di Emanuele Valenti.
La storia della produzione di energia elettrica in Italia inizia alla fine del 1800. La prima centrale elettrica fu costruita a Milano nel 1883 per l’illuminazione pubblica di una zona entro un raggio di 1 km dalla centrale; funzionava con motori a vapore alimentati a carbone (quindi di tipo termoelettrica).
Ma immediatamente lo sviluppo dell’elettrificazione fu caratterizzato dal ruolo dell’idroelettrico. I costi del carbone e la tradizione plurisecolare della manifattura italiana nell’uso dell’acqua come forza motrice portarono infatti all’immediata introduzione delle centrali idroelettriche.
Il primo impianto idroelettrico di un certo rilievo fu quello del Gorzente, realizzato nel 1889 per alimentare stabilimenti industriali nella zona di Genova. La distribuzione dell’energia prodotta da questa centrale era in corrente continua. Le realizzazioni successive passarono subito alla corrente alternata.
La prima linea in corrente alternata con caratteristiche industriali nel mondo era quella che collegava la centrale idroelettrica di Tivoli, realizzata nel 1892 a Roma.
Nel 1898, entrò in esercizio a una centrale idroelettrica a Paderno d’Adda collegata da una linea di 38 km a Milano. Si trattava del più grande impianto idroelettrico in Europa, secondo al mondo solo a quello del Niagara negli Stati Uniti.
Già nel 1892 l’ingegnere svizzero Robert Holtman stava collaudando una turbina elettrica che aveva installata nello stabilimento della “Ditta Fabbricotti a. & C.” di Santa Maria, una (allora) modernissima fabbrica di cellulosa. L'anno successivo lo stesso ingegnere inaugurava l'impianto di illuminazione di Serra San Bruno.
Sempre nel 1892 entrava in funzione la prima centrale idroelettrica dello Stilaro voluta dal senatore del Regno Achille Fazzari.
Il Fazzari era entrato in possesso nel 1874 del patrimonio immobiliare della Mongiana con tutte le pertinenze, e quindi anche della Ferdinandea. Qui degli edifici acquistati, alcuni, quali segherie e residenze, furono conservati mantenendo inalterata l'originale destinazione d'uso. In un locale costruito successivamente, venne realizzata la centrale idroelettrica della società "Cino Canzio", nipote di Garibaldi e marito della figlia di Fazzari.
La società aveva sede a Mongiana ed alimentava dapprima le segherie di Ferdinandea, successivamente i comuni di Mongiana Fabrizia e serra San Bruno, e, dal 1910, la fabbrica di cellulosa di Santa Maria.
L'impianto derivava l'acqua dal torrente Stilaro tramite una briglia i cui resti sono ancora visibili, e tramite un canale, anch'esso ancora visibile, portava l'acqua ad una vasca di carico, ora interrata ed adibita a deposito temporaneo di legname, a ridosso dell'edificio a ferro di cavallo delle Ferdinandea. Da qui una condotta forzata in piombo portava l'acqua sino all'edificio della centrale e mettere in moto una turbina di tipo Pelton collegata a un generatore di elettricità.
Dopo che nel 1910 viene fondata a Siderno "Società Bruzia di industria elettrica di Siderno", e nel 1912 la "Società Idroelettrica dell'Ancinale" a Soverato, nel 1913 un gruppo di cittadini bivongesi fonda la società anonima per azioni a capitale limitato "L'avvenire" di Bivongi, per costruire una piccola centrale all'acqua fluente. La centrale fu costruita in una zona impervia e, allora, priva di collegamenti nelle vicinanze dello stabilimento termale "Bagni di Guida", ed è stata inaugurata il 12 giugno del 1914.
Accanto ai cittadini più abbienti ideatori del progetto, un nutrito numero di cittadini divenne socio partecipando ai lavori di costruzione.
La costruzione dell'edificio della centrale, del canale, della galleria, dei tralicci delle linee elettriche, e il montaggio di buona parte macchinari furono affidati a maestranze locali e per la perizia con la quale eseguirono i lavori suscitarono ammirazione e apprezzamento nei tecnici lombardi della Marelli a cui era stato commissionato il materiale elettrico.
