come impazziti). - Dicesi a chi, appunto, si comporta nel modo anzidetto. Para ca vidisti i muórti! Sembra che vedesti i morti! - Dicesi a chi si comporta come fosse basito, impietrito, ebete. Pari nu picùni a 'na punti! Sembri un pico a una punta! - Siccome ogni pico possiede due parti, è ovvio che averne una sola è come dire che è mancante di un'altra, perciò: o è difettoso, o manca perché rotta. È con tali sottintesi che viene detta ad un uomo, e chi riceve la battuta, talora si offende. Pari nu stuócchi-e-jùngi, do husu schiuóppi ada canòcchia! Sembri uno "Stuócchi-e-jùngi", dal fuso salti alla conocchia! (Stuócchi-e-jùngi è una pianta, tipo ginestra, le cui foglie aghiformi possiedono dei nodi, come la canna, e in tali posti sono staccabili e possono poi riunirsi; da tale caratteristica prende il nome, che significa: stacca e unisci). Dopo quanto specificato sarà più chiaro il significato del detto, che è rivolto a chi unisce e ricollega il filo del discorso a suo piacere, saltando da un argomento all'altro. Pari surfaluóru pàcciu! Sembri un colpo di fuoco-pirotecnico impazzito! - Dicesi a chi è agitato ed esplode rabbiosamente in modo imprevedibile. Parràndu cu crijànza. Parlando con creanza. Parràra adi (nte) mani. Parlare alle (nelle) mani. - Dire qualcosa in bene, di lode, a/di chi sta compiendo una azione, oppure dell'azione stessa. Tale comportamento è ritenuto di cattivo auspicio per il verifìcarsi dell'evento o della azione che si sta compiendo. Parràra cuómu 'na tocca. Parlare come una battola: Continuamente e rapidamente. Parràra d'arriédi. Parlare di dietro. - Parlare alle spalle di qualcuno; sparlare o fare maldicenza. Parràra 'e traca. Parlare di traverso. - Usare un linguaggio non lineare, incomprensibile ai più; usare un gergo mafioso. Parràra 'e vui. Parlare (dando) del voi. - Se riferito a cose è per dire che sono di eccellente qualità; se a persona, con cui di norma si parla col tu, allora è trattarsi come se fossero estranei e quindi con una punta di rimprovero, anche se benevolo. Parràra 'ndiérnu. Parlare indarno. Parràra 'ngièrmiti. Parlare in gergo. - Esprimersi in linguaggio aulico, ricercato, e perciò incomprensibile. Parràra 'ntuózzu. Parlare secco, a muso duro, senza riguardo. Parràra quantu 'na pica 'e màrgiu. Parlare quanto una gazza in un prato incolto Vociando sempre. Pa senza miénu. Per nulla meno. - Senz'altro; senza dubbio. Passàra cu tuttu lu carru. Passare con tutto il carro. - Avere libero accesso per sé e per le sue bestie e godere di tutte le comodità disponibili presso la famiglia dove si è ospiti. Passàra 'e 'mbutu. Passare d'imbuto. - Mandare giù, ingerire. Talvolta è usato per dire in modo velato che un uomo ha fatto illecitamente l'amore con una donna. Passàra 'e sitàcciu. Passare di setaccio. - Dicesi quando una persona ha fatto man bassa di quanto gli è capitato; è pure usato per dire che un uomo si è servito, di una donna, a volontà, in rapporti sessuali. Passàra 'n-cavallerìa. Vedi: Pijjàra 'n-cavallerìa. Pa stu mundu e chidu. Per questo mondo e quello: Per sempre. - Dicesi alla fine di un augurio di gioia e felicità. Pa supa junta. Per giunta; in più. Perdira 'aniédi. Perdere gli anelli. - Dicesi di donna che perde prestigio sociale. Picu-picu. Col pensiero fisso sempre in un punto. Pijjàra 'a-bbuccàta. Prendere la discesa. - Iniziare il declino, tracollo, sfacelo ecc. Pijjàra ada lorda. Prendere alla sporca. - Combinare fattacci di ogni tipo; condurre una vita da scapestrato; comportarsi in modo insistente e sfacciato. Pijjàra a mali paruóli. Prendere a cattive parole. - Rimproverare duramente. Pijjàra 'a piedicùcchia. Saltare a più pari. - Scomparire velocemente per sempre. Pijjàra appriètti. Intrufolarsi nei fatti altrui; fare il ficcanaso.  Pijjàra 'a vacca de' buttùni. Prendere la vacca per i testicoli. - Prendere una enorme fregatura; avere una sgradita sorpresa. Pijjàra cu da parma adi mani. Prendere con la palma nelle mani. - Meritare degnamente lode, omaggio, apprezzamento. Pijjàra 'e calimita. Prendere di linfa. - Svilupparsi, nutrirsi, attecchire, iniziare a progredire. Pijjàra 'e pinna. Prendere di punta. - Impuntarsi; intestardirsi; fissarsi il raggiungimento di un fin ad ogni costo. Pijjàra 'e tajju. Prendere di taglio. - Prendere, arraffare, mangiare, qualunque cosa ti offrono o no. Pijjàra l'asu pa figura. Prendere l'asso per figura. - Confondere una cosa con un'altra ma di valore più basso. Pijjàra liciénzia. Prendere licenza: Accommiatarsi. Pijjàra 'na pica. Prendere una gazza. - Prendere una sbornia. L'analogia colla gazza deriva, dal fatto che colla sbornia, in genere, si vocia di continuo, appunto come fa la gazza. Pijjàra 'na scuóppula. Ricevere una solenne batosta, morale, fisica, economica ecc... da cui è difficile risollevarsi. Pijjàra 'n-calendàriu. Prendersela in calendario. - Ripetere una frase, o un concetto, più volte per mettere in ridicolo chi la disse. Pijjàra 'n-cavalleria. Prendere in cavalleria. - Considerare in modo superficiale; sottovalutare; lasciar correre; trascurare. Pijjàra o uórgiu o pajja. Prendere o orzo o paglia. - Dicesi a proposito di chi va per riscuotere un credito da un cattivo cliente e pensa che qualcosa, di tanto o poco, riuscirà a realizzare. Pijjàra pisca. Prendere pesca, pescare. - Indagare sulle origini di una maldicenza che circola in certi ambienti; appurare le origini; approfondire le indagini. Pijjàra terra pa ciciari. Prendere terra per ceci. - Allontanarsi molto senza lasciare alcuna traccia di sé; scomparire in fretta e alla chetichella; andare lontano in cerca di un posto di lavoro. Si ricorda che il maggese per i ceci dev'essere fatto molto profondo, quindi era facile interrarsi e scomparire; è forse per tale ragione che c'è il detto. Pijjàra scaravuójjì. Inventare scuse per sottrarsi ad un impegno di lavoro, affari, servizio. Pijjàra u culu pa fìssa. Prendere l'ano per vulva. - Offendere per comodità; trarre vantaggio da un equivoco. Pijjàtì ddui ca tri 'om-puónnu! Prendete (in) due perché (in) tre non possono! - Dicesi per prendere in giro persone che stanno sollevando qualcosa con fatica, e siccome i presenti li reputano deboli, pronunciano la frase per farglielo capire. Pijjàtu 'e l'acquazzina. Preso dalla brina. - Dicesi di chi è poco sviluppato, quasi fosse rimasto congelato. Pisciàra de' pili. Orinare dai peli. - Essere molto avaro, parsimonioso, parco nelle spese. Pisciàra nta bumbuléda. Orinare in recipiente di terracotta che possiede un piccolo foro attraverso cui può passare il liquido, la qualcosa è molto difficile e perciò il detto signfìca: rigare diritto, in tutti i sensi. Pisciàtu do Bombiniédu. Orinato dal Bambinello Gesù . - Dicesi a proposito di vino per far capire che esso è puro, vergine, non annacquato. Pistàra mussa-mussa. Pestare da muso a muso. - Dicesi quando si dispone di tale abbondanza di cose da mangiare da potersele sbattere sul muso dopo aver mangiato a sazietà; avere tanto da poterne buttare via. Pittura a-buólu d'ociédu.  Pitturare a volo d'uccello. - Pitturare un uccello anche intanto che vola. Dicesi di chi è capace di eseguire un difficile lavoro alla perfezione e anche rapidamente. Pittura l'ociédu adu vuólu. Pitturare l'uccello al volo. Vedi il detto precedente . Portàra l'acqua nto panàru. Portare l'acqua nel paniere. - Lavorare invano; fare un lavoro che solo i pazzi potrebbero pensare. Portàra u malucuóri. Portare il rancore, l'astio. Priéstu ed eja! Presto e disbrigati! - Dicesi per sollecitare il lavoro. Puórcu mindùtu! Maiale immondo! - Dicesi per rimprovero, con una punta di disprezzo. Puru i pùlici hanno 'a tussi! Pure le pulci hanno la tosse! - Dicesi a chi si vanta di capacità che gli altri non gli riconoscono, anzi lo considerano addirittura una pulce che tenterebbe di fare un rumore che non è capace.

 

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DETTI MOTTI INVETTIVE - Q

 

 

 

 

Quandu cachè e quandu piscè. Quando perchè (vuol far) la cacca e quando (per) la pipì. - Quando per uno e quando per un altro motivo... trovi sempre la scusa per sottrarti al dovere. Dicesi a chi trova sempre una scusa per non lavorare o per sottrarsi a qualche impegno. Quandu chiòva: 'a terra è amprata. Quando piove: la terra è distesa. - Dicesi per affermare qualcosa di ovvio, non sapendo dire altro, e poi anche per esprimere con rassegnazione il dispiacere che può eventualmente provocargli la pioggia. È come dire: Lascia che piova. Quando chiòva e no-m-pàcia hanghi. Quando piove e non fa fanghi. - È come dire: mai. Quando cicì e quandu cocó. Quando perché eri impegnato a chiamare la gallina (cicì) e quando perché dovevi prendere l'uovo (cocó). Ha uguale significato del detto: Quandu cachè e quandu piscè (a cui si rinvia). Quandu piscia 'a gadina.  Quando piscia la gallina. - È come dire: mai. Quandu s'arda 'a nivi. Quando si arde la neve. - È come dire: mai. Quantu campài u nda viju! Quando vissi per vederne! - Dicesi con un po' di amarezza o dispiacere oppure di piacere e compiacimento per significare: Quante cose mi capita di vedere nella vita! Quant'è bella 'a Madonna do ripuósu! Quanto è bella la Madonna del riposo! -Di solito si esclama quando si vede qualcuno a oziare. È una battuta contro la lazzaronite. Quantu è brutta 'a vista 'e l'uòcchi! Quanto è brutta la vista degli occhi! -Detto, scaramantico contro il malocchio, per significare: Se non avesse visto non avrebbe invidiato la bontà o l'abbondanza di ciò che ha visto. Quantu pa duómmu si dicia! Quanto perché (ciò) non si dica! - Vergognati che ciò possa dirsi di tè! È una vergogna che tu faccia (o abbia fatto) ciò, comportati bene!

 

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DETTI MOTTI INVETTIVE - R

 

 

 

 

Ragiunamiéntu 'e lana crapina. Ragionamento di lana caprina. - Così viene definito un discorso non pertinente o molto aggrovigliato, difficile da dipanare e da chiarire. Rahàra 'a rùgia. Trascinare la ruggine. - Subire pene, guai, punizioni, danni e beffe al posto di altri. Restàra all'urmu. Restare all'olmo. - Restare al palo, o da palo, cioè impalato a vedere gli altri che consumano (quanto si è messo il palio) al termine del gioco a carte chiamato "padrone e sotto". Per alcuni è motivo d'offesa il "restava all'urmu"; anzi, una cinquantina d'anni fa, ne nascevano liti che talvolta degeneravano conducendo a fatti di sangue. Restàra cud'allegrizza 'n-suónnu. Rimanere coll'allegrezza in sogno. Restàra cu du scuórnu. Rimanere con la vergogna: Arrossire, vergognarsi. Restàra cuómu u hinuócchiu 'e San Giuànni. Rimanere come il fìnocchio di San Giovanni: Appassito e solo. - Dicesi di persona anziana e senza famiglia. Restàra senza porciédu e senza cordiédu. Rimanere senza maiale e senza legaccio: Perdere tutto. - Se il maiale scappa, si può sperare di recuperarlo se si possiede almeno una corda per legarlo, ma se non si possiede neppure questa, allora è impossibile. Restau u gridu. È rimasto il grido. - Dicesi a proposito di fatti avvenuti con notevole ripercussione nella società per la loro strepitosità o tragedia o enormità e di cui si continua a parlare per diverso tempo con stupore e/o accoramento. Ridùttu cuómu Santu Giuóppu. Ridotto come Santo Gioppino. - Dicesi di persona dai piedi torti o che ha qualche menomazione agli arti inferiori. Rispundira ntuózzu. Rispondere seccamente e duramente. -Controbattere in modo netto e deciso. Vedi pure: parràra ntuózzu. Rumbàra cuómu 'a gùrna d'a coddàra. Rombare come la "gùrna d'a coddàra" (località. dove fu impiantata la centrale elettrica colla cooperazione dei bivongesi). Da ciò è facile arguire quali e quanti rumori derivano sia dai macchinari che dalla caduta dell'acqua. Ha uguale significato del detto seguente. Rumbàra cuómu u malu tiémpu. Rombare come il cattivo tempo. - Borbottare, brontolare, lamentarsi di continuo, come fosse un temporale continuo. Ruóspu 'e cannitu. Rospo di canneto. - Dicesi di chi sa approfittare delle buone occasioni senza esporsi (come fa un rospo nel canneto: sta in acqua e al fresco). Ruppira i sotizza cu di dinocchia. Rompere le salsicce con le ginocchia. -Vivere nell'abbondanza, tanto da poter spezzare le salsicce come fossero legna da ardere. Ruttu all'acqua e adu viéntu. Abituato all'acqua e al vento. - Dicesi di chi è vissuto in tutte le avversità.

 

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DETTI MOTTI INVETTIVE - S

 

 

 

 

S'affuca do dinuócchiu! Si affoga (stringendosi) dal ginocchio! -Dicesi di chi sembra voglia far sacrifici eroici ma che in realtà non ne fa alcuno, appunto come chi dice di volersi strangolare e per farlo si lega il cappio al ginocchio anziché al collo. Sant'anchi mie aiutàtimi! Sante anche mie aiutatemi (a scappare)! -E quanto dice (o si dice di) una persona, in un momento di imminente pericolo di vita, che pensa di potere evitare scappando il più rapidamente possibile, onde chiede aiuto alle sue sante gambe. Santu, riccu e-biécchiu! (Che tu sia) Santo, ricco e vecchio! - È l'augurio che si fa specialmente ai bambini dopo uno starnuto. Sanu, sarvu, e ruttu com'era. Sano, salvo e rotto come era. - Dicesi come battuta di spirito, nel restituire ciò che si è ricevuto in prestito; ma pure di persona che viene riaccompagnata ai genitori dopo averla tenuta in propria compagnia. Sapira cuóttu (o sapira paléda). Conoscere molto bene. Sapira cuóttu 'nta pignatéda. Conoscere (come un cibo) cotto in una piccola pignatta (che, come si sa, cuoce molto bene i cibi leguminosi). - Conoscere perfettamente, profondamente, a mena dito. Sarapozza u passa l'àngialu e mu dicia amménna Possa essere che passi l'angelo e dica amen (così sia)! - Dicesi quando si ascolta qualcuno affermare qualcosa che si ha piacere di saperla realizzata, sia che trattasi di evento buono e sia nel caso di disgrazia. Sarvu 'a hàcci 'e cu ni senta (oppure: sarvu 'a hàcci vostra). Salvo la faccia di chi mi/ci sente (oppure: salvo la faccia vostra). - Salvo, esclusi i presenti. Dicesi quando si vuole evitare che qualcuno dei presenti possa essersi offeso per le parole dette. Sarvu-sarvu ancora huju! Salvo-salvo ancora fuggo! - Sono scampato dal pericolo, talmente in fretta che ancora adesso sto correndo per allontanarmi il più possibile. È detto di chi è appena uscito indenne da un pericolo o da una perdita, in affari o al gioco, e, contento esclama: Meno male che ne sono uscito indenne! Sautara 'e ramu (palu) 'm-pràsca. Saltare da ramo (palo) in frasca. - Cambiare discorso, passare da un argomento all'altro. Ragionare in modo alquanto sconnesso. Sbrudàra i corna. Rompere le corna (sin dalla radice). - Produrre, o prodursi, un danno con gravi conseguenze; agire da ostinato come un ariete; fare una triste esperienza per cocciutaggine. Scàrrica e 'mbùtta. Scarica e metti al riparo. - Dicesi di un lavoro da farsi velocemente e senza soste intermedie; come scaricare la mercé dal mezzo di trasporto e sistemarla al posto dovuto. Schioppàra do husu ada canocchia.  Saltare dal fuso alla conocchia. - Passare da un argomento all'altro senza seguire un nesso logico nel discorso. (Vedi pure: Pari nu stuócchi-e-jungi...). Sciacqua Rosa e 'mbiva Agnesa. Sciacqua Rosa e bevi Agnese. - Dicesi a chi, o di chi, fa lo scialacquone, e talvolta anche in senso ironico. Scummojjàra sipùrchi. Scoperchiare sepolcri. - Riesumare vecchi rancori. Scuórnu d'a hàcci tua! Vergogna della tua faccia! - Dicesi, per rimprovero, a chi non è stato in grado di compiere un lavoro o un atto di gentilezza dovuto ma che non costava alcun sacrificio. Sentirà do culu cuómu i truóttì. Sentire dall'ano come le trote. - Dicesi quando qualcuno capisce male, e come giustifica adduce di non aver sentito bene la richiesta fattagli o il senso del discorso che si stava svolgendo. Sentirà (o: dira) 'na missa cantata (o: letta). Ascoltare (o: dire) una messa cantata (o: letta). - Dicesi per invitare ad andare in cantina a bere vino insieme ad altri. Se è per berne molti bicchieri si dice "missa cantata", se per bern pochi allora "missa letta". Servùtu cuómu u priévutì all'otàru. Servito come il prete all'altare. - Accontentato in tutto e col dovuto cerimoniale. Servùtu 'e barva e de capidi. Servito di barba e di capelli. - Servito in modo completo in tutto ciò che era necessario, o che è stato richiesto; talvolta però è detto con una punta d'ironia. Siéndu ca. Essendo che; considerato che. Si hermàu ada carna cuómu u cuórvu. Si fermò alla carne come il corvo. - Dicesi di chi è stato comandato a dare una informazione e di ritornare subito colla risposta e invece ritorna dopo molto tempo. Si hicia acqua. Si fece acqua. - Si è liquefatto. Dicesi di chi al rimprovero ha reagito con scuse, è diventato più dolce, ragionevole e trattabile. Siminàra a terra màrgia. Seminare su terra non arata. - Fare un lavoro che non rende. Si si-nda vacia ni hiérmu, si si herma mi nda vàju. Se se ne va mi fermo, se si ferma me ne vado. - Così sentenziava chi, versato in un bicchiere il vino che voleva comprare, voleva far capire al venditore che: Se la schiuma del vino versato nel bicchiere si dissolveva subito allora lui si sarebbe fermato a comprare il vino, perché il vino era buono; se invece la schiuma stentava a dissolversi, allora lui se ne sarebbe andato, perché il vino non era di buona qualità. Sissignóri e nossignóri hórmanu ddu' signori. Sissignore e nossignore costituiscono due signori. - È quanto si diceva a chi parlava usando le parole "si signore" e "no signore", per prenderlo in giro, dato che desiderava usare espressioni auliche fra gente che usava dire in, dialetto, le forme: "si cumpàra" o "no cumpàra", rivolgendosi ad un uomo, e: "si cummàra" o "no cummàra", rivolgendosi a una donna; il tutto se l'interlocutore era persona comune; se invece era di molto rispetto ed importanza, allora era norma rivolgersi col "don" o "donna" seguiti dal nome. Si t'abbrùscia miénti pipi! Se ti brucia metti pepe! (è sempre sottinteso: nell'ano). Chi esprime il proprio dispiacere per un'azione ben riuscita a chi sta raccontando l'accaduto, si sente quasi sempre rispondere con frase del tipo suddetto. Si t'abbrùscia nda paghi 'nu litru! Se ti brucia ne paghi un litro (di vino)! - La risposta è data col significato del detto precedente. Si vena (o :si-bbéna) 'e Dio! Se viene da (la volontà) di Dio! - Dicesi, quasi per scaramanzia, per augurarsi che quanto si desidera possa realizzarsi. Smaladitti i hijjuóli e cu' i vola! Stramaledetti i figli e chi li vuole - Dicesi in un eccesso d'ira e sdegno contro bambini o ragazzi, ma anche ai propri figli adulti, quando hanno commesso delle gravi offese o danni a chi pronuncia l'invettiva. Spaccàra 'n-gùla. Spaccare in gola. - Sentirsi spaccare la go la dall'ardente desiderio di mangiare o assaggiare una cosa che sta sotto gli occhi ma non viene offerta. Sparara a calia Sparare (come) la calia. - Si chiama "calìa" il cece scaldato in acqua e poi cotto in padella piena di sabbia e messa su fuoco vivace. Ogni tanto qualche cece scoppia mandando in aria un po' di sabbia infocata. Tenuto conto di tutto ciò, il detto significa: Raccontare fatti, avvenimenti, avventure di scarso valore, esagerandole notevolmente, come il voler fare apparire lo scoppio di un cece per quello di una bomba. Sparàra ad acitu. Sparare ad aceto. - Diventare aceto, andare in fumo, perdere le speranze. Dicesi a proposito di chi, o cosa, in cui si riponeva buona speranza per ottenere qualche buon risultato di progresso, sociale o economico ecc..., e invece  non si è realizzato affatto.) Sparàra a tajjóla (chiàncula) cu da cuda. Far scattare la trappola con la coda. - Usare l'astuzia per ottenere una cosa proibita e senza subire danni (come fanno talvolta topi e volpi per sottrarre l'esca dalla trappola). Vedi pure: Jocàra e cuda. Sparàra tùmbu. Vedi: Minàra tùmbu. Spartirà cuómu i panni e Cristu. Spartire come i panni di Cristo: con ressa, per poterne avere un pezzo. - Dicesi a proposito di vendite di cose buone e a buon prezzo. Spojjàra nu Crucihissu. Spogliare un crocefisso. - Portare via qualcosa a un "povero cristo". Spojjàra nu sipùrcu (Crucihissu) puómmu u si 'nda vesta 'n'àutru. Spogliare un sepolcro (crocefisso) per vestirne un altro. - Portare via qualcosa a chi ha molto poco per darlo a un altro che sta molto peggio. Stara adi rispiétti e l'autri. Stare ai rispetti degli altri. - Trovarsi nelle condizioni di chi attende che gli altri si ricordino dei suoi bisogni e si degnino di beneficarlo. Dipendere dalle altrui grazie. Stara cu ddu' piedi 'nta nu stivali. Stare con due piedi in uno stivale. - Trovarsi in una situazione molto difficile, impossibile, pessima; essere costretto da grave necessità a fare un sacrificio enorme. Stara cuómu 'a muórti supa u molàtu. Stare come la morte sull'ammalato: In agguato, pronta a carpire. - Dicesi di chi ti sta sempre vicino per ottenere qualcosa. Stara cuómu i sardi 'ncugnettàti. Stare (pressati) come le sarde salate. - Dicesi quando ci si trova in locali affollatissimi. Stara cuómu n'attàccia. Stare come un chiodo, dalla testa rigata o no, per le scarpe di campagna, il quale viene fissato alla suola in modo tale da stare ben fermo e ben ordinato cogli altri. Da ciò ha origine il significato del detto, che di norma è riferito ad indumenti: Stare addosso in modo perfetto e ben confezionato. Stara cuómu 'n-ociédu supa 'na rama. Stare come un uccello su un ramo: Tentennante e pronto a volare. - Dicesi di chi è molto titubante nel decidere in modo definitivo, sia negli affari che nella vita ordinaria. Stara cuómu nu pinniédu. Stare come un pennello. - Dicesi di qualsiasi confezione indossata ma che risulta eseguita a regola d'arte, quasi come una pennellata d'autore. Stara cuómu nu pùlici 'nta stuppa. Stare come una pulce nella stoppa. - Dicesi quando si è in difficoltà a trovare una via d'uscita, di scampo da situazione troppo ingarbugliata. Stasira ti scuràu cuomui a Pitirri. Satsera stai ritornando dal lavoro col buio, come succedeva a Pitirri. - Pitirri è nomignolo di un bivongese che aveva l'abitudine di recarsi in campagna a giorno già fatto e di rientrare a sera tardi, dopo il tramonto, anziché partire presto e rientrare sul fare della sera, come facevano gli altri contadini. Veniva detto quasi come bonario rimprovero per non essersi alzato di buon mattino. Stràscina-haciéndulu. Trascina faccende. - Dicesi a/di chi è inconcludente o incapace in tutto, ma si da l'aria di essere il contrario. Stricàra i tuli. Massaggiare con forza su parti del corpo, provocando forti dolori nella speranza di guarire un male. - I tuli erano le tonsille infiammate, per guarire le quali si procedeva al massaggio, col pollice unto di olio caldo, sul dorso della mano corrispondente al lato della tonsilla gonfia. Talvolta è detto con sottinteso qualcosa di molto diverso in riferimento ai testicoli. Strudira i scalùni. Consumare i gradini (di casa). - Frequentare assiduamente la casa degli altri. Stu-mprima. Qualche tempo prima; tempo fa; tempo addietro. Sulu, cuómu Landra 'e Cùgnu. Solo, come Leandro di Cùgnu. - Cùgnu è nomignolo di bivongese. Dicesi di persona sola e abbandonata da tutti, come si dice che visse appunto Leandro della famiglia "Cùgnu". Sulu, cuómu u cuccù. Solo, come il bacucco. - Dicesi di chi vive da solo e non ama la compagnia. Sùnnu cchiù i gridati ca i lignati. Sono più le grida che le botte. - Dicesi di chi si lamenta enormemente per piccoli danni subiti. Sùnnu cchiù i vuci ca i nuci. Sono più le voci che le noci. - Sono più le apparenze che le realtà. Dicesi a proposito di notizie diffuse in modo esagerato, gonfiando i fatti; come dire: Tanto fumo e poco arrosto.

 

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DETTI MOTTI INVETTIVE - T

 

 

 

 

 

Tantu luntanu u vai ca i littàri t'arrivanu arrugiàtì! (Che tu possa) Tanto lontano andare che le lettere ti giungano arrugginite! - È la risposta che qualcuno da a persona cara che minaccia di andarsene lontano. Te-ccà... tè! Tu cane, vieni qui! - Voce onomatopeica colla quale si usa chiamare il cane. Esiste pure la voce contraria, che è: Passi-ccà! Va via, cane! Te-cci-té! Tu capra, vieni qui!... - Voce onomatopeica con cui si usa chiamare una o più capre. Esiste anche la voce contraria, che è: Zzo-ccaré!Via, capra! Tè hatiga!.. tee! Viene lavoro! vieni! - Voglia di lavorare vienimi! - Dicesi per prendere in giro chi sta lavorando, poco e malvolentieri, colla fiacca addosso. Tenami ca càju. Vedi: Essara tenami ca càju. Tenira adu culu. Tenere al sedere. - Tenere in scarsa o in nessuna considerazione; considerare di secondaria importanza; tenere nel dimenticatoio, dietro le spalle. Tenira(si) 'e l'àutu. Tenersi dall'alto. - Sentirsi persona altolocata; avere la boria; darsi le arie. Tenira 'nchiénchi. Tenere contento e gabbato. - Illudere piacevolmente. Tenira pa burdùni. Tenere per bordone. - Tenere per compagnia e/o per eventuale aiuto in caso di azioni poco pulite e/o manesche. Testa d'aschiédu! Testa dura come un pezzo di legno nodoso! - Dicesi a chi" è testardo e/o non ubbidisce, per rimproverarlo. Ti canùsciu piraréda. Ti conosco piccolo pero. - Dicesi a chi, o di chi, si vuole far capire che si conoscono molto bene le sue origini e/o anche per significare che si sa distinguere l'apparenza dalla sostanza. Tiémpu tue! Tempo tuo! - Hai buon tempo tu! Così dicesi per prendere in giro qualcuno degli amici. Ti mangiarìa 'a corata! Ti mangerei il polmone! - È detto con ira e rabbia, quasi sul punto di azzuffarsi. Ti pijja 'a mala vrànca! Ti prende la cattiva mano! - Dicevasi per far spaventare i bambini, facendo loro vedere su un muro l'ombra di una mano messa davanti al lume, o alla candela, e muovendo nel contempo mano e dita che proiettavano un'ombra a forma di testa d'animale colla bocca aperta. Tiràra (hara) 'a vita. Tirare (fare) la vita. - Condurre la vita da prostituta o da persona di malcostume. Tiràra i stringhi. Tirare le stringhe. - Tirare le cuoia; morire. Tiràra 'na stringha.  Fare un pisolino. Ti salutu piedi de hicu! Ti saluto pianta di fico! - Dicesi per significare che non si ha più nulla da fare o da spartire o da dire, con qualcuno o con qualcosa. Toccàra u ddò. Toccare il do. - Toccare qualcuno sul punto debole, perciò è attesa sempre una reazione ed è appunto per tale ragione che si dice che si tocca il do, ciò la nota per l'avvio. Tornara a ddò. Ritornare a do (nota musicale). - Tornare da capo, ripetere. Tra hùttara e stadàggiu niésciu a paru cu da viaggiu. Tra spese pazze e di sostentamento spendo tanto quanto incasso dal viaggio. - Dicesi per significare che, al termine del lavoro fatto, le spese hanno assorbito quanto ha incassato. Tremara cuómu 'na canna (frùnda). Tremare come una canna (foglia). - Così dicesi quando si ha tremenda paura. Trovàra 'a hurma giusta pa idu. Trovare la forma giusta per lui. - Incontrare chi gli può dare filo da torcere e/o lo sappia mettere a posto. Trovàra 'na minna. Trovare una mammella. - Trovare una fonte di vita e/o sostentamento. Trovàra pisca. Trovare pesca. - Trovare la vera fonte, l'origine, il bandolo della matassa. Vedi pure: pijjàra pisca. Tu 'on dubitàra! Tu non dubitare (perché un giorno o l'altro arriverà il tuo turno per fare i conti anche con tè). Dicesi sempre con tono minaccioso a chi si crede abbia delle colpe da pagare. Tuorcicuódu cuómu i gadini u ti pijja! Torcicollo come ai polli ti venga.

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DETTI MOTTI INVETTIVE - U

 

 

 

 

U hórta u m'è. L'importante è che ci sia. Uócchiu 'e scarpàru! Occhio di calzolaio! - Dicesi a chi fa una stima molto grossolana. Uòcchi si e làgrimi duva. Occhi si (ci sono) ma le lacrime dove (sono?). - Dicesi di persona o cosa di scarso valore e/o capacità, senza succo. U piénsu e u dicu, sinnó schiàttu do vidicu. Lo penso e lo dico, altrimenti scoppio dall'ombelico. - Così dice chi vuole giustificare la sua franchezza nell'agire o nel palare. U rré 'e l'acquazzina. Il re della rugiada. - Cosi è definito chi si ammala facilmente. U Signùri sapa chidu chi facia! Il Signore sa quello che fa! - Ti sta bene così! È ciò che ti meriti! - Dicesi quasi sempre a consolazione di chi parla per avere visto o appurato di un avvenimento sfavorevole alla persona che ascolta. U Signùri u t'aiuta, ogni passu 'na caduta! Che il Signore t'aiuti, ogni passo (sia) una caduta! - È detto in tono scherzoso a persona amica. U trovasti u chiuóvu duva u 'mpièndi 'a luméra! Lo trovasti il chiodo dove appendere il lume (ad olio)! - Dicesi in senso ironico per far capire, a chi si è rivolto per chiedere un piacere, che non si è in grado di poterlo accontentare anche se è stato considerato in grado di poterlo fare. U voliti a Santu Ruóccu?  (o altro nome di santo)? Oppure: 'A voliti 'a Madonna? Lo volete a San Rocco? Oppure: La volete la Madonna? - È così che la questuante, per devozione a S. Rocco o alla Madonna, si rivolge per chiedere l'offerta, in danaro o in prodotti della campagna, o sia bozzolo e stoppa.

 

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DETTI MOTTI INVETTIVE - V

 

 

 

 

Va caca 'a pajja! Va a defecar sulla paglia! - Dicesi a chi si vuol dare del somaro. Va camina, va! Va, appója! Va a camminare, vai via di corsa! - Dicesi a persona che afferma cose poco serie o inconcludenti, per fargli capire di smettere o di andarsene. Valira nu buttùni 'e zona. Valere quanto un bottone di latta, cioè poco o nulla. Va, niesci 'e duócu! Va, esci di li! - Fuori dai piedi! Via, non dire scemenze! Va pijjalu duva u pijjàu 'a Libbràra! Vai a prenderlo dove l'ha preso la Libbràra. - È frase volgare, con cui si vuol dire: Vai a farti inculare! - Libbràra è nomignolo. Va-vidi chi... Stai a vedere che... Chi lo sa cosa... Venimuninda ca... Veniamocene che... Ne consegue che... In conclusione... Venira 'a curdiàna. Ricevere la condanna, sventura, sconfitta, ordine di pagare una forte somma. Venira 'e Dio. Venire (la volontà) di Dio. - Essere giunta l'ora decisiva per il verificarsi di un evento. Il destino ha deciso così. Venira 'mpàru. Venire comodo. - Trovare comodo l'eseguire una azione o lavoro in un certo modo. Venira u giàlinu adu cuori (stómacu). Venire il giallo al cuore (stomaco). - Sentirsi venir meno dalla paura; diventare giallo per lo spavento. Vestirà 'e cibis. Vestire in modo elegante, o col tàit. Vestùtu cuómu 'a rigina e scàuzu cuómu 'a gadina. Vestito come la regina e scalzo come la gallina. - Dicesi di chi indossa vestiario fine ed elegante ma ha le scarpe rotte, o è scalzo. Vestùtu cuómu 'Mbrambtalléra. Vestito come 'Mbrambtalléra (personaggio noto per il suo abbigliamento fatto di brandelli ornamentali variopinti e ridicolo tipo Pulcinella). Vestùtu 'e Frabillicchi. Vestito da frate Billicchi. - Dicesi di chi è vestito in malo modo, sporco, sgualcito, misero. Vestùtu 'n-cannistrinu. Vestito (come se dovesse essere esposto) in canestrino. - Dicesi di chi è vestito accuratamente, in modo impeccabile, come un figurino. Vidiéndu haciéndu. Vedendo (mi rendo conto di ciò che andrò) facendo. - Secondo la circostanza mi regolo sul da farsi. Vidira a Dio sdegnàtu. Vedere il Dio irato. - Dicesi a chi sta provocando al punto tale che, se ancora continua così deve aspettarsi di ricevere un trattamento da Dio irato. Vidira 'a muórti cull'uócchi. Vedere la morte cogli occhi. - Scampare da grave pericolo di vita. Vidira quala hùrnu huma. Vedere quale forno fuma. - Interessarsi degli affari di casa altrui. Viégnu do muórtu e dici ch'é vivu! Vengo dal morto e dicii che è vivo! -Vengo ora dal funerale e tu dici che la persona vive! - Dicesi per dissentire, in quanto si hanno le prove tangibili del contrario di quanto si sta affermando nel discorso in atto. Vincira u puntu. Vincere il punto. - Raggiungere lo scopo. Volira 'a casa sdarrupàta. Volere la casa diroccata. - Desiderare la rovina della famiglia. Volira stu mundu e chidu. Volere questo mondo e quello, cioè il possibile e l'impossibile. Vorria u ni hacia cridira ca u ciùcciu canta all'òrganu. Vorrebbe farmi credere che l'asino canta (seguendo la musica) all'organo. - Dicesi a proposito di chi vuole far credere cose impossibili. Votàra pàmpina (bandèra). Voltare foglia (bandiera). - Mutare opinione seguendo la convenienza; fare la banderuola. Votàra u culu all'otàru. Voltare il sedere all'altare. - È sinonimo di sposarsi. Dicesi a volte nella frase: E mamò nci-u vuoti u culu all'otàru! E giammai ti sposerai! Votàra u culu 'm-pàcci. Voltare il sedere in faccia. - Girare le spalle a qualcuno. Viene anche detto per specificare che nell'atto di bere un bicchiere di vino, o d'altro liquido, sino all'ultima goccia, si rivolge il fondo del bicchiere verso chi è di fronte; in tal caso viene detto come,battuta di spirito.

 

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DETTI MOTTI INVETTIVE - Z

 

 

 

 

Zzà l'agràncu! Zac il granchio! - Viene detto per specificare un'azione imprevista e rapida ma aggressiva da parte di chi si ritiene innocuo, come appunto fa il granchio colle sue chele quando è preso in mano. Zzappatùri chi zzàppi sa vigna, zzàppala bona e càccia 'a gramìgna! Zappatore che zappi codesta vigna, zappala bene e togli la gramigna! - Dicesi a ohi sta zappando e lo si vuole prendere in giro, sfottendolo.

 

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PROVERBI. Affari - Proprietà - Denaro - Interessi - Risparmio

 

 

 

 

A da héra, o ni hiéri o ti hiéru. In fiera, o mi ferisci o ti ferisco. - Negli affari fatti in fiera, uno perde e l'altro guadagna, perché la compravendita non è mai equa. Ada luci d'a candila, 'on guardàra nó fimmana e no tila. Alla luce della candela non valutare ne femmina ne tela, per non avere poi da recriminare o pentirti dell'errore di giudizio del momento. Addùva cacci e no' miénti resta vùrza vacanti. Laddove togli e non metti resta borsa vuota. - Spendere si, ma poi occorre anche risparmiare. Addùva ne'è piaciri ne'è perdenza. Laddove c'è piacere c'è perdita. - Ogni piacere ha un costo molto elevato. A du caru cùmpra, adu mercàtu pensa. Al caro (prezzo) compra, al mercato pensaci. - Compra se il prezzo è alto, ma se la merce è a buon mercato pensaci prima di comprarla. Affara 'e Cuzzupì: accatta a quattru e vinda a tri. Affari di Cuzzupì (personaggio simbolico): compra a quattro e vende a tre. - In affari non si deve mai vendere sottocosto, ma se ciò avviene allora l'affare viene definito come sopra. 'A rróbba bona hina ada pezza u vinu buonu hina ada hezza. La stoffa buona (lo è) sino alla pezza, il vino buono (lo è) sino alla feccia. 'Arróbba criscia s'è sudata. La proprietà rende se è lavorata. 'Arróbba 'on'èsta 'e cui 'a hacia ma 'e cui sapa u s'à goda. I prodotti della terra non sono di chi li produce ma di chi sa goderseli. Arróbba quantu nda vidi, casa quantu u stai. Terreni (acquistane) quanti ne vedi, casa quanto per abitare (perché i terreni fruttano e la casa no. È in tal senso che occorre considerare il proverbio). 'A rróbba ripezzàta dura cchiù d'a a nova. Gli indumenti rammendati durano più dei nuovi (perché il rammendo si può farlo sempre ma mantenere l'indumento sempre nuovo è difficile). 'Arróbba si dassa e non si duna. La proprietà si lascia e non si dona (prima di morire). - Vedi pure: Cu' dassa 'arrobba prima ca u mora vola pijjàta 'a testa cu da mazzola. 'Arróbba si nda vacia cu du patrùni. La proprietà se ne va col padrone. - Quando il proprietario muore la proprietà si distrugge. A suòrdu a suórdu si cójja 'a lira. A soldo a soldo si raccoglie la lira. - Con piccoli risparmi si accumulano ricchezze. Si ricorda che il soldo è un ventesimo di lira e si è coniato sino a prima del 1948. Campa ca vidi, sparagna ca truóvi. Vivi che vedrai, risparmia che troverai. Cangiàra 'a cuda cui l'uòcchi. Scambiare la coda cogli occhi. - Fare un pessimo scambio in affari. A proposito si ricorda quanto si dice dell'orbettino: Ha ceduto gli occhi per avere un pezzette di coda. Carta canta 'n-cannuólu.  Carta canta (chiusa) in càlamo.- Solo il documento ben conservato dentro un passo di canna dice la realtà su ciò che è tuo o no, esso è l'unico di cui ti devi fidare; delle parole mai. Casa hatta e stàbili perdùtu. (Compra) Casa fatta e podere abbandonato (perché costano meno). Castagni e-nnuci, duva càdanu hannu 'a cruci. Castagne e noci, dove cadono fanno la croce. - Proprietario di castagne e noci è quello della terra dove cadono tali frutti e non il proprietario delle piante. Chianta pirùni ca divianti baruni. Pianta bastoncini di legno (cioè piantine) che diventerai barone (cioè ricco). - Ogni pianta produce sempre qualcosa perciò piantane più che puoi, se vuoi diventare ricco. Chidu chi dàssi u pierdi (oppure: ogni dassàta è perduta). Quello che lasci lo perdi (o: ogni cosa lasciata è perduta). Cosa hatta, capu ha. Cosa fatta, ha una origine. - Ogni lavoro, o azione, ha una motivazione. Cu' aggiusta, guasta. Chi aggiusta, guasta. - Nel sistemare qualcuno si danneggia sempre qualche altro. Cu' ava 'a podagra, ava suórdi assai. Chi ha la pellagra, ha soldi assai (perché si presume li abbia rispiarmati non mangiando prodotti che costano cari. (La pellagra, infatti, veniva come conseguenza di carenza vitaminica a coloro che si nutrivano principalmente di granturco, che i bivon-gesi producevano in abbondanza). Cu' ava diébita ava criéditu. Chi ha debiti ha credito (perché altrimenti non gli avrebbero concesso prestiti). Cu' ava dinari assai, ava u mangia 'a notta. Chi ha denari assai, deve mangiare la notte (sia per non essere notato del lusso e abbondanza in cui vive, sia nel senso che dovrebbe mangiare anche la notte per potere consumare parte dei beni prima di morire). Cu' ava dinari perda dinari, cu' ava livàri perda livàri. Chi ha denari perde denari, chi ha olivi perde olivi. - Ognuno perde di ciò che possiede chi non ha nulla non perde. Cu' ava 'mpiéghi (o: bisuógnu) ava u m'attizza u huócu. Chi ha impegni(o: bisogno) deve attizzare il suoco. - Chi ha interesse deve preoccuparsi di ravvivare la richiesta in chi spera di ottenere il beneficio. Cu' ava suórdi assai s'i 'mposéssa u diàvulu. Chi ha soldi assai se li impossessa il diavolo. - Si crede che i soldi di chi ne ha troppi vengano incamerati dal diavolo e che quando il proprietario ne desidera far uso è il diavolo che glielo impedisce, per cui quei soldi sono destinati ad aumentare e si spiega così la ragione per cui chi è ricco diventa sempre più ricco. Cu cui s'ava a chi farà s'ava a chi dira. Con chi si ha che fare si ha a che dire. -Con chi hai rapporti di affari hai pure discordie. Cu' dàssa 'arróbba prima ca u mora vola pijjàtta 'a testa cu da mazzola. Chi lascia la proprietà (agli eredi) prima di morire vuole presa la testa con la mazzuola. - Chi lascia la proprietà agli eredi prima di morire si meriterebbe una mazzata in testa per evitare di vedere le tristi conseguenze impreviste. Cu dinari si hannu navi. Con denari si fanno navi. - Coi soldi possono realizzarsi grandi cose. Cu du lapìci su' danni e no' benehici. Con il libeccio ci sono danni e non benefici (perché dove passa, colle sue raffiche violente, lascia spesso danni irreparabili nella campagna). Cu' fràbbica a terra strana perda 'a càuci 'a pètra ed 'a rina. Chi edifica su terra estranea, perde la calce la pietra e la sabbia. - Chi edifica su suolo altrui perde tutto. Cu' jetta i suórdi a mala via, 'on'e guardàtu mancu de' piétri d'a via. Chi getta i soldi sulla cattiva strada non è guardato neanche dai sassi della strada. - Chi sciupa o dilapida i soldi, è malvisto da tutti. Cu' 'mbrójja e sciójja 'om-pérda tiémpu mai. Chi imbroglia e scioglie non perde tempo mai. - Chi fa e disfa ha sempre qualcosa da fare, impegnando così il tempo. Cu' 'mbrójja, rèsta 'mbrojjàtu. Chi imbroglia, rimane imbrogliato. Cu 'na ricòtta làpari 'na porta, cu nu ricottùni làpari nu portoni cu nu crapièttu làpari nu pièttu. Con una ricotta apri una porta, con un ri cottone apri un portone, con un capretto apri un petto (cuore). Cunti adu spissu, amicizia a luóngu. Conti frequenti, amicizia a lungo. - In affari, tanto più frequenti sono i conti e i pagamenti, tanto più a lungo dura l'amicizia. Vedi pure: I cunti a luóngu, si bannu serpiéntì. Cuómu t'aggiusti, ti mingriji. Come t'aggiusti, ti azzuffi. - Non appena discuti sul prezzo inizi a litigare. Cu' 'on cunta u suórdu, 'om-bàla nu suordu. Chi non apprezza il soldo, non vale un soldo. - Chi non apprezza il denaro vale poco. Cu' 'on rispùnda a prima vuoi vordira ca u discùrsu non ci piaci.  Chi non risponde a prima voce (subito) si-gnifca che il discorso (sull'affare) non gli piace. Cu' 'on tena cuntu do puócu, mancu d'assai. Chi non tiene conto del poco, neppure dell'assai. - Chi è abituato a sciupare e sperperare lo fa con qualsiasi entità. Cu' paga 'a sira, è francu 'a matina. Chi paga la sera, è franco la mattina. - Chi paga subito non ha obblighi dopo. Cu' paga avanti, mangia pisci hatiénti. Chi paga anticipato, mangia pesci puzzolenti. - Chi paga in anticipo fa cattivi affari. Cu' puocu ava, caru tena. Chi poco ha, caro tiene. Cu' si ripènta, si càccia i pàjura. Chi si pente si sciolga dai legami del gioco. - In affari, chi si pente, deve poi liberarsi da solo dai vincoli del contratto (ritenuto un giogo) senza cercare aiuto, ma paghi le conseguenze da solo. Cu' si scorda i piedi 'e hora, addio mariolo (o: nci tàjjanu). Chi si dimentica i piedi di fuori, addio mariuolo (o: glieli tagliano). - Chi si espone al rischio si trova senza più nulla a sua insaputa. Cu' spàrta e non tena malanóva mu nci vena.  Chi spartisce e non tiene (per se), cattiva sorte lo colga. D'a simàna chi non pijju, 'on tiégnu cuntu. Della settimana in cui non incasso, non tengo conto. - Chi non mi da non lo considero. Diébita e paccàti, vuónnu pagati. Debiti e peccati, vanno pagati; perciò chi non è disposto a pagarli è meglio non ne faccia. Diécu era e Diécu sugnu, 'on fi niegu e non l'i dugnu. Diego ero e Diego sono, non tè li nego (i soldi) e non tè li do. - È quanto dice il cattivo pagatore al suo creditore quando questo gli chiede di essere pagato. Do puócu, vena 'assai. Dal poco, viene l'assai. - Si comincia dal poco per arrivare al molto. Vedi pure: Tanti puócu hannu 'n'assai. Dinari e santità, criditinda 'a mità d'a mità. Denari e santità, credetene la metà della metà (di quanto si dice). I cunti (i cuosi) a luóngu si hannu serpiéntì. I conti (le cose) che vanno a lungo si fanno serpenti. - I negoziati condotti a lungo diventano serpenti, possono perciò produrre effetti velenosi e deleteri. I cunti avanti s'i mangiàu u lupu. I conti anticipati (le previsioni) se li mangiò il lupo (non si sono mai realizzate). I diébita si paganu, i paccàti si ciàngianu. I debiti si pagano, i peccati si piangono. Vedi pure: Diébita e paccàti vuónnu pagati. I dinari hannu l'ali. I denari hanno le ali, perché volano via molto rapidamente. I 'ntariési màngianu 'a notta. Gli interessi (sui capitali ricevuti in prestito) mangiano (pure) la notte. - Gli interessi si maturano sempre, di giorno e di notte, quindi depauperano il debitore sia di giorno che di notte, mentre chi presta il proprio lavoro viene pagato solo per le ore lavorative. I suórdi hannu u nci vena 'a vista puru adi cecàti.  I soldi fanno venire la vista pure ai ciechi. I suórdi sunnu sempa 'm-bùcca 'e tutti e 'n-gùrza 'e nudu.  I soldi sono sempre sulla bocca di tutti e in borsa di nessuno. - Dei soldi tutti ne parlano sempre ma nessuno dichiara di averne. L'anima a Dio e 'arróbba a cu' aspetta. L'anima (bisogna darla) a Dio e la proprietà a chi spetta (di diritto). - A ciascuno il suo. Miéjju nu tristu accuórdu ca 'na causa vinciùta. Meglio un cattivo accordo che una causa vinta. - È sempre meglio ricorrere all'accordo anziché alla giustizia. Nci mancano vintùnu suórdi pa 'na lira. Gli mancano ventuno soldi per (possedere) una lira. - Dicesi di chi non ha soldi, anzi ha debiti (si ricorda che una lira vale venti soldi). Nènta cu nènta: gurza vacanti. Niente col niente: borsa vuota. - Nulla avevi, nulla fai, niente hai. Nu tristu 'mbutu serva a 'na bona vindigna.  (Anche) Un pessimo imbuto serve a una buona vendemmia. - L'importante è produrre cose buone e non che i mezzi usati siano ottimi (perché quando l'uva è di ottima qualità non è influente il travaso del mosto con un ottimo o mediocre imbuto). Ogni savùrra lirgia 'a turra. Ogni pietruzza alza la torre. - Ogni piccolo avere ingradisce la proprietà. Ogni sparàgnu è godàgnu. Ogni risparmio è guadagno. Ogni spiritu vala ndómani.  Ogni spirito vale molti uomini. - Ogni aiuto vale molto. 'On'e 'a himmana chi non gusta, è u dinaru chi non basta. Non è la donna che non ha gusto, è il denaro che non basta. - È la frase con la quale il commerciante voleva far capire che la cliente era di buon gusto nella scelta dei prodotti da acquistare, ma che se non comprava era perché i soldi non le bastavano. Paga caru e siedi 'mpàru. Paga caro e siederai comodo. - Compra cose di alto prezzo che ti troverai soddisfatto. Vedi pure: Adu caru cùmpra, adu mercdtu pensaci. Pagàra cu pagàra: gurza vacanti. Pagare col pagare: tasca vuota. - Pagarti per poi pagarmi è come non prender nulla. Ciò avveniva quando le persone si scambiavano sia prodotti della campagna sia giornate lavorative e alla fine pareggiavano i conti. Vedi pure: Nènta cu nènta: gurza vacanti. Pagati màstru ca u hùrnu si nda catta! Pagati maestro che il forno se n'é caduto! - Dicesi per far capire che non si deve mai pagare il lavoro al termine dell'opera fatta se prima non è stata ben collaudata. Pa 'na vuccàta 'e cana si pèrda 'na hurnàta 'e pana. Per una bocconcellata da cane si rovina un fornata di pane. Per non avere burattato bene la farina (quindi s'è lasciata crusca in più) si è rovinata una fornata di pane (perché è venuto non solo più scuro ma soprattutto non ben soffice e pregevole alla vista). Pa nu càllu 'e spiézia si pèrda 'a gadina. Per un pizzico di spezie si perde la gallina. - Per aver voluto risparmiare un centesimo di lira "càllu" di spezie non s'è potuto gustare la gallina preparata per il pranzo. Un piccolo risparmio guasta un grosso affare. Pattramènta u grassu s'assuttijja, u magru si nda vacia (mora). Intanto che il grassone si assottiglia, il magro se ne va (muore). - Intanto che il ricco ha consumato tutti i suoi beni, il povero è già deceduto. Quandu accatti u puórcu hai u guardi u razzu.  Quando compri il maiale devi stare attento alla razza. - Ogni volta che acquisti una bestia da crescere (il maiale si acquistava di pochi mesi) assicurati prima di tutto che sia di buona razza. Quandu si priedicàtu accatta, quandu si cercatu vinda. Quando sei pregato compra, quando sei richiesto vendi. - Se ti pregano di comprare è perché hanno bisogno, quindi compra perché farai buon affare; se ti chiedono di vendere è perché hanno molto interesse ad avere quello che hai, quindi vendi perché è il momento di fare un buon affare. Quandu ti dùnanu u porciédu, curra cu ducordiédu. Quando ri regalano il maiale, corri con la corda (per legartelo e portartelo via). - Quando ti regalano qualcosa accetta subito, altrimenti potrebbero pentirsi. Senza dinari 'on si nda cantanu missi. Senza denari non se ne cantano messe. -Senza soldi non si fa e non si ottiene nulla. Si u cangiùrru hussa buonu ognunu si tenaria u sue. Se lo scambio fosse vantaggioso ognuno si terrebbe il suo. - In ogni permuta c'è sempre chi ci perde. Si vue u vidi l'uomu appazzentira:manda l'operàiu sulu e no' nci jira. Se vuoi vedere l'uomo diventare pezzente manda l'operaio da solo e non andare (a sorvergliarlo). Sparagna ca truóvi. Risparmia che troverai (utile quando ti sarà necessario). Sparagna donna hina quandu 'a gutti è china, ca quandu è bacanti 'on ci su' santi. Risparmia donna intelligente quando la botte è piena, perché quando è vuota non si sono stanti (che ascolteranno le tue invocazioni di aiuto). Stàbili 'e sutta e casa 'e supa. Fondo di sotto e casa di sopra. - I fondi è meglio possederli nelle parte più bassa della collina (così il terreno s'ingrassa collo scolo di quello soprastante) mentre la casa è preferibile averla all'ultimo piano per non avere il fastidio dei rumori dei soprastanti). Suórdi 'mprestàti: nimici accattati. Denari prestati: nemici comprati. - Chi presta denaro compra inimicizie. Supa 'na vigna strana ddu ' gurpi si mingrijanu. Nella vigna di un estraneo due volpi si bisticciano. - Dicesi quando due si contendono qualcosa che non è di loro proprietà. Supa u muórtu si canta u réqua. Sul morto si canta il Requiem. - Ogni affare si conclude vedendo la merce. Tanti puòcu hannu 'n'assai. Tanti poco fanno un assai. - Con tanti piccoli risparmi si accumulano ricchezze; è pure detto nel senso che tante piccole scorrettezze formano una offesa grave. Vedi pure: Do puòcu vena assai. Tè! Gna! Pijja e duna! Tó! Ecco! Prendi e dai! - Pagati e pagami! Si usa dire da una delle due persone che stanno facendo il rendiconto del dare e dell'avere e si trovano in parità. U bena, vena d''a Chiana. Il bene, viene dalla Piana (di Gioia Tauro). - Le ricchezze provengono dalla terra della pianura di Gioia Tauro, ritenuta molto fertile. U bena, 'e hora vena. Il benessere (cioè la ricchezza) viene dalla campagna. U randa hacia i parti, u picciulu sparta. Il maggiore (dei figli) fa le parti (nella spartizione della proprietà), il minore sceglie. - È la regola secondo la quale avveniva l'assegnazione della proprietà terriera. U sangu jùngia, u 'ntariésu sparta. Il sangue unisce, l'interesse separa. U si t'attacca, u no ti sciójja. Il si ti vincola, il no ti libera. U vindira ti mustra l'accattàra ed u vicinu cuómu hai de hara. Il vendere ti insegna il comprare ed il vicino come devi fare. - Chi desidera vendere deve imparare a saper comprare, poi basterà anche il vicino di casa a dire come fare a vendere. L'arte del commercio consiste nel saper comprare. U vinu guasta e consa. Il vino guasta e aggiusta (gli affari), perché sotto il suo effetto si possono fare anche cattivi affari. Varca varata, cuntu hàttu. Barca varata, conto fatto. - Quando la barca è varata occorre avere già la disposizione d'affrontare i rischi che derivano dalla navigazione. Quando si è già avviati a fare una spesa o azione occorre essere disposti e preparati ad affrontare tutte le conseguenze per giungere allo scopo.

Raccolta di proverbi, detti, motti - cantilene, arguzie, storielle, battute di spirito del dialetto bivongese di Paolo Tisano

PROVERBI. Meteorologia - Stagioni - Animali - Agricoltura

 

 

 

 