Vista la difficoltà di raggiungimento del luogo della centrale, la Marelli aveva garantito la consegna dei macchinari alla stazione ferroviaria di Monasterace. Dalla stazione le macchine dovettero essere trasportate con carri nei pressi del paese e poi con slitte trainate da buoi lungo il greto del fiume ad una distanza di circa 5 km. Fu grande la sorpresa dei tecnici che furono chiamati a montare i macchinari a non di più un mese dalla consegna. Ad appena un anno dalla costituzione della società, la centrale ultimata, fu pronta per essere messa in funzione.
La centrale forniva energia elettrica agli abitati di Bivongi Pazzano e Stilo. Per aumentare la produzione nei periodi di magra del fiume, furono installati nella centrale dapprima un motore a petrolio, e successivamente un motore diesel collegato ai generatori esistenti.
Nel 1932 anche la società "L’Avvenire" passa in possesso della "Società Elettrica delle Calabrie", e quindi della "Società Meridionale di Elettricità" che aveva assunto quasi il monopolio della produzione elettrica nell'Italia del sud. La centrale fu definitivamente abbandonata nel 1955, dopo aver già subito una disastrosa alluvione nel 1951.
L'impianto sfruttava un salto di soli 22,5 m con una portata di 0,33 m³ al secondo, per una potenza complessiva di circa 80 kW.
Uno sbarramento di materiali sciolti permette all'ingresso dell'acqua in un canale laterale e dopo un tratto su ponte-canale e uno in galleria arrivava d'una piccola vasca di carico da dove partivano due condotte forzate.
Le due condotte alimentavano due turbine di tipo Francis fornite dalla società "Ing. Mocalvi & C” di Pavia, insieme al resto dell'apparecchiatura idraulica, collegate ognuna ad un alternatore da circa 90 kW e 600 giri al minuto forniti dalla “Ercole Marelli” di Milano.
La società Avvenire era proprietaria anche dell’albergo delle terme dei “bagni di Guida”, e sei delle venti stanze erano adibita ad alloggio degli operai.
Alla fine della prima guerra mondiale la produzione elettrica lorda era praticamente tutta idroelettrica. Lo sfruttamento idroelettrico in abbinamento e al servizio di attività industriali coinvolse molti operatori industriali, anche di modeste dimensioni. Delle centrali realizzate tra la fine del 800 e la fine della prima guerra mondiale, circa la metà fu infatti costruita non dalle società elettriche ma da piccoli auto-produttori. Questa situazione fu una componente di rilievo dei contrasti tra auto produttori e società elettriche che caratterizzarono il settore fino alla metà degli anni ‘20.
Nel periodo tra le due guerre mondiali il sistema elettrico italiano raggiunse la maturità e la fisionomia che avrebbe poi mantenuto nei decenni centrali del novecento.
L’imprenditoria italiana aveva chiaramente compreso le potenzialità offerte dalla trasmissione dell’energia a grande distanza. L’energia poteva essere prodotta, distribuita e venduta come una merce, portando l’energia nei luoghi più favorevoli per l’industria, e non viceversa. E ciò favorì l’azione su larga scala delle imprese di maggior rilevanza, stimolando i processi di concentrazione delle imprese elettriche. I centri di produzione tecnicamente ed economicamente più importanti presero il sopravvento, assorbendo o distruggendo i piccoli produttori. Le grandi società allargarono rapidamente i loro confini fino ad avere il dominio completo su intere regioni, venendo a suddividere l’Italia in province idroelettriche a confini abbastanza ben delineati: La Edison, la Società Adriatica di Elettricità (SADE), la Società Idroelettrica Piemonte (SIP), la Società Elettrica Ligure-Toscana (SELT), l’Unione Esercizi Elettrici (UNES), la Terni, la Società Meridionale di Elettricità (SME), furono le principali società capofila dei processi di sviluppo e consolidamento, nelle rispettive aree geografiche.
Ma restava comunque spazio per iniziative indipendenti. Nel 1926, la "Società Immobiliare Calabra" di Torino otteneva con R.D. numero 6074 del 1926 la "concessione per la derivazione dai torrenti Roggero, Don Luca e Folea, affluenti del fiumara Stilaro, nel territorio del Comune di Stilo, medi moduli 5,333 (533,3 litri/s), atti a produrre lo stato utile di 580 m la potenza nominale di HP 4,214 per energia elettrica".