'A cipùda chiantata ad aprili, quantu 'a miénti 'a vidi. La cipolla piantata in aprile, quanto la metti la vedrai. - Le cipolle vanno piantate prima di aprile, altrimenti non crescono. Acquazzina 'on linchia puzzu. Rugiada non riempie pozzo. - Col poco o nulla non potrai ottenere molto. 'A crapa, duva mùzzica 'mbalèna. La capra, dove morde avvelena. - È noto che la capra è una grande selezionatrice di germogli e cime, perciò dove mangia non cresce quasi più nulla per almeno un anno. 'A crapa, quando 'on tena vola sagnata. La capra, quando non si ingravida deve essere salassata. Ad agùstu: uójju, mièli e mustu. In agosto (potrai sapere se si produrrà): olio, miele e mosto. Ad aprili, si no' mangi quattru vuoti 'on ti hidi mancu u m'arridi. In aprile, se non mangi quattro volte (al giorno) non hai la forza neanche per sorridere. - Siccome i giorni di aprile sono molto lunghi, quindi si lavorava di più, se non si mangiava più volte non si era in grado di sostenersi. Ada vigna ed all'uórtu nci vola n'uomu muórtu. Alla vigna ed all'orto ci vuole un uomo morto. - Vigna e orto necessitano di costante cura e attenzione per cui l'uomo che vi attende dev'essere morto per le altre attività. Adu 'ngràtu e adu càvulu hiurùtu chidu chi nci hai està perdùtu. All'ingrato e al cavolo fiorito quello che gli fai è perduto. 'A gadina chi ficia l'uovu canta 'a prima. La gallina che fece l'uovo canta per prima. - Chi ha commesso un fatto è sempre il primo ad accusarsi anche senza volerlo. A giugnu l'asinu, a maju i carduni. A giugno l'asino, a maggio i cardi. - Si dice quando si vuole far capire che si sono fatte due azioni non nel tempo giusto, ma scambiando i tempi, cosi come non è a giugno che l'asino è in pieno rigoglio ma a maggio, e pure non è a maggio che è in pieno sviluppo il cardo ma a giugno. 'A gurpi guarda sempa ada muntagna. La volpe guarda sempre verso la montagna. - Ognuno pensa sempre al posto dove si gode la libertà. 'A gurpi vecchia s'à guarda 'a tajjòla. La volpe vecchia si guarda dalla trappola. - Chi ha esperienza sta al riparo da inganni e tranelli. A jennàru u juórnu criscia 'e nu passu 'e cana. A gennaio il giorno cresce di un passo di cane (cioè di poco, tenendo conto che il passo del cane è molto corto in confronto a quello umano). 'A havàra, appena nèscìa, chiama u patrùni. La pianta di fave, appena nasce chiama il proprietario (per dirgli di zappare la terra che ha intorno, cosi emette più radici, cresce rigogliosa e rende di più). Aliva vagnàta: bona annata. Oliva bagnata: buona annata. - Se piove la domenica delle Palme si prevede una buona annata agricola. 'A livàra do pappù, hica e rocina t'i hai tu. L'ulivo del nonno, fico e vite tè li fai tu. -Gli olivi devono essere molto vecchi, il fico e la vite giovani, per rendere al meglio. A livàra e ficu minanci e nimicu. A olivo e fico colpisci da nemico. - Tali piante più le prendi a colpi di scure, cioè le poti, più rendono. Alivu e ficu, hai u stai picu-picu. (All')Ulivo e fico devi prestare continua attenzione, se vuoi ottenre un buon rendimento della pianta. A majisi 'e himmana e laguràtu 'e vacca, amaru cu' nci 'ncappa. Oppure: Zzappàra 'e himmana e laguràra 'e vacca, póvara chida terra chi nci 'ncappa. A terra zappata da donna o arata da vacca, sventurato chi (o la terra che) c'incappa. -Nel lavoro della terra occorre sempre molta forza e perciò mal si addice quello fatto sia da donna che da vacca. A maju 'on accattàra ciùcci e non ti zzitijàra. A maggio non comprare asini e non ti fidanzare. - A maggio asini e giovanotti sono più rigogliosi e non è questo il momento più favorevole per giudicarli. A maju 'on càngiu saju, a giugnu n'addugnu, a giugniéttu n'anniéttu. A maggio non cambio gli indumenti, a giugno ci provo, a luglio mi spoglio. Amara chida rapa chi ad agustu 'ompùssa nata. Sventurata quella rapa che in agosto non è nata. - La rapa, se in agosto non è già sviluppata non crescerà più, anzi in agosto deve essere stata già tagliata una volta, altrimenti fa la spiga e non cresce. A marzu, ogni stroffa è jazzu. A marzo ogni cespuglio è un giaciglio, perché fa già tanto caldo da potersi addormentare in qualsiasi posto ove c'è un cespuglio. A 'na bona simina nu buonu ricuójju. A una buona semina (segue) un buon raccolto. A 'na bona viti nu tristu palu e a 'na trista viti nu buonu palu. A una buone vite (sta bene anche) un cattivo palo e a una cattiva vite (ci vuole) un buon palo. - Quando si è pieni di vita e salute si può fare anche a meno di sostegni e cure ma ci vogliono buoni sostegni e cure quando non si sta bene. 'A nivi d'aprili 'om-pai 'n-tiémpu um"a vidi. La neve d'aprile non fai in tempo a vederla (perché, appena a terra, scompare). 'A nivi marzulina dura d'a sira ada matina. La neve marzolina dura dalla sera alla mattina. 'A nivi marzulina dura quantu 'na mala vicina. La neve di marzo dura quanto una cattiva vicina. Annata bisesta: mbiàtu cu' resta. Annata bisestile: beato chi sopravvive (perché si credeva fosse annata di sciagure e cataclismi). Annata d'erba: annata 'e mmérda. Annata di erba: annata di merda (perché le piante rendono poco o nulla ma anche perché mangiando erbe si defeca di più. Annata d'uójju: annata 'e 'mbruójju. Annata di olio: annata di imbroglio. -Quando c'è annata di olio (gran fonte di reddito per i bivongesi) si approffìtta per fare delle spese e nel commerciare nascono gli imbrogli. A novembra simina chioviéndu, e s'è duru: simina puru. A novembre semina (anche) piovendo e se (il terreno) è duro (perché asciutto): semina pure. - In ogni caso si deve seminare sempre in novembre. Aprili, càvuddi i juórni e friddi i matini. In aprile sono calde le giornate ma fredde le mattinate. Aprili hacia i hiùri, maju ava 'anùri. Aprile fa i fiori, maggio ha l'onore della festa, perché è mese Mariano. Aprili, favi chini, pa non essara manzognàru a mità 'e maju. Aprile, fave mature, per non essere menzognero (massimo) a metà maggio. Àrburi e zzitièdi chi hannu 'vizzi, 'e picciuli 'i ddarizzi. Alberi e bambini che hanno vizi, da piccoli li raddrizzi. A San Nicola ogni massàru hacia 'a prova. Il giorno di San Nicola (6 dicembre) ogni pastore fa la prova (di fare il primo formaggio). A settembre ed a frevàru, notta e juórnu sunnu paru. A settembre ed a febbraio, giorno e notte sono uguali. Vedi pure: Frevàru sparta paru. A terra disprezzata, cu bon'opera si meta. A terra disprezzata, con un buon lavoro si mieterà. - Anche dove la terra sembra arida si potrà ottenere un buon raccolto se si sarà fatto un buon lavoro nell'aratura e pulizia delle erbe selvatiche e quanto altro richiedono le buone norme agricole. 'A terra nigra hacia u buonu ranu. La terra nera produce il buon grano. 'A terra zzappàta vagnàta, pa n'annu resta molata. La terra zappata (quando è) bagnata, per un anno rimarrà ammalata. - È sempre buona norma zappare il terreno da seminare solo quando è asciutto. 'A troja magra si 'nsonna sempa 'ajjanda. La scrofa magra sogna sempre la ghianda. - Il denutrito sogna sempre ottimi cibi. Cana licertàru, ténalu caru. Cane che prende lucertole, tienilo caro; perché sarà un buon cane cacciatore. Cana ligatu, lupu 'ngrassàtu. Cane legato, lupo ingrassato. - Quando nanca il guardiano, il ladro ne approffitta. Chiova o non chiòva d'a Candìlóra corànta juórni l'avimu ancora. Piova o non piova (il giorno) della Candelora. quaranta giorni (d'inverno) li avremo ancora. Ciciari siminàu la cucujjàta e cu du culu hicia 'na majisi. Ceci ha seminato l'uccellino da nido e col sedere ha fatto il maggese. - II cece, ovunque e comunque lo pianti crescerà solo se ha un buon maggese e profondo. Dicesi per prendere in giro chi non ha capito così. Ciucciariédu picciulu, puditriédu para. Asinello piccolino sembra puledrino. - Chi è di piccola statura sembra un bambino. Cu' buonu zzappa, miejju ricójja. Chi bene zappa, meglio raccoglierà. Cu' chianta scippa, cu' simina ricójja. Chi pianta sdradicherà, chi semina raccoglierà. - Se non fai nulla non attenderti di potere avere quello che ha chi lavora. Cu' 'e riccu 'e vigna è riccu 'e tigna. Chi è ricco di vigna è ricco di tigna (perché la vigna crea preoccupazioni e grattacapi). Cu' pijja l'ociédu vivu, resta currivu. Chi prende l'uccello vivo, resta dispiaciuto (perché presto o tardi gli scapperà). Cu' simina all'acqua ricójja adu viéntu. Chi semina in acqua raccoglie al vento. -Chi fa una pessima semina non si aspetti un buon raccolto. Il concetto è da valutare nella più ampia accezione del significato possibile. Cu' zappa hundu e cu' lagura chiànu all'aria ni vidimu pellegrinu. Chi zappa profondo e chi ara in superfìce all'aia ci vedremo pellegrino. - Sia chi zappa la terra in profondità sia chi la zappa in superfice, quando sarà ora del raccolto si incontreranno all'aia come pellegrini, perché il raccolto era sempre scarso. Infatti i bivongesi non furono mai grandi produttori di grano perché i loro terreni erano inadatti a tale coltivazione. D'acqua e néjja vacia 'ncérca u lupu. Di acqua (per dissetarsi) e nebbia (per nascondersi) va in cerca il lupo. - Ogni ladro ha bisogno della complicità di qualcosa o di qualcuno per condurre a termine il furto. D'Annunziàta, 'na sarda salata. Per il giorno dell'Annunciazione (le foglie del fico sono già tanto grandi da potere avvolgere) una acciuga salata. D'Annunziàta, i siminàtì hannu 'a crucijàta. Il giorno dell'Annunciazione del Signore (25 marzo) ogni seminagione inizia a germogliare. D'Ascensiuóni: dassa u mantu e pijja u vastùni. Per il giorno dell'Ascensione: lascia il paltò (rivolgendosi ad un vecchio) e prendi il bastone (per cominciare a muoverti perché è già passato l'inverno, e il sole, col suo tepore, invoglia ad uscire di casa). D'a Madonna Candilóra ogni viécchiu si nda mora. Nel periodo della Madonna Candelora ogni vecchio se ne muore (perché non regge i rigori dell'inverno). Ddu' puórci nta nu porcili 'ngràssanu cchiù viatu. Due maiali in un porcile ingrassano più alla svelta (perché, per invidia, mangiano entrambi di più). De' muórti: 'a nivi adi puórti. Per i morti: la neve alle porte. - Col giorno dei morti ha inizio l'inverno. Dio do nimàlu està u cristianu. Il Dio degli animali è l'uomo. Duóppu u jelu 'e tri matini: o acqua o nivi. Dopo il gelo di tre mattine: o acqua o neve. Duva zzappi arridiéndu cuójji ciangiéndi, duva zzappi ciangiéndu cuójji arridiéndu. Dove zappi ridendo raccoglierai piangendo, dove zappi piangendo raccoglierai ridendo. 'E San Biasi, ogni vinéda u suli trasi. Per San Biagio, in ogni vicolo entra il sole. E San Giuànni Battista si vacia cu du panàru randa. (Il giorno) Di San Giovanni Battista (29 agosto) si va (a raccogliere i fichi) col paniere grande (perché di maturi ce ne sono già molti). Frevàru: curtu ed amaru. Febbraio: corto e amaro. Frevàru curtu ed amaru; amaru cu' u dicia, ch'està u hiùri de' misi. Febbraio corto e amaro; amaro è chi lo dice, perché è il fiore dei mesi (in quanto sbocciano i primi fiori). Frevàru, sambiasàru e candilàru. Febbraio è il mese di San Biagio e della Madonna Candelora. Frevàru spàrta paru. Febbraio divide (il giorno) in parti uguali. Hicu e rocina nta marina nuci e castagna nta muntagna. Fico e uva (maturano prima) nella marina, noce e castagna in montagna. I gatti hannu setta spiriti. I gatti hanno sette spiriti (perché riescono a sopravvivere anche dopo gravi cadute e/o incidenti). Jennàru càccia i viécchi do huoculàru. Gennaio toglie i vecchi dal focolare, perché non resistono al freddo e muoiono. Jennàru siccu: massàru riccu. Gennaio secco: pastore ricco; perché le bestie possono pascolare bene e danno molto latte. L'acqua d'agùstu hacia uójju, mieli e mustu. L'acqua d'agosto fa produrre olio, miele e mosto. L'acqua sant'antonina: ranu, uójju e vinu 'i rovina. La pioggia nel periodo di Sant'Antonio (13 giugno), grano, olio e vino li rovina. L'àrburu, adduva penda, renda. L'albero, dove pende, rende. - Vale nelle tre interpretazioni: 1) La pianta che ha i rami pendenti rende perché carica di frutti. 2) La pianta che ha i rami pendenti sul terreno il cui proprietario è diverso da quello della pianta, rende al proprietario della terra perché è di questo il frutto di quei rami che pendono sul suo terreno. 3) II frutto rende molto. L'arburu senza fruttu tàjjalu. L'albero senza frutto taglialo. Maju è u misi de' ciùcci. Maggio è il mese degli asini. - È in maggio che hanno maggiore rigoglio, dovuto all'erba fresca e abbondante che trovano ovunque. Marzu chiuòvu chiuóvi, aprili mai no 'mpini, a maju una bona u rifrisca i postarini, a giugnu nta cucùzza. Marzo piovi piovi, aprile mai non finire, a maggio una buona (pioggia) per rinverdire le vegetazioni tardive, a giugno (l'acqua è buona solo se è quella che sta) nella zucca. È quanto si usa come criterio per valutare quanto giova la pioggia nei mesi di aprile, maggio e giugno: molta in aprile, una in maggio, nulla in giugno. Vedi pure: N'acqua 'e maju e ddu' d'aprili... Marzu ciciaràru. Marzo (è mese di semina) dei ceci. Marzu è tradìturì. Marzo è traditore (perché non ci si può fidare del tempo che fa). Miéjju màmmita mu ti ciàngia ca u suli de marzu mu ti tingia. Meglio che tua madre di pianga anziché il sole di marzo di tinga. Miércuri 'e dintra, simàna 'e hora. Mercoledì di dentro, settimana di fuori. -Quando si è giunti a mercoledì, la settimana è già passata. Misaricuórdia! dissarui li gridi quandu nci mbuttàru huócu ada rastùccia. Misericordia! dissero i grilli quando qualcuno diede fuoco alla stoppia. - Solo quando si è in grave pericolo si invoca misericordia. 'N'acqua 'e marzu e ddu' d'aprili vala cchiù 'e nu carru e nu carrili. Una pioggia di marzo e due di aprile valgono più di un carro e un calesse (carichi di oro; tanto è benefica tale pioggia alla campagna). Ogni vintinóva, picciùni ed ova. Ogni ventinove (del mese, sono pronti), colombini e uova. - Com'è noto, i colombi, ogni mese, hanno pronta la nuova covata, in genere formata da due uova. 'On c'è màndra senza cana, o buonu cana o amaru cana, ma amara 'a màndra chi cana 'on ava. Non c'è gregge senza cane, o buon cane o sfortunato cane, ma sfortunato quel gregge che cane non ha. - Ove c'è qualcosa che può essere preda di qualcuno, è sempre utile una qualsiasi sorveglianza. 'On rivijjàra i cana chi dórmanu. Non svegliare i cani che dormono. - Non molestare mai chi potrebbe farti male. Pad'alivi e pad'ajjanda ad agùstu s'addimànda. Per le olive e per le ghiande, ad agosto si domanda. - Solo in agosto si potrà stabilire se ci sarà una buona annata di olive e ghiande. Vedi pure: Ad agùstu, uójju, mieli... Parmi chiovùsi, griègni gravùsi. Palme piovose, fasci di grano gravosi. - Se piove il giorno delle Palme si prevede abbondanza di grano. Porcièdi e zzitiédi cuómu 'i crisci ti vidi. Maialini e bambini, come li cresci tè li troverai. Prima Notali no friddu e nò fammi, duóppu Notali lu friddu e la fammi. Prima Natale ne freddo e ne fame, dopo Natale il freddo e la fame. Prunu, mangiando unu. Pruno, mangiane uno (perché già due provocano disturbi intestinali). Puórci e puditri, jati duva voliti. Maialini e puledri, andate dove volete. -Devono crescere in libertà da piccoli, per essere di buona qualità da grandi. Quandu 'a livàra hiùra 'e marzu, vai cu du buttàzzu; quandu hiùra d'aprili, vai cu du varidi; quandu hiùra 'e maggiu, quantu pa-d'assàggiu; quandu hiùra 'e giugnu, mancu nto pugnu. Quando l'olivo fiorisce in marzo (al frantoio) andrai con grandi tini (perché si produrranno molte olive e quindi molto olio); quando fiorisce in aprile andrai col barile; quando fiorisce in maggio solo per l'assaggio; quando fiorisce in giugno neppure col pugno, cioè non si produrrà nulla. Quandu 'a nèjja vacia a mari pijja 'a zzàppa e vai a zzappàri quandu 'a nèjja vacia susu azziccati nta nu portùsu. Quando le nuvole vanno verso il mare prendi la zappa e vai a zappare, quando le nuvole vanno in su (in senso opposto al mare), rifugiati in un nascondiglio, perché l'acqua è prossima e abbondante. Quandu 'annata vola, 'a terra (o: u zzappatùri) ava 'anuri. Quando l'annata vuole, la terra (o: lo zappatore) ha l'onore. - Quando l'annata agricola è molto favorevole per abbondanza e qualità allora è la terra o il contadino ad avere tutti i meriti). Quandu canta la cicala vai e t'adduni alla hicàra; adi vuoti 'e Sant'Antuóni: Catarini e Ccicciantuòni. Quando canta la cicala vai ad osservare il fico (perché ha già maturato qualche frutto); se a volte (ti capita di andare) per Sant'Antonio (13 giugno, allora è troppo presto e perciò potrà capitarti di trovare sotto il fico) Caterina e Francescantonio (che all'ombra fanno l'amore). Quandu canta lu scropiu, 'a stati vinna ed u 'mbiérnu si nda jiu. Quando canta l'assiolo, l'estate venne e l'inverno se ne andò. Quandu chiòva d'Annunziata, 'on si hànnu hicabuótti. Quando piove il giorno dell'Annunciazione del Signore, non si produrranno fichi fiori. Quandu chiòva, 'on sicca nènta. Quando piove non secca niente. - La pioggia è sempre benefica. Quandu chiòva nto suli lami dàssanci alivi adu patrùni. Quando piove nel sole leone (in luglio agosto), lascia (la raccolta delle) olive al proprietario. - Se piove in luglio agosto non fare accordi di raccogliere olive altrui perché sicuramente le olive cadranno prima di maturare e perciò ti troverai nei guai per pagare il prezzo pattuito. A tal proposito occorre annotare che le olive venivano date da raccogliere "'ncabbéda", in gabella, consistente in un contratto mediante il quale il raccoglitore si obbligava, a fine raccolta, di consegnare al proprietario un pattuito quantitativo di olio. Ne consegue che quando le olive cadevano prima di maturare, per il raccoglitore erano dolori, dispiaceri e debiti che spesso duravano anni prima di estinguerli. Quandu hùjanu i raganièdi si linchianu i lanciédi. Quando vedi scappar le raganelle l'acqua verrà giù a catinelle. Quandu i ciùcci azijanu, vena u tiempuràli. Quando gli asini scappano come infuriati, arriva il temporale. Quandu i struóffi (o: i hili d'a luci) tènanu i gucci, aspéttanu l'àutr'acqua. Quando i cespugli (o: i fili della corrente elettrica) trattengono le gocce (di pioggia), attendono l'altra pioggia. Quandu nèscìa u ridi ada sirata domana è 'na bella jornàta quandu nèscìa ada matinàta esta ormònica 'a jornata. Quando spunta l'iride in serata il domani sarà bella giornata quando spunta in mattinata sarà pessima tutta la giornata. Quandu 'a sira 'on truóvi i piécuri a chist'ura, 'on truóvi no' piécuri e no' lana. Quando la sera non trovi le pecore (smarrite) a questa ora, non troverai ne pecore ne lana (perché qualcuno le avrà rubate). -È noto che le pecore rientrano all'ovile abbastanza presto, prima del calare della sera; perciò, se prima di tale ora non sono rientrate all'ovile vuol dire che qualcuno se l'è mangiate, sia persona oppure lupo. Quanto detto è la risposta a chi chiedeva notizie sulle sue pecore smarrite. Quandu stènti u tìppi-tappi, simina a cipudini e chianta l'àjji. Quando senti il tippi-tappi, semina i semi di cipolla e pianta gli spicchi di aglio. -Tippi-tappi è voce onomatopeica, con cui si vuole indicare il rumore prodotto dalla chiave di ferro che passa nei fori del torchio usato per la spremitura delle raspe dell'uva nel periodo della vendemmia. Siccome tale operazione viene eseguita in ottobre, ne deriva che in tale periodo si doveva fare la semina di cui sopra detto. Quandu u ciùcciu 'om-bola u mbiva, a'-vójja u frischi. Quando l'asino non vuole bere, hai voglia di fischiare. - Se l'asino non vuole bere è inutile invogliarlo facendogli il fischio di circostanza. Quando non si vuole fare una cosa è inutile insistere. Quandu u puórcu 'om-bola 'ajjanda, vola u curtièdu. Quando il porco non vuole la ghianda, vuole il coltello. - Chi rifiuta cibi di cui è ghiotto vuol morire. Quandu u tìèmpu è majistràli, si linchianu i hiumàri. Quando il tempo è di maestrale, si riempiono le fìumare. Quandu u tièmpu mina a laventina, dura o uóttu juórni o 'na quindicina; quandu chiòva e facia i buómbi, dura corànta juórni. Quando la pioggia cade spinta dal vento di levante, dura o otto giorni o una quindicina; quando piove e fa le bolle, dura quaranta giorni. Quandu u tièmpu trona l'acqua è pronta. Quando il tempo tuona, l'acqua è pronta. - Al tuono segue la pioggia. Quandu viditi nìéspula ciangiti ca sunnu u primu fruttu della stati. Quando vedete nespole piangete (di gioia) perché sono il primo frutto dell'estate. Ranu d'a marina vinu d'a collina. Grano di marina, e vino di collina. Sciàmmi, hicabuóttì e nidi pijjatilli duva 'i vidi. Sciami di api, fichifiori e nidi, prenditeli dove li vedi. Si adu puórcu nci tiri nu pilu, ammanca miénzu chilu. Se al maiale gli strappi una setola, dimagrisce di mezzo chilo (perché si crede ne soffra molto). Si marzu 'on marzia u massàru 'om-bentulija. Se marzo non fa il matto, il contadino non ventila (cioè non produce cereali, che per essere ben puliti dalle pagliuzze occorre ventilarli). Si ti miénti cu da gatta o ti mùzzica o ti gratta. Se ti metti (a giocare) con la gatta, o ti morde o ti graffia. Si u mbiérnu 'om-bernijja, 'a stati 'on scrùscia 'a ciarnijja. Se l'inverno non è freddo e rigido, d'estate non potrai cernere col crivello (perché di graminacei non se ne sono prodotti, e, come noto, sono questi i prodotti che per essere separati dalle pagliuzze e semi estranei occorre cernerli). Si u tri maju u cuccù 'on'è-benùtu o è muórtu o è ferùtu. Se il tre maggio il cùcùlo non è venuto o è morto o è ferito. Si vue fregara lu tue vicinu chiànta alivu randa e ficu piccinu. Se vuoi fregare il tuo vicino, pianta ulivo grande e fico piccolino (perché l'ulivo più lo pianti grande più renderà alla svelta, al contrario del fico). Si vue u linchi l'addarti zzàppa e puta nta jennaru. Se vuoi riempire la botte, zappa e pota (la vigna) in gennaio. Si vue u mangi paniculu buonu, hai u mu chianti a passu d'uomu. Se vuoi mangiare mais buono, devi piantarlo a (distanza di un) passo d'uomo. Si vue u mangi pizzàta chiànta a strancalàta. Se vuoi mangiare pane di mais, piantalo a distanza di un salterello umano (perché se ne produrrà di più). Tardu vindigna, cu' vola vinu buonu. Tardi vendemmia, chi vuole vino buono. U cana è fìdiéli, minanci quantu vuoi, e pue frischianci ca torna. Il cane è fedele, picchialo quanto vuoi, e poi fischiagli che tornerà. U capitanu de' mali vestùtì. Il capitano dei malvestiti. - Così è definito l'inverno. U ciùcciu 'a porta ed u ciùcciu s'à mbiva. L'asino la porta e l'asino se la beve (l'acqua). - Così si dice a chi porta qualcosa a casa per la famiglia ma strada facendo se la mangia. U ciùcciu cada 'na vota. L'asino cade una volta (in un posto, ma lì non cadrà più, perché si rifiuterà di passare). - La frase viene detta per offendere un pò qualche persona che ha commesso lo stesso errore più volte. U ciùcciu ch'é mbizzàtu ada hicàra tandu dassa u vizziu quandu mora. L'asino ch'é abituato al(lo scortecciare) del fico, allora lascia il vizio, quando muore. - I vizi presi per abitudine non si lasciano mai. U ciùcciu si mangia u hiénu pacchi s'aricòrda quand'era erba. L'asino mangia il fieno perché si ricorda quando era erba. - A volte si compiono azioni pensando al passato. U ciùcciu si nsónna sempa 'a biava. L'asino si sogna sempre la biada. - Chi non può mangiare cibi che desidera, se li sogna sempre, o pensa sempre a quelli. Chi non si rende conto della propria situazione pensa sempre di avere il meglio. U ciùcciu, u 'ttacca duva vola, u patrùni. L'asino viene legato là dove il padrone desidera (in modo che non possa provocare danni). - Chi non possiede capacità proprie di decisione è alla mercé e per gli interessi di chi lo comanda. U friddu d'aprili, all'aria si vida. Il freddo d'aprile si nota dall'aria (per la temperatura primaverile e lo splendore del cielo). U friddu 'e marzu pèrcia nto cuórnu do gue. Il freddo di marzo (è tanto pungente che) penetra nel corno del bue. U havu vola mangiàtu sutta 'a havàra. Le fave si dovrebbero mangiare sotto la pianta, perché perdono presto il loro sapore. Uójju e vinu fannu u rihinu. Olio e vino fanno il deposito, altrimenti si considerano non genuini. Uójju e vinu: sutta u coscinu. Olio e vino, sotto il cuscino (ciò per dire che devono essere ben sorvegliati in quanto sono i prodotti più utili e preziosi per la famiglia). Uórtu e mulinu, 'on ci u dira adu vicinu. Orto e mulino, non dirglielo al vicino (quanto rendono). U piaciri do ciùcciu està 'a gramigna. Il piacere dell'asino è la gramigna. - Siccome la gramigna è dannosa alla coltura, il proverbio è usato per far capire che la richiesta fatta è molto dannosa o costosa per chi deve dare; inoltre gli si da dell'asino appunto per non averlo capito. Chi è abituato a danneggiare non pensa mai ad altro. U puórcu, prima ti mangia e pue t'u mangi. Il maiale, prima ti mangia (perché consuma troppo) e poi tè lo mangi. U puórcu si nsónna sempa 'ajjànda. Il maiale sogna sempre la ghianda. Vedi pure: U ciùcciu si nsónna... U tri aprili si menta u cuócciu 'ncauddu e no du dira. Il tre aprile si mettono le uova del baco da seta in incubazione e non dirlo (per paura del malocchio). - Si fa presente che l'incubazione avveniva sistemando le piccole uova dentro il materasso. Vigna, viegnu. Vigna, vengo. - Cosi è definita la vigna perché necessita di continua assistenza. Vedi pure: Ada vigna ed all'uortu nci vola n'uomu muórtu. Zzàppa e puta d'ogni tiempu ma vindigna cu du buonu tiempu. Zappa e pota con ogni tempo ma vendemmia con il bei tempo. Zzàpami a marzu e vidi chi fazzu. Zappami a marzo e vedrai che farò (dice la vite al suo padrone).

Raccolta di proverbi, detti, motti - cantilene, arguzie, storielle, battute di spirito del dialetto bivongese di Paolo Tisano

PROVERBI. Famiglia- Parentela- Vicinato- Razza- Amicizia - Società

 

 

 

 

A casa 'e buoni aggiénti 'on si guarda huoculàru. A casa di buona gente non si bada al focolare. - Presso le buone persone c'è sempre ospitalità e si da da mangiare qualcosa. Ada casa chi non c'è uomu 'on c'è nuómu. In casa che non c'è uomo non c'è nome. - La famiglia dove manca l'uomo non ha prestigio. Ad amicu hai u nci ciarchi u cuori no'u cuoju. All'amico devi chiedere il cuore (aiuto e generosità) e non il cuoio (cioè la pelle o la vita). Ad àrburu cadùtu: haccétta! haccétta! Ad albero caduto (si grida): scure! scure! - Si è sempre disposti a dare addosso a chi perse prestigio o potere. Adi horestiéri tàjjanci mani e piedi. Ai forestieri tagliaci mani e piedi (così non possono rubare e poi scapparsene). Ad ogni ociédu u nidu sue nci para biédu. Ad ogni uccello il proprio nido sembra bello. 'A giuventù è paccia e 'a vecchiaja è 'na carógna. La gioventù è pazzia e la vecchiaia è una carogna. A hijja nta hàscia e 'a dota nta càscia.  La figlia in fasce e la dote nella cassa. -Appena ti nasce una figlia preparale la dote. A jènnari e niputi, i cuosi chi duni sunnu perduti. A generi e nipoti, ciò che dai è perduto. All'amicu 'on ci dira quantu sai ca vena u juórnu chi nimicu l'hai. All'amico non dire quanto sai perché verrà giorno che nemico l'avrai (e potresti trovarti molto pentito). Amara 'a casa duva uomu 'on trasa.  Sfortunata quella casa dove uomo non entra. - Vedi pure: Ada casa chi non c'è uomu 'on c'è nuomu. Amaru l'àrburu chi rami 'on ava. Sfortunato l'albero che rami non ha. - Sfortunata è la famiglia senza figli. 'Amicizia si manténa si 'a taharótta vacia e-bèna. L'amicizia si mantiene se il cestino (coi regali) va e viene. Amicu cu tutti e fidiéli cu nessunu. Amico con tutti e fedele con nessuno. 'Amicu do passatiémpu càngia cu du viéntu.  L'amico del divertimento cambia col vento. 'Amicu è buonu puru adu 'mpiérnu. L'amico è bene (averlo) pure all'inferno (perché è sempre utile). Amicu, ma hora do càccamu. Amico, ma allinfuori del càccamu. - Càccamu è il recipiente dove si mette il latte per farlo cagliare, perciò: si è amici in tutto tranne che nell'interesse. 'A muntagna 'om-bàcia ada marina. La montagna non va alla marina. - Chi sta in posizione altolocata non si degna mai di abbassarsi verso chi ha bisogno. 'A nora, cacciala hora. La nuora, cacciala fuori (di casa). 'A pètra chi no'-mpàcia lippu (allippa) s'a leva 'a hiumàra. Il sasso che non si riveste di licheni, se lo porta via il fiume. - Chi si trova in un ambiente sociale e non si adatta, o non fa amicizia, corre il rischio di essere travolto dalla società in cui vuol vivere.) Canùsci 'amicu e dàssalu. Conosci l'amico e lascialo (quando capisci che non puoi più fidarti). Criscira i hijjuóli cu littàri e mòrza 'e pana. Allevare i figli con lettere e tozzi di pane. - Allevare figli bene educati anche se con stenti e sacrifìci. Criscira i hijjuóli cu latta d'ociédi. Allevare i figli con latte d'uccelli (cioè con cibi prelibati e difficilmente reperibili). Cu' ava hijjuóli himmani apparenta cu du ciùcciu (o: bogàjju). Chi ha figlie può (capitare) di apparentarsi (anche) con un asino (tanto sono bizzarre le donne nel prendere marito). Cu' è fijju 'e gatta: sùrici pijja. Chi è figlio di gatta: topi prenderà. - Ogni figlio segue l'educazione della propria famiglia. Cu' mina ada mamma si hacia petra. Chi picchia la mamma diventa sasso. - È con tale frase che veniva spiegato ai bambini il fatto che ci fossero dei mascheroni di sasso su certe facciate di case oppure di quelli bronzei che servivano come bussatori ai portoni delle abitazioni dei più facoltosi. Cummàra 'e Roma e zzita 'e ruga. Madrina di Roma (così non si ha occasione di litigare, cosa molto grave) e fidanzata dLrione (perché la si conosce meglio). Cu' nèscìa tundu 'om-pò morirà quàtru. Chi nasce rotondo non può morire quadrato. - La natura non si può mutare. Il carattere non muta. Cu' 'on rispetta 'a mamma ed u tata, 'e mala muórti morèta. Chi non rispetta la mamma ed il padre, di cattiva sorte morirà. Cu' 'om-pijja i paruóli d'a mamma e do tata 'e mala muórti moreta. Chi non ascolta i consigli della madre e del padre di cattiva sorte morirà. Cu' resta arriédi, cunta i padàti. Chi rimane indietro conta le orme. - Nella società occorre essere sempre all'avanguardia se non si vuole seguire solamente le orme altrui. Cu' ti vola bena ti hacia ciangìra cu' ti vola mala ti hacia arridira. Chi ti vuole bene ti fa piangere, chi ti vuol male ti fa ridere. De' tue, sta cchiù luntanu chi pue. Dai tuoi (parenti), stai più lontano che puoi. Dunàndu dunàndu s'acquista l'amicu, ma vieni amicu non è cu' pijja e non duna. Donando donando (cioè donando continuamente) s'acquista l'amico ma non è vero amico chi prende e non da. 'E Stilu vaju e viègnu e d'a hammi 'on ni tiégnu. Da Stilo (comune vicino a Bivongi, in provincia di Reggio Calabria) vado e torno e dalla fame non mi reggo (era solito dire il bivongese che intendeva mettere in risalto la scarsa ospitalità degli stilesi, addebitata soprattutto alla loro povertà). - Si rammenta che Stilo è centro mandamentale con sede di Pretura, Carabinieri, Ufficio del registro, e delle Imposte. Era anche per i rapporti con tali uffici che il bivongese doveva recarsi a Stilo. Si ricorda pure che Stilo fu sede di Contea e che per quasi tutto il 1800 fu sede di Loggia Massonica col nome "Colonna Venetria". Hijjuóli himmani e gutti 'e vinu cacciatilli quantu primu. Figlie e botti di vino dàlle via quanto prima, perché non si sa mai come vanno a finire: da un momento all'altro possono "spapàra ad acitu". Hijjuóli nda hazzu, mujjéri (o maritu) nda 'mbràzzu ma frata e suoru duva nda truóvu? Figli ne faccio, moglie (o marito) ne abbraccio ma fratelli e sorelle dove ne trovo (se non ne ho)? - È l'interrogativo di chi vuol trovare la giustificazione perché ha poi provveduto ad avere molti figli. Hijjuóli picciuli guai picciuoli, hijjuóli randa guai randa. Figli piccoli guai piccoli, figli grandi guai grandi. Hina a quandu 'on ci néscianu i zzannuóli, 'om-puoi dira ca hai hijjuóli. Fino a quando non spuntano i dentini non puoi dire che hai bambini (perché c'era gran paura che morissero; infatti la mortalità infantile era enorme, per cui a buona ragione si era andato creando tale pensiero). I guai d'a pignàta 'i sapa 'a cucchiara ch'i manija. I guai della pignatta li sa il cucchiaio che li mescola. - Le tribolazioni di una famiglia le sa solo chi ci vive in mezzo. I hijjuóli criscianu viàtu, adi mani 'e l'autri. I figli crescono presto, nelle braccia degli altri. - I figli degli altri sembra crescano più in fretta. I hijjuóli sunnu tajjuóli. I figli sono trappole. I lignati hannu principi ed abati. Le botte fanno (diventare) principi e abati. - Le batoste ai figli sono salutari, perché li nobilitano nell'umiltà. I maccatùri divèntanu mappini ma i mappini 'on divèntanu maccatùri. I fazzoletti diventano strofinacci ma gli strofinacci non diventano fazzoletti. - Le persone civili possono diventare di scarsa considerazione ma non succede mai il viceversa. I nipùti pùtali e si tórnanu a jettara tornali a putàra. I nipoti potali e se tornano a germogliare torna a potarli. I parianti hannu i dienti. I parenti hanno i denti (coi quali sono sempre pronti a dilaniarti). I trùnchi hannu àschi, i padùcchi fannu lìndini. I tronchi fanno spezzoni, i pidocchi fanno lendini. - Chi è nato per dare molto anche la sua discendenza farà del bene ma chi è nato parassita tale rimarrà sempre tutta la sua discendenza. I tue 'i pue cacciàra do piattu no' d'a parentela. I tuoi (parenti) li puoi cacciare dal piatto (puoi diseredarli) non dalla parentela. L'àrburu s'addarizza 'e picciulu. L'albero si raddrizza da piccolo. - I figli si raddrizzano da piccoli. Vedi pure: àrburi e zzitiédi chi hannu vizzi... Mamma, e-mm'é de crita. Mamma, anche se è di creta, purché sia mamma. Mazzi e paniédi hannu i hijjuóli biàdi; viscottina e tarallucci hannu i hijjuóli ciùcci. Mazzate e panini rendono i figli buoni, tarallucci e biscottini rendono i figli asini. Miéjju ricchi 'e sangu ca d'arróbba. Meglio ricchi di sangue (figli) che di proprietà. Munti cu munti 'on si cumprùnta mafrunti cu frunti si. Monte con monte non s'incontreranno ma fronte (umana) con fronte sì. - Tra persone potrà sempre capitare di trovarsi uno di fronte all'altro per qualche necessità della vita, perciò è bene regolarsi in conseguenza: chi vuole aiuto, aiuti. 'Na mamma hacia pa ciéntu hijjuóli ma ciéntu hijjuóli om-pannu pa 'na mamma. Una mamma fa per cento figli ma cento figli non fanno per una mamma. - I sacrifìci di una madre sono di più di quelli che cento figli fanno per la mamma. Ogni lignu hacia u humu sue. Ogni legno fa il fumo proprio. - Ognuno ha il proprio carattere. Ogni ramu adu trùncu assumijja cuom'è 'a mamma è 'a hijja. Ogni ramo al tronco somiglia, com'è la madre è la figlia. 'Om-bi haciti amici cu di horestiéri ca vénamu oja e si nda vannu ajeri. Non vi fate amici con i forestieri perché vengono oggi e se ne vanno ieri. - Nessuna amicizia coi forestieri perché non appena arrivano ripartono, quindi non si ha tempo di sapere se se la meritano o no. Pa carizzi è buonu u primu, pad'arrobba è buonu l'urtimu. Per carezze è bene (essere) il primo (dei figli), per la proprietà è bene essere l'ultimo (perché ha il diritto di scelta tra le parti della suddivisione. Vedi pure: U randa hacia i parti, u picciulu scijja). Paru cerca paru e paru pijja. Pari cerca pari e pari prende. - Ognuno cerca di associarsi ad un proprio pari e altrettanto apprende. Pputtàni, cana 'e caccia e cavàdi 'e carrozza: bona giuventù e trista vecchiezza. Prostitute, cani da caccia e cavalli di carozza (passano) buona gioventù e triste vecchiezza. Puru 'a Rigina ava bisuógnu da vicina. Pure la Regina ha bisogno della vicina. - I vicini di casa sono molto utili a tutti. Quandu si jùngianu i vicini si pèrdanu u cucini. Quando si riuniscono le vicine si perdono (i cibi che si stanno preparando nel) le cucine. Quandu zzàppi e putì nudu è partenti o nipùti duòppu 'a vindigna ed i rivuóti su' tutti parianti o nipùti. Quando zappi e poti nessuno è parente o nipote, dopo la vendemmia e la fermentazione del mosto sono tutti parenti o nipoti. - Quando c'è da lavorare nessuno ti da una mano d'aiuto, a raccolto avvenuto tutti ti sono parenti o nipoti. Razza curra cavadu. È la razza che fa correre il cavallo. - I caratteri di una razza si trasmettono e chi è di buona razza ottiene sempre buoni risultati nella vita. Runcijju mio runcijju cuom'é u pàtra è u hijju. Ronciglio mio ronciglio, com'è il padre è il figlio. Vedi pure: Ogni ramu adu truncu assumijja... Si vue u canùsci u cuori dell'amicu: carciàri, malatia e neciessitàti. Se vuoi conoscere il cuore dell'amico: (in occasione di) carcere, malattia e necessità. Si vue u hijju malandrinu màndalu ada scola o adu mulinu. Se vuoi il figlio malandrino, mandalo a scuola o al mulino (a fare il mugnaio). Tutti 'e nu vièntri e no' tutti 'e 'na mienti. Tutti di un ventre e non tutti una mente. - I figli di una stessa madre sono tutti di mentalità diversa. U giuvani p''a forza, u viécchiu pa cunsigliu. Il giovane (è richiesto) per la forza, il vecchio per consiglio. U lignu stuórtu u ddarizza u huócu. Il legno storto lo raddrizza il fuoco. - Solo colla morte si correggono certe deformazioni del comportamento umano. U mièjju vinu, si hacia acitu hórta. Il miglior vino diventa aceto forte. - È sempre il migliore cittadino che, quando si guasta, diventa il peggiore. U sangu 'on si pò fàra acqua. Il sangue non può diventare acqua. - Un vincolo di consaguineità non potrà mai tramutarsi in nulla. U sangu s'arrusta e non si mangia. Il sangue si arrovella ma non si mangia. -Tra consaguinei ci si può adirare ma mai distruggere. U scaravàjju nci parsa biéllu a màmmisa. Lo scarafaggio è sembrato bello a sua madre. - Ogni madre adora il proprio bambino. U vicinàtu è miénzu parentàtu. Il vicinato è un mezzo parentado. Vala cchiù 'n'amicu ca ciéntu ducati. Vale più un amico che cento ducati (moneta).

Raccolta di proverbi, detti, motti - cantilene, arguzie, storielle, battute di spirito del dialetto bivongese di Paolo Tisano

PROVERBI. Amore e Matrimonio

 

 

 

 

'A bona vacca si marita adu pajisi sue. La brava ragazza si sposa al paese suo. A ciùcciu ed a mujjiéri, si ti restìa tiranci 'a piedi. Ad asino e a moglie, se ti riesce, strappaci la pelle, cioè falli lavorare a più non posso perché altrimenti prendono vizi. A Cutrona si trova 'a zzita bona. A Crotone (in provincia di Catanzaro) si trova la fidanzata buona. - È detto sempre in senso ironico. Adu malu maritu nci mpàccia puru u lucignu d'a luméra (o: 'a luméra adumata). Al cattivo marito da fastidio pure il lucignolo del lume ad olio (o: il lume acceso). - Dicesi quando si litiga per motivi inesistenti e senza ne motivo ne ragione. Come dire litigioso e/o brontolone per natura. Ama a cu' t'ama e rispùndi a cu' ti chiama, ca amara a cu' 'on t'ama è gran paccìa. Ama chi ti ama e rispondi a chi ti chiama, perché amare chi non ti ama è gran pazzia. Ama cuori gentili e perda l'anni, de' villani 'om-para disignu ca i villani su' cuori tiranni e i civili su' cuori gentili. Ama i cuori gentili e perdi gli anni, dei villani non ti fidare perché i villani sono cuori tiranni mentre i civili sono cuori gentili. Amara a cu' 'on t'ama è tiempu piérsu. Amare chi non t'ama è tempo perso. Amuri è randa quantu 'na muntàgna ma quandu u pierdi è randa quantu 'na castagna. L'amore è grande quanto una montagna, ma quando lo perdi è grande quanto una castagna. Attaccàra u coppiédu adu chiuòvu. Attaccare il cappello al chiodo. - Fare un buon matrimonio; sistemarsi economicamente molto bene col patrimonio dell'altro coniuge. In genere è riferito all'uomo. 'A vera maritata, senza donna e senza canata. La donna veramente sposata (è) senza suocera e senza cognata. 'A zzitèda mia 'om-bola dota ca si marita cu da nuominàta. La mia figliola non ha bisogno di dote perché si sposerà per la fama (delle due virtù e bellezze). - Dicesi come frase detta da quel genitore che non è disponibile a fare la dote a sua figlia. Cornutu cu unu è Cornutu cu ddui. Cornuto con uno è cornuto con due. - Chi è diventato cornuto una volta, lo sarà anche altre volte. Diffida della donna che ti ha fatto le corna una volta, perché facilmente lo rifarà. Cu' ammazza u puórcu e Cuntientu n'annu, cu' si marita è cuntientu nu juórnu. Chi uccide il maiale (che ha allevato) è contento un anno (a mangiar carne), chi si sposa è contento un giorno (quello del matrimonio). Cu' ava 'a mujjiéri bella sempa canta, cu' ava puócu suórdi sempa cunta. Chi ha la moglie bella sempre canta, chi ha pochi soldi sempre conta. Cui cu bellezza è nata, nèscìa maritata.  Chi con bellezza è nata, nasce maritata. Cu' nescìa e tràsa, 'on s'accasa. Chi esce ed entra, non si accasa. - Chi passa da una fidanzata all'altra finisce col non sposarsi. Cu' pàta pad'amùri, 'on suffra doluri. Chi patisce per amore, non soffre dolore. Cu' si marita pa dinari o pad'arróbba non trova compessùri puómmu 'ssórva. Chi si sposa per denari o per proprietà non trova confessore che lo assolva (per l'enorme peccato commesso nel contrarre matrimonio con quell'idea). Cu' si virgogna 'on si marita. Chi si vergogna non si sposa. I corna chi dórmanu 'na sira, dórmanu sempa. Le corna che dormono una sera, dormono sempre. - Chi è cornuto e contento per una volta, non farà più caso nelle volte successive. Vedi pure: Cornutu cu unu e Cornutu cu ddui. I corna viéri sunnu 'e suòru, 'e canata e mujjieri. Le coma vere sono (quelle) di sorella, di cognata e moglie. Mangia corna 'e pinna e-mm 'è cornacchia, cùrcati cu signùra puru s'è vecchia. Mangia carne di pennuti pure se corvaccio, coricati con gentildonna anche s'è vecchia. Matrimuóni e viscuvàti do cielu su' distinàti. Matrimoni e vescovati, dal cielo sono destinati. Nci dùnanu 'a hijja do Rre e idu 'o-da vola. Gli danno (in sposa) la figlia del Rè e lui non la vuole. - Così si dice di chi non sa apprezzare, e perciò rifiuta spesso i tesori che gli vengono offerti. Nta casa de' galantómani prima i himmani e pue l'òmani. In casa dei galantuomini, (nascono) prima le donne e poi gli uomini. - È quanto si dice ai padri, per consolarli, quando per prima nasce una bambina, o ne hanno già una e ne nasce un'altra. 'On nèscìa pputàna si non c'è 'n'arroffìàna. Non nasce puttana se non c'è una ruffiana. Pa disidiéri 'e maritu s'i pijjàu nu palu vestùtu. Per desiderio di marito s'è preso un palo vestito. - Dicesi di donna che ha sposato un uomo ridotto a pelle e ossa, ed inoltre è insignificante e brutto come uno spaventapasseri. Pànza cu pànza è mala crijànza. Pancia contro pancia è cattiva creanza. - Fare l'amore nudi è da screanzati. Quandu 'a hijja nd'ava ddui 'a mamma 'on da bacia cchiui. Quando la figlia ne ha due (di bimbi), la madre non ne partorisce più. Quandu 'amuri ti vola, 'a casa 'a sapa. Quando l'amore ti desidera, la casa la sa. - Quando sarà la tua ora ti sposerai. Dicesi per consolazione a signorina in attesa di un fidanzato. Quandu 'amuri vola, u luócu u trova. Quando l'amore vuole (che ci sia il rapporto sessuale), il luogo lo trova. - Quando due innamorati desiderano far l'amore non c'è sorveglianza che possa impedirlo, perché loro sono sempre in grado di sviarla. Quandu àutru 'om-pue, ti cùrchi cu da mamma de hijjuóli tue. Quando altro non puoi, ti corichi con la madre dei figli tuoi. Quandu cuosi 'on-d'hai 'e zzita, 'on-d'hai 'm-bita. Quando cose (regali) non ne hai da fidanzata, non ne avrai nella vita. Quandu sijùngianu nu gue e 'na vacca, unu tira e l'àutru assàrpa. Quando si uniscono un bue e una vacca, uno tira e l'altro assalta. - Nel matrimonio c'è da lavorare, uno più dell'altro e senza sosta. U dolùri d'a mujjieri morta dura sina ada porta. Il dolore della moglie morta, dura sino alla porta. U maritu è cuómu u serpiénti do cannitu. II marito è come il serpente del canneto (l'aspide): cattivo, velenoso e sempre in agguato. U mièjju partitu è 'a suòni do priévutì. Il migliore partito (matrimoniale) è (quello che l'uomo fa sposando) la sorella del prete (perché così beneficia di tutto il benessere e dell'eredità del prete). U 'nnamuràtu 'on senta ragiuni. L'innamorato non ascolta ragione (ascolta solo il cuore e perde l'uso della ragione). U pàcciu hacia 'a hesta ed u saviu s''a goda. Il pazzo fa la festa (matrimoniale) ed il savio se la gode. U pàcciu hacia 'a spisa ed u saviu s'a mangia. Il pazzo fa la spesa ed il savio se la mangia. - Chi si sposa spende pazzescamente per i festeggiamenti e pranzo e rinfreschi matrimoniali mentre l'invitato saggiamente ne approfitta per mangiare a spese altrui. Vedi pure il proverbio precedente di cui questo è una variante. Zzitta e cabéda, s''a vida cu' s''a leva.  Fidanzata e gabella, se la gode chi se la prende. - Sia la fidanzata che la raccolta delle olive a stima si possono giudicare solo dal consuntivo perché alla fine può darsi che ci sia stata una perdita come pure un guadagno e perciò bisognerà sapersi accontentare sia del bene che del male.

Raccolta di proverbi, detti, motti - cantilene, arguzie, storielle, battute di spirito del dialetto bivongese di Paolo Tisano

PROVERBI. Uomo e Donna

 

 

 

 

'A càrna 'e crapa hacia 'a mujjiéri latra. La carne di capra fa la moglie ladra (perché la carne di capra, cuocendo, si riduce a così poco da fare supporre che la cuoca se la sia mangiata di nascosto dal marito). 'A cumbartaziuóni porta l'uomu ada disparaziuóni. La compagnia allegra conduce l'uomo alla rovina. Ada luci d'a lumera tutti i himmani sunnu 'e 'na manéra (oppure: Ada luci d'a luméra tantu è 'a brutta quantu 'a beda). Alla luce del lume ad olio tutte le donne sono di un modo (oppure: Alla luce del lume ad olio tanto è la brutta quanto è la bella). - Quando si è nella penombra tutte le donne sono uguali. A fimmana chi ciàngia e a cavàdu chi suda 'on ci nda cridira nuda. A donna che piange e a cavallo che suda non gliene credere nessuna. - Di donne e cavalli non ti fidare perché quando sembra che stiano morendo sono invece ancora sempre pronte a lavorare altrettanto. 'A himmana hacia 'a casa. La donna fa (prosperare) la famiglia. 'A himmana 'e bona razza a cinquant'anni tena 'mbràzza. La donna di buona razza, a cinquant'anni tiene in braccio (il suo neonato). 'A himmana maritata oja è libara domana è 'mpacciàta. La donna sposata, oggi è libera domani è impacciata. - La donna sposata può essere incinta da un giorno all'altro. 'A himmana ngarbàta si vida ada luméra.  La donna aggarbata si nota (anche) al chiaro di lume; oppure: si nota anche nell'atto di accendere il lume. Vedi pure: Si-bue u vidi s'è bona 'a massara, guardala quandu hila ada luméra. All'uomu 'a scupétta ada himmana 'a cozétta. All'uomo il fucile, alla donna la calza. A 'na bona tuvàjja ognùnu cerca u si stùja. A un buono asciugamano, ognuno cerca di asciugarsi. - Di bella e brava ragazza ognuno cerca di godere la simpatia e di conquistarla. Biedu (beda) 'mpàscia brutto/a 'nchiazza. Bello/a in fasce brutto/a in piazza. - Bello/a da piccolo/a ma brutto/a e cattivo/a da grande. Casa picciula, himmana 'ngegnùsa. Casa piccola, donna ingegnosa. Cu' vacia cu pputtàna e cu bagàscia perda 'anùri e 'mpovariscia.  Chi va con meretrice e con bagascia perde l'onore e impoverisce. Dio u ti guarda de' himmani barvùti e de' l'ómani senza barva. Che Dio ti salvi dalle donne barbute e dagli uomini senza barba. Essara cuómu 'a himmana e Napuli: brutta 'e dintra e beda 'e hora. Essere come la donna di Napoli: brutta di dentro e bella di fuori. 'E himmana chi arrida e de gadina chi canta 'on tenira spirànza. Di donna che sorride e di gallina che canta non tenere speranza. - Diffida della donna che sorride, lei è come la gallina che canta (come un gallo): tutta apparenza ma niente sostanza. Himmani e guai, 'nda truóvi addùva vai. Donne e guai, ne trovi ovunque vai. Himmana, lariuógiu e scupétta 'a bugia t'annètta. Donna, orologio e fucile la tasca tè la puliscono, perché comportano sempre molte spese. Himmana mantugàta. Donna nominata (per la sua cattiva moralità). - Dicesi di donna di cui si mormora per suoi presunti rapporti prematrimoniali o extraconiugali. Himmana 'mpacciata. Donna incinta. Himmana, nchianàta e rina portanu l'uomu ada rovina. Donna, salita e sabbia conducono l'uomo alla rovina. - L'abuso di rapporti sessuali, il continuo percorso in salita o sulla sabbia distruggono le capacità fisiche dell'uomo. Himmana spicàta. Donna spigata. - Dicesi di nubile abbastanza matura, al punto tale che ha già fatto la spiga. L'uomu carrijàndu ed 'a himmana cacciandu, 'on si vida nènta mai. L'uomo portando (benessere in casa) e la donna sciupando, non si vedrà mai niente (di progresso in famiglia). L'uomu cinquantinu, dassa 'a himmana e pijja u vinu.  L'uomo cinquantenne, lascia la donna e prende il vino.) L'uomu, cuómu t'u manda Dio t'u tieni.  L'uomo, come tè lo manda Dio tè lo tieni. - Il marito bisogna tenerselo come capita. L'uomu è cacciatùri. L'uomo è cacciatore (di donne). L'uomu guappu, mora a mani 'e putrùni. L'uomo guappo, muore per mano di un inerme. L'uomu mutu 'om-pot'èssera servùtu. L'uomo muto non può essere servito. -Vale anche come risposta che le mogli danno ai propri mariti quando questi le rimproverano di non averli capiti nelle intenzioni o nei gesti di desiderio o di comando. L'uomu puntuali è patrùni d''a gùrza 'e l'autri. L'uomo puntuale (nei pagamenti) è padrone del portafoglio degli altri. - Chi è puntuale nei pagamenti riscuote fiducia. L'uomu quantu nu gridu: ciéntu canni arràsu d'idu. L'uomo quanto un grillo: cento canne lontano da lui. - Stai molto attento all'uomo di statura piccola perché è molto pericoloso. L'uomu si tena d''a parola, u gue de' corna. L'uomo si vincola dalla parola, il bue dalle corna. L'uomu sulu 'on'e buonu mancu 'mparadisu. L'uomo da solo non sta bene neanche in Paradiso. Miéjju maddàmma de' primi ca signùra de l'urtimi. Meglio (essere) madama (è così chiamata la moglie dell'artigiano) tra le prime che signora (la moglie del ricco benestante) tra le ultime. 'Na himmana e 'na sumèra làrmanu 'na héra. Una donna e un'asina impiantano una fiera. - Due femmine fanno sempre molto chiasso. Ómani 'e tabaccu e-binu, 'om-bàlanu nu quattrinu. Uomini (dediti) al tabacco e al vino non valgono un quattrino. Ómani 'e vinu: ciéntu a carrinu. Uomini (viziosi) di vino: cento per un carlino. - Gli uomini ubriaconi valgono molto poco. Para ca passàu San Giasiéppi cull'àscia! Sembra sia passato San Giuseppe col-l'ascia! - Così dicesi di donna con scarsi seni o quasi senza. Povaru hijju 'e mamma chi nci 'ncàppa, ca i himmani su ' tutti 'e 'na manéra, o campa o mora o vacia 'n-galéra. Povero figlio di mamma che incappa (colle donne), perché le donne son tutte di un modo, o vivacchia o muore o va in galera (per colpa della donna). - Colle donne l'uomo non ha salvezza e scampo, è destinato sempre a fare una brutta fine. Puommu u scandàjji u cuori 'e n'uomu hai u mangi cincu quintali 'e sala. Per scandagliare il cuore di un uomo devi aver consumato cinque quintali di sale. -Ciò equivale a dire che non si riesce mai a scandagliarlo, perché se per ipotesi un uomo consumasse una media giornaliera di 13,79 di sale, dovrebbero trascorrere cento anni per consumarne cinque quintali. Signurina senza statu è cuómu u pana senza lavàtu. Signorina senza dote, è come il pane senza lievito: non lo vuole quasi nessuno. Si non si simina 'on si nèscìa e l'uomu 'om-pàra se non patiscia. Se non si semina non si nasce, (così pure) l'uomo non impara se non patisce. Si-bue u vidi 'a himmana bajorda cammisa netta e tuvàjja lorda. Se vuoi vedere la donna balorda, camicia pulita e tovaglia sporca. - Per notare la balordaggine femminile basta osservare se essa indossa la camicia pulita e la tovaglia (bianca che si portava in testa rivoltata al-rindietro) sporca. Il che equivale a dire che quella donna puliva ciò che non appariva e lasciava sporco quanto invece appariva e si poteva quindi notare. Si-bue u vidi l'uomu jastimàra u porta tri ligna cu 'na ligàra. Se vuoi sentire l'uomo bestemmiare, che porti (sulla spalla) tre stanghe legate con un solo legaccio. - È tremendo dolore e fastidio, perché i legni si aprono a ventaglio creando non solo una piaga sulla spalla o al collo ma anche eventuali danni a quanti passano accanto, in quanto non si è in grado di tenere i legni ben uniti. Si-bue u vidi l'uomu lutràru adu buttàzzu ed all'acquàru. Se vuoi vedere l'uomo pasticcione, arruffone, disordinato, puoi notarlo quando lavora al bacino di terra per la raccolta del l'acqua sorgiva e quando lavora per fare il canale d'irrigazione, perché in tali occasioni non bada, in genere, alla perfezione e all'accuratezza del lavoro ma solo alla funzionalità.) Si-bue u vidi s'è bona 'a massara guardala quandu hila ada lumèra. Se vuoi vedere quanto è brava (a fare) la donna di casa, osservala - quando fila (col fuso) al lume ad olio; perché se noti che lei, nonostante la poca luce, lavora con accuratezza e precisione nel fare il filo, allora significa che ha buone predisposizioni a lavorare bene in quasiasi circostanza. Spassu 'e chiazza e trivulu 'e casa. Spasso di piazza e tribolatore di casa. -Così viene definito l'uomo allegro e simpatico in compagnia ma insopportabile e tormentoso in famiglia. Uomu benehicàtu, nimicu dichiaràtu. Uomo beneficato, nemico dichiarato. -Vedi pure: Suórdi 'mp restati, nimici accattati. U sàbatu è chiamàtu allegracuòri pa di mujjiérì de' carvunàri. Il sabato è chiamato rallegracuore, dalle mogli dei carbonai. - II sabato era il giorno in cui i carbonai rientravano a casa dalla montagna, quindi le mogli erano felici e festanti perché ritornava a casa il proprio uomo col quale intendevano spartire i piaceri della famiglia. Vala cchiù nu viécchiu arditu ca nu giùvani annoggiàtu. Vale più un vecchio ardito, che un giovane incapace (dicono le donne a quei giovani da cui ricevono profferte amorose e li vogliono disprezzare). Vinu annacquàtu e pana ammuffàtu fannu l'uomu panijàtu. Vino annacquato e pane ammuffito fanno diventare l'uomo innervosito.

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PROVERBI. Ricchezza e Povertà - Fortuna e Sfortuna - Diritto e Giustizia

 

 

 

 