La società immobiliare Calabra aveva ottenuto dalla società idroelettrica "Borilli" l'intero complesso della Ferdinandea, dopo che quest'ultima l’aveva ottenuto dalla Banca d'Italia nel 1922.
Il progetto esecutivo, dell’impianto del Marmarico o di Ferdinandea, dell’ing. Manlio Salvetti e del geom. Federico Pulitani fu approvato il 29 dicembre 1928, e prevedeva nelle modifiche al progetto iniziale del 1926.
Le due derivazioni di alimentavano la condotta forzata si trovavano nelle vicinanze della Ferdinandea, mentre la centrale si trovava nell'alveo del fiume, quasi 600 m più in basso. Non esistendo strade, la centrale e la condotta forzata furono costruiti trasportando tutti i materiali, compresi pesanti macchinari, con una funicolare, dall'alto dei 1000 metri di quota verso il basso..
Dalle due derivazioni montane partivano due primi tratti di condotta che andavano a unificarsi nella zona detta "Numero 11". Qui iniziava la condotta forzata vera e propria costruita in lamiera chiodata, che all'arrivo in centrale aveva uno spessore di quasi 3 cm.
Nell’ampia sala macchine della centrale erano presenti due gruppi turbina alternatore, e ed era stato predisposto uno spazio per un terzo gruppo più grande in vista di un possibile ampliamento, ottenuto derivando l’acqua anche dal torrente Assi, che però non fu mai realizzato.
Le turbine di tipo Pelton erano state fornite dalla "De Pretto – Escher Wyss", mentre il materiale elettrico era stato fornito dalle "Officine Savigliano" di Torino. In particolare i due alternatori da 1000 giri al minuto, avevano una potenza di circa 1000 kW ciascuno. La generazione veniva a 500 V e due trasformatori alzavano il livello della tensione a 20 kV, alla quale funzionavano le, prima due e successivamente quattro, linee in partenza dalla centrale.
Della centrale facevano parte anche un’ala a tre piani destinata alle apparecchiature elettriche, e una a due piani destinata all’alloggio delle due squadre di operai che si avvicendavano ogni 48 ore, alternando ciascuno 4 ore di riposo a quattro ore di lavoro.
Nel corso del tempo, tutto l’impianto fu oggetto di continue manutenzioni ed ampliamenti.
In particolare, dopo la costruzione della linea per Guardavalle, che arrivava ad alimentare i paesi della fascia ionica fino ad Isca sullo Ionio, ed il conseguente aumento di carico, nel 1965 e il 1966 vennero installati due gruppi elettrogeni nei locali della ex centrale Canzio, già adibita a stazione di smistamento. Nello stesso periodo viene costruita la diga Giulia.
Nell’immediato dopoguerra, lo stato sovvenzionò la realizzazione di centrali elettriche e delle opere territoriali connesse al fine di incrementare la produzione di energia elettrica. Nell'ambito della distribuzione lo stato intervenne nel 1961 con l'unificazione delle tariffe su base nazionale per uguali classi di consumo (attraverso la cassa conguaglio per il settore elettrico) e imponendo alle aziende elettriche l'allacciamento a chiunque ne facesse richiesta.
Nel 1962 si procedette all'istituzione dell'Ente per l'energia elettrica con l'obiettivo di fare dell'energia elettrica uno strumento di sviluppo del paese e di definire una politica nazionale dell'energia elettrica, anche sulla base delle esperienze di altri paesi quali Francia e Gran Bretagna.
Venne allora costituita l’Enel che avrebbe acquisito tutte le attività delle aziende operanti nella produzione, trasformazione, trasmissione e distribuzione di energia elettrica, fatto salvo alcune eccezioni, quali gli autoproduttori ovvero aziende che producevano più del 70% di energia elettrica in funzione di altri processi produttivi (a cui successivamente furono equiparate anche le aziende municipalizzate), o le piccole aziende.
Nel 1971 la SIC non era stata ancora nazionalizzata.
Il primo gennaio 1973 a seguito delle piogge intense nei giorni precedenti uno smottamento causò la rottura della condotta forzata. In vista dell'imminente nazionalizzazione i proprietari decisero di non riparare l'impianto. Acquisito dall’ENEL, l'impianto, non più in funzione, fu presidiato per un breve periodo e poi definitivamente abbandonato nel corso dello stesso 1973.