A casa 'e povariédi 'on mancanu i tozza. In casa di poveretti non mancano tozzi. -Anche il povero possiede sempre qualcosa da offìre all'ospite. A cavàdu jastimàtu nci lucia u pilu. A cavallo maledetto gli luccica il pelo. -Più sono le maledizioni che talvolta si mandano a qualcuno e più questo sta bene. La maledizione non colpisce. A cavàdu magru cójjanu i muschi. Al cavallo magro si adunano le mosche. -Sul povero, debole, sfortunato, si avventano i guai o i parassiti o le avversità. 'A cùrti è longa. La corte è lunga. - Ci vuole molto tempo per ottenre giustizia dalla corte. Adi vuoti pata u giùstu pa du paccatùri. A volte paga il giusto per il reo. Addùva ti para ca u grassu spanda a mala pena 'a lumerà cunda. Laddove ti sembra che il grasso spande, appena appena ce n'è per accendere il lume. - Spesso capita di giudicare agiata quella famiglia dove invece si vive in povertà. Le apparenze ingannano. 'A mamma mpàscia e sciascia, ma 'a hortùna Dio nci 'a duna. La mamma fascia e pulisce (il proprio bambino), ma la fortuna solo Dio gliela dona. - I sacrifìci dei genitori sono nulli agli effetti della fortuna di figli. Questa proviene solo da Dio. Amaru cu' cada all'acqua e cerca ajutu. Sfortunato chi cade in acqua e cerca aiuto. - Nella disgrazia non sperare nell'aiuto altrui. Amaru cu' 'om-pota e truistu cu' 'on ava. Sfortunato chi non può e triste chi non ha. Amaru cu' 'on ava santi 'm-paradisu. Sfortunato chi non ha santi (protettori) in Paradiso. - Amicizia e raccomandazioni di persone importanti sono sempre utili ovunque. Amaru u hissa. Sfortunato il fesso. - È grande sventura essere fessi. Amaru u travu chi bola 'a puntida. Sfortunata la trave che ha bisogno di puntello. - Sfortunato è chi, nato per dare sostegno, ha bisogno di essere sostenuto. 'A hortùna è cuómu 'na rota, gira e vota. La fortuna è come una ruota, gira e volta; una volta a me una a tè. 'A muórti guasta e consa. La morte guasta e aggiusta (i rapporti tra i .parenti del defunto). A piràra rimazzàta, amaru cu' capita. Al pero bacchiato, sfortunato chi capita.- E molto sfortunato chi viene trovato a rubare dove altri hanno già rubato tutto. All'uórtu 'e Dio, mangi tu ed io. All'orto di Dio, mangi tu ed io. - Nella terra di nessuno, prende chi può. 'A pùrvarì càccia 'a pada. La polvere espelle la pallottola. - Chi ha maggior potenza vince. Arburu pecca e ramu riciva. Albero pecca e ramo riceve. I peccati dei genitori li pagano i figli. A santu cuómu t'aduri, a cùrti cuómu t'aiuti. Al santo come tu l'adori, a corte (di giustizia) come ti aiuti. - Dai santi ottieni secondo come li adori, dalla giustizia secondo come riesci a raccomandarti. Avaru d'a cinnari e scegàru d''a harina. Avaro della cenere e sciupone della farina. - Dicesi di chi è avaro di ciò che serve a nulla o costa poco e prodigo o sciupone di ciò che serve o costa molto. Casa nova scupa nova. Casa nuova scopa nuova. - Nuova casa, o residenza, nuova legge. Cchiù sunnu àuti i munti e cchiù quàjja 'a nivi. Più sono alti i monti e più si addensa la neve. - Quanto più alta è la posizione sociale, tanto più si accumula la ricchezza. Cchiù 'a corda 'on chica, cchiù mienti ligna. Più la corda non basta, più aggiungi legna. - Più sei in difficoltà e più procuri altri guai. Dicesi a chi, nonostante le difficoltà che ha, ne va in cerca di altre. Chidu chi fai ti vidi. Quello che fai ti vedi. - Non sperare di avere più di quanto dai. Corna e lignati, amaru cu' i raha. Corna e legnate, sfortunato chi li deve sopportare. Cu' ava cchiù forza, vincia 'a càusa. Chi ha più potere vince la causa. Cu' ava u nio e non s'u vida ava 'a hortùna e non s'à crida. Chi ha il neo e non se lo vede ha la fortuna e non lo crede. Cu' ava tuórtu grida, cu' no, stàcia quiétu. Chi ha torto grida, chi no, sta zitto. Cu' camina darittu mora affrittu. Chi cammina diritto morirà afflitto. - L'onestà fa vivere in povertà. Cu' dinari e cu amicizia nci vaju 'n-culu ada giustizia. Con denari e con amicizia ci vado in culo alla giustizia. Cu du nènta 'on s'apparenta. Col niente non si apparenta. - Col nulla non si ottiene alcunché. Cu du pàtra ed u patrùni sempa tuórtu e mai ragiuni. Con il padre e con il padrone (hai) sempre torto e mai ragione. Cu' è riccu 'e suórdi 'e riccu e paducchi. Chi è ricco di soldi è ricco di pidocchi (per i molti grattacapi che ne derivano). Cùgnu culéda, e Cùgnu paga 'a gozzaréda. Cùgnu (personaggio simbolico pur essendo un nomignolo bivongese) bagnato fradicio e Cùgnu paga la brocca (che si è rotta). - Dicesi di chi non solo s'è fatto male ma deve pure pagare i danni; come dire: cornuto e bastonato. Cu' disija e cu' mbaschina. (Al mondo c'è) Chi brama e chi ne ha da buttare via. - Dicesi quando si nota qualcuno che sperpera mentre accanto c'è chi invece vive nella miseria. Cu' perda herrazzùda e trova mantu 'om-perda tantu. Chi perde sciarpa e trova cappotto non perde molto. - Chi perde poca cosa e trova molto, perde quasi nulla. Cu' pota hacia, e cu' sapa dicia. Chi può fa e chi sa dice. Cu' sbenturàtu nèscìa, sbenturàtu mora. Chi sventurato nasce, sventurato muore. Cu' vincia 'a càusa resta 'n-cammisa, cu' perda resta nudu. Chi vince la causa rimane in camicia, chi perde rimane nudo. - Nelle vicende giudiziarie c'è sempre da perdere, sia per vincitori che per vinti. Cu' vola u s'arricchiscia hatiga quandu si rincriscia. Chi vuole arricchirsi lavora quando gli rincresce. - Per arricchirsi occorre lavorare sempre Dammi hortùna e jéttami a mari ca niésciu cu du culu chinu 'e calamari. Dammi fortuna e gettami in mare, che ne uscirò col sedere pieno di calamari. - Al mondo basta solo la fortuna per diventare ricchi, qualunque cosa ti capiti. Dio u ti guarda 'e cuviérnu 'e himmana e de giustizia 'e mònacu. Che Dio ti guardi da governo di donna e da giustizia di monaco. Dura malànnu e pue vieni. Dura pure o stortura, perché alfine arriverà anche la verità. - Dicesi quando si è sopraffatti da contrafattori e/o imbroglioni e si attende di ottenere giustizia e verità. 'E chidu chi maniji ti 'mbràtti. Di ciò che mescoli ti sporchi. - In qualsiasi attività ti sporchi la coscienza o la moralità. 'E carciaru e galèra u cristiànu torna pieju ch'era. Da carcere e galera, la persona ritorna peggio di come era. - II carcere peggiora l'uomo che vi entra. 'E quandu ni misa u hàzzu barritti, l'ómani néscianu senza testa. Da quando mi son messo a fare berrette, gli uomini nascono senza testa. - È quanto dice chi vuole attribuire la colpa dell'insuccesso di una sua attività a cause eccezionali o a sfortuna piuttosto che alla propria incapacità o incompetenza. Giustizia nc'era scrittu allu portuni, nci cridiu lu minchiùni, ma giràu tuttu lu palazzu e de giustizia 'on da trovàu nu cazzu. Giustizia c'era scritto sul portone, ci ha creduto il povero innocente ma ha girato tutto il palazzo e di giustizia non ne ha trovato affatto. Hammi 'ndovinu ca ti hazzu riccu. Fammi indovino che ti farò ricco. Hara cuómu t'ha fattu 'on'e gran fattu. Fare quanto ti hanno fatto non è gran fare. - Non è un fare male il restituire quello che ti han fatto. Hatiga hatta, dinari aspetta. Lavoro fatto, denari attende. - II lavoro dev'essere sempre pagato. Hortùna e cazzu 'n-culu. Fortuna e pene nell'ano. - Che io abbia la fortuna e poi non fa nulla se devo sopportare il pene nel mio ano. Quando si ha la fortuna tutto il resto non ha importanza. Solitamente è ciò che dice chi bada solo a soddisfare bisogni materiali. Jira pa grazia e trovàra giustizia. Andare per grazia e trovare giustizia. -Dicesi di chi si presenta per avanzare pretese e invece scopre di essere debitore o colpevole. Largu 'e vucca e strittu 'e culu. Largo di bocca e stretto di ano. - Dicesi di chi è generoso a parole ma avaro nei fatti. L'avira ti fa sapira. L'avere ti fa sapere. 'Na vota tocca a-mmia lu dira e lu farà e 'na vota tocca a-ttia lu hara e lu dira. Una volta tocca a ne il dire e il fare e una volta tocca a tè il fare e il dire. - Una volta per ciascuno non fa male a nessuno. Nta casa de' cecàti, mbiàtu cu' ava n'uócchiu. In casa di ciechi, fortunato chi ha un occhio. Nta casa do riccu, cu-est'esta cumanda. In casa del ricco, chiunque è capace di comandare. - Sono tutti bravi a comandare, o a ordinare quanto si desidera, in casa dove non manca nulla. Ogni testa è nu tribunali. Ogni testa è un tribunale (pensa e giudica a modo suo). Pad'ogni casa nc'è 'na cruci. Per ogni casa esiste una croce. - Sofferenze e dispiaceri ne esistono in ogni famiglia. Pana: amaru cu' 'on da schiàna. Pane: sfortunato chi non se lo può fare in casa (perché non se ne poteva mangiare a sufficienza e quando se ne aveva voglia). Vedi pure: Pana 'e vilànsa 'on gùrda pansa. 'Povaru chidu chi sapa quantu godàgna u juórnu. È ben povero chi sa quanto è il proprio guadagno giornaliero, cioè l'operaio. Povaru l'ociédu chi nèscìa nto malu nidu. Sfortunato è l'uccello che nasce in pessimo nido. - È sfrotunato chi nasce in povertà. Quandu 'a hortùna ti vola 'a casa 'a sapa. Quando la fortuna ti vuole la casa la sa. Quandu 'a hortùna 'om-bola, i santi 'om-puónnu. Quando la fortuna non vuole, i santi non possono. - Sono inutili le preghiere contro la sfortuna e non basta la potenza dei santi. Quandu gadi e quandu gridi, quandu sùrici e quandu ajjiri. Talora galli e tal'altra grilli, talora topi e tal'altra ghiri. - Accontentati sia della ricchezza sia della povertà, sia dei momenti buoni e sia dei tristi. Quandu squàjja 'a nivi si vidanu i munti. Quando si scioglie la neve si vedono i monti. - Quando vengono a mancare le ricchezze si notano le reali capacità di cui si dispone. Restàra cu du culu ruttu e senza ciarasi. Rimanere col sedere rotto (per le botte prese o per le lacerazioni prodottesi nel salire e scendere dalla pianta) e senza ciliege. - Restare col danno e colle beffe. Restàra cu di càuzi rutti e senza cammisa. Rimanere con i pantaloni rotti e senza camicia. - Restare povero, nudo e sfortunato. Restàra cui l'uòcchi u ciàngia e cull'ùnji puómmu u si gratta. Rimanere cogli occhi per piangere (le sventure) e colle unghie per grattarsi (le rogne). - Rimanere con dispiaceri e grattacapi. Scartu frùsciu e pijju primèra. Scarto colore e prendo primèra. - Getto una fortuna e ne ho subito un'altra, sia pure di valore inferiore. Lo dice chi ha una fortuna sfacciata. Sparti ricchizzi e vieni 'm-povertà. Dividi ricchezze e arrivi in povertà. - Se non si risparmia e/o non si acquista si finisce sempre col diventare poveri, continuando solo a spartire agli eredi una sola ricchezza iniziale. Supa 'a guàrada u carvùnchiu. Sull'ernia il carbonchio. - Dicesi di chi a un male gliene sopraggiunge uno peggiore, per significare che è molto sfortunato. Tutti i hiumàri vannu adu mari. Tutti i fiumi vanno al mare. - Chi ha già molto (il mare) riceve molto. - La ricchezza si accumula dove già c'è. U cana do gucciéri è sempa cu da testa china 'e sangu e cu da pansa vacanti. Il cane del macellaio è sempre colla testa piena di sangue (che gli è colato dalla carne appena in macelleria) e colla pancia vuota. -Pur vivendo in mezzo alle ricchezze, chi non è padrone può soffrire la fame. U gurdu 'on crida u dijùnu. U sazio non crede chi è digiuno. - II ricco non capisce la povertà e il fortunato non comprende lo sfortunato. U malu passu è adduva cadi. Il cattivo posto è quello dove cadi. - La causa di un dispiacere è sempre odiata. U 'mbrojjùni ava u-m'esta e bona mimuória. L'imbroglione dev'essere di buona memoria, per non esser colto in fallo. Uòcchi e dinari, amaru cu' 'i perda. Occhi e denari, sfortunato chi li perde. U povaru ed u mulàtu s'u scumpida u parentatu. Il povero e l'ammalato non lo sopporta il parentado. U Signùri nci manda i viscottì a cu''on ava diènti. Il Signore manda i biscotti a chi non ha denti. - La fortuna assiste chi non può apprezzarla. U viéntu pijja adu malu copaggiàtu. Il vento colpisce chi è male equipaggiato. - La disgrazia colpisce poveri, deboli e sprovveduti.

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PROVERBI. Avarizia - Egoismo - Diffidenza - Bisogno - Invidia - Bontà - Pietà - Rassegnazione

 

 

 

 

Abramàtu, cutùgnu, nda vuójju e non da dugnu. Avaro, (asciutto e aspro come la) cotogna, (sei uno che dice sempre) ne voglio e non ne dò - Dicesi (tra bambini) a chi è ritenuto affetto di avarizia cronica. A cu' dintra miénti, hora ti càccia. Chi dentro metti, fuori ti caccerà. - Prima di dare a una persona libero accesso in casa, o in rapporti di affari, stai molto attento che poi non ti butti fuori. A cu' vida, u suli scàrfa.  A chi vede, il sole riscalda. - Solo chi si fa vedere può sperare di ricevere un beneficio. Non aspettare che siano gli altri a venirti incontro nel bisogno, se non ti fai vivo. Ad avàru, u culu nci arróbba 'a cammisa. All'avaro, l'ano gli ruba la camicia. -L'avaro non si fida neppure di ciò che gli appartiene. 'A 'mbidia pijja ed 'a jastima 'on cójja. L'invidia prende e la maledizione non colpisce. - L'invidia ti viene e s'impadronisce di tè, ma la maledizione non ti coglie perché inefficace. 'Avàru mora chinu 'e padùcchi.  L'avaro muore pieno di pidocchi. - Altrettanto dicesi dell'usuraio: L'usuràru mora chinu 'e padùcchi. 'Avàru 'on mangia pa duómmu caca. L'avaro non mangia per non defecare, e perciò per non perdere qualcosa di suo. 'Avàru, pa n'ùnsa perda nu ducàtu. L'avaro, per una oncia (che non da) perde un ducato (moneta d'oro). - L'avaro pur di non dare è capace di rinunciare ad un ottimo affare. Avira bisuògnu puru de' piétri d'a via. Avere bisogno pure dai sassi della strada. - Dicesi in segno di profonda umiltà per far intendere che si ha bisogno di tutti e di tutto in quanto ogni cosa è utile e necessaria. Avira cchiù juórni ca sotizza. Avere più giorni che salsicce. - Avere più bisogni che possibilità. Bisuògnu e neciessità 'on guarda liéggi.  Bisogno e necessità non guarda legge. -In caso di bisogno e di necessità non si bada alle leggi, perché in tali circostanze si possono anche trasgredirle. Buonu nd'avia unu e s'u levàu 'a hiumara. Buono ce n'era uno e se l'è portato via il fiume. - Persone buone non ne esistono, se qualcuna c'è stata è poi annegata e s'è persa la razza. Vedi pure: U buonu-buonu, 'na matina u vittaru sutta i timpi 'e Stìlu. Carnavalàri hacia i dièbita e Corajìsima 'i paga. Il Carnevale fa i debiti e la Quaresima li paga. - Lo spendaccione fa i debiti e il parsimonioso li paga. Cchiù scuru d'a menzannòtta 'om-pó venira. Più buio della mezzanotte non può venire. - Peggio di cosi non può andare. Si dice con spirito di rassegnazione. Chiuòvu mio, chiuóvu, quandu u mio è-biécchiu u tue è nuovu.  Chiodo mio, chiodo, quando il mio è vecchio, il tuo è nuovo. - Caro mio, non ti sgomentare, perché ognuno ha il proprio dispiacere e quando il mio sarà passato il tuo sarà forse in arrivo. I dispiaceri non mancano mai a nessuno. Cu' ava pietà d'a càrna 'e l'autri, 'a sua s'a màngianu i cana. Chi ha pietà della carne altrui, la sua se la mangiano i cani. - Chi si impietosisce degli altri, trascura e danneggia se stesso, mettendosi alla altrui mercé. Cu' ddu' lièburi vola u m'acchiappa unu nci hùja e l'àutru nci scappa. Chi due lepri vuole prendere, uno gli sfugge e l'altro gli scappa. - Chi troppo vuole, nulla stringe. Cu du tiempu e cu da pajja si matùranu i niéspula. Col tempo e con la paglia si maturano le nespole. - Col tempo e colla pazienza tutto si accomoda. Cu' mora mbolènatu cu di hungi amaru u para cu' lu ciàngi. Chi muore avvelenato coi funghi, sfortunato sia chi lo piange. - Nessuna pietà, per chi muore avvelenato dai funghi. Cunténtati cu du bruódu ca 'a càrna vacia cara. Accontentati con il brodo perché la carne cosata cara. - Se non puoi ottenere quanto ti aspettavi, accontentati di quello che hai ottenuto. Cu' parrà puócu, hutta assai. Chi parla poco, frega molto. - Diffida di chi parla poco. Cu' raspa 'a rugna d'autri, 'a sua rivijja. Chi gratta la rogna d'altri, la sua risveglia. - Chi lenisce le pene altrui, risveglia le proprie. Cu' si na'arrida do mala d'autri, u sue é-bicinu. Chi se ne ride del male altrui, il suo ce l'ha prossimo. Cu' sulu hatiga, sulu mangia. Chi solo lavora, solo mangia. - Non devi mai chiedere, se non hai lavorato. Chi è solo a lavorare solo deve essere pure nel consumare. Cu' vola u mala d'àutru, u sue l'ava ada porta. Chi vuole il male d'altri, il suo ce l'ha alla porta. Ddu' puórci 'ngràssanu cchiù de unu. Due maiali (in uno stesso porcile) ingrassano più di uno (perché mangiano di più, per invidia). Non sempre l'invidia è deprecabile. Vedi pure il detto: Mangiàra a 'mbi-dia, cuómu i puórci.  Duóppu 'avàru, vena u scegàru. Dopo l'avaro arriva il prodigo, sprecone, sperperone. 'E pizzu 'm-pizzu, s'arriva adu capizzu. A poco a poco, si giunge al capezzale. -Approffittando un poco alla volta si giunge ai posti di comando. Fa bena e scordati, fa mala e guardati. Fai del bene e dimenticati, fai del male e guardati. Guai e pieni, cuómu l'hai t'i tieni. Guai e pene, come li hai tè li tieni. Gùrdati pputtàna cu menz'uóvu! e stipatinda pa domana! Saziati donnaccia con mezzo uovo! e risparmiatene per domani! - Frase che si attribuisce alla mente di un avaro che vuol fare lo sforzo di dare. Hutta e ciàngia, cuómu i gatti. Fa l'amore e piange, come i gatti. - Dicesi di chi si lamenta pur godendo di benessere. O cantu, o rahu 'a Cruci. O canto o trascino la Croce. - O si è contenti o si soffre, ma le due cose insieme non sono possibili. Ogni acqua càccia 'a siti. Ogni acqua toglie la sete. - Quando si ha bisogno, ogni aiuto è buono. Pa bisuógnu si vacia puru adu 'mpiernu. Per bisogno si va pure all'inferno. Patrùni, puócu stragi ni pue hara, ca puócu è u tiempu chi t'aju 'e servira. Padrone, poche angherie mi puoi fare, perché poco è il tempo che devo servirti. -È quanto diceva il servo al suo padrone, delle cui angherie e morifìcazioni subite era stufo. Oggi viene talvolta usato per dire ch'é finito il tempo dei soprusi. Perdira l'uòcchi (o: i gue) e jira cercando i pinnulari (o: i corna). Perdere gli occhi (o: i buoi) e andare cercando le ciglia (o: le corna). - Dicesi a chi, o di chi, dopo aver subito una perdita enorme (nel senso più ampio del termine) dimostra interesse per le piccolezze. Quand'àutru 'om-bidi, pijja a-mmia, dissa 'a vecchia. Quando altro non trovi, prendi me, disse la vecchia. - Dicesi per significare che nel bisogno occorre accontentarsi di quello che si trova. Quandu hai bisuógnu, hai u vai adi hiumàri, ca i cahùni siccanui viàtu. Quando hai bisogno, devi andare ai fiumi, perché i ruscelli seccano subito. - Nel bisogno rivolgiti a chi ha molto, perché chi ha poco, è in povertà, spesso, pure lui. Quandu u povariédu duna adu riccu, si nd'arrìda u diàvulu. Quando il povero da al ricco, se la ride il diavolo, perché è grave peccato. Quandu vidi ddu' cana a n'uossu è miéjju u ti tiri a-rràsu. Quando vedi due cani a un osso, la miglior cosa è che tu stia lontano. - Quando sei presente in luoghi dove due persone sono pronte ad azzuffarsi, perché entrambe pretendono la medesima cosa è prudente starsene lontano. Esiste pure il detto: Nci sunnu cchiù cana all'uóssu - Ci sono più accaniti pretendenti alla stessa cosa. Si 'a 'mbidia hussa guàrada, ognùnu 'a raharia. Se l'invidia fosse ernia, ognuno se la trascinerebbe. Si non chiòva, stizzija. Se non piove, pioviggina. - Se manca l'abbondanza, ci si accontenta di quello che c'è, però non ne siamo privi del minimo indispensabile. È detto con molta rassegnazione U bisuógnu ti caccia d'a casa. Il bisogno ti caccia di casa. - Nel bisogno sei costretto ad andare a chiedere, o di emigrare. È vano sperare che gli altri ti vengano incontro nel bisogno se tu non vai a chiedere aiuto. U bisuógnu ti 'mbizza 'a strata. Il bisogno ti insegna la strada, per trovare chi ti può dare aiuto. U buonu-buonu, 'na matina u vittaru sutta i timpi 'e Stìlu. Il troppo buono, una mattina lo videro (morto) sotto gli strapiombi di Stilo. - Chi è troppo buono non ha vita lunga, anzi, siccome non si sa cosa farsene di costui, lo si va a buttare dall'alto di una rupe. U buonu 'on dura, ed u malu mancu. Il bene non dura e il male neppure. - Nella vita c'è alternanza tra il bene e il male, perciò è bene non disperare ma neppure godere sempre. U cana d'a Cusènza, cuom'é si pensa. Il cane della Cosenza, com'è lui crede che siano pure gli altri. - Ognuno dal proprio cuore l'altrui misura. U lupu, adu bisuógnu nèscìa d'a tana.  Il lupo, al bisogno esce dal nascondiglio. -Ognuno manifesta la propria qualità al momento della necessità. U mangiasùni si càccia cull'unji sue.  Il prurito si toglie colle unghie proprie. -Solo chi ha bisogno sa cosa gli occorre per poterselo togliere, ma deve contare soprattutto sulle proprie forze. U pana esta ada vucca do cannùni. Il pane è alla bocca del cannone. - Per guadagnarsi da vivere occorre coraggio e sacrificio. U Signùri u provida u providùtu ca u povaru è 'mparàtu. Il Signore provveda il provveduto, perché il povero è abituato (a non avere). - È la preghiera del povero per il ricco, detta non sempre col sentimento della pura preghiera ma talvolta con senso ironico. U tùrchiu 'on'e mai buonu cristiànu.  Il turco non sarà mai un buon cristiano. -Diffida di chi ti è stato nemico e/o avversario.

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PROVERBI. Lavoro e Mestieri - Arti e Professioni

 

 

 

 

Abbiva, ca u horgiàru jungiu u hiérru cud'azzàru: o 'n-térra catta o rina pijjàu. Evviva, perché il fabbro ha saldato il ferro coll'acciaio (se ciò è avvenuto è perché): o è caduto a terra o sabbia ha incorporato. È quanto si dice per prendere in giro chi ritiene di essere riuscito a compiere un lavoro impossibile. 'A càccia està 'e cu' 'assista. La cacciagione è di chi l'assiste. - È continuando ad andare a caccia che si porta la preda, perché ciò che è sfuggito oggi si potrà prendere domani. 'A coddàra gùjja ed u puórcu està ada muntàgna. La caldaia bolle e il maiale è in montagna. - È inutile fare preparativi con notevole anticipo se non si è sicuri dell'avvenimento. 'A cùda è 'a cchiù forta (brutta) a scorciàra. La coda è la più dura (brutta) da scorticare. - Nel lavoro, la parte più penosa e seccante è sempre l'ultima. Ada hórgia 'on toccara, ada spezeria 'om-provàra. Nell'officina del fabbro non toccare, potresti scottarti; in farmacia non assaggiare, potresti avvelenarti. Adu malu zzappatùri 'nci 'mpàccia puru u marrùggiu. Al cattivo zappatore da fastidio persino il manico della zappa. - Il lavoratore incapace attribuisce all'attrezzo la colpa del pessimo risultato ottenuto, ma lo fa soprattutto per giustificarsi della mancanza di voglia di lavorare. Adu malu 'mprenatùri 'nci 'mpàccianu puru i pili. All'incapace di rapporti sessuali danno fastidio persino i peli. - Il significato è come quello del proverbio precedente. 'A hatiga batta d'a hésta, trasa d'a porta e nèscìa d'a frunésta. Il lavoro fatto nel di festivo, entra dalla porta ed esce dalla finestra. - II reddito prodotto in giorni festivi viene sciupato e non giova, perché si ritiene non sia benedetto da Dio. 'A hatiga 'on'e bona, ca si-nnó hatigarianu puru i cana. Il lavoro non fa bene, che se no (altrimenti) lavorerebbero anche i cani. 'A himmana cerna e 'mpàsta ed u hùrnu consa e guasta. La donna staccia e impasta e il forno aggiusta e guasta. - Nella panificazione è molto determinante l'azione del forno, più dell'impasto, per l'ottima riuscita del pane. A hiumàra vantata, 'on jira u pischi. A fiume vantato, non andare a pesca. 'A matinàta hacia 'a jornàta. La mattinata fa la giornata. - II lavoro del mattino è il più redditizio, vale per un'intera giornata. All'otàru siérvi e all'otàru mangi. All'altare servi e all'altare mangi. - A chi presti la tua opera devi chiedere quello che ti occorre per vivere. Da chi lavori devi pretendere il pagamento. 'A mala lavandàra 'on trova mai 'a petra bona. La cattiva lavandaia non trova mai la pietra buona. - La pessima lavandaia si giustifica dicendo di non trovare mai il sasso adatto a lavatoio. Si rammenta che per lavare i panni si andava al fiume, e lì di pietre se ne trovavano sempre a volontà. Il senso è lo stesso di: Adu malu zzappatùri nci 'mpàccia... 'A manicula è gialùsa. La cazzuola è gelosa. - Ogni volta che si da avvio a un lavoro di muratura si creano gelosie di ogni sorta, nei vicini e/o confinanti. 'A mujjieri do latru 'on sempa arrida e jòca, ca quandu mienu s'à crida, sula sula si menta u ciàngia. La moglie del ladro non sempre sorride e gioca, perché quando meno se l'aspetta, sola soletta si metterà a piangere (perché qualcuno le ha bastonato il marito e deve piangere e curarselo in silenzio, per non farlo sapere a tutti). 'A scupétta 'a bugia annètta, e cui 'on 'a sa-pa levàra a idu stìéssu hacia portàra. Il fucile la tasca pulisce (di denaro), e chi non lo sa usare, se medesimo farà portare (in bara). A tila 'mbijata, tessa puru 'a crapa. A tela avviata, tesse pure la capra. - A lavoro avviato è molto facile continuare. Sulla via fatta è facile per tutti andare avanti. 'A trijja, 'mbiàtu cu' 'a pijja. La triglia, beato chi la piglia (perché è molto prelibata). Bugia mia hatti avanti, ca u tavernaru vola suórdi e no' canti. Tasca mia fatti avanti perché il bettoliere vuole soldi e non canti. - II lavoro, o la mercé, dev'essere pagata in contanti e non con chiacchiere. Càccia 'e pinna, cu' 'ammazza s'à spinna. Cacciagione di penna, chi la uccide se la spenna. Cacciàra u pana d'a vucca do laùni. Togliere il pane dalla bocca del leone. -Procurarsi da vivere affrontando il pericolo della vita. Cacciàra u pana 'e sutta i piétri. Estrarre il pane da sotto le pietre. - Essere gran lavoratore, al punto da far fruttare anche la terra sotto i sassi. Cchiù préscia hai e cchiù hai u siedi. Più fretta hai (nel lavoro) e più devi sedere (cioè devi stare in ozio, perché non sempre riesci a badare agli intralci che si determinano nella fretta). Ciàngia u piecuràru quandu chiòva, 'òn ciàngia quandu gira lu cucchiàru. Piange il pastore quando piove (perché non può far pascolare il gregge), non piange quando gira il cucchiaio (per fare il formaggio). - Ognuno si lamenta secondo la convenienza o circostanza sfavorevole. Ciéntu masurì e nu tajju. Cento misure e un taglio. - Per un lavoro ben fatto devi prendere molte precauzioni e misure perché poi riuscirà. Cu' buonu màcina, miejju 'mpasta. Chi bene macina, meglio impasterà. - Chi inizia bene, terminerà meglio. Cu'hacia 'a simàna e pèrda u sàbatu perda tuttu. Chi fa (lavoro) una settimana e perde il (lavoro del) sabato, perde tutto. - Chi, dopo tanto lavoro, manca alla fine, non fa bella figura. Cu' hacia ligna a mala via s'i càccia 'n-cuódu. Chi fa legna in posti scomodi, se la porti sulle spalle. - Chi compie azioni sconvenienti, difficoltose, rischiose, deve poi provvedere da solo a superare difficoltà e rischi che si possono verifìcare. Cu' hatiga e non abbénta cu da hammi 'on apparenta; cu' seda e si riposa cu da hammi e tuttu 'na cosa. Chi lavora e non riposa, con la fame non apparenta; chi si siede e si riposa, con la fame è tutto una cosa. - Chi si da da fare non muore di fame, perché riesce a provvedere sempre per il ncessario. Cu' 'mbrójja e sciójja 'om-pina mai. Chi fa e disfa non finisce mai. Cu' 'om-bàcia a-lligna 'on mora mai. Chi non va a far legna (nei boschi) non muore mai (perché non affronta le pene che comporta tale lavoro). Cu' 'om-pàcia 'on spacia. Chi non produce non consuma a volontà. Cu' 'om-paga u mastru, paga u mastru ed u mastrùni. Chi non paga il maestro (il competente pagherà il maestro e il garzone. - Chi nel lavoro, per risparmiare, non si fa servire da persone competenti finirà con lo spendere di più. Cu' 'om-patiga mangia 'a gadina cu' hatiga mangia 'a sardina. Chi non lavora mangia la gallina, chi lavora mangia la sardina. - Chi più lavora meno mangia bene. Cu' 'on ava arti 'on ava parti. Chi non ha arte non avrà parte. - Chi non lavora non mangia. Cu' 'on sapa hara on sapa cumandàra. Chi non sa fare, non sa comandare. Cu' 'on sapa u mbàuza 'on sapa u meta. Chi non sa legare le spighe falciate non sa mietere. - Chi manca di qualcosa nel proprio lavoro, non può qualificarsi. Cu' scila e mpila 'om-perda tiempu mai. Chi fa e disfa un lavoro, non perde tempo mai (ma non conclude mai nulla di concreto). Vedi pure: Cu' 'mbrójja e sciójja 'om-pina mai. Cu' spara 'na pica, gran cacciator si dica. Chi spara una gazza, gran cacciatore si dica (perché è difficile colpirla in quanto sta fuori tiro, per il suo sviluppatissimo udito che percepisce il passo del cacciatore). Cu' u proprietàriu serva, 'on trova pajjàru u mora (o: disparàtu mora). Chi presta la sua opera per un proprietario terriero, non troverà mai un pagliaio dove morire (perché sarà sempre povero). Cu' vacia appriessu l'ociédu mora o pàcciu o povariédu. Chi corre dietro l'uccello muore o pazzo (se si ostina a rincorrerlo) o poveretto (per i troppi soldi spesi per la caccia). Chi va a caccia di uccelli, finisce sempre male. Cu' zzàppa, mbiva acqua; cu' puta, mbiva vinu; cu' zzàppa, 'na cammisa, cu' seda ddui. Chi zappa beve acqua, chi pota beve vino; chi zappa (ha) una camicia, chi siede (ne ha) due. Chi meno lavora, meglio sta. Dassa ca pue 'om-pàcia pana (casa) mai. (Col) Lascia che (si farà) dopo, non si fa pane (casa) mai. - Rinviando non si realizza mai nulla. Dùnami l'arti e no' mi darà parti. Dammi l'arte e non mi dare parte (di eredità). - Un mestiere o un'arte valgono più di una eredità. Dùnanci l'arti a cui 'a sapa hara i malanni a cu' 'i pò rahàra ed i piécuri adu lupu Si dia l'arte a chi la sa fare, i malanni a chi li può sopportare e le pecore al lupo. - A ciascuno secondo le proprie inclinazioni, attitudini, capacità. Hara cuómu u pìscatùri: pijja pisci e jastìma. Comportarsi come il pescatore (il quale): prende pesci e bestemmia. - Dicesi di chi vuole apparire sempre insoddisfatto per non far sapere agli altri quanto e dove ha guadagnato. Hara dinari cuomu i piétri. Guadagnare denari come fossero sassi. - Dicesi quando si riesce a guadagnare i denari tanto facilmente quanto il prendere sassi. Hara i ciéntu canti do passaru. Fare i cento canti del passero. - Dicesi di chi vuole fare moltissimi mestieri e non è in grado di fame bene neanche uno. Hatiga hatta 'e notta, 'e juórnu para. Lavoro fatto di notte, di giorno apparirà (nelle sue imperfezioni). Hara i piétri pana. Fare i sassi (diventare) pane. - Essere ottimo lavoratore, tanto da rendere fruttifero tutto ciò che lavora. I buoni herramièntì bannu l'oparàju valianti. I buoni ferramenti (utensili da lavoro) rendono l'operaio valente sul lavoro). I mpingiasànti vannu 'nd'arriédi e mai 'nd'avanti. I pittori di santi vanno all'indietro e mai in avanti. - I pittori non progrediscono mai nel benessere; non diventano mai ricchi. L'arti do tata è menza 'mparàta. L'arte del padre è metà imparata, vedendo il padre lavorare. Longa gujjàta, majistra cacata cùrta gujjàta majistra 'ngraziàta. Lunga gugliata, sarta incapace; corta gugliata, sarta aggraziata. Mercanti hallùtu è mienzu arriccùtu. Mercante fallito è mezzo arricchito. Miéjju hessa ca sindacu. Meglio fesso che sindaco. - Chi è fesso lo è per sempre, chi è sindaco lo è solo per il tempo che gli altri decidono di tenerlo. Ogni màstru disija l'arti sua. Ogni artigiano lascia a desiderare (per se e la sua casa) i lavori della propria attività. 'On jira a càccia quandu mina viéntu, ca pierdi u tièmpu. Non andare a caccia quando tira vento, perché perdi il tempo. Pa sudùra 'e cantuniéri morìu nu cristiànu. Per (mancanza di) sudore di cantoniere è morto un cristiano. - Dicesi per sfottere i cantonieri, perché si presume che costoro stiano sulla strada senza mai lavorare. Pensièro 'e 'n'annu e sarvizzu e nu minutu. Pensiero di un anno e lavoro di un minuto. - Molte ansie per poco lavoro. Puocu pagaziu, puócu pittaziu. Poco pagamento, poca pittura. - Chi poco paga, poco ottiene. Quandu u tavernàru è supa 'a porta, u vinu è acitu. Quando il bettoliere è sull'uscio, il vino è aceto. - Quando il commerciante è sull'uscio del negozio, significa che la merce non è buona. Scarpàri e custuriéri 'on da càmpanu mujjiérì. Calzolai e sarti non fanno campare la moglie perché guadagnano poco). Siéguita l'arti chi fai, ca si non arricchisci, ncùna cosa hai. Continua l'arte che fai, perché se non arricchirai, qualcosa guadagnerai. Si nom-pùssa p'a colla e pa du stuccu, u halignàmi saria nu ddùccu. Se non fosse per la colla e per lo stucco, il falegname sarebbe un allocco (perché non riuscerebbe a nascondere i difetti del legno). Si vue u pruóvi i pièni do 'mpiérnu forgiàru 'a stati e consatùri u 'mbiernu. Se vuoi provare le pene dell'inferno (fai) il forgiatore d'estate e conciapelli d'inverno. U huócu spréscia u cuocu. Il fuoco sollecita il cuoco. U màstru è màstru, u patrùni è mastruni. Il mastro è il maestro, ma il super mastro è il padrone (il datore di lavoro). U stagninu, cu di himmani 'om-pà godàgnu ca perda zingu chiùmbu e stagnu. Lo stagnaio, con le donne non fa guadagno perché perde zinco piombo e stagno). U tavernàru, chidu chi ava vinda. Il bettoliere, ciò che ha vende. - Ognuno vende quello che ha. U zzappùni ava u mieli ada vucca. La zappa ha il miele sulla bocca. - II lavoro agricolo è molto allettante ma spesso fa sentire il dispiacere. U zzappùni 'on cacciàu mai bona gioventù. La zappa non ha mai fornito una buona razza di giovani (perché la zappa logora gli uomini, anche se giovani). Vàsciati erba ca 'aràtu passa! Abbassati erba che l'aratro passa! - Dicesi a proposito di lavoro che non si ha voglia di eseguire. Come per dire: Eseguiti da solo o lavoro di aratura, che io sono pronto ad iniziare!

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PROVERBI. Salute e Malattie - Medicina e Igiene

 

 

 

 

A cacaréda 'on ci vola culu strittu. A diarrea non ci vuole ano stretto. 'A friévi 'e cuntinu, ammazza u molàtu. La febbre di continuo ammazza l'ammalato. - I continui dispiaceri e guai portano alla rovina. A saluti u m'haì, ca i suòrdi vannu e vènanu! Che tu abbia la salute, che i soldi vanno e vengono! - La salute vale più dell'oro!. Dicesi a chi si lamenta di avere pochi soldi. Cu' ava rùgna e tigna, d'àutru mala 'on abbisogna. Chi ha rogna e tigna, di altro male non ha bisogno. Cu' caca e non caca bena ciéntu vuoti vacia e vena. Chi defeca e non defeca bene, cento volte va e viene (dal gabinetto). Cull'uójju càuddu d'a luméra, ogni mala pera.  Coll'olio caldo nella "lumèra", ogni male scompare (facendo impacchi e unguenti con quell'olio). Si ricorda che "luméra" è la lampada ad olio col lucignolo di cotone. Culùri 'e huócu, dura puocu. Colorito di fuoco (cioè: provocato dal calore del focolare) dura poco. - Ogni artificioso stato di salute, dura poco. Cu' 'on crida i dolùri, guarda i higuri. Chi non crede ai dolori, osservi i volti.- Per credere il dolore di un altro basta guardarlo in faccia. Cu' pota 'n'annu 'om-pà mal'annu. Chi soffre un anno non trascorre un cattivo anno (perché la sofferenza di un anno può servire come insegnamento di molte cose). Cu' si lava cull'acqua d'a majida è béda sta simàna e chida e cu' s'asciùca ada suttana è béda pa n'àutra simàna. Chi si lava coll'acqua della màdia, sarà bella questa settimana e quella, chi si asciuga alla sottana sarà bella per un'altra settimana. Dolùri 'e muóli, dolùri 'e cuori. Dolore di molari, dolori di cuore (perché sono tanto forti che sembra venga meno il cuore). Duva 'on trasa u suli, trasa miédicu e cumpessùri. Dove non entra il sole, entra il medico e il confessore (per l'estrema unzione). - In casa ove non entra il sole, ci sono malattie e morte. È 'a mala saluti chi 'mbécchia i gienti.  È la cattiva salute che invecchia la gente. I viécchi móranu pa tri C: Caduta, Catarro, Cacaréda. I vecchi muoiono per tre C: Caduta, Catarro, Cacarella (diarrea). L'acqua 'e matina è miedicina. L'acqua (bevuta) di mattina è medicina. L'erba 'e viéntu, si non sana duna abbiéntu. L'erba parietaria se non fa guarire da sollievo. - Si ricorda che l'erba parietaria cotta serve per fare impacchi caldi. L'ociédu, do biccu para biédu. L'uccello, dal becco sembra bello. - Per sapere se una persona sta bene basta guardarla in faccia. L'uòcchi, toccali cu di vùvita.  Gli occhi, toccali con i gomiti (cioè mai, perché è impossibile toccarsi gli occhi coi propri gomiti). - Non toccarti mai gli occhi perché sono molto delicati. Mièjju acqua rutta ca acqua tutta. Meglio che piova addosso a dirotto anziché cadere in acqua. 'Na cacata ogni matina aggiùva e cchu d'a miedicina. Una defecazione ogni mattina giova più di una medicina. 'Ntantu chi u miédicu studia, u molatu si nda mora. Intanto che il medico studia, l'ammalato se ne muore. - Se il dottore non capisce subito la malattia del paziente, e cerca di studiare il caso, nel frattempo può avvenire che muoia il paziente. Oja 'm-pigùra, domana 'n-sipurtùra mbiàtu cu' pall'anima sua procura. Oggi in figura, domani in sepoltura, beato chi per l'anima sua procura. - Oggi vivo, domani morto, perciò beato chi ha già provveduto a mettersi l'anima in salvo. On jira adu spitàli pa saluti.  Non andare all'ospedale per salute. Piedi càuddi e testa fridda.  (Tieni) Piedi caldi e testa fredda. Quandu 'a guàrada, e quandu 'a pipita 'a gadinéda mia è sempa molata. Quando per l'ernia e quando per l'afta, la mia gallinella è sempre malata. - Ora per una causa e ora per un'altra, la persona a me cara è sempre malata. Così dice chi ha qualcuno della famiglia che si ammala facilmente. Quandu u culu caca, u miédicu crepa. Quando si defeca, il medico crepa (perché il potenziale cliente sta bene e del medico non ha bisogno, perciò costui non guadagna). Quandu u culu trona 'a parsùna stàcia bona. Quando l'ano tuona, la persona ha salute buona. Quandu viditi ncùnu mpappalùtu 'on ci dumandàti s'è molatu. Quando vedete qualcuno deperito, non domandategli se è malato. Ricchiùni e magualà, cu' non l'ebba l'averà. Parotite e morbillo chi non l'ebbe l'avrà. Saluti e frasca! Salute è frasca! - Che tu abbia la salute, anche se poi per nutrirti hai solo erbe! Si Cola cacava, 'on moria. Se Nicola defecava, non moriva. - Se si compiono buone azioni, le conseguenze non sono mai pessime. Si dàssanu i moriènti puómmu u si vacia adi parturiènti. Si abbandonano i moribondi per andare ad assistere le partorienti. Si vue avira 'm-pacci buonu culuri: mangia e mbiva quandu si leva u suli. Se vuoi avere in faccia buon colorito: mangia e bevi quando si leva il sole. - Per una buona salute è consigliabile fare colazione al mattino. Si vue u campi sanizzu sanizzu: duoppu mangi ti ripuósi nu muórzu. Se vuoi vivere in buona salute: dopo mangiato ti riposi un poco. Si vue u vidi u miédicu d'a frunésta, ti mbivi 'nu bicchièri duoppu 'a manestra. Se vuoi vedere il medico dalla finestra ti bevi un bicchiere (di vino) dopo la "manestra". - Per "manestra" si intende la zuppa di verdura coi fagioli, di solito bianchi. Tuttu è voliénu, nènta è voliénu. Tutto è veleno, nulla è veleno. - Tutto fa bene se preso in giusta misura, ma fa male se preso in quantità eccessiva. U jancu ed u russu, vena do mussu. Il bianco e il rosso si vede dal volto. - II buon colorito si nota in faccia. U liéttu è cataliéttu. Il letto è cataletto. - Lo stare molto a letto comporta ammalarsi tanto gravemente da condurre a morte. U miédicu pietùsu, hacia 'a piaga vierminùsa. Il medico pietoso fa incancrenire le piaghe. Vai adu malappatùtu e non jira adu miédicu. Vai da chi ha molto sofferto e non andare dal medico. -I  consigli dell'ammalato valgono più di quelli del medico. Vrazza 'm-piéttu e gambi adu liéttu.  Braccia (rotte, si curano tenendole fasciate e appese) al petto; mentre le gambe, solo stese a letto.

Raccolta di proverbi, detti, motti - cantilene, arguzie, storielle, battute di spirito del dialetto bivongese di Paolo Tisano

PROVERBI. Gioco - Vizio - Feste - Mangiare - Bere - Dormire

 

 

 

 

'A briscula: jocala e piscala. La briscola: giocala e pescala. A carnavalàri, cu' 'on ava corna si 'mpigna la vigna ma ad ogni casa nci vola 'a cuccagna. A carnevale, chi non ha carne si impegna la vigna ma in ogni casa ci vuole la cuccagna. 'A carta è cuómu i pputtàni. La carta (da gioco) è come le meretrici (che vanno sempre con chi può pagare). -Tanto più uno è ricco tanto più è fortunato al gioco delle carte. 'A carta è amanti de' brutti e de' hessa. La carta (da gioco) è amante dei brutti e dei fessi. - È quanto dice qualche perdente per consolarsi, e un pò anche per rispondere a chi lo sfotticchia considerandolo giocatore da strapazzo. A cu' mangia nci càdanu i mudichi. A chi mangia gli cadono le briciole. - Chi ha lascia sempre qualcosa per gli altri; il guaio è di chi non ha. A cu' mangia nci càdanu i mudichi, ma cu' mangia sulu s'affuca. Chi mangia perde le briciole, ma chi mangia da solo s'affoga. - È giusto mangiare, ma occorre fare pure un pò di beneficenza. Ada tavula e adu liéttu: nudu rispiéttu. A tavola e a letto: nessun rispetto. 'A gatta, duoppu chi si mangia tri libbri 'e càrna, pisa ancora 'na libbra. La gatta, dopo che mangia tre libbre di carne, pesa ancora una libbra. - Ciò per dire che la gatta non ingrassa mai, qualunque sia la quantità di cibo mangiato. Si ricorda che una libbra equivale al peso di un quarto di chilogrammo. A Pasqua de'parmi si véstanu i maddàmmi, a Pasqua de' cuzzùpi si véstanu i curùpi. A Pasqua delle Palme si vestono (di abiti nuovi) le madame (signore); a Pasqua delle cuzzùpe si vestono (di nuovo) gli sgorbi. - Il giorno di Pasqua tutti sfoggiano qualcosa di nuovo ma le altre feste possono farlo solo i ricchi. 'A prima è de' zzitiédi. La prima (partita al gioco a carte) è dei bambini. - Lo dice solitamente chi ha perso la prima partita a carte, per giustificare la perdita e nel contempo farla apparire un atto di generosità verso l'avversario, ritenuto scarso giocatore. 'A taverna ed 'a bagàscia hannu 'a bugia liscia. La bettola e la prostituta rendono la tasca vuota. 'A tavula è misa, cu' 'on mangia pèrda 'a spisa. La tavola è imbandita, chi non mangia perde il pranzo. - Dicesi a chi, invitato a mangiare, fa complimenti o si vergogna. Càrna cruda e pisci cuóttu. (Mangia) Carne cruda e pesce cotto. Càrna 'e mammè mangiatilla nsaccuóm'é. La carne di capretto mangiatela comunque sia, perché fa sempre bene. Carta chi vena, jocatùri s'avànta. Carta che viene, giocatore si vanta. -Quanto la carta (da gioco) è favorevole, il giocatore che ha tale fortuna si vanta. Carta jettàta, carta jocàta. Carta gettata (sul tavolo da gioco), carta giocata. - Quando la carta da gioco è messa sul tavolo da gioco non può più essere ritirata. Carta para è bona pa du cartàru. Carta pari è favorevole al mazziere (al gioco della "scopa".) Càvuddu 'e panni 'om-pàcia danni. Calore di panni non fa danni. - È sempre bene coprirsi abbastanza. Chidu chi non ammazza 'ngràssa. Ciò che non ammazza fa ingrassare. -Purché non sia veleno, qualunque altra cosa mangi fa bene. Chidu chi l'uòcchi vidanu, i mani pìjjanu. Quello che gli occhi vedono, le mani prendono. - Così viene definito il ladro incallito o cleptomane. Ciciari mangiandu e fimmani vasàndu, unu 'on si stancaria mai. Ceci mangiando e femmine baciando, uno non si stancherebbe mai. - Mangiando ceci verdi e baciando donne non verrebbe mai voglia di smettere. Consola (halla) cuómu vue ma 'a cucuzza è sempa cucuzza. Condiscila (preparala) come vuoi ma la zucca è sempre zucca. - Le cose di scarso pregio, comunque le acconci, restano sempre tali. Cu' 'a hesta guàrdàu u culu mustràu. Chi la festa guardò, il sedere mostrò. -Chi si è goduto la festa è rimasto coi fondelli rotti, perché a furia di spendere si è impoverito. Le godurie festive impoveriscono. Cu' ava i vizzi ava u sapa u s'i mantena. Chi ha i vizi deve sapere mantenerseli. Cu' beda vola parira, pieni e guai ava 'e patira. Chi bella buole apparire, pene e guai deve patire. - Non sempre la moda si concilia colla comodità, sia nel vestire che nel calzare. Cucina randa hacia picciula 'a casa. Cucina grande fa piccola la casa. - La casa dove si mangia molto, finisce in povertà. Cucuzza 'on da màngianu i buoni ca si màngianu i tadi de' cimi, ca 'na vota nda mangiàu Pàulu 'e 'Ntuóni e si levàu cu di càuzi chini. Zucca non ne mangiano i signori, perché loro mangiano le cime (della pianta di zucca), in quanto una volta ne mangiò Paolo di Antonio e la mattina si alzò con le mutande piene (di cacca). Cu da scusa do zzitiédu, 'a mamma si mangia l'oviciédu. Con la scusa del bambino, la mamma mangia l'ovettino. Cu' disija e cu' 'mbaschina. Chi desidera e chi sciupa. - Vedi pure: Cu' mbordija e cu' disija. Cu di sotizzi: malu ti rubizzi. Con le salsicce: male ti abitui (perché più ne mangi e più ne vorresti). Cu' dorma d'agùstu, dorma cu gustu. Chi dorme d'agosto, dorme di gusto. Cu' hacia 'a hesta 'on s'à goda. Chi fa la festa non se la gode. Cu' huma è guàppu, cu' hiàrva è adduóttu, cu' mastica è puórcu. Chi fuma è guappo, chi fiuta è adulto, chi cicca è porco. - II tabacco, a secondo che viene fumato, fiutato, masticato, denota la personalità di chi lo usa. Cu' joca a testa 'e tùrchiu, dàssa i pinni. Chi gioca a testa di turco (da testardo) lascia le penne. Cu' joca sulu 'om-perda mai. Chi gioca solo non perde mai. - Se non vuoi perdere non giocare. Cu' luórdu mangia, priéstu 'ngràssa. Chi roba sporca mangia, presto ingrassa. -Non badare all'igiene se vuoi star bene. Cu' mangia cu ddu bruócchi, s'affuca. Chi mangia con due forchette, si strozza. - Chi fa l'ingordo finisce con lo stare male. Chi non agisce secondo le norme usuali finisce col danneggiarsi. Cu' mangia e no'-'mbita, u m'ava 'a suórtì duómmu si marita. Chi mangia e non invita, che abbia la sorte di non sposarsi. Cu ' mangia e no'-'mbiva, mai sazziu si vida. Chi mangia e non beve, mai sazio si sente. Cu' mangia puócu mangia sempa, cu' mangia assai priéstu schiatta. Chi mangia poco mangia sempre, chi mangia assai presto crepa. Cu' mbordija e cu' disija. Chi sciupa e chi desidera. - Nella vita c'è lo scialacquone e il povero, perciò chi sciupa sarebbe bene che si ricordasse anche di dare a chi ha bisogno piuttosto che sciupare senza conto. Cuntèntati cu du bruódu, ca 'a càrna vacia cara! Accontentati col brodo, perché la carne costa cara! - Non essere troppo esigente. - Dicesi a chi vuole troppo o vuole strafare senza poterselo consentire. Cuómu v'a consàti 'a manéstra, accussi v'a mangiati. Come ve la condite la minestra cosi ve la mangerete. - Nella vita, secondo come ci comportiamo dobbiamo poi accettare le conseguenze. Cu' perda ed arrida è pàcciu. Chi perde (al gioco) e ride è pazzo. Cu' si vesta cu di panni 'e l'autri, priéstu si spojja. Chi si veste dei panni altrui, presto si spo-glierà . Chi spera solo negli altri, presto rimarrà senza nulla. Cu' stàcia ada spirànza e l'autri u ménta 'a tiàna, vena 'a sira e canta l'ariana. Chi sta alla speranza degli altri per far da mangiare, viene la sera e canta la nenia. -Chi attende che gli altri gli porti qualcosa per farsi da mangiare, giunge la sera e non ha ancora mangiato. Procuratene, se vuoi mangiare. Cu' stàcia ada spirànza 'e l'autri, 'on da menta pignàta adu huócu. Chi sta alla speranza altrui, non ne metterà pentola sul fuoco. - Vedi proverbio precedente. Dùnami u primu e dammi l'uóssu. Dammi il primo e dammi l'osso. - Dammi da mangiare la prima razione anche se è l'osso. Dicesi per intendere che chi è servito per primo ha sempre la parte migliore. È cuómu u mari: cchiù nda vida e cchiù nda vola. È come il mare: più ne vede e più ne vuole. Così dicesi dell'ingordo. Humàra puru i canniédi 'e l'anchi. Fumarsi persino gli stinchi delle gambe. -Dicesi di chi è accanito fumatore. I hica tuósti si màngianu quandu càdanu i muschi janchi. I fichi secchi si mangiano quando vengono giù le mosche bianche (cioè la neve), perché non si può uscire di casa per gli approvvigionamenti. Inchitimi (o: linchitimi) sta pansa e pistàtimi stu culu. Riempitemi questa pancia e pestatemi questo sedere. - È quanto si dice dell'ingordo, il quale pensa solamente a riempirsi lo stomaco e pur di ottenere lo scopo è disponibile a fare e a farsi fare di tutto. I suórdi è miéjju u s'i mangia 'a gucciaria ca 'a spezeria. Il denaro è meglio spenderselo in macelleria che in farmacia. Jocàra puru i buttùni de' càuzi. Giocarsi persino i bottoni dei pantaloni. -Dicesi di chi è accanito giocatore. Jocàturi d''a notta 'e Notali. Giocatore della notte di Natale. - È la definizione di chi gioca molto male a carte. Jocàturi do ppà. Giocatore da strapazzo. L'acqua 'a sàuta puru 'a crapa. L'acqua la salta persino la capra. - È la giustificazione di chi beve solo vino. Latta e forza vènamu de' morza. Latte e forza provengono dai pozzetti di cibo. - Per allattare e per lavorare occorre mangiare. Liéttu e fuócu: 'on móvara 'e duócu. (Dal) Letto e fuoco: non muoverti di lì (perché si sta sempre bene). Mala 'om-pàcia cu'perda e si nda vacia, ma cu' perda e puómmu u vincia stàcia. Male non fa chi perde e se ne va, ma chi perde e per vincere rimane. Mangia e mbiva ed u biglièttu sutta u piattu. Mangia e beve e il biglietto (di raccomandazione, lo lascia) sotto il piatto. - Dicesi di chi accetta regali e non si lascia corrompere, facendo il finto tonto. Mangiara puru 'a cruci d'attuni (o: de' spadi). Mangiarsi persino la croce di ottone (al merito); oppure: mangiarsi persino la croce delle spalle, quindi quella che non è da tenersi come medaglietta appesa al collo bensì la croce che Cristo portò sulle spalle. - Dicesi di chi per avere soldi è capace di vendere e sperperare tutto, sino all'inverosimile. Mangiara u patrimuóni do Papa (o: 'e setta visculi). Mangiarsi il patrimonio del Papa (o: di sette vescovi). - Dicesi di chi è capace di sciupare, dilapidare un qualsiasi patrimonio. Mièjju mbiachi ca molati. Meglio (essere) ubbriaci che ammalati. 'M-paradisu si canta, s'abballa e si sona e de mangiàra 'on si nda parra mai. In paradiso si canta, si balla e si suona e di mangiare non se ne parla mai. - È bello il divertimento ma bisogna pensare anche a nutrirsi. In genere vien detto per far capire che dove si è stati ospiti s'è fatto di tutto ma tranne che mangiare. Nsa chi sali e cundi hai li vuccunièdi tundi. Qualunque cosa sali e condisci, fai i bocconcini rotondi (il bolo). Tutto è buono da mangiare purché sia salato e condito. Ogni mundizzéda hacia 'a harinéda. Ogni briciolina fa la sua farina. - Ogni cosa mangiabile ha la propria sostanza e giova alla salute. Pad'amùri 'e lardu vacia alliccàndu culu 'e troja. Per amore di lardo va leccando ano di scrofa. - Dicesi di chi, pur di mangiare o di ottenere qualcosa gratuitamente, farebbe qualsiasi azione a chi pensa che potrebbe soddisfarlo. Pana cull'uòcchi, casu senz'uòocchi e vinu u ti càccia l'uòcchi. Pane coi buchi, formaggio senza buchi e vino che ti faccia brillare gli occhi. Pana 'e nu juórnu e vinu 'e 'n'annu. Pane di un giorno e vino di un anno. - II pane è buono fresco mentre il vino quando è vecchio. Pana e vucàta, uóttu juórni è 'a durata. Pane e bucato, otto giorni è la durata. -Dopo una settimana il pane non è più buono e la biancheria occorre passarla al bucato. Pana 'e vilànsa 'on da gurda pansa. Pane di bilancia non ne riempie stomaco. - Se il pane non si fa in casa, quindi non se ne ha in abbondanza, non si è mai sazi. Si rammenta che al negozio compravano il pane quasi tutti coloro che non possedevano, o non acquistavano, ne il grano ne il granturco, il che significava non essere benestanti. Pansa china canta, no' cammisa janca. Pancia piena canta, non camicia bianca. -Per essere contenti bisogna aver mangiato piuttosto che essere ben vestiti. Si diceva quando si voleva far notare che certe persone erano ben vestite ma si sapeva che avevano ben poco di che mangiare. Pàtruma si chiama cucciadàta e io 'on d'aju u nda màngiu. Mio padre si chiama ciambella e io non ne ho per mangiarne. - Dove si crede che ci sia ricchezza, talvolta manca il necessario. Quand'àutru 'om-pue hara, mina a pattàra. Quando altro non puoi fare, cerca d'impattare (al gioco). Quandu 'a schiuma huja: u mbivitùri ferma; quandu 'a schiuma herma: u mbivitùri huja. Quando la schiuma (del vino) fugge: il bevitore si ferma; quando la schiuma ferma: il bevitore fugge. - II tutto è basato sulla credenza che a secondo della durata della schiuma che si forma nel bicchiere del vino, nel versarlo, si può stabilire se il vino è buono o no. Precisamente si ha: vino buono se la schiuma scompare presto, altrimenti è cattivo. Vedi pure detto: Si si nda vacia m hiérmu, si si herma ni nda vaju. Quandu camina 'a gamba: màstica 'a ganga. Quando cammina la gamba: mastica la ganascia. - Chi cerca trova. Chi si da da fare procura sempre qualcosa. Quandu mangi a spisi d'autri, mangia a scasciapànsa; quandu mangi a spisi tue, mangia e nci piensi. Quando mangi a spese degli altri, mangia a crepapelle; quando mangi a spese tue, mangia e pensaci. Quandu su' sàziu, ti ringraziu; quandu su' dijùnu 'on ringraziu nessunu. Quando son sazio, ti ringrazio; quando sono digiuno, non ringrazio nessuno. Saccu vacanti 'on stàcia ad adirta. Sacco vuoto non sta in piedi. - Senza mangiare non si può lavorare. Si vai ada màndra, 'on ti mbivìra 'a parziuóni do cana. Se vai alla mandria (per mangiare ricotta col siero o ricotta o cagliata), non bere la porzione (di siero) del cane (del mandriano; perché altrimenti il cane si rivolta contro di tè). - Quando sei invitato a pranzo, devi avere l'accortezza di non pangiare anche la razione degli altri, se poi non vuoi essere criticato. Si vue pana 'e stu cummièntu, hai u ti hai u culu quantu nu strumiéntu. Se vuoi pane di questo convento devi farti il sedere quanto uno strumento musicale. - Se vuoi pane di questa famiglia devi guadagnartelo lavorando molto duramente. Dicesi a chi cerca pane ma non ha voglia di lavorare. Si vue u mangi cuntientu: bavu carcàtu e ciciaru liéntu. Se vuoi mangiare contento (perché ben cotti: fai cuocere) le fave ben calcate (quindi in poca acqua) e i ceci in molta acqua. Sunnu bielli i niéspula ed i ciarasi ma amara 'a pansa chi pana 'on trasi. Sono buone le nespole e le ciliege ma sfortunato quello stomaco dove pane non entra. - È bene mangiare la frutta ma è molto grave non potersi nutrire con un buon pasto. Suórdi 'e juócu, dùranu puócu. Soldi di gioco, durano poco. Supa u hicu mbiva l'amicu. Sul fico (secco) beve l'amico. - Per bere vino occorre mangiare qualcosa di gradevole. Tabaccu, e m'hai pana. Tabacco (sì) ma che tu abbia il pane. - Prima il cibo, poi il vizio. Tajjarini e maccarrùni màndanu 'a casa a rumbulùni. Tagliatelle e maccheroni (fatti in casa) mandano la famiglia a rotoloni. - Quando si mangia sempre bene la casa va in rovina. Tuttu u mundu è frittuli! Tutto il mondo è frittole! (Dice chi ha la pancia piena). - Dicesi per significare che tutto è rose e fiori per chi ha la pancia piena. U cahé si mbiva cu tri C: Càjju, cuómu cocia! Il caffè si beve con tre C: Caspita com'è caldo! - II caffè va bevuto quasi bollente. U gurdu 'on crida u dijùnu. Il sazio non crede chi è digiuno. - Vedi pure il proverbio: Tuttu u mundu è frittuli! U juóvi 'e lardaluóru cu' 'on ava carna si 'npigna u hijjuólu. Il giovedì grasso chi non ha carne (da mangiare, se la procura) dando in pegno il figliolo. - Era abitudine che almeno in quel giorno ognuno mangiasse carne e perciò, specie il povero, ricorreva a qualsiasi sacrifìcio per togliersi tale desiderio. U mangiara ed u mbivira sana u truóppu hatigàra ti cunsùma. Il mangiare e il bere fan guarire, il troppo lavorare ti consuma. U nudu 'on ebba mai cammisa, e 'na vota chi l'ebba s'à cacàu. Il nudo non ebbe mai camicia, e una volta che l'ebbe se la sporcò di feci. - Dicesi di chi non essendo abituato a certe cose, quando poi ne viene in possesso non sa farne uso in modo corretto. U risu, pa 'na ura ti tena tisu. Il riso, per un'ora ti tiene teso. - Chi mangia il riso non acquisisce energia per più di un'ora. U Signùri crijàu mangiara puru pa di harmiculi. Il Signore (Iddio) creò cibo anche per le formiche. - Nessuno muore per fame, perché sulla terra c'è cibo per tutti. U stómacu està 'e padicchia cchiù mangi cchiù si stendicchia. Lo stomaco è di pelle elastica, più mangi e più si dilata. - Più mangi e più lo stomaco ne riceve, perciò controllati se vuoi la salute. U vinu cerca acqua. Il vino richiede acqua. - Bevendo vino viene la sete. U vizziu porta 'a casa a precipiziu. Il vizio conduce la casa al precipizio. -Ogni vizio porta alla rovina della situazione familiare.) Vacabùndi e vizziùsi 'om-pannu mai bona hini. Vagabondi e viziosi non fanno mai una buona fine. Vestati 'e pistùni ca pari baruni. Vestiti come un figurino e sembrerai un baroncino. Vièrtula e bacchetta cu' 'i pijja 'on 'i jetta. Bisaccia e bastone, chi li prende non le getta. - Entrambi si fa fatica ad abbandonarli sia perché diventano un'abitudine sia per convenienza. Vizziu 'e natura porta a sipurtùra. Vizio di natura conduce a sepoltura. - U vizio connaturato conduce a morte.

Raccolta di proverbi, detti, motti - cantilene, arguzie, storielle, battute di spirito del dialetto bivongese di Paolo Tisano

PROVERBI. Religione - Credenza - Preti - Superstizione - Ingiuria - Maldicenza

 

 

 

 

'A casa parrasijàta, o pòvara o molata. La casa di cui si parla molto, o diventa povera o qualcuno si ammala. 'A cinnari ha jànca la vucàta e cu' è de bona cusciènza Dio l'ajuta. (Come) La cenere fa bianco il bucato (così) chi è di buona coscienza Dio l'aiuta. 'A cuzzùpa, 'e Pasqua si scurùpa. La "cuzzùpa" di Pasqua si può afferrare al volo e scappare. - Vedi detto: Alleluia!.. Alleluja... pijja.. 'A gozzaréda (o: 'a cùccuma) vola ncignata do màsculu, sinnò heta. La brocca dev'essere incignata dal maschio, altrimenti puzza. - Quando si comprava una brocca nuova, era uso che la prima persona che beveva doveva essere un uomo, altrimenti si diceva che quella brocca facesse diventare puzzolenta l'acqua contenuta. 'A lingua 'on ava uóssu ma ruppa u mastruóssu. La lingua non ha osso ma rompe il callo osseo. Produce più effetti dannosi la lingua che le bastonate. A menzannótta giranu i muórti. A mezzanotte vanno in giro i morti. - Si crede che le anime dei morti vadano in giro per le strade del paese al suono di mezzanotte. Vedi pure: Quandu sona menzannótta ogni... Arrippatì!.. c'alluórdi 'a coddàra! Allontanati!.. Perché sporchi la caldaia! -Dicesi a chi è molto più sporco del nerofumo di una caldaia. A santi viécchi 'on s'appiccicànnu candili. A santi vecchi non si accendono candele. - Chi è vecchio non è più ricordato da nessuno. Barva russa (o: pili russi) e malu culùri, o hàuzu o traditùri. Chi ha barba rossa (o: capelli rossi) e chi ha cattivo colorito, o è falso o traditore. -Le persone dal pelo rosso o scolorite in viso non godono buona reputazione. Vedi pure: U Signùri u ti guarda d'a tussi e de chidi chi hannu i pili russi. Beda è 'a zzita, ma è cecàta 'e n'uócchiu!  Bella è la fidanzata, ma è orba di un occhio! - Ottimo è l'affare, peccato che la mercé non è buona! Casa lórda, buonu signu; casa netta, malu signu. Casa sporca, buon sengo; casa pulita cattivo segno. - Si pensa che dove la casa è pulita non entra mai nulla che la sporchi perché si è poveri. Chiamàra a S. Paulu quandu si vidanu i scurzùni. Invocare S. Paolo quando si vedono i serpenti. - Invocare i santi solo quando si corre pericolo. Chidi d'a hàudda longa hannu 'na mani curta e 'n'àutra longa. Quelli dalla falda lunga (preti e monaci) hanno una mano corta (quella del dare) e una lunga (quella del prendere). Chidi 'e Ciro, 'a matina ca si e 'a sira ca no. Quelli di Ciro (in provincia di Catanzaro), la mattina (dicono) si, la sera di no; mutano parere dal mattino alla sera. Chidu chi non duni a Dio u duni adu diàvulu. Ciò che non dai a Dio, lo dai al demonio. Chidu do huócu campàu, chidu do pana moriu. Quello del fuoco visse, quello del pane morì. - II calore è più importante del pane. CU' ammazza cana e gatti cu mala suórtì si cumbàtti. Chi ammazza cani e gatti, con cattiva sorte deve combattere. - Si crede che sia apportatrice di disgrazia l'uccisione di tali bestie.) Cu' arrida 'e vènnari, ciàngla u sabatu. (Chi ride di venerdì, piangerà il sabato. Cu' monaca si hacia, u 'mpiernu attizza si pue si marita, u 'mpiernu abbrazza. Chi monaca si fa, l'inferno attizza; se poi si sposa, l'inferno abbraccia. - La monaca viene considerata più indemoniata delle altre donne. Cumpàgnu!... Tutti e ddui ijimma ada scola, tu ièbbi la malasorte, e io la malanóva. Amico!... Tutti e due andammo a scuola, (ma) tu ebbi la malasorte ed io la malanuova. - Così si dicono due che vogliono cercare una battuta spiritosa per spiegare la causa del perché non hanno fatto progressi. Cumpàgnu!.. Tutti e dduijimma all'arti cu Chiacchèra, tu restasti Cazzùni ed io cuom'era! Amico!.. Entrambi andammo all'arte da Chiacchéra (nomignolo di bivongese), tu rimanesti cretino ed io come ero! - È quando si dicono, a volte, due amici, per significare che nessuno dei due progredì nella vita. Cu' 'on si hida u si tàjja l'ùnji cu di mani sue 'on si hacia affara sue. Chi non riesce a tagliarsi da solo le unghie non si fa gli affari propri. Cu' parrà d'arriédi è tenutu d'arriédi.  Chi parla alle spalle di altri è tenuto alle spalle. - Chi sparla è tenuto in scarsa considerazione. Cu' si libara, adu 'mpiernu, e cu' no adu Paradisu. Chi si libera (va) all'Inferno e chi no in Paradiso. - È quanto veniva detto coralmente, da un gruppo di bambini, quando per gioco tenevano in sospensione sulle loro braccia uno dei partecipanti. È pure detto per significare: Chi si lascia prendere . dai vizi, va all'Inferno e chi no, al Paradiso. Cu' si tajja l'ùnji 'e vènnari, nci nèscianu i piedicini. Chi si taglia le unghie di venerdì si vedrà spuntare le pellicine. Cu'vacia a Bigùngi e non si nda vacia spinnatu, o u Suppascàli è muórtu, o Micu Valiénti è molatu. Chi va a Bivongi e non se ne ritorna spennato, o il Suppascàli (nomignolo bivongese) è morto oppure Domenico Valenti è ammalato. - I due Bivongesi vissero tra il 1850 e il 1958. Dassa hara a Dio ch'é santu viécchiu! Lascia fare a Dio ch'é santo vecchio! -Dai fiducia a chi la merita! De' Piappi e de' 'Ntuóni puocu nd'ava buoni. Dei Giuseppe e degli Antonio pochi ce ne sono buoni. Dio crijàu 'a piaga e puru u 'nguéntu. Dio creò la piaga e pure l'unguento. -Ogni male ha sempre il rimedio, inteso in senso fisico e morale. Dio u ti guarda d'a gienti 'e chiesi. Dio ti salvi dalla gente di chiesa. Dio u ti guarda do càvuddu d'a muntagna e do friddu d'a marina. Dio ti guardi dal caldo della montagna e dal freddo della marina. Dio u ti guarda de' jumbarùsi, de' stuorti e de' cecati. Dio ti guardi dai gobbi, dagli storpi e dai ciechi (per la loro malignità e cattiveria) Dio u ti guarda do huócu ardiéntì, 'e l'acqua curriènti e d'a mala lingua d'a gienti. Dio ti salvi dal fuoco ardente, dall'acqua corrente e dalla mala lingua della gente (per la loro pericolosità). Dio u ti guarda do povaru arrìccùtu e do riccu appazzentùtu. Dio ti guardi dal povero arricchito e dal ricco diventato pezzente. Dio u ti guarda 'e chidi chi guàrdanu n-térra. Dio ti guardi da quelli che guardano a terra. - Non fidarti di chi non ti guarda in faccia. Dio u ti guarda 'e l'acqua queta, ca gran caminu fa l'acqua chi tàcia. Dio ti guardi dall'acqua calma, perché gran cammino fa l'acqua che tace. - Diffida di chi è molto calmo perché può portarti alla perdizione. Dissa giustu San Jennàru: pa du Cazzùni 'on c'è ripàru! Disse giusto San Gennaro: per il cretino non c'è rimedio! - Dicesi quando una persona ricade nel medesimo errore nonostante ripetute avvertenze e consigli. Dissa Santu Nicola: prima chidi 'e dintra e pue chidi 'e hora! Disse San Nicola: prima quelli di dentro e poi quelli di fuori. - Dovendo dare, prima aiuti i tuoi e poi gli altri. Duóppu San Giuànni, 'on si còjja cchiù ariganu, ca porta dièbita. Dopo (la festa di) San Giovanni (24 giugno) non si raccoglie più l'origano perché (il farlo, si crede) porta debiti. Duóppu sona 'a campana, 'on'e buonu u cacci arròbba d''a casa. Dopo il suono della campana (dell'Ave Maria) non è bene far uscire la roba da casa. - Porta male inviare qualcosa a tardi sera. 'E Santa Lucia si gùjja 'a coccia e pue si hacia 'a porgia. Per Santa Lucia si fanno bollire le pannocchie di granturco e poi si fa la distribuzione ai vicini. Hara cuómu pàtra ricuójju: chistu viju e chistu vuójju. Fare come il frate questuante: questo vedo e questo voglio. - Dicesi di/a chi chiede tutto ciò che vede. 'E vénnari e de marti non si spusa, non si parti e non si cumincia l'arti. Di venerdì e di martedì non ti sposare, non partire e non iniziare un'arte; si crede non porta fortuna. I babalie ed 'a purvaràta sunnu 'a ricchezza d''a casa. Le ragnatele e la polvere sono la ricchezza della casa. - Si crede che la casa sia piena di polvere e ragnatele perché la gente che ci abita è molto impegnata in lavori di campagna e perciò produce ricchezza. I carbuniérì cu di catini ed i priévutì cu du 'mpiérnu: tènamu u mondu hiérmu. I carabinieri con le catene e i preti coll'in-ferno: tengono il mondo fermo. - Cogli arresti e con la minaccia di andare all'inferno si tengono a bada gli uomini. I hiésti nci huru ed i lavori si hiciaru. Le feste ci furono e i lavori si fecero. -Nonostante le feste, il lavoro non si deve trascurare. I jastimi sunnu 'e canijja, cu' 'i manda s'i pijja. Le maledizioni sono di crusca, chi le manda se le riprende. - Le maledizioni non colpiscono mai i destinatari bensì i mandatari. Dicesi pure: Ajastima è cuómu 'a canijja, cu' 'a manda s''a pijja. Vedi pure: U gabbu 'ncàppa e 'a jastima 'on còjja. I servitùri sunnu smaladitti 'e San Pietru. I servi sono maledetti da San Pietro. Jira 'e grutta a grutta cuómu harmi 'e vucca a-bucca. Andare da grotta a grotta come gli sbadigli da bocca a bocca. - Si crede che gli sbadigli siano trasmissibili da una persona all'altra. L'uòcchi mie sunnu 'na piscia, duva guàrdanu: arròbba criscia. Gli occhi miei sono un pesce, dove guardano: la roba cresce. - Risponde così chi si sente rimproverato per avere espresso un giudizio su cose di proprietà di un altro e da questo ritenuto giudizio di malocchio. Maju e jennàru: himmanàru. Maggio e gennaio: femminaio. - Chi partorisce in maggio o in gennaio deve attendersi con molta probabilità una femmina. Mentira supa nu cavàdu jancu.  Mettere su un cavallo bianco. - Esporre alla maldicenza. Miejju ubbidira ca santihicàra.  Meglio ubbidire che santificare. - È meglio ubbidire, badare ai doveri familiari, quando ci sono, anziché andare a messa. Prima i doveri familiari, poi quelli religiosi. Miràculu chi ficia Giuànni mio ch'era 'e sidici anni e caminàu! Che miracolo fece Giovanni mio quand'era di sedici anni e camminò! - Dicesi quasi a prendere in giro chi ha detto qualcosa che a lui sembrava avesse del miracoloso mentre chi lo rimbecca gli vuole far capire che quando dice ha del miracoloso tanto quanto può esserlo il fatto che un ragazzo sedicenne inizi a fare i primi passi come un bambino. Miràculu chi ficia Santu Luca: u pùlici nta pàjja duómmu ncéca! Miracolo che fece San Luca la pulce che, nella paglia, non acceda! - Dicesi quando qualcuno, non sapendosi spiegare il perché di qualche fatto, crede che ci sia del miracoloso mentre, invece, è un fatto ordinario che tutti sanno spiegare e perciò lo prendono in giro. Mònaci e priévutì 'e carità su' privi spójjanu i muórtì e fùttanu i vivi. Monaci e preti di carità son privi, spogliano i morti e fregano i vivi. 'M-Paradisu 'on si vacia 'n-carròzza. In Paradiso non si va in carrozza. Nci pàrri cu du mièli ada vucca e ti rispùnda cu du cazzu adu culu. Gli parli con il miele alla bocca e ti risponde col pene nell'ano. - Talvolta dice si a chi, dopo avergli parlato con dolcezza, risponde in modo rabbioso, scontroso e scorretto. Nci parri cu duci e ti rispùnda cu d'amàru. Gli parli con dolcezza e ti risponde coll'amaro. - Dicesi a chi risponde in modo velenoso ad una domanda rivoltagli con cortesia. Nu Papa mora e 'n-àutru u hannu e i romani sempa cuntienti sunnu. Un Papa muore e un altro lo fanno e i romani sempre contenti sono. - Qualunque cosa accada, il popolo è sempre contento. Ogni santu ava i sue devuóti. Ogni santo ha i propri devoti. - Ognuno ha i propri raccomandati. Ogni ura, Maria prega e Dio lavùra. Ogni ora. Maria prega e Dio lavora. -Ogni attimo è buono per la provvidenza divina. 'On ciàngiu ca moriu màuma, ciàngiu ca 'a muórtì si 'mparàu 'a via d''a casa mia. Non piango perché morì mia madre, piango perché la morte ha imparato la via di casa mia. Paccàti viécchi e paniténza nova. Peccati vecchi e penitenza nuova. - I patimenti non finiscono mai. Paccàtu cumpessàtu è miénzu parduinatu.  Peccato confessato è mezzo perdonato. Pa dispièttu d''a muórtì, vuójju u muoru cull'uòcchi aviértì! Per dispetto alla morte, voglio morire cogli occhi aperti! - Dice chi pensa di spaventare la morte trovandolo cogli occhi aperti, e così sperando di rinviarla. Pa 'na cerva 'on manca erba. Per una cerva non manca erba. - Per una persona c'è sempre qualcosa in casa da dare per farla mangiare. Pa non dira ti ringràzziu, dicia ca non è fattu buonu u sarvizzu. Per non dire ti ringrazio, dice che non è fatto bene il servizio. - È quanto dice chi, dopo aver lavorato, trova un cliente che per non dire che non può pagare lo rimprovera adducendo del lavoro non fatto bene. Passata la hesta, gabbatu lu santu.  Passata la Festa, gabbato il santo. Priévutì e mònaci: Libarànda 's-domini! Preti e monaci: Libera nos Domine! - Liberaci Signore da preti e monaci. Priévutì e mònaci: sentati 'a missa e fùja. Preti e monaci: ascoltati la messa e scappa. Puocu santi, puocu patrannuósti. Pochi santi (da adorare), poche corone del rosario (da vendere). - Pochi impegni, pochi guadagni. Quandu canta 'a gadina: o mora u patrùni o mora 'a vicina. Quando canta la gallina: o muore il padrone o muore la vicina. - Quando una gallina canta come un gallo si crede che ciò sia segno di avvenimenti luttuosi di intimi. Quandu Dio 'om-bola, i santi 'om-puónnu. Quando Dio nuo vuole, i santi non possono. - Se chi comanda non vuole, i sottoposti non possono far nulla. Quandu mai San Nicola ebba i spari (o: u castiédu)! Quando mai (s'è visto che) San Nicola ebbe (l'onore di essere festeggiato coi) fuochi pirotecnici (o: col castello)! - A Bivongi la festa di San Nicola è secondaria, onde la ricorrenza non si festeggia con fuochi e addobbi in chiesa; perciò se dovesse capitare sarebbe cosa molto inconsueta, ed è proprio in tal senso che bisogna considerare il detto. Quandu mai u tamàrru si nda sentiu e chiàppari. Quando mai lo zotico è stato intenditore di capperi! - Chi non è abituato a certe còse non sa apprezzarle. Quandu nèscìa 'a comèta vénanu sett'anni 'e mala annata. Quando spunta la cometa, iniziano sette anni di cattiva annata. - La cometa è creduta apportatrice di carestie, e morte di persone illustri. Quandu nèscìa 'a Cruci, 'on nescìa mai pa unu sulu. Quando esce la Croce, non esce mai per uno solo. - Quando muore una pesona, si crede che, è prossima la morte di almeno un'altra. Quandu sona menzannótta: ogni muórtu està ada porta. Quando suona mezzanotte: ogni defunto è alla porta (di casa dove abitava da vivo). -Vedi pure proverbio: A menzannótta giranu i muórti. Quandu ti sona 'a ricchia destra, ncunu ti molesta; quandu ti sona 'a sinistra, ncùnu t'avanta. Quando ti suona l'orecchio destro qualcuno sparla di tè; quando ti suona la sinistra, qualcuno ti vanta. Quandu trasa u scalambrùnì è buonu signu pa du patrùni. Quando entra (in casa) il calabrone -è buon segno per il padrone di casa. Quandu u puópulu 'om-parra, u priévutì si marita. Quando la popolazione non si lamenta del prete, questo ne approffitta. Quandu u rigalu trasa d'a porta, u diàvulu nèscìa d'a frunèsta. Quando il regalo entra dalla porta, il diavolo esce dalla finestra. - Non appena portano il regalo, scappa via la tentazione di non fare il favore richiesto. Quandu u Signùri vola u t'ajuta, 'a casa 'a sapa. Quando il Signore vuole aiutarti, la casa (dove abiti) la sa. - Quando meriti i segni della Provvidenza essa arriva. Quandu u suli arriva a Bigùngi menta 'a tàvula puómmu u mangi. Quando il sole arriva in Bivongi, prepara la tavola per mangiare. - È quanto dicono i Serresi, a proposito di Bivongi, dove d'inverno il sole giunge tardi, a causa dell'infelice ubicazione rispetto al sole. Sacùndu u Santu si hacia 'a hesta. Secondo il Santo si fa la festa. - Secondo i meriti ricevi. San Nicola està u protettùri de' puórci. San Nicola è il protettore dei maiali. San Piétru volia ca i tamarri avianu u m'hannu nu puócu 'e cuda. San Pietro voleva che gli zotici avessero un pò di coda (per distinguerli meglio, a causa del loro comportamento molto vicino a quello delle bestie). Santa Lucia protéggia l'uòcchi. Santa Lucia protegge gli occhi. Santu Alùe porta la nova, adu sie Santu Nicola, all'uóttu Maria, adu tridici Lucia, u vinticincu lu biéllu Misia. San Aloè porta la novella, al sei San Nicola, all'otto è di Maria, al tredici Santa Lucia, il venticinque il bei Messia. - La stro-fetta ricorda le feste principali di dicembre. Santu chi non suda 'om-pà miràculi. Santo che non suda non fa miracoli. -Senza sforzi e sacrifici, neanche i Santi riescono ad ottenere qualcosa. Scherza cu i 'mpànti e dassa stara i Santì. Scherza con i bambini e lascia stare i Santi. - Coi Santi non si deve scherzare mai. Si dissaru li missi a Palermitì, 'on si nda dinnu cchiù unissi cantati.  Si dissero le messe a Palermiti (in provincia di Catanzaro), non se ne dicono più messe cantate. - Trascorso il periodo delle feste non è più tempo per stare in allegria festaiola. Si scuotulàu 'a cràpa! Si scrollò la capra! - Dicesi per significare: state attenti che la pioggia è prossima! Si crede che quell'atto della capra sia indicativo di tale messaggio. Si Stìlu ciàngia, Pazzànu 'on arrida e mancu Bigùngi porta 'a bandera. Se Stilo piange, Pazzano non ride e neppure Bivongi porta la bandiera. - Bivongi, Pazzano e Stilo sono comuni limitrofi, in provincia di Reggio Calabria. Di essi si dice che se Stilo piange miseria, Pazzano non sta molto meglio, e neppure Bivongi può cantare vittoria. Si vi cuntàssa i pièni 'e Stìlu: pitittu terribili passaru nta jennaru, pue vinna giugnu e mutàru pilu cuómu u ciùcciu nto misi 'e maju. Se vi raccontassi le pene di Stilo (dovrei dirvi che): fame terribile passarono in gennaio, poi venne giugno e mutarono pelo (nutrendosi di fichi freschi) come l'asino nel mese di maggio (nutrendosi di erba fresca). È la maldicenza che i bivongesi dicono degli stilesi. Smaladitta chida trizza chi de vénnari si ntrizza , banaditta chida pasta chi de vénnari ti mpasta. È maledetta quella treccia (di capelli) che di veneredì s'intreccia, è benedetta quella pasta che di venerdì s'impasta. - Si crede che sia di cattivo augurio pettinarsi di venerdì (specie quello santo) mentre è fortunata quella pasta che s'impasta di venerdì (sia per il pane che per la pasta). Spatùla, Brognatùra e Zzimbariu: catta lu pajjariéllu e si 'mpittàu. Spàdola, Brognatùro e Simbario: cadde il casolare e si distrusse. - Spàdola, Brognatùro e Simbario, comuni in provincia di Catanzaro, erano costituiti ognuno da piccoli aggruppamenti di case e quando li si voleva disprezzare si diceva appunto che: caduto qualche casolare, il paese era distrutto. U Cazzùni avissa u stàcia sempa ada casa sua. Il cretino dovrebbe stare sempre a casa sua, per non combinare guai quando esce. U cacàtu 'ngiurija u pisciatu. Chi è sporco di cacca ingiuria chi lo è urina. - Chi ha molte pecche si scaglia contro chi ne ha meno. U distinti distinàtu 'om-pot'éssara mancàtu. Il destino fissato non può essere mancato. - Ogni destino si compie al momento fissato. U gabbu 'ncàppa ed 'a jastima 'on cójja. Il gabbo ti capita e la maledizione non colpisce. - Stai attento a non deridere o beffeggiare perché potrai essere tu il deriso o beffeggiato. U gue chiama cornutu u ciùcciu. Il bue chiama cornuto l'asino. - Chi possiede evidenti difetti, fisici e/o morali, spesso attribuisce a altri tali difetti, che, invece, non hanno. U jumbarùsu a miènzu 'a via, guardava u jumbu 'e l'autri ed u sue 'on s'u vidia. Il gobbo in mezzo alla via, guardava la gobba altrui e la sua non se la vedeva. U juórnu duóppu 'a hesta, si cu bugia vacanti e cu dolùri e testa. Il giorno dopo la festa, sei con tasca vuota e con dolore di testa. U malu cuvernàtu u cuvèrna Dio (oppure: U sprovvistu u 'juta Cristu). Il mal governato lo governa Dio; oppure: Lo sprovvisto l'aiuta Cristo. U miéjju de' russi ammazzàu a-ppàisa. Il migliore dei rossicci ha ucciso suo padre. - È il giudizio che si ha di coloro che hanno i capelli rossi. U Signùri chiùda 'a porta e lapara 'a frunésta. Il Signore chiude la porta e apre la finestra. - L'aiuto di Dio non manca mai. U Signùri manda u friddu sacùndu i panni.  Il Signore manda il fredo secondo i panni. - Dio manda le sofferenze a secondo delle possibilità che si hanno per sopportarle. U Signùri 'om-paga u sabatu e mina cu da mazza 'e cuttùni. Il Signore non paga il sabato e colpisce con la mazza di cotone. - Dio non premia subito e punisce con morbidezza. U Signùri si pijja i buoni è dassa i mali pa disparaziuóni.  Il Signore si prende i buoni e lascia i cattivi per disperazione (loro e altrui). - Lo dice chi ha perso persona cara e buona, volendo esprimere il proprio rammarico perché altri invece, giudicati cattivi, non morirono e l'avrebbero meritato. U Signùri u ti guarda d'a tussi e de chidi c'hannu i pili russi. Il Signore ti guardi dalla tosse e da quelli che hanno i peli rossi.

Raccolta di proverbi, detti, motti - cantilene, arguzie, storielle, battute di spirito del dialetto bivongese di Paolo Tisano

PROVERBI. Consigli - Esperienza - Comportamento - Realismo - Apparenza

 

 

 

 

A-bùcca chiusa 'on tràsanu mùschi. In bocca chiusa non entrano mosche. -Può capitare che le tue parole offendano, senza volerlo, perciò se non apri bocca non avrai fastidi. A cana senza patrùni: cantunàti e cuórpi 'e vastùni. A cane senza padrone: sassate e colpi di bastone. - A chi vive da solo e randagio tocca sempre una triste sorte: tutti gli danno addosso. A cana viécchiu 'on ci dira cucci. A cane vecchio non gli dire cucciolo. - A chi ha molta esperienza non trattarlo da bambino. A casa chi non ci sunnu hijji, 'on abbussàra no pa dinari e no pa cunsijji. A casa dove non ci sono figli, non bussare ne per denari ne per consigli. - Chi non ha figli non ha ne risparmi ne esperienza. Acqua chiara 'on ava pagura 'e truóni. Acqua chiara non ha puara di tuoni. - Chi ha la coscienza pulita non teme le minacce. A ciùcciu senza patrùni si càrrica tuttu sènza ragiuni. Ad asino senza padrone (presente), si carica tutto senza ragione. - Quando una cosa non è tua e non è presente il proprietario, allora la sfrutti al massimo senza badare alle possibili conseguenze dannose. 'A cortàra si ruppa, quandu si ménta cu da pètra. L'orciòlo si rompe, quando si mette in urto col sasso. - Il debole soccombe, quando urta col forte. Acqua passata 'on màcina mulinu. Acqua passata non fa macinare il mulino. - I fatti trascorsi non hanno più importanza, perciò non metterli in campo. 'A crapa si mùngia ed u zzimmaru si dola. La capra soffre (nel partorire) e il becco si lamenta dei dolori. - Si lamentano di più coloro che non dovrebbero. Vedi pure proverbio: 'mbiéci ca u grida u gue, grida 'aràtu. Ad acqua trùbula 'on jira u pischi. Ad acqua torbida non andare a pescare. - Non immischiarti mai fra gente e in affari che hanno del torbido. Ada scinduta, ogni Santu t'ajuta ada 'nchianàta, mancu 'a canata. In discesa, ogni Santo t'aiuta; in salita, neanche la cognata. - Quando sei in declino o in disgrazia, tutti contribuiscono a farti scendere sempre più giù, ma nel migliorare nessuno ti aiuta. Addùva 'nc'é fumu 'nc'è cavuddu. Dove c'è fumo c'è calore. - Dove esiste un fastidio o nocumento, li c'è pure consolazione e piacere. Adi primi acqui ti vagni. Alle prime acque ti bagni. - Sono i primi intoppi colla realtà della vita che lasciano il segno. Ad ogni stroffa 'nc'è 'na ricchia. In ogni cespuglio c'è un orecchio. - Stai sempre molto attento nel parlare, chi ascolta è sempre in agguato. 'A ducazióni està 'e cu' l'usa. L'educazione è di chi la usa. - Educato è chi usa l'educazione. A facci vista 'on ci vola prova. A faccia vista non ci vuole prova. - A cosa fatta, non occorre prova. A gùccia a gùccia, si scava 'a petra. A goccia a goccia, si scava la pietra. - Con piccole azioni si ottengono grandi risultati. Perseverando, si arriva. 'A mala erba criscia, 'a bona sicca. La cattiva erba cresce, la buona secca. -Nella società, i senza scrupoli progrediscono, i buoni no. 'A mala nova 'a porta u viéntu. La cattiva notizia la trasporta il vento. -Le cattive notizie si diffondo velocemente. A màndra ed a città 'on manca mai mortalità. Nella mandria e in città non manca mai mortalità. - Dove c'è un notevole gruppo di esseri viventi, là ne muore sempre qualcuno. 'A miéjju parola è chida chi non si dicia. La migliore parola è quella che non si dice. - Chi tace fa bene. 'A mmérda, cchiù 'a maniji, cchiù heta. Gli escrementi, più li rimuovi più puzzano. - Delle malefatte, più se ne parla più si peggiora la cosa. Anima trista, cusciènza leusa. Anima triste, coscienza sporca. 'Anticu, prima sperimentàu e pue dissa. L'antenato, prima sperimentò e poi parlò. - Prima di esprimere giudizi, accertati. 'A parola d'anticu 'om-bena 'm-pini mai. La parola dell'antico non verrà in fine mai. - La saggezza degli antichi non avrà mai fine. A passu u mìérudu, ca 'a vìa è petrusa! (Vada) Al passo il merlo, perché la via è sassosa! - Dicesi per far capire di stare molto attenti a ciò che si sta per dire, perché si possono correre pericoli. Frase di gergo un pò mafioso. 'A rràggia d'a sira, stipala pa da matina. La rabbia della sera, conservala per la mattina. - Non sfogare mai subito la tua rabbia, prima calmati e rifletti. 'A spina, cchiù mbécchia e cchiù pùngia. La spina, più invecchia e più punge. - I dispiaceri, più créscono e più sono dannosi. A stu mundu 'on si pò dira: 'e st'acqua 'on nda mbivu. A questo mondo non si può dire: di questa acqua non ne berrò. - Non esprimere mai un giudizio definitivo sul tuo comportamento, perché potrà darsi che per bisogno o necessità assoluta tu debba fare ciò che oggi ti pare non faresti mai. 'A surra vacia cull'uóssu. La polpa va coll'osso. - Chi desidera cose buone deve accontentarsi se gli capitano anche quelle meno buone. Insieme alle cose buone, vanno messe pure le cattive, affinchè non avvenga che ci siano persone che ricevono solo cose buone e altre soltanto cattive. 'A testa chi non pensa è de cucùzza. La testa che non pensa è di zucca. Avira 'a hàcci cuómu u cuori. Avere la faccia come il cuore. - Dimostrare in volto quel che si ha nel cuore. 'A vita, cuómu 'a pijji 'a dàssi. La vita, come la pigli la lasci. - Bisogna iniziare colle buone azioni, se si vuole terminarla bene, altrimenti succederà il contrario. Chi si abitua a vivere bene, così terminerà la sua vita. Avójja u 'nda hai ricci e cannòla, u santu ch'é de màrmuru non suda! Hai voglia di fartene riccioli e boccoli, il santo ch'é di marmo non suda! - Così dicesi a chi, nonostante l'indifferenza della persona cui vuole bene o vuole attrarne l'attenzione, continua a fare di tutto per attirarne l'attenzione o la benevolenza. Sono inutili moine e civetterie e adulazioni con gl'indifferenti. 'A vucca chi non parràu 'on si ripentiu. La bocca che non parlò non si pentì. Vedi pure: A miéjju parola è chida chi non si dicia. Biéllu dispiéttu chi ni hicia la gatta ca vinna stanótta e ni pisciàu ada porta! Che bei dispetto, mi fece la gatta che venne stanotte e mi pisciò la porta! - Dicesi a chi ha voluto fare un dispetto ma non è del tutto riuscito e perciò si fa sapere: quanto hai voluto farmi come dispetto è cosa del tutto insignificante. Dello stesso proverbio esiste pure la variante: Biéllu dispièttu chi ni hicia lu gattu ca stanotta ni pisciau u liéttu! Cana chi abbàja, vola l'uóssu. Cane che abbaia, vuole l'osso. - Chi si lamenta è perché desidera avere pure lui qualcosa, che gli altri hanno e lui no; e da qui, si suppone, nasce il suo lamento. Cchiù scuru d'a menzannótta 'om-pó venira. Più buio della mezzanotte non può venire. - Peggio di così non potrà andare. Dicesi per far sapere che i propri dispiaceri e/o disgrazie hanno raggiunto il culmine. Chiavi 'ncintu e Martinu dintru. Chiave (legata) alla cintura e Martino dentro (casa). - Tu hai la chiave di casa in tasca e intanto qualcuno ci ruba dentro. Dicesi a chi se ne sta tranquillo e intanto .qualcuno sta danneggiandolo. Chidu chi fai ti vidi. Quello che fai ti vedi. - Secondo le tue capacità di fare, troverai i risultati. Avrai secondo quanto dai. Chidu chi non succèda a n'annu, succeda a nu juórnu. Quello che non succede in un anno, succede in un giorno. - Quello che in tanti anni non t'è successo non significa che non può capitarti, perciò stai attento e usa prudenza. Ciéntu nènta sguaradànnu u bogàjju. Cento piccolezze fanno venire l'ernia all'asino. - Molte piccolezze finiscono col creare un peso eccessivo. Molti piccoli fastidi creano un gran guaio. Vedi pure il detto: Hara cuomu u ciùcciu de' ccappuccini: chistu è nènta, chistu è nènta... Cosa cercata è menza perdùnata. Cosa cercata è mezza perdonata. - È bene chiedere anziché prendere. Cu' abbàja assai, mùzzica puócu. Chi abbaia assai, morde poco. Cu' ada casa 'om-bena, ada casa 'on ti vola. Chi a casa non viene (a trovarti) a casa (sua) non ti vuole. Cu' adija, 'mpacciscia. Chi sceglie, impazzisce. - Chi continua a selezionare, finisce col non capire più nulla su ciò che è buono e/o conveniente oppure no. Cu' ava 'a nuominàta e cu' l'entrata. Chi ha la nomèa e chi l'ingresso. - C'è chi è ritenuto di trovarsi in situazione di privilegio e c'è invece chi lo è per davvero ma non lo dimostra. Dicesi a/di chi sembra debba godere di qualche beneficio mentre è poi qualche altro, insospettato, a goderselo effettivamente. Cu' ava 'a porta randa, raha spini. Chi ha la porta grande, trascina spine. - Chi è di buon carattere e/o ospitale ha dei dispiaceri, perché gli altri se ne approfittano. Cu' ava u cómmadu (oppure: u cumàndu) e non si 'nda serva, 'on trova cumpessuri puómmu u 'ssórva. Chi ha la comodità (oppure: il comando) e non se ne serve, non trova confessore che lo assolva. Cu' 'a vola cotta e cu' 'a vola cruda. Chi la vuole cotta e chi la vuole cruda. -Non si può mai accontentare tutti, perché c'è sempre chi la pensa in modo e chi al contrario. Cu' bena hacia, bena rìciva. Chi fa del bene, bene riceverà. Cu' camina adicca, cu' no sicca. Chi cammina lecca, chi no secca. - Chi vuole ottenere deve agire, altrimenti soccombe. Cu' càrna mangia, càrna menta. Chi carne mangia, carne mette. - Chi mangia carne, ingrassa. Secondo quello che fai diventi. Cu crivu e senza crivu, 'mpàstu e ciernu. Con staccio e senza staccio, impasto e buratto. - Possedendo o no quanto necessita per fare il pane, io mangio egualmente. Per analogo concetto vedi pure proverbio: Cu gàdi e senza gàdi... Cu' cumanda 'on suda. Chi comanda non suda. Cu' canta i sue doluri, perda u miénzu onuri. Chi racconta i suoi dolori, perde metà del proprio onore. Cu' cu zzitiédi si curca, cacàtu si leva. Chi con bambini si corica, sporco di cacca si alza. - Chi va in compagnia di persone poco raccomandabili, si troverà in guai e pasticci. Cu' dumanda 'on sbaglia mai. Chi domanda non sbaglia mai. Cu' erba mangia, piécura si hacia. Chi erba mangia, pecora si fa. - Chi si nu-tre di certi principi subisce conseguenti trasformazioni. Diventi secondo quello che fai. Cu' erba si hacia, 'aratu passa. Chi erba si fa, l'aratro passerà (a sotterrarla). - Chi si umilia sarà sottomesso, falciato, emarginato. Cu' està adu muórtu, tena 'a candìla. Chi è al morto (cioè al funerale), tiene la candela. - Solo chi si trova nelle condizioni favorevoli può sperare di fare un favore, piacere, oppure di riceverlo. Cu' gàdi o senza gàdi Dio ha juórnu. Con galli o senza galli, Dio fa giorno. -Con o senza il cantare del gallo sarà giorno egualmente. Dicesi nei casi in cui l'atteso, o sperato, aiuto di qualcuno non è giunto affatto oppure non è giunto nella misura prevista, onde viene pronunciata la frase per voler significare che con quell'aiuto o senza, in qualche modo andrà avanti egualmente. Cu' gira 'e notta, mala nova porta. Chi va in giro di notte, cattive notizie porta. - Non è consigliabile andare in giro di notte, perché possono capitare dei guai. Cu' guarda e non tocca, huócu u mu stocca. Chi guarda (bellezze femminili) e non tocca, che il fuoco lo distrugga. Esiste pure la seguente variante: Cu' guarda e non tocca, dojja cuólica u mu stocca. - Chi guarda e non tocca, colica di doglie lo spezzi. Cu' hacia corna, corna aspetta. Chi fa corna, corna s'aspetti. Cu' hùja, u piedi dassa. Chi fugge, il piede lascia. - Chi fugge lascia le orme, il segno della propria colpevolezza, quindi si autoaccusa. Cu' i paruóli 'on si 'nda linchia pansa. Con le parole non se ne riempie pancia. -Alle promesse bisogna far seguire sempre i fatti. Cu' mala 'om-pàcia, on arrùssica e non si virgògna. Chi male non fa, non arrossisce e non si vergogna. Cu' malu si cuvérna, a spisi sue si dola. Chi male si governa, a spese sue si duole. Cu' buonu liga, miéjju sciójja. Chi bene lega, meglio scioglierà. - Chi prepara bene un lavoro, sarà molto soddisfatto alla fine. Più si è prudenti e previdenti più si sarà soddisfatti alla fine. Cumanda e va tu. Comanda e vai tu (a vedere). - Quando comandi qualcuno per farti eseguire un lavoro in campagna è sempre meglio controllarlo. Cu' mina prima, mina ddu' vuoti. Chi picchia per primo, picchia due volte. - Quando si picchia per primi si ottiene un risultato migliore perché entra in gioco il fattore sorpresa. Cumpdra!.. 'nda voliti rocina?.. ih.. ! Compare! (Signore)... ne volete uva?... (uva che l'offerente porta a casa con l'asino, al quale da una legnata per spronarlo a correre, e dice) ih...! (cammina!). - Dicesi quando si vuole far finta di offrire qualcosa, oppure quando si vuole far capire a chi ascolta, che non era il caso di fare l'offerta senza aver voglia di dare. Cu' 'nda vola sarvizza, si 'nda hacia! Chi ne desidera servizi, se ne faccia! - È quando viene risposto per un piaceere richiesto, quando non si è affatto disposti a farlo. Risposta secca e dura. Cu' 'nda vola turchi, si 'nda ammazza! Chi ne vuole turchi, se ne ammazzi! -Chi desidera mettersi nei guai, lo faccia da solo! - Dicesi in risposta ad una proposta che non si è disposti ad esaudire. Cu n'uócchiu guardi 'a gatta e cull'àutru friji i pisci. Con un occhio badi alla gatta e coll'altro ai pesci che friggi. - Quando corri il rischio di perdere qualcosa, tieni gli occhi bene aperti. Cu n'uócchiu viju-viju e cull'àutru viju cchiùi. Con un occhio vedo alquanto e coll'altro vedo di più. - Dicesi per far capire che si vuole far fìnta di non vedere. Cu' 'om-bida do crivu, è cecàtu. Chi non vede attraverso il burattò è cieco. Cu' 'om-bola u hijja, 'on ava u si 'mprena. Chi non desidera partorire non deve farsi ingravidare. - Chi non desidera conseguenze spiacevoli, procuri di non mettersi nei guai. Cuómu 'a càrna ammassa, u doluri passa. Man mano che la carne si ammassa, il dolore passa. - Man mano che il corpo del parente morto va in disfacimento, il dolore dei superstiti passa. Il tempo guarisce tutti i dispiaceri e dolori. Cuom'è 'a càrna, miénti u curtiédu. Secondo) Com'è la carne, metti il coltello. - A secondo della situazione, usi il mezzo più idoneo ed efficace per ottenere lo scopo prefissato. Cuom'è u tiémpu, miénti i vili. (Secondo) Com'è il tempo, metti le vele. - II concetto è simile a quello del proverbio precedente. Cu' 'om-pata pieni, 'om-bizza mai. Chi non soffre pene, non impara mai. Cu' 'om-pùtta u cuviému, vacia adu mpiernu. Chi non froda il governo, va all'inferno. Cu' 'on ava àutru chi fara, pijja gatti a piettinàra. Chi non ha altro da fare, prende gatti da pettinare. - Chi non ha nulla da fare, cerca sempre qualcuno a cui dar fastidio. Cu' 'on ava coraggiu, 'om-pó fara 'a guerra. Chi non ha coraggio, non può fare la guerra. - Chi manca d'iniziativa, non deve avventurarsi. Cu' 'on ava garbu, duómmu ava juórni. Chi non ha garbo, che non abbia giorni. - Chi non sa vivere, perché privo di capacità di adattamento, è meglio che muoia, perché altrimenti la sua vita sarà infernale e insopportabile. Cu' 'on da sapa 'e rùggia, leva saccu randa. Chi non ne sa di róbbia, porta il sacco grande (per la raccolta, sperando di portarselo a casa pieno). - Chi ignora, pensa sempre a cose al di fuori del normale, irreali. La róbbia è pianta un pò rara, dalle cui radici si ottenevano sostanze coloranti, usate in tintoria. Cu' 'on sapa u hacia bena cud'arròbba d'àutru, cu da sua nènta do tuttu. Chi non sa fare del bene con la roba d'altri, con la propria niente del tutto. Cu' 'on sapa u nata, è miéjju duómmu trasa 'nto mari. Chi non sa nuotare è meglio che non entri nel mare. - L'incapace non deve arrischiarsi in azioni per lui inconsuete. Cu' 'on si gratta cu di mani sue, 'on si 'nda càccia mangiasùni. Chi non si gratta con le proprie mani, non se ne toglie prurito. - Ognuno conosce i propri bisogni e, per poterseli soddisfare, solo lui sa quanto occorre fare, gli altri possono solo aiutarlo un pò. Cu' 'on si hacia affara sue, 'on mora adu liéttu sue. Chi non si fa gli affari propri, non morirà nel proprio letto. Cuòri ncajàtu, jetta hiéli. Cuore amareggiato, emette bile. - Chi è molto amareggiato, inveisce contro tutti in modo velenoso. Cuórvi cu cuórvi 'on si càccianu l'uòcchi. Corvi con corvi non si cavano gli occhi. - I cattivi non si danneggiano mai tra loro. Esiste pure la variante: Cana cu cana, 'on si muzzicànnu. Cani con cani non si mordono. Cu paruóli e cu padàtì, s'aggiùstanu i hilàti. Con parole e con passi, si aggiustano gli intrighi. - Discutendo e facendo i dovuti passi per recarsi da chi si ritiene capace, si aggiustano i rapporti d'inimicizia o di discordia. Cu' prima 'om-pènsa, duóppu suspira. Chi prima non pensa, dopo sospira, per i guai in cui si trova. Cu' prima s'auza, prima si càuza. Chi prima si alza, prima si calza. - Chi si alza di buon mattino, provvede ai propri impegni, e/o affari, prima e meglio degli altri. Cu' resta, ammanéstra. Chi sopravvive, amministrerà. - Io per ora spendo, quelli che verranno si regoleranno come credono. Dice chi desidera vivere al meglio senza badare a dover lasciare tutto agli eredi. Currivati e fa ùtili. Offenditi, imbronciati, e fai che ti sia utile, altrimenti non farlo, perché in genere è controproducente. Cu' s'abbrusciu cull'acqua càudda, si spàgna puru d'a fridda. Chi si scottò coll'acqua calda, ha paura anche della fredda. - Chi è stato imbrogliato o ingannato una volta, poi sta lontano anche quando c'è la sicurezza del buon fine. Cu' seda, cunta i padàtì 'e cu' camina. Chi sta seduto, conta i passi, di chi cammina. - Chi non fa nulla, s'interessa dei fatti altrui. Cu' si menta 'nto miénzu (o: cu' sparta), si pijja 'a mièjju parti. Chi si mette in mezzo (o: chi separa), prende la migliore parte. - Chi s'intromette in una lite, finisce col prendersi la maggior parte dei colpi, o le più gravi conseguenze. In una lite, non t'intromettere, se non vuoi subire le conseguenze peggiori. Cu' simina spini, 'om-pó jira scàuzu. Chi semina spine, non può andare scalzo. - Chi fa del male, deve prestare sempre molta attenzione affinchè ciò che ha fatto non ri ritorca a suo danno. Cu' si 'mpréna sulu, 'on fìjja mai. Chi s'ingravida da solo, non partorirà mai. - Chi non ascolta mai i consigli e/o pareri altrui, non combina mai nulla di buono. Cu' si 'nda vacia, perda u puóstu. Chi se ne va, perde il posto. - Chi rinuncia ad un incarico, non può pretendere poi di riaverlo. Cu' si piccija assai, si 'nda mora viatu. Chi si preoccupa molto, se ne muore presto. Cu' si spàgna, mora. Chi ha paura, muore. -1 paurosi sono destinati al fallimento. Nella vita occorre sapere osare. Cu' si virgógna, si menta u crivu. Chi si vergogna si metta il buratto, sul viso, per nascondere il rossore. - Dicesi, in tono scherzoso, a chi fa dei complimenti o si dimostra un pò restio alla partecipazione di ciò che gli viene proposto o offerto. Cu' su 'mmiérita u bena, l'ava. Chi se lo merita il bene, l'avrà. - Ognuno riceve secondo i meriti che ha. Cu' ti sapa, ti rapa. Chi ti conosce, ti rapina. - Solo chi ti conosce può sapere se hai qualcosa e quanto e perciò può contribuire a rapinarti. Cu' trova muódu, azzippa hundu. Chi trova morbido, conficca profondamente. - Si approfitta sempre molto di chi non reagisce alle offese, ingiustizie, inganni ecc... Cu' truóppu mò proménta, duóppu ti gabba. Chi troppo ora ti promette, dopo t'inganna. - Diffida di chi ti fa troppe promesse. Cu' vola anda, cu' no cumanda. Chi vuole va, e chi no comanda. - Chi desidera qualcosa, si reca personalmente a prenderla, farla o disbrigarla, chi no comanda altri. Per essere certi di quello che vuoi, recati di persona per assicurartene. D'a truóppu cumpidénza 'nda divéna 'a mala crijànza. Dall'eccesso di confidenza, ne deriva la cattiva creanza. Do pensieri 'e l'autri trasi e niésci e do tue 'on nescira mai. Dal pensiero degli altri entra ed esci e dal tuo non uscire mai. - Ascolta consigli e suggerimenti ma fidati soprattutto del tuo cervello. Dumandàndu dumandàndu, s'arriva sina a Roma. Chiedendo chiedendo, si giunge sino a Roma. - Chiedendo sempre, si può giungere dappertutto, nel significato più ampio del concetto. Duóppu u duci vena 'amàru. Dopo il dolce viene l'amaro. - Dopo le feste, gioie, piaceri, arrivano i dispiaceri. Duva 'a porta è larga, trasa 'e cuózzu. Dove la porta è larga, entra per traverso. -Dove trovi accoglienza assai, usa molta cautela e accortezza. Duva cumàndanu tanti gàdi, om-pàcia mai juórnu. Dove comandano troppi galli, non fa mai giorno. - Dove sono in molti a comandare, non si realizza mai nulla. Duva 'on t'appartèna nò mala e nò bena. Dove non t'appartiene, (non dire) ne male e ne bene. Duva vidi buonu àbìtu tira sina adu sàbatu. Dove vedi buon abito, tira sino a sabato. - Dove trovi buona accoglienza fermati qualche giorno. Erba vordira juncu. Erba significa giunco. - Equivale al proverbio italiano: parlar con nuora perché suocera intenda. Vedi pure il proverbio: Siénti cista chi vordira majistra. Fràbichi e liti, provati e viditi. Fabbricati e litigi, provate (a farne) e vedrete (che non finiscono mai). Hai bena e scordati hai mala e guardati. Fai del bene e dimenticati, fai del male e guardati. Hai u scuórci 'a cràpa e duómmu ruppi l'utri. Devi scuoiare la capra e non rompere l'otre (cioè la pelle, da cui si poteva ottenere l'otre). - Dicesi a chi deve sapere agire con molto tatto e delicatezza, perché le conseguenze possono essere abbastanza gravi da compromettere il risultato. Hara u passu pa quantu è longa 'a gamba. Fare il passo per quanto è lunga la gamba. - Comportarsi secondo le proprie capacità e possibilità ma non di più perché ciò potrebbe essere incauto. Hina a quando 'on scura, 'om-pue dira bonasera. Sino a quando non fa buio, non puoi dire buonasera. - Sino a quando un fatto non si è verificato non si può dire che è certo. Hina chi nc'è, viva lu rre quandu 'on c'è 'cchiù, viva Gesù. Finché c'è, viva il Rè; quando non c'è più, viva Gesù. - Finché dura questa fortuna, godiamocela; quando non avremo più nulla, allora ricorreremo alla preghiera di qualcuno che ci faccia il miracolo di ottenere ancora questo beneficio. Dicesi a giustificazione degli eccessi di consumo e di scialacquoneria, spendendo poco del proprio denaro e/o lavoro. I mali passi si cacciami cu du juórnu. I tratti di strada dissestata si aggiustano di giorno. - Se ci sono difficoltà è meglio che si superino e si appianino a viso aperto, anziché con sotterfugi. I muli si mingrìjanu e i varidi si spàscianu. I muli scalciano e i barili si sfasciano. - Le conseguenze delle liti le subiscono coloro che non hanno alcuna colpa. Fra due litiganti chi, senza volerlo, si trova in mezzo, ne subisce le peggiori conseguenze. Io sugnu scàjja 'e pètra minuta ma puózzu servirà 'ncuna vota. Io sono scheggia di pietra minuta ma potrò servire qualche volta. - Così dice chi sa di essere di poche capacità e/o possibilità, ma fa notare però che anche lui è molto utile talvolta, perciò non è proprio il caso di disprezzarlo. I sue sunnu nuci e scrùscianu, i mie sunnu hica e ammaccanu. Le sue (azioni, detti, fatti) sono (come le) noci e fanno rumore; i miei (detti, fatti, azioni) sono (come i) fichi e si ammaccano. - Dicesi per significare che nella vita si da molto valore e più ascolto a ciò che è altisonante, mentre non se ne da alcuno a quanto è detto con umiltà. L'erba chi hiedivi, ni hiuriu ada porta. L'erba che ho schifato, mi fiorì alla porta (di casa). - Quanto non ho mai potuto soffrire e sopportare, ora mi tocca proprio di doverlo fare. Levati petra e rùppami 'a testa. Alzati pietra e rompimi la testa. - Dicesi all'interlocutore per fargli capire che deve smettere di provocarlo in quanto è già al limite della sopportazione e pertanto, da quel momento in poi è come se gli venisse richiesto di essere preso a botte. Longa via, 'on ruppa carri. Lunga via, non rompe carro. - La strada più lunga è la più agevole, perciò non si corrono pericoli. L'uóru lucia puru ammiénzu i mundizzi. L'oro brilla anche in mezzo alle immondizie. - Le cose pregevoli si notano dovunque e comunque siano frammischiate. 'Mbasciàta mandi e 'mbasciàta vidi. Imbasciata invii e imbasciata ricevi. - Se vuoi vedere qualcuno, vallo a trovare. Mbieci ca u grida u gue, grida aratu. Invece di lamentarsi il bue, si lamenta l'aratro. - Le lamentele vengono sempre da coloro che in effetti non soffrono. Vedi pure proverbio: 'A crapa si mùngia ed u zzimmaru si dola. Mentati cu di randa (o: cu i mìèjju tue) e fanci i spisi. Mettiti con i grandi (o: con i migliori di tè) e paga loro le spese. - Vai sempre in compagnia di persone di valore e di prestigio e se anche devi offrire a loro qualcosa, paga pure perché hai sempre da guadagnare frequentando la loro compagnia. Miéjju 'na vota arrussicàra ca ciéntu vuoti 'ngialinira. Meglio una volta arrossire (di vergogna) che cento volte ingiallire (di rabbia). - È meglio essere decisi nell'affrontare una situazione, che biliarsi nell'attesa. Miéjju u mu ràhi ca u mu pijji 'ncuódu. Meglio che lo trascini anziché tu lo prenda sulle spalle. - Sostenere qualcuno o qualcosa è meglio che averlo totalmente a proprio carico. Miéjju u nèscìa 'a bona ca 'a mala parola. Meglio che esca la buona anziché la cattiva parola. - È meglio dire bene della gente, anziché male. Miéjju u puocu chi dura tantu c'assai chi dura nènta. Meglio il poco che dura tanto, che l'assai che dura niente. Muori in città e muori cornutu. Muori in città e muori cornuto. - In città si vive sempre meglio che in paese, anche se in città puoi diventare e morire cornuto. 'Na nuci 'nta nu saccu 'om-pàcia scrùsciu. Una noce in un sacco non fa rumore. - Una persona che sta da sola, non crea occasioni di urti con gli altri e quindi di litigi. Chi vive da solo non litiga mai. 'Na vota si hutta 'a vecchia! Una volta si bùggera la vecchia! - Al massimo potrà capitare una volta sola di potere ingannare chi ha molta esperienza. Dicesi, in genere per fare intendere che se si è stati imbrogliati una volta, ciò non si ripeterà. 'Nci duni u jiditu e si pijja 'a mani. Gli porgi il dito e si prende la mano. - Dicesi di chi abusa del senso dell'amicizia, cordialità, confidenza. 'Nci vola arrùstu e no' fumu, ca u hùmu si 'nda vacia de' ciaramidi. Ci vuole arrosto e non fumo, perché il fumo se ne va dalle tegole. - Nella vita occorrono fatti concreti e non chiacchiere. No' tutti i cuosi russi sunnu ciarasi. Non tutte le cose rosse sono ciliege. - Equivale a quello italiano: Non tutto ciò che luccica è oro. Nu bongiórnu si duna a tutti. Un buongiorno si da a tutti, ma non perciò si è in confidenza o amicizia. Nu buonu stara è addùva pue campara. Uno star bene è laddove puoi campare. Nu cuórn 'nto culu 'e l'autri è nu pilu, ma s'è 'nto nuóstru està nu travu. Un corno nell'ano altrui è un pelo, ma s'è nel nostro è una trave. - I dispiaceri degli altri si minimizzano, mentre si ingigantiscono i propri. Nudu ti dicia: lavati 'a hàcci ca pari cchiù biédu 'e mia. Nessuno ti dirà: Lavati la faccia che sembrerai più bello di me. - Nessuno ti darà consigli per diventare migliore di lui. Ognunu saluta cu du coppiédu chi tena. Ognuno saluta con il cappello che tiene. -Ognuno si comporta secondo quello che è e come può. Ognunu avissa u guarda i tràva d'a casa sua. Ognuno dovrebbe guardare le travi di casa sua, cioè interessarsi solo dei problemi della propria famiglia. Ognunu ciàngla cui l'uocchi sue. Ognuno piange cogli occhi suoi. - Ognuno piange le proprie perdite o dispiaceri. 'Om-passàra 'a hiumara duva dorma. Non attraversare il fiume dove dorme. -Diffida di chi appare calmo e tranquillo. Vedi pure proverbio: Dio u ti guarda e l'acqua quota, ca gran... 'On ava cui u n'avànta e n'avàntu io, chi biéllu ciùcciu chi sugnu io! Non c'è chi mi vanta e mi vanto io, che bell'asino che son io! - Dicesi a chi sta lodandosi, e perciò gli si da dell'asino. 'On ti 'ntricàra, 'on ti 'mpicciàra, 'on fara bena, ca 'on ricivi mala. Non t'intrigare, non t'impicciare, non fare del bene, che così non riceverai del male. Pagùra guarda limiti e no' sipàla. Paura salvaguarda i limiti e non barriera. - È solo per paura del proprietario che vengono rispettati i limiti della proprietà di costui. Pana e mantu, 'on grava tantu. Pane e cappotto non pesano molto, perciò è preferibile averli sempre con se, in quanto possono essere sempre utili. Pana e lavàtu, si réndanu a maggioratu. Pane e lievito, si restituiscono maggiorati. - Chi riceve in prestito pane e lievito, nel restituirli occorre darne in quantità maggiore di quella ricevuta, per non essere criticati. Para ca nci divi e non-bue u mu paghi! Sembra che (tu) sia in debito (con lui) e tu non voglia pagarglielo! - Così dice una terza persona e una delle due che ha insieme che fìnge di non vedere l'altra. Perda guai e vacia cercandu corna. Perde guai e va cercando corna. - Dicesi a/di chi è appena uscito da alcuni guai e sembra vada cercandone di peggiori. Perdiu l'uòcchi e vacia cercandu i pinnulàri! Perse gli occhi e va cercando le ciglia! -Dicesi di chi s'interessa di ottenere poche briciole dopo aver perso un bene enorme. Prima pensa e pue hai. Prima pensa e poi agisci. Quandu 'a gatta 'on è, u sùrici abballa. Quando la gatta non c'è, il topo balla. -L'assenza di chi comanda, genera sempre disordine e trambusto. Si è soliti dirlo a bambini che fanno chiasso indemoniato in casa o sciupano qualcosa che non dovrebbero. Quandu i gurpi si cunsiglianu, i gadini ràhanu 'a rùggia. Quando le volpi si radunano a consiglio, le galline ne vanno di mezzo. - Quando si radunano persone di malaffare c'è da temere qualche furto o anche peggio. Quandu i mulinàri si mingrijanu, stai attièntì ada harina. Quando i mugnai litigano, stai attento alla farina, perché approffittando del trambusto potrebbe scomparire. Anzi, sembra che lo generassero apposta, d'accordo, per frodare il proprietario del grano da macinare. Quandu hai u guodi, o pièni o muori. Quando devi godere, o peni o muori. -Nella vita non esistono momenti di contentezza, perché, giunto quel momento, sopravvengono dolori o morte. Quandu mai si vitta ca 'a piràra hacia hica! Quando mai si vide un pero produrre fichi! - Non aspettarti mai una cosa da chi non può dartela! Dicesi a chi si rivolge a persona che notoriamente non accetta di fare piaceri. Quandu mai si vittaru zingari metira e pputtàni hilara. Quando mai si videro zingari mietere e meretrici filare al fuso! - Dicesi a proposito di discorsi relativi a fatti incredibili, impossibili. Quandu 'na cosa 'a sapa nu dienti, 'a sannu tutti i giènti. Quando un fatto lo sa un dente, lo sa tutta la gente. - Se vuoi che un fatto non si sappia, non comunicarlo mai a nessuno. Quandu 'on si chiamàtu, 'on rispundira. Quando non sei interpellato, non rispondere. Quandi si 'nto ballu, hai u m'abballi. Quando sei nel ballo, devi ballare. -Quando ti trovi in una situazione, devi condurla a termine. Quandu si ragiuna, si stàcia sempa buoni. Quando si parla, si sta sempre bene. -Quando ci si saluta, dopo tempo che non ci s'incontra, si dice sempre che si sta bene, perché i guai non si dicono a nessuno. Quandu unu 'om-bola, ddui 'on si mingrijanu. Quando uno non vuole, due non bisticciano. - Quando due persone litigano è perché lo desiderano entrambe. Quandu u picciulu vola ciangìra cu du randa si vola mentira. Quando il piccolo vuol piangere, col grande vuol mettersi a litigare. - Il piccolo soccombe sempre, quando si vuole scontrare col grande. Il significato è da considerare nel più esteso dei significati possibili. Quandu u piru è maturu, cada sulu. Quando la pera è matura, cade da sola. -Quando è il momento giusto, ogni avvenimento si verifica senza alcuna forzatura. Quandu u puórcu s'abbuttàu cu du scihu s'a pijjàu, Quando il maiale s'è impinzato, contro il trògolo s'è scagliato. - Dicesi di chi, dopo aver vissuto alle spalle di qualcuno, gli si rivolta contro. Quandu vidi 'ncùnu mprisùsu mangia cipùda e non cercare casu. Quando trovi qualcuno presuntuoso, mangia cipolla e non cercare cacio. - Coi presuntuosi non aprir bocca (comportati come chi ha mangiato cipolla), per evitare di litigare. Quandu vidi u lupu, 'on jira cercandu i padàti. Quando vedi il lupo, non andare in cerca delle sue orme. - Nel pericolo, non indugiare, ma scappa. Rispettara u cana pa du patrùni. Rispettare il cane per (rispettare) il padrone. Sapa cchiù nu pàcciu 'n-casa sua, ca nu saviu 'n-casa 'e l'autri. Sa (agire) più un pazzo in casa propria che un saggio in casa altrui. Sazzia masura, puocu sculatùra. Abbondante misura, poca scolatura. - Si ricorda che "masura" è recipiente, usato per la misura dell'olio, equivalente a tre "litro" e che la "litro" vale tre litri e tre quarti. Ciò premesso, si spiega così il significato del detto. Quando la "masura" è piena di olio, al di sopra del contrassegno che possiede, allora nel travaso si perde poco olio. Si 'e giéniu 'om-bena, cantàra 'on si pota. Se non si ha a genio, cantare non si può. -Se non c'è passione, non si riesce a lavorare. Siénti cista chi vordira majistra! Ascolta deschetto che vuol dire maestra! - Equivale al proverbio italiano: parlare con nuora perché suocera intenda. Vedi pure proverbio: Erba, vordira, jùncu. Sì fuji ti sparu, si fìérmi ti curtediju. Se fuggi, ti sparo, se fermi ti accoltello. -Dicesi per far intendere: Non hai scampo. Si hai u hùrnu pa cuntu tue, 'mpùrni e spùrni quandu vue. Se hai il forno per conto tuo, inforni e sforni quando vuoi. - Solo quando sei proprietario di qualcosa, puoi servirtene a piacimento. Si jetta avanti pa duómmu cada arrédi. Si butta in avanti per non cadere all'indietro. - Dicesi di chi pensa al male prima di riceverlo. Si 'mpàra cchiù campandu ca lejièndu. Si impara più vivendo che leggendo. Si vue gabbàra lu tue vicinu: cùrcatì priéstu e levati 'e matìnu. Se vuoi gabbare il tuo vicino (di casa): coricati presto e alzati di buon mattino, per andare a lavorare. Si sapa duva si nèscìa e no' duva si mora. Si sa dove si nasce ma non dove si muore. Si vue stara 'm-paci: siènti, vidi e taci. Se vuoi stare in pace: ascolti, vedi e taci. Si vue u ti 'mbiàchi, 'mbiàcati 'e vinu buonu, no' d'acitu. Se vuoi ubbriacarti, ubbriacati di vino buono, non di aceto. - Se vuoi commettere una cattiva azione, fai che almeno ne valga la pena. Sputa all'aria ca 'mpàcci ti cada. Sputa in aria che in faccia ti cadrà. - Chi esprime giudizi avventati se li trova contro se stesso. Tala parola sienti e tala cuori hai. Tale parola senti e tale cuore fai. - Secondo quello che ascolti formuli il giudizio e adatti il comportamento. Tantu campàu nu rre, tantu campàu nu riccu e tantu nu disparatu senza liettu. Tanto visse un re, tanto visse un ricco e tanto un disperato senza letto. - Davanti alla morte, tutti eguali. Tantu vacia 'a cortàra all'acqua, hina chi si ruppa. Tanto va l'orciolo all'acqua finché si rompe. - Tanto si rischia finché la disgrazia capita. Terra e cielu hiciaru nu vutu: ca nudu sagriétu pot'éssara ammucciàtu. Terra e cielo fecero un patto: che nessun segreto possa essere celato. - Al mondo si viene a sapere sempre tutto. U mó-mó ed u pue, sunnu pariènti do mai. Il fra un pò e il dopo, sono parenti del mai. - Quando alla richiesta di qualcosa, si risponde dicendo (mó-mó) oppure (epùe) è come volere rinviare sempre, che equivale al mai. Unu stàcia buonu, hina a quandu vola n'àutru. Uno sta tranquillo, sino a quando (così) vuole un altro. - Lo dice chi, mentre sta tranquillamente per i propri affari o in compagnia, si trova stuzzicato e/o provocato da un altro, a cui, così dicendo, vuole far capire che desidera stare in pace. U piéju è sempa arriédi. Il peggio è sempre indietro. - Il periodo peggiore è sempre quello che deve ancora venire. U puórcu vola u 'nci mbizza 'Adimaria ada troja! Il maiale vuole insegnare l'Ave Maria alla scrofa! - Dicesi a chi, non avendo mai imparato nulla, desidera insegnare qualcosa a chi ha invece molta esperienza. U truóppu, stroppija (o: attruóppica) Il troppo danneggia (o: urta). - Ogni abuso, danneggia (o infastidisce), perciò sappiti comportare di conseguenza. Vàsciati jùncu ca passa 'a china! Abbassati giunco, che passa la piena (del fiume)! - Mettiti al riparo più che puoi, quando forze imponenti ti stanno per travolgere. Vida cchiù 'n'uórbu 'n-casa sua, ca nu sanu 'n-casa d'autri. Vede più un cieco in casa propria che un vedente in casa altrui. Visita rara, tènala cara. Visita rara, tienila cara.